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Full text of "L'Eneide di Virgilio (Virgilio)"

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1/  ENEIDE 

I  VIRGILIO 


VOl.UABIZZATA 
DA 


ANNIBAL  CAR#.^y, 


FIRENZE, 

(J.  BARBÈRA,  EDITOKK. 


1S1I-2. 


AI  LETTORI. 


Onsi  studiosa  die  acquista  un'edi- 
zione nuova  di  «n  libro  vecchio,  liti 
diritto  di  sperare  che  questa  nuova 
edizione  vini:»  di  pregio  tutte  le  pie- 
cedenti;  ed  ha  pure  il  diritto  di  co- 
noscerequali  cure  vi  siano  state  spese 
attorno,  perchè  la  sua  giusta  speranza 
non  fosse  delusa,  fc  mio  dovere  per- 
tanto di  soddisfare  a  questo  secondo 
diritto,  per  indurre  nell'animo  dei 
lettori  la  persuasione  che  anche  al 
primo  si  è  cercato  di  soddisfare.  , 

Da  un  attento  esame  delle  piii  pre- 
giate fra  le  molle  edizioni  di  questo 
libro,  mi  venne  fatto  di  scorgere  che 
Cako.  a 


VI  AI  LKTTOBI. 

qua  e  là  in  più  luoghi  esse  discaro 
ilnvnno  essenzialmente;  tanto  clic  ai 
voler  dare  un'  edizione  più  genuina 
che  fosse  possibile,  ero  mestieri  di! 
risalire  alle  fonti;  cioè  all' edizioni!] 
principe,  fatta  in  Venezia  dal  GiunUj 
l'anno  1581,  ed  assistita  da  l.epidoJ 
Caio,  nepote  di  Annibale.  Ma  peri 
mala  sorte  cotosta  fonte  era  avuta  ini 
conto  di  molto  impura  dagli  nomini j 
di  lettere;  onde  il  ritornare  ad  essa,] 
e  riprodurla  tal  quale,  non  sarebbol 
stato  altro  che  un  ripristinare  gli  er-j 
rari.  Volli  nondimeno  toccar  con  inu-j 
no,  e  mi  avvidi  che  il  giudizio  dei] 
letterati  non  era  ingiusto.  Ma  insio-i 
me  conobbi  che  ciò  era  bastato  pepi 
isbrigliare  l'arbitrio  degli  editori,  lai 
cui  licenza  crasi  andato  esercitando! 
in  molti  e  molti  mutamenti,  suggo-! 
riti  ora  dal  desiderio  di  far  troppo! 
bene,  che  torna  n  male,  e  ora  daUj 
l' ignoranza  della  nostra  lingua  e  di] 
certe  sue  forine  invecchiate. 


AI  LETTOSI*  TU 

l.n  Tania  di  scorretto  nuoce  nd  un 
libro,  come  la  faina  di  buginrdo  ad 
„„  uomo:  «  Anche  se  dice  il  ver  non 
„l,  ,'•  rreduto.  »  Tate  mi  è  seminata 
|a  sorte  di  questa  edizione  Giuntina; 
clic  so  non  è  dell*  più  accurate,  ba 
veduto  però  nascer  da  sè  figlio  molto 

•u  trascurate  di  lei.  Quanto  a  me, 
io  non  lio  voluto  che  questa  sua  mala 
fama  facesse  \e\p  alla  più  severa  im- 
parzialità;  *  <l°vc  l'errore  non  era 
manifesto,  alla  Giuntina  mi  sono 
attenuto  piuttosto  che  ad  altra  qua- 
]un<l"e  edizione.  Ma  come  discer- 
„erc  il  v<-*r0  da'  l"180?  c'ù  aP- 
niinto  credo  che  consista  l' uflicio 
e  lo  studio  di  chi  invigila  ad  una 
ristampa.  Il  riscontro  dell'originale 
latino,  l'esame  del  contesto,  l' inve- 
stigazione delle  proprietà  di  nostra 
lingua,  sono  stati  i  miei  criteri.  Ma 
questi  criteri  qualche  volta  sono  fal- 
laci, e  spessissimo  insufficienti  ;  on- 
de io  posso  bene  essermi  ingannato. 


TIII  AI  LETTOSI. 

Il  lettore  ne  giudichi  da  qunl  he 
saggio  : 

Libro  I,  verso  193,  O.:1  Eolo  a  rin-  j 
contro:  a  le,  regina,  disse,  Convicnsi  ] 
che  tu  SCORGA  i  tuoi  desiri;  Al.  :  *  j 
scopra.  Che  scorgere  significhi  anche  i 
scoprire,  manifestare  lo  dice  anche 
il  vocabolario,  e  chi  al  vocabolario  I 
non  credesse  troverà  in  Marcello 
Adriani  il  giovane  {Trad.  di  Plutar-  j 
co,  Vita  di  A  rislide,  §  3)  Si  scorse  { 
in  senso"  di  Si  palesò,  si  inanife-  ■ 
stó,  avendo  il  greco  la  voce  t'ya!  viti. 
—  I,v.  HI,  G.:  Le  sarti; M.:  le  sarte,  j 
Qiiantuni|ue  non  vi  sia  alcuna  difrt-jj 
colta  a  credere  che  il  Caro  scrivesse J 
le  sarti,  come  il  Machiavelli  disse  le  , 
pianti,  il  Borni  le  spesi,  il  Boccao  | 
ciò  le  erbati,  ed  in  limi  i  altri  siinil-j 
mente,'  pure  il  leggersi  poi  sempre  1 

1  0.  vale  :  L'  Kdisiom  Giuntina  Itqgt...  1 
»  Al  significa:  AUrt  tdiiioni  liggono ;  «  I 

inlotitliamo  le  più  reconli. 

'  Vedi  il  Nwinucri,  Tiùrta  dti  nomi,  cc.1 

Fug.  2»S  segg. 


AI  LETTORI.  IX 

sarte  in  tutto  il  resto  dell'Eneide  mi 
ha  fatto  forse  pentire  di  aver  bisciolo 
/,.  sarti.  —  I,  v.328,G.  :  Per  vari  casi 
e  per  acerbi  e  duri  Perigli  è  d'uopo 
A  far  d'Italia  acquisto  ;  Al.:  è  d'uopo 
far  il'  Italia  acquisto.  Quell'u  pare 
che  ubbia  duto  molta  noia  agli  edi- 
tori) perchè  tutti  la  vollero  bandita, 
e  con  questo  ci  regalarono  un  verso 
Binilo  cadente,  e  slombato.  Suppo- 
nendo, quel  che  essi  doveron  sup- 
porre, che  queir  a  faccia  le  veci  di 
per,  a  fine  di,  certamente  non  se  ne 
cava  senso:  ma  supponiamo  che  stia 
invece  della  particella  (ti;  nessuno 
avrà  difficoltà  d'intendere  queste  pa- 
role: li  d'uopo  DI  far  acquisto  d'Ita- 
lia per  vari  casi  e  pericoli,  Iiesta 
però  sempre  a  provare  che  Va  stia 
invece  del  di,  e  che  si  possa  indistin- 
tamente «lire :  È  d'uopo  di  fare  una 
cosa,o  È  d'uopo  A  fare  una  cosa. 
Io  credo  che  una  tal  prova  si  abbia 
in  questi  esempi  dello  slesso  Curo,  VI, 


X  AI  LETTOIH. 

v.  1 115:  Indi  a  venir  n'è  ilalo  Negli 
ampi  elisii  campi;  e  XII,  v.  1107: 
Stan  rtubie  a  cui  ili  lor  marito  c 
donno  Sia  de  la  rmen  lo  \  diven  ir  coiw 
cesso;  nei  quali  casi  noi  ora  diremmo, 
ncèdatom  venire,  o,  necdatoi<enire{> 
concesso  di  divenire,  o  concesso  diva* 
tiirc:  mentre  invece  lostessoCaro,YU,i 
v.  433,  ha  ri  etto:  Incrini  inda  va  D'alzar  | 
gli  alberghi  e  i  i  fondar  le  nutra,  ovai 
noi  ora  comunemente  diremmo, 
comiiir/ni'd  ad  aiMF  f/Ii  alberghi  el 
A  fondar  le  mura.  —  I,  ».  500,  G.:  01 
Dea,  se  da  principio  i  nostri  affamiti 
Jo  contar  ti  volessi  e  tu  con  agioi 
Udiste  una  da  mesi  lunga  istoria, | 
Non  finirei,  che  fine  avrebbe  il  giorni 
no.  Nella  parola  udiste  a  tutti  glil 
editori  6  sembrato  di  scorgere  uni 
errore,  ed  anche  a  me  sembra;  poi-I 
chè,  supponendo  pure  che  udiste  sia I 
in  luogo  di  udisti,  non  è  questo  ili 
modo  e  il  tempo  del  verbo  che  iti 
contesto  richiede.  Gli  altri  editori  vi 


Al  LKTTOBI. 


XI 


danno  sostituito  nrfir;  io,  per  osar 
,n(.n«,  ho  ninlnto  il  I  in  *,  e  ne  ho 
r.,Un  udirne.  —  I.  V..KUI,  G.:  Enea, 
c,ji  la  pti/emo.  (,'(i«r.  ::ii  Qu«/ar non 
lascia,  a  le  sue  navi  bigonci  Spedi- 
sce Acale;  Al.:  Enea,  l.A  CUI  paterna 
lenerevta  Quotar  non  lascia,  ec.  Una 
u|c  trasposizione,  oltreché  dà  un 
VP,so  fiacchissimo,  distrugge  a  mio 
c, ,-rleio  là  sintassi.  -  III.  v.<>98,  G.  : 
Sni'i  'n  /"Ho  io  ('ASSENNO,  <i  pratico, 

Vi  ripe'»  più  volte  e  ti  rammento J 
x\.:..--t'acctnno;  Vino.:  Efottm  i//i«< 
fiiii,  natedea,pro<lucom»ibus  unum 
pronlicam,  et  repetens  iterumque 
l/critmgiie  uonebo.  —  III,  v. 895,U.: 
È...-  capace  Di  molli  legni  il  porto 
ore  sorgemmo;  Al.:  ove  giuijnemmo. 
l|  verbo  sorgere  ha  il  significato  di 
approdare,  e  glielo  danno  anche  i 
vocnbolarielli  ad  uso  delle  scuole. 
Eppure  qui  gli  editori  hanno  creduto 
di  negarglielo,  mentre  poi  glielo  han- 
no concordemente  concesso  al  L  VI, 


XII  AI  LETTORI. 

t.  1042:  A  la  riva  Del  mar  Tirreno  i 
i7  mio  navile  è  sorto.  —  IV,  ».  l'J3,  I 
f!.:  Or  poi  che  la  meschina  Fu  da' 
tanto  dolor  dia  tanto  affanno  \PPitE-  ! 
SA  evinta;  Al.:  Oppressa;  Virg.:  Ergo 
ubi  concepii  fnrias  evicta  dolore.  — 
V,  v.  1010:  E  tu  de' tuoi  Ciò  che 
t' avanza....  a  lui  si  lasci.  Cosi  leg- 
gono tutte  le  edizioni;  e  noi  per  ihir 
sintassi  al  periodo  eravamo  tentati  di 
scrivere  a  lui  qui  lascia,  o,  a  lui  si 
lascia  :  ma  non  abbiamo  osato.  —  VII,  ' 
v.  975,  G.  :  Tirar  lame  «"acciaio  fila 
d'argento;  Al.  :  rf'ACClAH.  Come  noia, 
gioia  e  simili  sono  monosillabi  nei 
versi  di  molti  poeti,  e  fin  del  Panni, 
cosi  acciaio  qui  6  bisillabo,  quantun- 
que  in  altri  luogbi  il  Caro  stesso  lo  j 
faccia  trisillabo.  —  VII,  v.  1018,  0.:  j 
Conia  madre  il  poderoso  ni.  Imi  ini  vi 
si  mescolò  quando  di  Spagna,  Da  I 
Gettoni  estinto  (cioè,  dopo  avere  j 
estinto  Gerione)  ai  campi  venne  Di  ! 
Laurealo;  \\.:...  Di  Spagna,  Estinto 


Al  LITTORI.  XIII 

Cel  ione,  ai  campi  venne  ec.  Io  non 
so  se  possa  darsi  mutazione  più  teme- 
raria. —  IX,  ¥.  177,  Quante.... Eran 
le  navi,  tantk  ili  donzelle  Si  vìiler 
per  lo  mar  termi  aspelli.  Cosi,  die- 
tro alla  Giuntina, «.ulte  le  edizioni  :  io 
ho  creduto  di  dover  mutareil  fan  fi*  in 
(Olili.— IX,  v. «186, C:  Tonùdal manco 
Seueso  lato;  Viro.:  De  parte  serena 
li\tonuilla,vum;\\.  :  Tonódal  manco 
SiMSTRO(!)  lato.  —  IX.  v.  1H7,G.:W 
grave  sasso....  Va  l'alio  ordigno, 
ov'era  diami  appreso,  Si  spicca  e 
piomba;  Al.:  appeso.  Mi  pure  che  il 
testo  dia  ragione  alla  Giuntina:  Saxca 
pila  cadit,  magnis  quam  molibus 
ante  constructam  ponto  iuciunt.— 
X,  v.  1-249,  G.:  E  7  /ho  fallo;  Al.: 
E'I  tuo  fato;  Viro.:  Faclaque. 

^addurre  i  molli  altri  esempi  che 
potrei,  e  l'additare  i  luoghi  in  cui 
ho  credulo  dovermi  scostare  dalla 
Giuntina  e  seguire  le  altre  edizioni, 
riuscirebbe  non  meno  grave  al  let- 


ZIT  li  LITTORI. 

lore  che  a  me.  E  giù  le  mie  pnroli 
son  troppe.  Mi  occorre  perù  ancori 
di  dire  che  non  in' 6  piaciuto  d'imi 
tare  l'esempio  di'gli  altri  editori,  i 
qualf  hanno  ammodernato  molti  va. 
cnboli.  Ed  ho  lasciato  il  suffocare,  il 
Bora,  il  fulgurò,  il  ver  ti,  lo  sberao, 
V  uccisione,  V  occiso,  V  effigi,  il  prò. 
fetezza,  le  redine,  il  sussidio,  l'è*.. 
sequire,  il  Volcanoe  moltissimi  altri. 
Ma  come  l'uso  di  queste  forme  non 
era  costante  nella  (iiuntina,  cosi  an-< 
che  qui  si  è  mantenuta  In  stessa  in. 
costanza  e  vi  si  legge  pure  sussidio, 
uccise,  folgorare,  Vulcano  ec.  ec.i 
Questo  minuzie  mi  pare  che  giovino^ 
alla  storia  delle  parole. 

Quanto  all'ortografia  ho  tenuto 
questa  regola,  che,  trattandosi  di 
versi,  mi  è  semhrata  la  più  sicura:' 
se  I'  uso  odierno  non  induceva  nlcu-  I 
na  variazione  di  armonia,  di  accenti,] 
di  suoni  o  di  consonanze,  ho  seguito 
1"  uso  odierno  :  e  cosi  di  a  i,  de  i,  I 


Al  LETTORI. 


XV 


ne  .  e  simili  lin  fatto  ai,  dei  tifi  ; 
nin  «love  per  seguire  quest'  uso  era 
mestieri  aggiungere  o  togliere  una 
qualche  lettera,  onde  ne  usciva  quat- 
erna delle  dette  variazioni,  l'uso  an- 
tico mi  è  parso  da  preferire  :  e  però 
di  .ti  come,  di  poi  che,  di  a  le,  di 
ne  la,  non  ho  fatto  siccome,  poiché, 
aìle,  nella. 

Dirò  per  ulymo  che  ad  utilità  de- 
gli studiosi  è  stalo  fatto  precedere  il 
poema  dagli  argomenti  clic  dettò  in 
latino  il  Uiibner  per  la  elegantissima 
edizione  del  Virgilio  di  Didot,  e  che 
tradotti  e  cosi  riuniti  in  principio  del 
libro,  formano  una  succinta  narrazio- 
ne dei  fatti  d'Enea.  Si  è  creduto  pure 
di  provvedere  al  comodo  dei  lettori 
mettendo  nel  margine  superiore  di 
ciascuna  pagina  la  numerazione  dei 
versi  ituliani,  e  nell'inferiore  quella 
dei  versi  latini  corrispondenti. 

1860. 

Antei.mo  Seveiuni. 


» 

ARGOMENTI. 


Vr  1  ■  cifre  noUte  In  qnwtl  Àrforoetitt  richU. 
■ijno  U  ngmerailont  del  T«il  Uliui  che  e  a  |>i* 
jl  eiai  pafin*  del  libi©. 

LIBUO  Ì. 

protasl  ed  invocazione  della  Mafia  1-11. 
Glouono  a  danno  dol  Troiani  domanda  od 
.«ione  da  Eolo  elio  scatoni  una  violentie- 
tim  >  tempeala  contro  di  loro,  ebo  naviga- 
no djlla  Sicilia  lu  Italia.  12-123.  Nettuno 
.argo  a  lodare  la  burrasca;  e  1  Troiani, 
balestrati  dal  mare  e  dai  venti  vorto  la 
Libia,  'i  approdano,  124-1J8.  Enea,  preeo 
terra!  fa  preda,  alla  caccia,  di  ietto  groael 
cervi,'  che  dì«triboi«ce,  nno  per  ciascuna, 
alle  «etto  navi  campato  dal  naufragio; 
quindi  cerca  di  rianimar»  t  anol  compagni, 
,1»  slancili  del  lungo  errare,  colla  »po- 
"anta  del  vicino  riposo,  159-22?.  Frattanto 
Youao  patrociua  appo  Giove  la  causa  dol 


xvni 


AMKUUMTZ. 


■no  Enea  •  da' Troiani:  e  Giovo,  erelatolo 
1'  arcano  dei  futi,  consola  il  doloro  dulia 
figlia  eolla  sporanza  di  una  felice  posterità, 
e  della  futura  grandezza  di  Konia,  223-206; 
o  intanto  naacostameute  manda  Mercurio 
per  disporre  a  mitezza  verso  i  nuovi  arri- 
vati l'animo  do'Peni,  297-304.  Quindi  Ve- 
nere ai  fa  incontro  ad  Enea  che  ignaro 
do'  luoghi  andava  attorno  per  esplorarli,  gli 
annunzia  che  lo  navi  disperse  erano  salve, 
e  in  pari  tempo  gli  mostra  Cartagine,  eoi 
poco  lungi  di  la  stara  fabbricando  nido- 
rie, '303-430.  Enea,  per  favore  della  madro 
nascosto  con  Acato  dentro  di  una  nube,  en- 
tra in  Cartagine;  quivi  ammira  le  opere  a 
coi  si  dà  mano,  e  redo  i  suoi  compagni 
ninorovolmento  accolti  da  Didone,  J'1  ■  >■;'> 
S'apre  la  nube:  e  Didone  stupisce  alla  ri- 
sta o  all'avventura  d'Enea,  lo  conduco  alla 
reggia,  manda  por  Ascanio  con  doni,  ed 
invia  gran  copia  di  vettovaglio  ni  compa- 
gni \ Enea,  685  036.  àia  Venere  diffidando 
di  un'ospitalità  concessa  in  terra  derota 
a  Giunone,  ed  anco  doli' indolo  Ocra  do'Pe- 
ni, rnpisre  Ascanio  ai  boschi  d'Idalia,  o 
in  sembianza  di  lui  manda  il  suo  Cupido, 
perchè  fra  gli  abbracciamenti  e  I  baci  della  • 
regina,  lo  Inspiri  insensibilmente  focoso 
amore  d'Enea,  657-722.  Gran  convito  nel» 
l' aula  Didono  prega  Enea  che  le  narri 


aRGOWFSTI. 


j- eccidio  di  Troii,  i  noi  cui.  1  sool  lon- 

(bi  errori,  723-750. 


L1B10*II. 

Banche  *  malincuore,  Knca  eort  racconta 
i  limosissimi  eventi,  1-13. 1  Greci,  affranti 
j,||a  decenne  guorrao  diffidando  del  pruprio 
.«loro,  ricorrono  all' ingrano:  facendo  »i»U 
di  foggi™.  »e|«g«',no  »  Toncdo,  0  diotro 

,el|-  isola  li  nascondono,  dopo  aver  lasciato 

„l  lido  o»  cavallo  di  legno,  in  cui  nvor» 
Jineliioso  i  più  eletti  fri  i  enpl  dell'eser- 

il0  «  die  avevano  costruito  di  Unta  gran- 
i-ira. da  non  lo  poterò  «cogliere  entro  le 

orto  di  Troia  1  Troiani  parte  indotti  dalle 
frodi  Ji  linone,  parto  atterriti  dal  suppli- 
co di  I.aocoonte,  demolita  una  parte  del 
_nf<1,  trascinano  il  «vallo  fin  sull»  ròo- 
14-249.  A  nolto  avantata  I  Orcei  rivo- 

„ti  da  Tencdo  inradono  la  città,  lo  coi 
Cardie  erano  già  stato  ucciso  dai  guor- 
Jie,i  nielli  dal  cavallo,  260-287.  Intanto 
Ettore  apparisco  in  fogno  nd  Enea  e  lo 
esorta  di  provvedere  ni  «no  scampo  colla 
f  a,  e  ,li  vulvare  dall'Incendio  gli  Dei  pa- 
y|  Jo3-J»7.  Ma  egli,  anteponendo  alla  foga 

ina  morto  onorata,  corre  alle  armi;  e  in 


CI 


ARGOMENTI. 


■ni  primo  far  impeto  la  Corinna  arrido  al  j 
Troiani,  ondo,  soguondo  il  consiglio  di  Co-  I 
rebo,  indossano  le  armi  doi  nemici  uccisi;  1 
ma  pel  riconosciuti  dai  Greci  e  presi  in 
incarnino  dagli  amici,  finiscono  oppressi  1 
dalle  armi  dogli  uni  o  degli  altri.  203-437.  J 
Frattanto  si  dà  l'assalto  alla  reggia  di'] 
Priamo,  che  muore  miseramente  trucidato 
da  Tirro  tiglio  di  Acbillo,  438-55S  Tonfata  j 
indarno  ogni  prora/Enea,  vedendo  gli  stesai  J 
numi  dar  mano  alla  distruzione  di  Troia,  j 
affida  al  padre  suo  AncUise  gli  oggetti  sa- J 
cri,  e  toltosi  lo!  su  le  spallo,  preso  Ascanioj  J 
por  mano,  ingiunto  alla  moglie  Creusadise*-  i 
guirlo  da  presso,  si  dà  alla  fuga,  559  729.  J 
I  Greoi  l' inseguono.  Nel  tumulto  si  amar-  1 
risce  Creusa:  ed  egli  a  ricercarla  montroJ 
invano  ritorna  e  s'  aggira  per  gì'  incendi  1 
della  città,  redo  fargìisi  incontro  l'om-1 
bra  dolla  consorte  ebo  gli  fa  vaticinii  in- J 
torno  all'Italia,  o  gli  raccomanda  Asoa- J 
nio,  730-794.  Allora  ritorna  al  luogo  ov'era-  1 
no  i  complgnl,  e  vede  che  vi  a'ò  accoltaìj 
gran  moltitudine  di  uomini  e  donne,  pronti 
tutti  a  seguir  la  sua  sorte,  795-804. 


iMOHMK 


XXI 


LIBRO  HI. 

Caboti  TroIa*Enoa  raccoglie  1  superstiti 
uii  s-:»  hi  assolto,  proavo  A  diandro,  un'ar- 
mata di  rénlì  nari,  fa  rata,  ci  approda  pri- 
mieramente nella  Tracia.  Quivi  mentre  sta 
gettando  le  fondamenta  di  ana  città,  ò  at- 
territo dal  prodigio  di  Polidoro,  ucciso  già 
da  PoHmostore  :  onde  talpa  di  onoro  e 
prende  terra  a  Dolo,  1-77;  dove  consal- 
tando l'oracolo  di  Apollo,  ne  ba  il  responso 
cn(l  «  deo  ritornar*  all'antica  madre  della 
gUA  gente:  >  il  qualo  oracolo  male  ìutor- 
sretato  da  Ancliiso  fa  volgere  i  Troiani  a 
Creta,  73-120.  Ivi,  quando  già  sorgevan  lo 
«ora.  °n  1  Herissima  pestilenza  H  flagella. 
Onde  Knca,  ammonito  in  sogno  dai  Penati, 
abbandona  Creta  e  si  dirige  rorso  l' Ita- 
lia, 12I-AW»  In  qnusla  navigazione  còlti 
(;  i  improvvisa  tompeata,  son  gettati  allo 
Isole  StrofaJi,  di  dove  respinti  dallo  offeso 
delle  Arpie  e  dai  tristi  presagi  di  nna  di 
esse,  Ccleno,  riparano  ad  Azzio,  e  vi  cele- 
brano Ì  giuochi  In  onore  dì  Apollo,  270-290. 
Di  là  si  tragittano  a  Coreira,  e  nell'Kpiro, 
che  allora  era  soggetto  all'indovino  Kleno, 
ai  figlio  di  Priamo.  Il  qaalo  dopo  le  ac- 
ooglienze  onesto  e  lieto  ospono  ad  Knea 
tatti  i  pericoli  di  terra  e  di  maro  elio  gli 
Caro.  •  B 


AHOnMKNTI. 


restino  a  correre,  e  gli  mpro  I'  arcano  del  I 
fati,  291-505.  Lisciatosi  dietro  1°  I  |  ir», 
Knea,  costeggiando  Taranto  in  sulla  punta,  I 
d'Italia,  arriva  in  Sicilia,  in  luogo  noli 
lontano  d.il  monto  Ktna  :  dove  raccoglla'! 
A<h*menido,  un  Orafo  abbandonato  di  l'Ila- 1 
so  nell'antro  del  Ciclopo:  allo  preghiera] 
e  alle  notizie  di  costui  intorno  ull'im-j 
inanità  dei  Ciclopi,  Enea  scioglie  di  nuo-J 
to,  5lMVfl3.*l;  e  memore  dogli  avvisi  di  Kld*9 
no,  per  causare  Scilla  e  Cariddi,  fa  il 
lungo  giro  della  Sicilia,  finche,  giunto  a 
Prepano,  Ivi  perdo   Anehise,  che  se  nt 
muore  por  vecchiezza,  684-711.  Di  là,  men- 
tre naviga  verso  Italia,  e  sbalzato  in  Af- 
frici da  quella  bufera  che  è  narrata  nel 
primo  libro. —  Qui  Unisce  la  narrazione  di 
Enea,  712-713. 


m       LIBRO  IV. 

DIdone,  accesa  d'amore  per  Enea,  scopi»! 
la  sua  passione  alla  sorella  Anna,  e  aaJ 
guendo  il  consiglio  di  lei  volge  l'animai 
all'idea  delle  nozze,  1-99.  Allora  UiunoatJ 
por  potere  più  agevolmente  allontanarli 
Enea  dall'Italia,  tratta  con  Venero  perchl 
anch'essa  consenta  a  questo  nozzo.  ed  a, 


AROOMfXTl.  Min 

lei  stessa  commette  di  trovarli*  il  modo 
e  l'opportunità,  90-128.  U  dimani  Enea 
con  l 'rione  usciti  ad  olia  gran  caccia  sono 
sorpresi  da  un  turbina  mandato  da  Giuno- 
ne: on'ie  la  numerosa  lorcitìva  *  dispersa, 
ed  Knea  con  sola  Didon*  riparano  ad  una 
caverna:  quivi  seguono  lo  'infausta  noz- 
,e,  129-172.  Jarba  ro  de'Grtull,  alla  notì- 
zia elio  gii  reca  la  fama  di  questo  amore, 
mal  sopportando  di  Tederei  da  Didono  po- 
sposto ad  un  forestiero,  no  chiedo  vendetta 
B  Giove:  il  .quale,  spedito  ad  Knea  Mercu- 
rio, gli  ingiungo  cM  abbandonar  subito  l'Af- 
frici o  navigare  verso  l'Italia,  I73-27S.  Al 
cenno  di  Giove,  Enea  di  orline  che  di  na- 
scosto si  mettano  in  punto  le  navi,  270-295. 
.Mi  Didooo,  insospettita  di  questi  prepara- 
tivi, ne  muovo  gravi  querelo  ad  Enea,  o 
pregando  e  piangendo  si  affanna  per  istor- 
iarlo da' suoi  propositi:  quindi  per  luter- 
ei-,-inno  della  sorella  tenta  d'  impetrar* 
elio  almeno  si  trattenga  ancora  por  po- 
co, 290-449.  Tutto  è  nulla.  Sicché  la  regi- 
na, non  reggendo  a  tanto  dolore,  decreta 
di  morirò,  450-473:  o  fatta  allaro  nell'alto 
della  roggia  una  gran  pira,  Ungo  di  voler 
celebrare  certa  cerimonio  magiche  per  li- 
berarsi di  quell'amor*,  474-521,  il  quals 
iaveco,  diventando  furore,  la  fa  dare  in 
iitiunio,  522-553.  intanto  Enea,  novainuuto 


XXIV  ARGOMENTI. 


avvitato  in  togno  da  Hercnrio.  nottetempo 
«I  metto  in  mare,  553-588  Didono,  U  mat-  | 
tina.  vedendo  i  Troiani  già  in  .Ho,  impreca  j 
ogni  malo  ad  Enea,  consacrandolo  allo  fa-  I 
rie,  584-62»;  poscia  per  allontanare  da  ai  J 
ancuo  Barca,  la  notrico  dol  primo  ano  ma-  l 
rito  Sicboo,  la  manda  con  nn  preteato  dalla  I 
aorolla,  o  in  quol  tempo  ai  dà  la  mor- 
to, 000-705. 


LIMO  T. ' 

Enea  montro  veleggia  Torto  l'Italia  i 
traaportato  io  Sicilia  dalla  violoma  d'  nna 
procella,  1-84.  Quivi  amorovolmonto  accolto 
da  Aceale, celebra  Tanniversario  solenne  al 
alani  di  ano  padre  Anchise,  coi  lo  ateaso 
giorno  dell- «Uno  precedente  aveva  «orpel- 
lilo a  Propano,  e  gli  conaarra  il  tumulo  al 
giuochi,  33-103.  Nolla  corsa  delle  navi  vino 
Cloanto,  101-285;  in  quella  a  piedi  vinca 
Eurialo  por  inganno  di  Klso,  284-362.  Il 
vecchio  Entello  al  pugilato  abbatte  Darete, 
ebo  menava  giovanili  iattanze,  363-484.  Nel 
trar  d'  arco  aupera  tutti  Eurizione,  ma  per 
nn  prodigio  11  premio  viono  aggiudicato  al 
vocebio  Acoate,  485-544.  Quindi  Aacanio  In 
compagnia  di  nobili  fanciulli  rallegra  tutti 


1B00UIKTI.        t  XXV 

eolio  speltscolo  di  giuochi  equestri  in  fini» 
battaglia,  640-603.  In  questo  meno  le  donna 
troiane,  stanche  della  lungi  navigazione  od 
litigate  da  Iride,  appiccano  il  fuoco  alle 
pjvi,  e  ne  incendiano  (.Mitro:  le  altro  salva 
Giove  con  nna  pioggia  improvvisa,  «04-699. 
Li  notte  seguente  Anchine  apparisce  in  so- 
gno ad  Enea,  ed  a  nome  di  Giove  lo  avverta 
di  lasciare  donne  o  vecchi  in  Sicilia;  a  che 
egli  col  forte  del  giovani  proiegua  alla  volta 
i-  Italia;  a  li  cho  si  rechi  noli'  antro  dulia 
Sibilla,  la  linaio  deva  condurlo  ai  campi 
Elisi  per  udire  da*  Ini  stesso  il  reato  de' fa- 
ti, 7UO-740.  A  queste  ingiunzioni  obbedisca 
Enea  dopo  aver,  fabbricato  in  Sicilia  nna 
città,  cui  di*  nama  Acuta,  741-778.  Men- 
tre è  in  mare,  Nettuno  a  preghiera  di  Ve- 
nere gli  fa  sicuro  il  viaggio,  779-834.  ila 
l'alinitro  il  piloto,  vinto  dal  sonno,  cado  in 
maro  e  con  osso  il  timone,  «35-871. 


LinitO  VI. 

Sorto  a  Cnma.  Enea  va  nell'antro  della 
Sibilla;  a  celebralo  secondo  il  rito  un  sa- 
crificio nel  tempio  di  Febo,  dalt'invasata  Si- 
billa apprendo  gì'  imminenti  pericoli  o  i 
casi  della  vicina  guerra,  1-97.  Seguono  le 


AMHHUUHL 


istruzioni  per  impetrare  il  permesso  di  scen- 
dere in  Inferno,  09-155.  Trovato  snl  lid* 
il  cadavere  di  Mise  no,  lo  bruciano,  e  gli 
dan  sepoltura  ni  pì<  li  del  vicìn  monte,  cht> 
da  eìò  prendo  il  nomo  di  Sii  seno,  156*235. 
Quinci,  colto  H  ramoscello  d'oro  e  s.i-*r id- 
eate le  vittime.  Enea  guidato  dalla  ! Sibilla,' 
per  le  grotte  d'Avorno  discendo  all'Inter* 
no,  di  cai  si  descrive  l'ingresso,  96 -33*. 
l'ali  il  uro  errante  intorno  alla  palude  Stigia, 
perebù  il  ano  corpo  è  privo  d^sepoltura,  de* 
sidera  tragittare  insieme  con  loro  ;  ma  la' 
Sibilla  lo  impedisco,  o  Ini  consola  ron  la 
speranza  di  un  ceuotado  edi  esequie. 33T-3"J8.. 
Passata  la  Stìgo  e  assopito  Cerbero  con  Co*, 
eacce  modicate,  Knea  trascorre  per  le  sedi 
degl'infanti  o  dei  condannati  per  falso  de- 
litto :  e  di  là  giunge  ai  violenti  contro  sa 
per  insotTeronza  d'amore, e  fra  questi  pari*; 
a  Didono,  che  sdegnosa  non  gli  rispondo,  ma 
gli  st  toglie  dinanzi,  334*476.  Tassando  ol*| 
tre,  scorgo  Deifobo  fra  lo  ombre  dei  valorosi 
In  arme,  tutto  malconcio  da  molte  ferito,  a. 
da  lui  gli  è  narrato  il  misero  modo  deliri] 
tua  morte,  477-534.  Lasciatosi  quindi  a  si-i 
nistra  il  Tartaro,  e  sapute  dalla  Sibilla  la 
pene  dei  malfattori,  535-627,  va  alta  reggi*] 
dì  Plutone,  o  sulla  soglia  di  essa  configge  H 
ramoscello  d'oro,  628-636.  Dopo  ciò  por- 
fieno  alle  sodi  de'  beati,  o  là  Museo  lo  eoa» 


ACGOUEXTI. 


duca  al  cospetto  del  padre,  637-678.  Allora 
fucili*0  «pi "(a  ad  Enea  l'origine,  U  purga- 
zione s  l'ultima  aorte  delle  animo,  679-7.">.>; 
^  ■  u  l'enumerazione  dei  re  di  Alba  e  di 
i;, ,ni-i,  o  ricordati  .  ini  nomi  il"  ili  ur.tr  Ì 
Romani,  vi  i-nò  alle  Iodi  di  Giulio  Cesare  e 
^•Augusto,  756-859;  •  Unisce,  levando  a 
Ctelo  Marcello,  figlio  "di  Ottavia,  colpito  da 
immatura  morte,  860-888.  Enea,  uscito  al- 
l'aria per  la  porta  d*  avorio,  rivede  i  com- 
pagni, ed  arriva  a  Gaeta,  389-901 


LIBRO  VII. 

Gaeta  è  così  detta  dal  nome  della  nutrice 
Enea  che  ivi  fu  sepolta,  1-4.  Da  Gaeta 
l'eroe  vedendo  i  lidi  della  dimora  di  Circe, 
col  vento  in  poppa  imbocca  noi  Tevere,  e 
rogando  contr' acqua  approda  nell'agro  Lnu- 
rente,  5*36  Invocata  di  nuovo  la  musa.  Il 
poeta  narra  quale  fosso  in  quol  tompo  lo 
■tato  del  Lazio,  e  da  quali  prodigi  fo«i»a 
«tato  anche  quivi  annunziato  l'arrivo  del 
Troiani,  37-106.  Enea  si  accorge  cfuor  ve- 
nuto il  termine  del  lungo  viaggio  dal  ci- 
barli che  ì  suoi  fanno  delle  mense  :  adora 
gli  Dei,  e  manda  oratori  con  doni  al  re  La- 
lino  per  domandaro  tanto  spazio  di  tcrrono 


XXVTIt  ARGOMENTI. 


da  f*bbriearo  una  città.  Quindi  a*  accam- 
pa, 107-159.  Latino  accoglie  lavorerò)  menta 
gli  ambasciatori,  e  concedendo  più  che  non 
gli  si  chieda,  offre  in  {sposa  ad  Knea  la  *aa> 
figlia  Lavinia.  160-280.  Ma  Giunone,  irritata 
ai  prosperi  successi  dei  Troiani,  croca  dal- 
l'inferno la  Furia  Molto  per  disturbare  la 
pace,  296-340.  A  letto  infondo  Io  sne  furio 
prima  in  Amata,  moglie  di  Latino,  poscia  In 
Turno,  a  col  era  già  stata  promossa  in  ma- 
trimonio Lavinia,  341-474;  e  finalmente  con 
ano  frodi  metto  lite  fra  la  gioventù  troiana, 
e  I  contadini  del  Lazio,  4 7. Va  10.  Essa  stessa, 
dall'  alto  di  nn  luogo  da  fiato  alla  tromba  di 
gnorra  ;  onde  no  nasce  un  combattimento. 
Importati  i  morti  in  città,  Turno  ed  Amata 
occitano  il  re  Latino  a  prender  lo  armi  « 
vendicare  l'ingiuria,  61 1-590.  Ma  poiché 
Latino,  memore  dei  fati  e  della  giur.it» 
atloauza,  resisto  costantemente,  Giunoni 
stessa  apro  le  porte  della  Guerra,  591-022. 
c  Attor  l'Ausonia  tutta,  ch'era  dianzi  pa- 
cifica e  quieta,  s'accese  in  ogni  parte.»  — ' 
Lunga  o  stupenda  rassogna  delle  genti  e  dei 
capitani  d'Italia,  623-817. 


ARGOMENTI. 


XXIX 


LIBRO  Vili. 

Alzata  11  scenata  di  guerra  ioli»  ti":  di 
I.auronto,  1'  esercii»  italiano  ai  raduna  in- 
torno a  Torno.  Vooulo  è  mandato  ad  Argi- 
rippa  «  Arpi  .per  iaritaro  Diomoda  alla, 
coniano  lega,  additandogli  il  comuno  peri- 
colo, 1-17.  A  fonato  gravi  minacce  Knea, 
valendosi  mal  difeso  por  lo  scarso  nnmero 
□Vsuoi,  a  consiglio  di  Tiberino  va,  so  pai 
fiome  •  l'or  quei Juoghl  dora  poi  fo  fabbri- 
rati  lioma,  o  do»o  altari  regnava  Kvandro, 
a1  monto  Palatino  in  ani  città  chiamata  Tal- 
lunteo,  IS-1U0.  Kvandro,  benignamente  ri- 
cevo Enea, che  gii  domanda  soccorso,  101-133. 
l  o  fa  assiatoro  ai  sacrifici  di  Krcolo  che  al- 
lora stara  celebrando;  glie  ne  apiega  1" ori- 
gine, che  fo  l'uccisione  di  Caco,  184-287; 
elio  no  dimostra  il  rito,  e  gli  addita  i  luo- 
ghi più  famosi  por  quelle  impreso  di  Erco- 
le J69HS9.  Intanto  Vulcano  allettato  dallo 
cardio  di  Venero  si  prepara  i  fabbricaro  b 
armi  per  Enel.  Si  descrive  la  sua  ofdci- 
na  300-454.  Il  giorno  di  poi  Kvandro,  chia- 
mato Enoa  In  disparte,  gli  espone  corno  sia 
volere  dei  fati  ebo  1  Tirreni  prestino  soc- 
corso ai  Troiani,  455-51V.  Voliere  dal  ciolo 
mostra  ad  Enea  lo  armi  o  i  segni  della  vi- 
cina guerra;  ondo  egli  con  cerimonie  si  di- 

Caro. 


XXX 


ARGOMENTI. 


«pone  a  partirà  por  recarsi  fra  i  Tu«i  :  o  il 
rocchio  Evandro  commosso  dico  un  amaro 
addio  all'unico  figlio  rullante,  che  parta 
capitano  di  quatlroctnto  do' suoi  cavalie- 
ri, 520-596.  In  un  bosco  Ticino  al  rampo  doi 
Tirroni,  Yonero  porta  le  divino  armi  al  Aglio, 
che  ne  ammira  la  stupenda  bellezza,  597-625* 
e  massime  dello  scudo,  in  cui  souo  scolpito 
le  futuro  glorie  di  Koma  e  di  Cesare  Angu- 
sto, 026  •?:<!. 


MURO  IX. 

KoU' assenza  di  Enea,  Turno,  istigato  da 
Giunono  por  mezzo  di  Iride,  acconta  P  eser- 
cito agli  acca  in  pam  enti  dei  Troiani,  dio  si 
ton^ouo  entro  la  fossa  e  le  mura,  1*46.  Sde- 
gnato che  nessuno  venga  in  campo,  tonta 
d'incendiare  lo  navi  troiane,  47  76.  Ma  la 
Madre  Idea,  nel  cui  Losco  furono  tagliati 
i  legni  di  quelle  nari,  ottiene  da  Giovo  di 
potorio  salvare  dulie  fiamme  e  convertirle 
in  ninfe  marine,  77-125.  Turno  vuol  per- 
suadere ebo  questo  portento  sia  contro  ai 
Troiani,  perché  cosi  Giove  toglie  loro  ogni 
mozzo  di  fuga;  onde  investe  sempre  più  la 
città,  126-1G7.  Mentre  i  condottieri  troiani 
sono  a  consulta  per  trovar  modo  di  spedir» 


,  ARGOMENTI. 


an  inf«M  ad  Enti,  che  lo  istruisca  dol  pe- 
riodo de' suoi,  Nìso  ed  Euri  alo,  duo  gio- 
vani amicissimi,  ti  offrono  a  questo  ri- 
schio, 109-245.  Applsjfttl  da  Moto  •  da 
e  acro  in  pugniti  dai  più  fervidi 
voli  di  tutti*  i  due  giovani  escono  e  fanno 
s:  r  igc  delle  sentinelle,  sepolte  nel  vino  o  oul 
yonuo;  e  indossano  lo  loro  spoglie,  246-303. 
Sia  noi  ritirarsi,  scoportl  il  raggio  dell* 
luna  dii  civilìori  latini,  corrono  ad  un* 
ri  i-i  na  solvi,  dove  Kurialo  sopraggiunto, 
malgrado  lepregbioro  di  Niso  elio  si  offro 
fl  morto  in  luogo* doli* amico,  è  truci. iato 
,i  i  Yolscente.  Niso,  dopo  aver  vendicati 
valorosamente  la  morto  doli' amico,  trafitto 
indi' esso  di  tante  punte  cade  sul  cada- 
vere del  caro  compagno,  367*410.  l.e  loro 
testo  portato  in  punta  i  duo  picche  nono 
riconosciute  dai  Troiani  cho  aiuaratnonto 
«0  no  addolorino,  e  li  midro  d'Euriilo  no 
mania  disporiti  lamenti,  430-502  Turno 
intanto  muove  air  assalto  con  tutto  le  Tor- 
so: grande  strage  da  imb*»  le  parti.  Primo 
fatto  di  Ascanio  in  gnorri:  Apollo  però 
gli  ordina  di  ritrarsi  dalla  zuffa,  503-603. 
Pindaro  e  Bizia,  troppo  fidando  alla  pro- 
pria forza,  aprono  li  porti  della  città 
troiana,  e  Turno  con  molti  nemici  irrompo 
poi  mozzo  doì  Troiani,  o  no  mena  ampia 
strage,  664-777;  fìnilmente  circondato  dal 


XXXH  AROOMKNTI. 

nomerò,  a  poco  a  poco  «  costretto  di  retro- 
cedere verso  quella  pirte  dell»  citta  cho  è 
bagnala  dal  fiume,  dorè  gettatosi  a  nuoto, 
ritorna  salvo  ai  compagni, 
* 


unno  x. 

Giove,  convocati  gli  Dei  a  concilio,  li 
esorta  alla  concordia.  Venere,  d»p«  essersi 
lagnata  del  pericolo  a  cni  »i  troiano  espo- 
rti i  Troiani  e  dell'odio  implacabile  di 
Giunone,  domanda  un  qualche  termino  a 
tanto  calamità  ;  ma  Giunone  rimanda  la 
colpa  di  tanti  mali  ai  Troiani  e  a  V'onera 
stessa,  1-91);  onde  Giore,  non  trovando  ma- 
niera di  por  Dna  allo  contese,  dichiara  dt 
non  voler  favorirò  nessuna  dello  duo  parti, 
e  di  rimettersi  in  tutto  ai  Tati,  100-117.  In- 
tanto i  ltutuli  con  tutto  le  forte  assalgono, 
o  i  Troiani  difendono  la  città,  1 18-145. 
Mentre  questo  si  fa  noi  Lazio,  Knea,  dopo 
avor  ottenuto  In  Klrnria  quanto  deside- 
rai, con  sussidi  di  molli  popoli  alleati 
ritorna  al  compagni,  seguito  da  un'armata 
di  trenta  navi,  146-214.  Nel  tragitto  gli  ti 
fanno  incontro  le  ninfe  nate  dalle  nari  ar- 
se; ed  una  di  esse,  Cimodocea,  gli  espone 
lo  stato  dolio  cose,  215-2Ó7.  Enea,  giunto 


ABQOVtttt 


XXXIII 


in  vi-ta  de*  suoi,  fa  pronder  Urrà  agli  ar- 
mati; quando  I  Uatuli,  deslaUndo  dall'as- 
salto. Untano  4'  impedire  lo  sbarco.  Grande 
«trago  da  ambo,  lo  parti,  25H-361.  Pallante, 
,lopo  atnpenda  prore  di  valoro,  rione  nc- 
cisu  e  spogliato  da  Torno,  362-509.  Enee 
pur  dolo/e  e  rendette*  del  morto  amico  fa 
eccidio  do'  Untoli.  Ascanio,  con  nna  sor- 
tita,  unisce  le  sue  fori*  e  quelle  dot  pa- 
dre, 610*605.. A  questi  fatti  Giunone  com- 
ni  ossa,  tornendo  por  la  vita  di  Turno, 
ottiene  da  Giore  la  grazia  di  salrarlo  da. 
istremo  perico'o,  f  mostrandoglisi  in  forma 
di  fantasma  somiglianU  ad  Enea,  ai  lascia 
Inseguire  da  lai,  o  cosi  lo  trascina  lon- 
tano dalla  zufl>  aopra  una  nare,  606-6SS. 

intanto,  per  volere  di  Giore,  rin- 
franca la  battaglia  atterrando  gran  numero 
di  Troiani  e  di  Etruschi,  089-761;  finché 
piagato  4*  Enea,  è  costretto,  per  fasciare 
la  ferita,  di  ritirarsi  dalla  mischia,  in  ciò 
proteggendolo  il  figlio  Lauso,  762-795  ;  che, 
mentre  corca  di  far  le  vendette  del  padre, 
è  ucciso  dà  Enea,  796-S32.  All'  annunzio  di 
questa  morto,  Mezcnzio,  cos'i  ferito,  monta 
a  carello,  o  ritorna  al  combattimonto  per 
vendicare  l'uccisione  del  figlio;  ma  cade 
sotto  i  colpi  della  medosima  destra,  833-903. 


XXXIV  AROOUKSTI. 


LIBRO  \\. 

Ucciso  Mezenzio,  Enei  vincitore  inalza 
un  Irofco  a^  Mirto;  poscia  rimanda  con 
gran  pompa  funebre  il  corpo  di  l'aliante 
alla  cittì  di  Evandro,  doro  lo  ricevono  con 
universale  cordoglio,  1-09.  Intanto  amba- 
sciatori latini  domandano  dodici  giorni  di 
tregua  :  1  quali  essendo  concessi,  e  Troiani 
e  Latini  ricercano  1  cadaveri  del  suoi,  e 
rendono  ad  essi  gli  ultimi  onori,  100-224. 
Frattanto  Venuto,  cbo  sul  principio  doli» 
guerra  era  stato  mandalo  dal  Latini  a  Dio- 
mede  por  indjrlo  a  far  ioga,  ritorna  di- 
cendo, essorgli  «tati  negati  i  soccorsi  per 
combattere  una  gente  cara  agli  Del,  22V2M. 
Latino,  in  assemblea  consultando  intorno  a 
questa  guerra,  propone  che  si  mandino  ora- 
tori ad  Enea  per  trattar  della  pa^e,  296-334. 
Ivi  Urtnco  o  Turno, per  odio  inveterato  eh» 
era  fra  loro,  a  vicenda  li  caricano  d-  in- 
giurie, 330-414.    Frattanto    Enea,  divia» 
T  osercito  in  due,  manda  innanzi  por  lo  vi» 
aperte  la  cavalleria  leggiera:  ed  egli  per 
luoghi  selvosi  e  montuosi  cerca  di  riuscir» 
verso  la  parto  più  elevata  di  l.aurento. 
A  tal  notizia,  l'adunanza  si  scioglie,  o  al 
provvedo  alla  difesa  della  citta,  445-435. 
Turno,  scoperto  por  mozzo  degli  osplor»- 


ARGtiMXKTI. 


XXXV 


tori  il  .13 «off no  d'Enea,  dirigo  anch' egli 
l'esercito  In  due;  ordinando  che  U  caval- 
leria guidata  da  Vlosnapo  o  da  Camilla  fil 
fa --ci a  Incontro  alla  cavar  ori.»  nomica:  ed 
(.gh  coi  fanti  al  inette  In  agguato  in  rerto 
gole,  P«*  dove .  Enea  nacensarìamento  do- 
veva passare,  4M -531 .  —  Narrazione  che 
fa  l'iana  intorno  alla  vergine  Camilla,  noi 
r,iccomaudarla  alla  ninfa  Opl,  532-596.— 
•.'centro  delle  dao  cavallerie  •  vittoria  lun- 
gamente indebita,  M»"-6*<  La  vergine  Ca- 
milla, 1  coi  aplenlidi  fati!  accrescono  per 
qmlcho  tempo  il  ««raggio  nei  Latini,  è  uc- 
cit-.i  insidiosameute  da  Arante,  649-815;  il 
quali*  poco  appresso  è  trafitto  da  una  frec- 
cia dì  Opi,  336  947.  I  Rutuli  Kgomentati 
per  la  morte  di  Camilla  ai  danno  alla  fo- 
ga; i  Troiani  si  dispongono  a  dar  1*  aesal- 
to, ^m-895.  Di  che  Acca,  una  compagna  di 
Camilla,  recando  la  notula  a  Torno,  que- 
sti abbandona  le  gole  ove  si  teneva  in  ag- 
gotto, e  vola  in  aiuto  do'suoi.  Enea  gli 
tien  dietro;  0  poiché  pel  sopraggiungere 
dell  1  notte  non  si  può  venire  allo  mani, 
l'ini  esercito  e' l'altro  ei  mette  a  campo 
dioanzi  a  Lauronlo,  896-915. 


XIXV1  ARGOsTECTI. 


LIBRO  XII. 

Turno  refendo  l'abbattimento  dei  Lati- 
ni, e  che  ornai  solo  in  sè  stesso  poteva  ri- 
porre  ogni  aperanza,  malgrado  le  rimo* 
stranie  di  Latino  e  le  molte  lacrimo  dell» 
regina  che  lo  scongiurano  a  porsi  giù  dal- 
l'improsa,  delibera  di  venire  a  singoiar 
tenzono  con  Enea,  a  gU  manda  la  sfi- 
da, 1-106.  Enea  l'accetta;  e  le  condizioni 
sono  solennemente  giurato  da  una  parte  • 
dall'altra:  ma  la  ninfa  luturna,  sorella  di 
Turno,  eccitata  da  Giunone,  subito  la  di- 
sturba, 107-243.  Ad  istigazione  dello  stosso 
augure  Tolumnio,  di  qn:i  e  di  la  ai  viene 
a  sanguinoso  conflitto,  nel  quale  Enea  fe- 
rito è  costretto  di  abbandonare  il  combatti- 
mento, 244-323.  DÌ  ciò  accortosi  Torno  fa  dei 
Troiani  intorno  a  sè  nn  monto  di  cadave- 
ri, 324-3S2  Intanto  Venere  con  dittamo  ero- 
tico guarisce  la  piaga  del  figlio,  383-429.  II 
quale,  dopo  nna  breve  esortazione  ad  A  Sca- 
nio, accorre  di  nuovo  in  ainto  de' suoi,  • 
provoca  Torno  a  battaglia,  chiamandolo  a 
nomo.  Ma  questi  per  frodi  della  sorella 
Iutorna  è  vòlto  altrove.  430-433.  Perlochè 
Enea,  fatta  molta  uccisione  di  Rotali,  av- 
vicina tanto  l'esercito  alla  città,  da  ap- 
piccare il  fuoco  agli  steccati  o  ai  primi  odi- 


ARQOMKNTI.  XXXVII 


fiz!,  486-593.  Allora  la  regina  Amata,  cre- 
dendo che  Turno  foste  spento,  s' imponde 
a  uo  laccio,  693-618.  Turno,  sapute  oneste 
enne,  vedendo  the  netj  può  esimersi  dì 
combattere  da  solo  a  solo  con  Knea,se  par 
non  voglia  permettere  che  sotto  i  anoi  oc- 
chi quella  città  alleala  venga  in  potere 
de*  nemici,  provoca  Knea,  secondo  fi  patto, 
a  donilo,  014-696.  Enea  vincitore  in  questo 
combattimento,  mentre  alle  preghiere  del 
caduto  rivale  sente  già  quasi  commuoversi 
a  pietà  di  lui,  venendogli  a  nn  tratto  ra- 
duto il  halteo  di  fallante  sagli  omeri  del 
nemico,  preso  da  subita  tra,  gli  immersola 
■pada  nel  petto,  697-953. 


L'ENEIDE. 


DELL'  ENEIDE 
Libbo  Primo. 


Qiri.i.Mn  cne  già  xra  soivo  o  tra  pastori 
pi  Titiro  sonaj  l' mnil  sampogna, 
E  clic  do' boschi  uscendo,  a  mano  a  mano 
Sol  pinimi  »  tolti  1  campii  «  Picnì  '  voli 
n'oni'  Incordo  colono,  opra  cho  forso 
Agli  ngiifoli  ù  grata;  ora  di  Marte 

L'urini  canto  e  '1  ralor  del  grand' oroe 
Che  pria  da  Troia,  per  destino,  ai  liti 
D'Itali»  e  di  i.avinio  errando  venne: 
K  quanto  errò,  quanto  sofferso,  in  quanti 
E  di  terra  e  di  mar  peripli  incorso, 
Como  il  traea  l'insupcrubil  forza 
Del  cielo,  e  di  Giunou  l'ira  teuace; 

GAM.-1.   Iv.Iat.  1-4) 


S  l'  kkkidk.       [r.  it.  8-381 

E  cou  eho  dura  e  sanguinosa  guerra 
Fondò  In  sua  cittadc,  o  gli  suoi  Dei 
Riposi:  in  Lazio,  onde  cotanto  erobbo  m 
Il  nomo  do'  Latini,  il  roguo  d'Alba, 
E  lo  mora  o  l'imperio  alto  di  Koma. 

Musa,  tu  che  di  ciò  sai  le  cagioni, 
Tu  le  mi  detto.  Qunl  dolor,  qunl'outa 
Fece  la  Dea,  eh'  ò  pur  donua  e  regina 
Degli  altri  Dei,  si  noquitosa  ed  empia 
Contri  un  si  pio?  Qnal  suo  illune  l'espose  ! 
Per  tanti  casi  o  tanti  affilimi?  Ahi  tanto 
Possono  ancor  là  su  l'ire  e  gli  sdegni V 
Grande,  antica,  possente  e  bellicosa 
Colonia  de' Fenici  era  Cnrtago, 
Posta  da  lungo  incontr' Italia  e  'ncontra 
A  la  foco  del  Tebro,  a  Giunon  cara 
SI  elio  le  fur  net  care  od  Argo  e  Samo. 
Qui  pose  l'anni  suo,  qui  pnse  il  carro. 
Qui  di  porro  avea  gii  disegno  e  cura 
(Se  tale  era  il  suo  fato)  il  maggior  seggio, 
E  lo  scottro  anco  unircrsal  del  mondo. 

Ma  gii  contezza  avea  ch'era  ili  Troia 
Per  uscirò  una  gento,  onde  vedrebbo 
Lo  sue  torri  suporbo  a  terra  sparse, 
E  de  la  sua  mina  alzarsi  in  tauto, 
15-21| 


„       j  LIBRO  I.  1 

Tanto  avanzar  d'orgoglio  e  di  potenza, 
rh' ancor  de  l'universo  imperio  avrebbe: 
_  I  j,,  |t.  l'arche  la  volabil  rota 
rirar  saldo  dccroto.  Bla.  elio  tema 
ivca  di  ci*,  non  posto  anco  in  oblio 
Come,  a  difesa  do'smji  cari  Argivi, 
Kesse  a  Troia  acerbissima  gucrriora: 
Ripetendone  i  semi  e  le  cagioni. 
Se  no  sentia  nel  cor  profondamento 
Or  di  P»"  'I  g'u(,icio  or  l'arroganza 
xf  Antigone,  il  cJhcubjto  d'Elettra, 
Lo  scorno  d'Ebo.  alfln  di  Gauimodo 
,  la  rapii"1  o  i  non  dovuti  onori. 

Pa  tanto,  olfro  al  timor,  favillo  accosa 
Quoi  pochi  afflitti  e  miseri  Troiani 
CITavanzaro  agi'  incondi,  a  lo  ruiue, 
l|  mare,  ai  tìroci,  al  dispiotato  Aohillo, 
Teuoa  lunge  dal  Lazio;  onde  gran  tempo, 
Combattuti  da'  venti  e  dal  destino. 
Por  tutti  i  mari  nndàr  raminghi  e  sparsi: 
Di  si  gravoso  affar,  di  si  gran  molo 
fa  dar  principio  a  la  romana  gente. 

Eran  di  poco,  e  del  cospetto  a  pena 
Do  la  Sicilia  navigando  usciti, 
E  ciA  proso  do  l' alto,  a  piono  volo 
121-35J 


4  l'kxeide.  [53-88] 

Se  no  gian  baldanzosi,  e  con  lo  provo 
E  co' remi  faccan  l'orniti  spumoso; 
Quando  punta  Giupon  d'amara  doglia, 
Dunque,  disse,  cb'io  ceda?  e  che  di  Troia 
V'unga  a  signoreggiar  Italia  un  re. 
Ch'io  noi  distorni?  Oh,  mi  son  cantra  i fatil 
Mi  sieno:  osò  pur  Palladc,  e  potco 
Arderò  e  soffocar  già  dogli  Argivi 
Tanti  navili,  e  tanti  corpi  ancidere 
Por  lieve  colpa  e  follo  amor  d' un  solo 
Aiaco  d'Oilèo.  Contra  costui 
Ella  stessa  vibrò  di  Uiove  il  telo 
Giù  dalle  nubi;  olla  commosso  i  veliti 
E  turbò  '1  maro  e  i  suoi  legni  disperso: 
E  quando  ci  già  dal  fulminato  petto 
Sangue  o  fiamme  nuulava,  a  tale  un  tdrbo 
In  proda  il  diò,  cho  per  acuti  scogli 
Miserabil  ne  fc  rapina  e  scempio. 
Tanto  può  Palla?  Ed  io,  io  degli  Dei 
Regina,  io  sposa  del  gran  Giovo  o  suora, 
Son  di  quest'ima  gonto  ornai  tant'  nnni 
Nimica  in  vano?  E  chi  piii  do'  mortali 
Sarà  cho  mi  sacrifichi  e  ni'  adori  ? 

Ciò  fra  suo  cor  la  D«a  fremendo  ancora, 
Giunse  in  Eolia,  di  procelle  e  d'austri 
13Ó-52J 


iflfl  LIBRO  1. 

lo  furio  lor  patria  feconda. 


>  suo  re  ch'Ivi  in  un  antro  immonso 
Le'sonoro  tempesto  »J  tempestosi 
Vonti.  «1  romo  «  d'uopo,  affrena  e  regge. 
Eglino  impetuosi  o  ribollanti 
T  i  fra  lor  fimno  oporquoi  chiostri  un  fremito 

Che  lie  *rcKm  1,1  torrs  0  "  urlft  "  """>Us- 

...  cj  jor  sopra,  realmente  adorno 

Di  corona  e  di  scettro,  in  alto  assiso, 

L'ira  e  gl'impotijor  mitiga  e  molco. 

So  ciò  uon  fosso,  il  mar,  la  terra  o  '1  ciclo 

Lacerati  d»  lor.  confusi  e  sparsi 

Con  essi  nndi  i.m  per  lo  gran  vano  a  rolo. 

Ma  la  r"ss!>  ■>>"«?'<"•  do1  Padrc  ck'r"" 
Provvido  a  tanto  mal  serragli  o  tonoliro 
D'abissi  c  di  caverne:  o  moli  e  monti 

Lor  s"P™  iinroao:  od  ■  re  M*  "  treno 
No  diò,  eh' ci  ne  potesse  or  questi  or  quolli 
Con  certa  leggo  o  rattcncro  o  spingoro. 
A  cui  davanti  l'orgogliosa  Giuno 
Allor  nmilo  e  snpplichovol  disso: 

EOI"  (poi  che  '1  gran  Padre  del  cielo 
l  tanto  ministcrio  ti  proposo 
DI  correggerò  i  venti  o  turbar  l'onde) 
Santo  inimica  a  me.  mal  grado  mio, 
152-66] 


C  L"  K.VKIDF.  [109-132] 

Naviga  il  ninr  tirreno;  e  giunta  a  vista, 
E  già  d' Italia,  ni  cui  reame  aspira; 
E  d'Ilio  le  reliquie,  anzi  Ilio  tutto 
Seco  v'  adduco  e  i  suoi  vinti  Penati. 
Sciogli, spingi  i  tuoi  venti,  gonfia  l'ondo. 
Aggiragli,  confondigli,  sommergigli, 
0  dispergigli  almeno.  Appo  mo  sono 
Setto  e  sotto  leggiadro  ninfe  e  bolle: 
E  di  tutte  più  bella  e  più  loggiadra 
E  Deiopèa.  Costei  voglio  io,  per  mcrto 
Di  ciò,  che  sia  tua  sposa;  e  tu  clic  seco 
Di  nodo  indissolubile  congiunto, 
Viva  lieto  mai  sempre,  o  no  divenga 
Podi  o  di  bella  e  di  to  degna  prole. 

Eolo  n  rincontro  :  A  to,  regina,  disse, 
Conviensi  elio  tu  scorga  i  tuoi  desiri, 
Ed  a  me  ch'io  gli  adempia.  Io  ciò  clic  sono 
Sou  qui  per  te.  Tu  mi  fui  Giove  amico, 
Tu  mi  dai  questo  scettro  o  questo  regno. 
So  ro  può  dirsi  un  elio  comandi  a'  venti,  ' 
Io.  tua  mercè,  su  co' Colesti  a  mensa 
Nel  ciel  m'assido;  e  co'mortnli  in  terra 
Soli  di  nembi  possente  o  di  tempesto. 

Cosi  dicendo,  ni  cavernoso  monte 
Con  Io  scettro  d'un  urto  il  fianco  aperse, 
10G-82J 


,c  ropcut«  a  Btuolo  i  venti  uscirò. 
n  si»  co'  lot  turbini  ripieni 
.  ^ivc  e  ili  tumulto  i  colli  o  i  campi.  * 
3niinclo  u»asi  i»     KWPP0  cJ  E"ro  0  No1 
a-BTVcnturon  nel  mure,  o  fln  «la  l'imo 
i  »  turbar  «1  elio  ne  fcr  valli  e  monti  ; 
Monti,  eh'  ni  cicl,  qnasi  di  neve  aspersi. 
Sórti l''uu  dopo  l'altro,  a  mille  a  mille 
Volgendo,  se  ne  giau  caduchi  e  mobili 
Con  suono  e  con  mina  I  liti  a  frangoro. 
11  gridar,  lo  stridore,  il  cigolalo 
De' legni-  de  le  sarti  e  do  lo  genti, 
I  nugoli  elio  '1  cielo  o  'I  di  velavano. 
u  buj„  notte  ònd'era  il  mar  coverto, 
I  tuoni,  i  lampi  spaventosi  o  spessi, 
fitto  ciò  elio  s' lidia,  ciò  che  vodevasi, 
Kappresentava  orror.  perigli  e  morto; 
Smarrissi  Knea  di  tanto,  o  tale  un  gielo 
c„nli,si.  cho  tremante  al  cicl  si  volse 
Con  le  man  giunto,  0  sospirando-  disso: 

0  inillo  vo'to  fortunati-e  millo 
Color  che  sotto  Troia  o  nel  cospetto 
De'  padri  «  de  In  patria  ebbero  in  sorte 
Di  morir  combattendo!  0  di  Tideo 
fortissimo  flgliuol,  eh'  io  non  potessi 
IS2-981 


8  i.'kxeidf.  pr>8-182j 

Cader  por  le  tue  ninni  c  lnscinr  Iti 
Questa  vitti  affannosa,  ove  lascioll.i,  . 
Vinto  por  man  del  bellicoso  Achille, 
Kttor  fumoso  e  Rarpcdonte  altero? 
K  se  d'acqun  perirò  era  il  mio  fato, 
Perchè  non  dove  Xnnto.  o  Simoeiita 
Volgoli  tnut'arnii  e  tanti  corpi  nobili  ?  i 

Cosi  dicea:  qnand'ecco  d'Ai|»ilouo 
Una  buffa  a  rincontro,  che  stridendo 
Squarciò  la  vela,  e  'I  mar  spinse  a  le  stello: 
Fiaccarsi  I  remi;  e  là  'vo  era  la  prua, 
Girossi  il  fianco:  c  d'ncqun  un  monte  intanto 
Velino  conio  dal  ciolo  a  cader  giù. 
Pendono  or  questi  orquolli  s  l'onde  in  cima: 
Or  a  questi  or  a  quei  s'apre  In  terra 
Fra  due  liquidi  monti,  ove  l'arena. 
Non  men  ch'ai  liti,  si  raggira  o  ferve. 

Tre  no  furon  dal  Noto  n  l'are  spinto: 
Aro  chinman  gli  Ausoni  un  sasso  alpestro 
I)n  l'altezza  do  l'ondo  nllor  celato, 
Che  sorgea  primo  in  alto  maro  altissimo: 
F.  tro  no  fur  dnl  pelago  a  lo  Sirti 
(Misernbil  aspetto)  no  lo  secche 
Tratto  da  l'Kuio.  e  ne  l'areno  immersa. 
Una,  che  '1  carco  nvea  del  fido  Oronto 
[98-118] 


[183  •-•07]  imm.  » 

Con  1°  I''c'n-  nvanti  agli  ocelli 

ni  lui  pori.  Velina  da  Bora  uu'ondo. 
Anni  un  mar,  che  da  poppa  in  guisa  ih  tolla, 
|  ti'iiioii  fuori  cltcmonior  no  spinto: 
v  [ci  girò  «1  clic  I  suo  giro  stesso 
1 ,,  ..i  :•    '.ilo  c  vortico  o  vorago, 
Da  cui  rapita,  vacillante  o  china,1 
Uua-i  stanco  palèo,  tra  volto  volta, 
Colossi  gorgogliando  e  s' affondò. 

Già  per  l'ondoso  mar  disperse  e  raro 
j^,  navi  o  I  naviganti,  si  vedevano: 
Già  l"  r  tl,lt0     Tr°l|1'  »  l'ondo  ia  proda. 
Arme  tavole,  arnesi  a  nuoto  andavano; 
Già  quel  ch'era  piò  valido  6  piò  forto 
Usuo  d'Ilfonco,  già  quol  d' Acata 
y  qUCl  d' Abante  o  quol  dol  vecchio  Aloto, 
Ed  alfin  tutti  sconquassati,  a  l'onde 
Micidiali  avean  i  fianchi  aporti: 
Quando,  a  tanto  rumor,  da  l'antro  uscito 
Il  gran  Nettuno,  o  visto  del  suo  regno 
Rimescolarsi  i  più  riposti  fondi; 
Oh,  disse  irato,  ond'è  questa  importuna 
Tempesta?  E  grazioso  il  capo  fuori 
Trasse  de  l'onde;  e  rimirando  iutorno. 
Ver  lo  mar  tutto  dissipati  o  laceri 
[113-1281 


10  l'kxkidk.  [208-232) 

Vide  i  legni  d'Enea;  vido  lo  strazia 
De'  suoi,  eh'  a  la  tempesta,  a  la  mina 
E  del  mare  e  del  cielo  erano  esposti. 
K  ben  conobbe  in  ciò,  come  suo  frate, 
Che  ne  fora  cagion  l' ira  e  la  froda 
De  l'empia  Giuno.  Euroasè  chiama  eZeflro, 
E'n  tal  guisa  acramento  li  rampogna: 

Tanta  ancor  tracotanza  in  voi  ■'  alletto, 
Kazza  perversa?  Voi,  voi,  gonza  me. 
Nel  regno  mio  la  terra  e'1  ciel  confonderò 
E  far  nel  maro  un  si  gran  moto  osate? 

Io  vi  farò  Ma,  di  mestinro  ò  pi  ima, 

Abbonazzar  quest'onde.  Altra  fiata 
In  altra  guisa  il  no  mi  paghorete 
Dol  fallir  vostro.  Via  tosto  di  qua. 
Spirti  malvagi;  o  da  mia  parto  dite 
Al  vostro  re,  che  questo  regno  e  questo 
Tridente  è  mio  o  elio  a  me  solo  ò  dato. 
Per  lui  sono  1  suoi  sassi  o  le  suo  grotte, 
Case  doglie  di  voi  ;  quella  ù  sua  reggia; 
Quivi  solo  si  vanti;  o  por  regnare. 
Do  la  prigion  do' suoi  voutì  non  osca. 

Cosi  dicendo,  in  quanto  a  pena  il  disse,' 
La  tempesta  cessò,  s' acquetò  'I  maro, 
Si  dileguar  le  nubi,  apparvo  il  solo. 
1128-113' 


r 


I8-25T]         unno  K  »* 
„.iotoo  c  Triton,  l'ima  con  Tondo, 
T 'altro  col  dorso,  le  tro  navi  in  diotro 
Ritirar  da  lo  scoglio  Ut  cui  porcossoro. 
[e  Ire  elione  l'aronaeran  sepolto 
Fri!  stesso,  lo  vastc-Sirti  nprondo. 
Sollevò  col  Jrldento.Md  a  sé  trasselo. 
poscia  sovra  al  suo  carro  d'  ognintorno 
Scorrendo  lievemente,  ovunque  apparve, 
.  -(jongliò  'I  mare,  o  lo  ripose  in  calma, 
Y'i.m''  adivien  Rovento  in  un  gran  popolo, 
Allor  che  per  discordi*  li  tumultua, 
E  'pipervorsando  va  la  plebo  ignobile. 
Quando  l'oste*  lo  faci  e  i  sas>i  volano 
V  l'impeto  e  'I  furor  l'armo  ministrano, 
<^>  grave  personaggio  e  di  gran  merito 
Esco  lor  contro,  rispettosi  e  timidi, 
Fatto  silenzio,  attentamente  ascoltano, 
Fd  al  detto  di  lui  tutti  s'  acquetano  ; 
Cosi  d'ogni  ruina  e  d'ogni  strepito 
Fu'l  mar  disgombro,  allor  che  umile  o  placido 
A  ciol  aperto  il  gran  rottor  del  pelago 
Co' suoi  lievi  dostricr  volando  scórselo. 
Stancbi  i  Troiani  ai  liti  ch'eran  prossimi 
Drizzai"  il  corso,  e  'n  Libia  si  trovarono. 
È  di  là  lungo  a  la  riviera  un  seno, 
|1M-159| 


£  l'  rxnme.  [258-282J 

Anzi  un  porto;  chò  porto  un' isolotta 
I,o  fa,  elio  In  su  I»  lincea  al  mare  opponsi. 
Questa  si  sporgo  co'  suoi  fian<-hi  in  guisa 
Ch'ogni  Tonto,  ogni  flutto,  d'ugni  lato 
Che  vi  percuota,  ritrovando  intoppo, 
0  si  frango,  o  si  sparte,  o  si  riversa. 
Quinci  e  quindi  alti  scogli  o  rupi  altissimo, 
Sotto  cui  stngna  spazioso  un  golfo 
Sccuto  c  queto:  o  v'  ha  d'alberi  sopra 
Talo  una  scena,  che  la  luco  o  'I  solo 
Vi  raggia,  c  non  penetra  ;  un'  ombra  opaca 
Anzi  un  orror  di  selve  annoso  o  folto. 
D'incontro  è  di  gran  massi  c  di  pendenti 
Scogli  un  antro  muscoso,  in  cui  dolci  n'-quo 
Kau  dolco  suono;  o  v'ho  sedili  o  sponde 
Ili  vivo  sasso;  albergo  Toiomente 
Di  Ninfe,  ove  a  formar  le  stancho  navi 
Nò  d'ancora  v'è  d'uopo,  nò  di  sarto.  1 
Qui  sol  con  setto,  clic  raccolse  a  pena 
Di  tanti  legni.  Enea  ricovorossi. 
Qui  stanchi  tutti  e  macori,  c  del  maro 
Ancor  paurosi,  i  liti  a  pena  attinsero, 
Ch'o  terra  avidamente  si  gittarnno. 
Acato  foco  in  pila  selce  o  focile 
Scintillar  foco,  e  dielli  esco  o  fomento. 
[169-176] 


1.11  no  I. 


LI 


Altri  |ioscin  d'intorno  ad  altri  f  In 

(Como  quei  che  di  vitto  avean  disagio, 
i;  ]o  biade  trovar  corrotte  o  molli) 
ti  dier  oorj  vari  studi  e  vari  oi diurni 
A  i asciugai Io* n  macinarle,  a  cuocerlo. 

Intanto  Enea  sovi'uu  do'scogli  asceso, 
Quanto  si  discopria  con  l'occhio  intorno, 
Stava  mirando  so  alcun  legno  fosso 
Per  alcun  luogo  apparto,  o  quel  d'Anteo, 

0  quel  di  Capi,  o  pur  quel  di  Calco 

Che  iu  poppa  avITa  la.  pia  sublime  insogna, 
xjun  ne  vide;  ma  boDYldo  errando 
Gir  per  la  spiajrgia  tre  gran  cervi,  o  dietro 
P' altri  minori  inuiimorabil  torma. 
Ch'in  sembianza  d'armenti  empiali  le  valli. 
Fcrinoshi:  o  pronto  a  cotal  uso  avendo 
L'arcoc'l  turcasso  (chè  quest'armi  appresso 
Gli  portava  mai  sempre  il  fido  Acate) 
Diò  lor  di  piglio;  o  saottando  prima 

1  primi  tre,  che  più  vido  altamente 
Erger  le  teste  e  inalberar  lo  corna. 
Contri)  al  volgo  si  volse:  c  '1  lito  e  'I  bosco, 
Ovunque  gli  scorgea,  fulguro  tutto. 

Me  cacciò,  ne  fei),  strage  ne  fece 
A  suo  diletto:  nò  si  vide  prima 
I177-1U2J 


M  l'eìoìidr.  [308-332] 

Sa/io,  che,  come  setto  cran  le  navi. 
Sette  non  ne  vedosso  a  terra  stosi. 
In  questa  guisa,  ritornando  ni  porto, 
(ili  sparti  parimente  a'snol  rompagli! 
K  ron  ossi  del  vin,  che  il  buon  Acosto 
A  l'uscir  di  Sicilia  in  don  gli  diode, 
Molt'urno  dispensò  per  ricrearli. 
Poscia,  a  conforto  lor.  cosi  lor  disse: 

Compagni,  rimembrando  i  nostri  affanni, 
Voi  n'avotc  influiti  ornai  solforti 
Vie  più  gravi  di  questi.  E  questi  fino 
(Quando  che  sìa),  la  dìo  mercedo,  avranno. 
Voi  la  rabbia  di  Scilla,  voi  gli  scogli 
Di  tutti  i  mari  ornai,  voi  do'  Ciclopi 
Varcas'.o  i  sassi;  od  or  qui  salvi  sioto. 
Imprendete  V  ardir,  sgombrato  i  petti 
Di  téma  o  di  tristizia.  E'  vorrà  tempo 
Un  di.  che  tanto  o  cosi  rie  venture, 
Non  ch'altro,  vi  saran  dolco  ricordo, 
par  vari  casi,  e  por  acerbi  o  duri 
Perigli  è  d'uopo  n  far  d'Italia  acquisto. 
Ivi  riposo,  ivi  letizia  piena 
Vi  promettono  i  fati,  e  nuova  Troia 
E  nuovi  rogni  alfine.  Itene  intanto; 
Soffrite,  mantenetevi,  serbatovi 
H92-2071 


fH'1'1-3571  libro  t.  15 

4  questo,  che  dal  del  si  sorbii  a  voi, 

glorioso  o  si  felice  stato. 

Cosi  dipendo  a' suoi,  pieno  in  sè  stesso 
paliti  e  irravi  pensior,  tonoa  telato 
Con  la  fronte  serena  il  cor  doglioso. 

Fecer  tutti  coraggio;  e  di'eibo  avidi 
fià  rivolti  a  la  preda,  altri  lo  tergora 
.   srclgon  da  lo  coste,  altri  sbranandola, 
Mentri' <•  tiepida  ancor,  mentre  elio  palpita, 
I  inurbi  schidioni  e  gran  caldaie  apprestano, 
E  I-acqua  intorno"  e  'I  fuoco  vi  ministrano. 
Poscia  d'un  prato  e  seggio  o  mousa  fattisi, 
Taciti  prima  sopra  l'erba  agiandosi, 
P' opima  carne  o  di  vili  rocchio  empiendosi, 
Quanto  p""n  lietamente  si  ricroano. 

Poiché  fur  sali  a  ragionar  si  dicro, 
Con  voce  or  di  timoro  or  di  cordoglio, 
De'porduti  compagni,  in  dubbio  ancora 
Se  fossor  vivi,  o  so  pur  giunti  al  (ine, 
più  do'  richiami  lor  nulla  curassero. 
Enea  vio  più  di  tutti,  o  di  piotato 
E  di  dolor  compatito,  il  caso  acerbo 
Or  d'Amico  or  d'Oroutc.  o  Lieo  o  dia 
Ke'sospir  richiamava  e  '1  buon  Cloanto, 

Erano  al  lino  ornai  :  quando  il  gran  Giove 
[207-2-_'3J 


10  i/kxbiu».  [858-^| 
Da  l'alta  spera  sua  mirando  in  giuso 

terra  e  '1  mar  di  quosto  basso  globo; 
Montro  di  lito  in  lito,  e  d'uno  in  altro  . 
Scorne  i  popoli  tutti,  al  cielo  in  cima  ^ 
Fermossì,  o  no  la  Libia  il  guardo  affiss 
Venero,  allor  eh' a  lo  terrone  cose 
Lo  vide  Intento,  dolcemente  afHitt.i 

11  volto,  e  mollo  i  begli  occhi  lucenti, 
Gli  si  feco  davanti,  o  cosi  disse: 

Padre,  che  do' mortali  e  do' celesti 
Siodi  oteruo  monarca,  e  folgorando 
Empi  di  toma  o  di  spavento  il  mondo, 
li  quale  ha  contra  te  fallo  si  gravo 
Commesso  Enoa  mio  Aglio,  o  i  suoi  Troi 
Cho  dopo  tanti  affanni  o  tante  stragi, 
C han  di  lor  fatto  il  ferro, il  fuoco  o'ìa 
Non  trovili  pace,  nò  pietà,  nò  loco 
te  die  gli  accetti  V  In  cotnl  guisa  om 
Del  mondo  son,  non  cho  d'Italia,  esci 
lo  mi  crodoa,  signor  (quel  cho  promesso, 
N'  era  da  te),  elio  tornasse  anco  un  glo 
(Quando  cho  fosso)  il  generoso  germe 
Ili  Dardauo  a  produr  quo'glortosi 
Eroi,  quei  duci  invitti,  quei  Uomaui 
Do  l'universo  domatori  o  donni: 
[v!-23-2aOJ 


1888-407]  "»»o  B  » 

- 1„  nM  promettesti.  Or  come,  padre, 
jj  cie|  cangia  destino,  e  tu  consiglio? 
Questa  sola  crodoma  ora  cagione 

pi  consolarmi  in  parta  de  l'eccidio 
I)c  la  mia. Troia,  ch'io  soffrissi  in  pace 
Tanto  ruinc  sue,  fat<j  con  fato 
Ricompensando.  Or  la  furUina  stessa, 

K  ria  P'ù  for"' lM,rse*,"!  c  dura- 
E  quanto  durerà,  signore,  ancora? 
Tal  non  fu  già  d'Antenore  l'essigli»: 
Ch'ci  non  l'i"  t',9to  da  l'«chivo  «cbioro 
Per  mezzo  uscio,  che  oon  «lieo  corso 
penetrò  d'Adria  il  sono  :  entrò  socuro 
«ci  re?"0  do' laburni  ;  andò  fin  sopra 
i|  fonte  di  Timavo;  e  là  'vo  il  ftumo 
Fremendo  il  monte  intuona,  o  là  've  aprendo 
Fa  uove  bocche  in  maro,  e,  mar  già  fatto. 
Inonda  i  campi  e  rumoroggia  e  frango, 
p»doa  fondò,  pose  de'  Teucri  il  seggio, 
E  die  lor  nomo,  o  lo  lor  armi  affisse. 
l,\  ridotto  il  suo  regno,  o  composto 
Qutetamente,  or  lo  si  gode  in  paco. 
E  noi,  noi,  del  tuo  sangue,  o  che  da  te 
Averne  anco  dol  cielo  arra  e  possesso, 
Ad  una  sola  indegnamente  in  ira, 
CAUO.-2.     (287-251  j 


18  l'kkkide.  il"'-433| 

l'ordute;  oimè!  le  proprio  navi,  fuori 
Siamo  d'Italia  o  di  speranza  aucora 
Di  non  mai  jUMdorlu.  Orquesti,  e 'I  prugM 
Clio  si  deve  a  plctade?  o  questo  è  'I  regd 
Che  da  te,  padro  mio,  no  si  promette? 

Sorrise  Giore,  e  con  quel  dolco  aspetto 
Con  che  '1  ciel  rasserena  e  le  tempeste,  ,1 
Hi  mi  rullìi,  basciolla,  e  cosi  dissole: 

Non  tonicr.  Citeiea,  che  saldi  e  corti 
Stanno  i  fati  do' tuoi.  S'adempieranno  ,  j 
Le  mie  promesse:  soigoran  lo  torri 
Do  la  novella  Troia:  vedrai  lo  mura 
Di  Lavinio:  porrai  qui  fra  Io  stelle 
11  magnanimo  Knca.  Che  né  'I  destino 
In  ciò  si  cangerà,  nò  '1  mio  consiglio. 
Ma  per  trarli  d'  all'anni,  io  tei  dirò 
Più  chiaramente,  e  scoprirotti  iutauto 
De'fati  i  più  reconditi  secreti. 
Figlia,  il  tuo  figlio  Kuea  tosto  in  Itali» 
Sarà;  farà  gran  guerra,  vincerà; 
Domerà  fero  genti;  imporrà  leggi; 
Darà  costumi  o  fonderà  città: 
K  di  già,  vinti  i  Batoli,  tre  verni 
E  tra  stati  regnar  Lazio  vedrallo. 
Ascauio  giovinetto,  or  dotto  lulo, 
|Hól-4Mi7J 


i48S-4.r>"]  >•  13 

rj  ||n  prima  infin  eli'  Ilio  non  cadde 
Suceoderasrli:  o  trenta  giri  Interi 
T)cl  maggior  mine,    sommo  imperio  avrà. 
Trnsfcrirallo  in  Alba:  Alba  la  lunga 
Sara  la  reggia  slia  Pos?*>tte  e  chiara. 
Qui  regneranno  poi  sotto  la  gente 
I)' Ettore,  un  dopo  l'altro,  un  corso  d'anni 
Tre  volte  cento;  flucli'Ilia  regina 
Vergine,  o  sacra,  del  gran  Marte  pregna, 
li1  un  por'0  P">durr«  Reme'1»  Pro- 
ludi «apo  »c  fi»  Romolo  invitto. 
Questi,  invece  di  manto,  adorno  il  tergo 
De  la  sua  marzjal  nudricc  lupa. 
Di  Marte  fonder*  la  gran  cittade; 
E  dal  nome  di  lui  Koma  diralla. 
X  Roma  non  pongo  io  termine  o  Uno: 
Che  Ha  del  mondo  imperatrice  eterna. 
K  l'aspra  Giuno,  cho  or  la  terra  o  il  mare 
K  il  ciel  per  tóma  intorbida  e  scompiglia. 
Con  pi"  sino  consiglio,  al  mio  conformo, 
Procurerà  che  la  romana  gente 
In  arnie  e  'u  toga  a  1'  universo  imperi. 
E  cosi  stabilisco.  E  cosi  tempo 
Ancor  sarà  ch'Argo,  Micene  e  Kti» 
E  i  Greci  tutti  tributari  o  servi 
[267-284] 


50  i.'  mura.  [453-4 

De  la  casa  df  Assdraco  saranno. 
Pi  questa  gente,  o  do  1»  Julia  stirpe. 
Che  da  quel  primo  litio  il  nomo  ha  prc<( 
Cesare  nascerà,  di  cui  l'impero 
E  la  gloria  fla  tal,  che  per  confino 
L'uno  avrà  l'Oceano,  e  l'altra  il  ciel  ». 
Questi,  già  vinto  il  tutto,  poi  che  onusti 
De  le  spoglie  sarà  de  l'Oriento, 
Anch'egli  avrà  da  te  qui  seggio  eterno, 
K  là  giù  fra' mortali  incensi  e  voti. 
L'aspro  secolo  allor,  l'armi  deposto, 

51  farà  mite.  Allor  la  santa  Vosta, 
E  la  candida  Fedo  e  '1  buon  Quirino 
Col  frate  Remo  il  monile  in  enra  avrnnn 
Allur  con  saldo  e  ben  ferrato  sbarre  • 
De  la  guerra  saran  lo  porte  chiuse: 

E  dentro  infra  la  rngino  sopolto. 

Con  cento  nodi  incatenato  o  stretto  I 

(■rati  tempo  si  starà  l'empio  Furore: 

E  rabbioso  fremendo  orribilmcnft. 

Con  fuoco  agli  occhi  e  bava  esangue  ni  don 

Morderà  l' armi  e  lo  catene  indarno. 

Cosi  detto,  spedi  tosto  da  l'alto 
Di  Maia  il  figlio  a  far  si  ch'a'  Troiani 
Fosso  Cartago  e  il  suo  paese  amico, 
[284-299J 


|4É 


7]         LinRo  i. 


SI 


perché  ilei  fato  la  regina  ignara, 
Non  fosse  '0^•  I*r  f8rit*  de'suoi 
0  por  sua  téma,  inospitalo  e  cruda. 
Vasseuo  il  mesaagger  poi  l' aiian  volo 
Veloccmeptc,  o  no  la  Libia  giunto, 
Quel  eli' imposto  gli.fu  rattd  essequisco. 
y  già.  In  di''  mercè,  tacciano  i  Poni 
i„r  nerezza;  o  la  regina  in  prima 
S'imbeve  d'un  affetto  o  d'una  mento 
Verso  i  Troiani  affabile  o  benigna. 

La  notte  intanto,  del.  pietoso  Enea 
Molti  furo  i  sospir.  molti  i  pensieri. 
Couchiuso  ainn  ch'a  l'apparir  del  giorno 
Spiar  d..iesse.*e  riportarne  avviso 
A1  suoi  compagni,  in  qnal  paeso  il  vento 
Gli  avosse  spinti  :  0  »'  nomini  0  pur  fere 
(Pcrchò  incolto  vedea)  quivi  abitassero. 
Cosi  tra  selve  ombrose  o  cavo  rupi 
Fatti  i  legni  appiattar,  sol  con  Acato, 
E  con  due  dai  di  in  mano  in  via  si  poso. 

In  mezzo  de  la  selva  una  donzella. 
Ch'eia  sua  madre,  si  com'era  avanti 
Che  madro  fosse,  incontro  gli  si  fece. 
Douzollaa  l'armi,  a  l'abito,  al  sombiante 
Parca  di  Sparto,  o  quale  in  Tracia  Arpalic* 
1299-8171 


SS  *  J/ncniDi.  [503-58 

Leggiera  é  sciolta,  il  dorso  affaticando 
Del  fugace  dostricr,  1'  Ebro  varcava. 
Al  collo  area  da  cacciatrico  un  arco 
Abile  e  lesto,  I  crini  a  l'aura  sparsi. 
Nudo  il  ginocchio;  o  col  bel  nodo  stretto 
Tenea  raccolto  do  la  gonna  il  sono. 

Ella  fu  prima  a  diro:  Avreste  voi, 
Giorini,  do  lo  mie  sorelle  alcuna 
VistaerrarquiDci.o  ch'uggia  l'arco  al  Da 
0  elio  gli  omeri  vesta  d'una  pello 
Ili  ccrvior  maculato,  o  cho  gridando 
D'un  zannuto  cignal  segna  la  traccia? 
Cosi  Vonere  disse:  ed,  a  riucoutro, 
Di  Venere  il  fìgliuol  cosi  rispose: 

Ninna  ho  do  le  tuo  veduta,  o  'ntcsa, 
A'crgino....  qual  ti  dico,  e  di  che  nome 
Chiamar  ti  deggio?  chò  terreno  aspetto  J 
Non  è  già  'I  tuo,  nè  di  mortalo  il  suono: 
Dea  sei  tu  veramente,  o  suora  a  Febo, 
0  figlia  a  Giove,  o  do  le  ninfe  alcuna: 
E  uhiunquo  tu  sii,  propizia  e  pia 
Vèr  noi  ti  mostra,  o  i  nostri  affanni  ascolta, 
Diune  sotto  qual  ciolo,  in  qnal  contrada  | 
Siamo  or  del  mondo:  che  raminghi  andiamo' 
E  qui  dal  vento  o  dn  fortuna  spinti 
[317-333] 


(OSS-557]  libro  I.  23 

«olla  »  dcK"  •bltoDti  0  de'  P*e,i 
Votili»  abbiamo.  A      »'»  ciò  *'*'• 
pi  nostra  man  cadrà  pIJ>  d'un»  Tilt  ima. 

Vcnoroallor  soirghmae:  Io  noD  ni'  arrogo 
Celeste  onore.  In  Tiro  usan  le  vergini 
pi  portar  arco  o  di  fallar  coturni; 
E  di  Tiro  e  d'Agenore  le  gonfi 
Traggo»  principio,  chequi  Reggio  han  posto; 

Ma  '1  P»cse  0  dl  ,'ibia'  ed  aVV'  '"  ffUerra 
Gente  feroco.  Or  n' 4  capo  o  regina 
Pido  che.  da  l'insidie  dol  fratello 
Fuggendo,  è  qui  venuta.  A  dirne  il  tutto 
Lunga  f»ra  novella  e  lungo  intrico. 
j|a  Recandone  i  capi,  avea  costei 
Sichéo  por  suo  consorto,  uno  il  più  ricco 
pi  terra  e  d'oro,  cho  in  Fenicia  fosso, 
Pa  la  meschina  unicamente  amato, 
Anzi  il  suo  primo  nmoro.  11  pndro  intatta 
Nel  primo  fior  di  lei  «oeo  legolla. 
Ha  dol  regno  di  Tiro  avea  lo  scettro 
FigmalTon  suo  frato.  un  aignor  ompio. 
Un  tiranno  crudclo  a  scolorato 
più  ch'altri  mai.  Venne  un  furor  fra  loro 
Tal.  che  Sichéo  da  qnosto  avaro  o  crudo, 
Per' seta  d'oro,  ovo  men  guardia  pose, 
U3a-850| 


2*  l'  EVBin*.  [658-SI 

Fu  tra  g'i  altari  ucciso;  o  non  gli  valso 
Clio  la  germana  sua  tanto  l'amasse. 
Ciò  Te  colatamente  :  o  por  colarlo 
Vio  più.  con  Unzioni  c  con  menzogne 
Doluse  un  tempo  ancor  I'  afflitta  umantoj 
Ma  noi  fio.  di  Slchòo  la  stessa  imago, 
Fuor  d'un  sepolcro  uscendo,  sanguinosa, 
l'ullida,  macilenta  o  spaventevole, 
I. 'apparve  in  sogno,  e  prosentollc,  urani 
Gliompi  altari  ove  cadde,  il  crudo  feria 
Clio  lo  trafisso,  o  del  suo  fiato  tutto 
1, 'occulte  scellcrnggini  l'aperse. 
Poscia:  Fuggi  di  qua.  fuggi,  le  disso, 
Tostamente,  o  lontano.  K  por  sussidio 
Do  la  sua  fuga,  le  scoperse  un  loco 
Sotterra,  or' ora  iiicstimabil  somma 
D'oro  e  d'argento,  di  molt'anni  ascoso. 
Quinci  Iiidn  commossa,  ordino  occulto 
Di  fuggir  tonno,  o  d' adunar  compagni; 
Chò  molti  n'adunò,  parte  por  odio, 
l'arte  per  téma  di  si  rio  tiranno. 
Le  navi,  che  trovar  noi  lite  presto, 
Caricar  d'oro,  e  fer  Tela  in  un  subito. 
Cosi  il  vento  portossono  la  spome 
Do  l'avaro  ladrone.  E  fu  di  donna 
[350-SC1 J 


B8S-607|  ubbo  I.     ,  2 

/wst"  si  degno  o  mcmorabil  fatto. 
ì     Qjmiisorfl  in  questi  luoghi,  or' or  vedrai 
gaffcr  la  ffrsn  *ì*tad«  e  l'alta  ròcca 
po  la  nuora  t'artago,  eoe  dal  fatto 
Birs!1  nomosfd,  por  l' astata  maree 
Che,  r,,r  fondarla.  fot  di  tlul"> HÌto 
Quanto  cerchiar  di  bue  potesse  un  tergo. 

Ma  voi  ehi  Rioto?  ondo  venite?  e  doro 
«rizzato  il  corso  vostro?  A  tal  richiesto 
Pensando  Enea,  dal  più  profondo  potto 
Trasse  la  voce  sospirosa,  e  disse: 
0  Dea.  se  da  principio  i  nostri  affanni 

10  contar  ti  volessi,  o  tu  con  agio 
Udisse  una  da  me  si  lunga  istoria. 
Non  finirei  che  lino  arrebbe  il  giorno. 
Koi  siam  Troiani  («e  di  Troia  antica 

11  nome  ti  porvonne  unqua  agli  orecchi) 
E  la  tempesta  elio  por  tanti  mari 

Già  cotanf  anni  ne  trarolro  e  jrirn. 
N'ha  qui.  conio  tu  vedi,  aititi  gittati. 
Io  sono  linea,  quel  pio  elio  da' nomici 
Scampati  ho  meco  i  miei  putrii  Penati, 
Fino  a  le  stollo  ornai  noto  per  faina. 
Italia  ro  cercando,  che  per  patria 
Giovo  m'assegna,  autor  del  sant'ilo  mio. 
[304-380] 


BO  L'iximiK.  [C08-08H 

Con  dicco  e  dicce  ben  guarnite  nari 

Uscii  di  Frigia,  il  mio  dcstin  seguendo  I  1 

E  lo  splendor  de  In  materna  stella. 

Or  sette  me  no  son  restate  a  nona. 

Scommesse,  aperte  e  disarmate  tutte. 

Kd  iu  mendico,  ignoto  e  peregrino. 

Tic  l'Asia  in  bando,  da  1'  Europa  osclow, M 

E  'n  fin  dal  mar  gittate  or  ne  la  Libia, 

Vo  per  doserti  iiiospiti  e  selvaggi. 

E  qual  m'ù  più  del  mondo  or  lungo  aperto 

Vonoro  intenerissi;  e  nel  suo  figlio 
Tanta  amara  doglienza  non  soffrendo. 
Cosi  '1  duol  con  la  voco  gì' interruppe:  ' . 

Chiunque  sei.  tu  non  sui  già.  cred'  io,  •' 
Al  ciclo  in  ira;  poi  cho  a  si  grand' uopo  4 
Ti  die  ricovro  a  si  benigno  ospizio. 
Segui  pur  francamente  e  quinci  in  corto 
Ya  di  questa  magnanima  regina; 
Ch'io  già  t'annunzio  le  tuo  navi  e  i  tuoi 
Da  miglior  venti  in  miglior  parte  addotti 
Salvi  e  socuri  ornai,  se  i  miei  parenti  • 
Non  m'ingannar  quando  gli  auguri  appresi. 
Mira  là  sovra  a  quel  tranquillo  stagno 
Dodici  allegri  cigni,  che  pur  dianzi 
Confusi  e  dissipati  a  cielo  aperto 
[381-391] 


frano  in  preda  ni  fero  augol  di  Giovo, 

Coni'or.  sottratti  dal  suo  crudo  artiglio. 

Rimossi  in  lunga  od  oziosa  riga 

Si  rivolgono  a  torra,  e  già  la  radono. 

y  s\  cotn'  essi  con  gioiose  ruoto 

Trattando  l'aria,  col.cautar,' col  plauso 

Mostrato  han  d' allogria  fogno  e  di  scampo  ; 

Così  placato  il  maro,  a  pieno  velo, 

ji  |e  tue  nari  e  gli  tuoi  naviganti 

0  preso  lian  porto,  o  tosto  a  prender  l'hanno: 

Vattene  or  lieto  dte  'I  sentiur  ti  mena. 

Ciò  detto,  nel  partir,  la  nevo  o  l'oro, 
E  le  rose  del  collo  e  de  lo  chioino, 
Como  l'aura  morta,  diTina  luco 
g  divino  spirar  d'ambrosia  odoro; 
K  la  veste,  che  dianzi  tra  succinta, 
Con  tanta  maostà  lo  si  distese 
Infine  a'pi».  ch'a  l'andar  anco,  e  Dea 
Voracemente  e  Venere  mostrassi. 

Poscia  cho  la  conobbe,  t  la  sua  fuga 
0  formaro  o  seguir  più  non  potoo, 
Con  un  rammarco  tal  dietro  le  tonno: 

Ahi!  mndro,  ancora  tu  vèr  me  crudelt, 
A  cho  tuo  figlio  con  montile  larvo 
Tante  volto  deludi?  A  che  ui'ù  tolto 
13 DI -408] 


88  i/gtfKiDK. 

J)i  ouiiriiinper  In  mia  eoo  la  tua  destra  M 

Quando  Sa  limi  ch'io  possa  a  viso  aporM 

Vederti,  udirti,  ragionarti,  o  vora 

Riconoscerti  madre'/  Egli  in  tal  guisa  1 

Si  querelava:  e  verso  la  cittade 

Se  no  giano  invisibili  ambiduo: 

Chi  la  Dea,  sospettando  non  tra  via 

Fossero  distornati  o  trattenuti, 

Di  folta  nebbia  intorno  gli  coverse.  M 

Ella  in  alto  levossi.  e  Cipri  c  l'afo 

Lieta  rivide,  ov'  entro  al  suo  gran  templi  I 

Da  conto  altari  ha  cento  volte  il  giorno 

D'incensi  e  di  ghirlando  odori  e  fumi.  1 

Ed  ossi  intanto  in  vèr  le  mura  a  vista 

Qiunsor  do  la  città,  ch'ai  collo  incoutro 

Fe  lur  superila  o  speciosa  mostra. 

Meravigliasi  Enea  che  si  gran  ni.i  -chhJ 
Già  sorga,  ove  pur  dianzi  non  vedovasi'  I 
Fursi  altro  elio  foresto  o  che  tugurii.  ' 
ìliia  il  travaglio,  mira  la  froquonisia, 
E  le  porte  e  le  vio  pieno  di  strepito. 
Vede  con  quanto  arder  le  turbo  tirio  i 
Altri  :i  le  mura,  altri  a  la  ròcca  iiil.  ndonJ 
E  i  gravi  legni  o  i  gran         che  rolgo^H 
Questi, che  i  siti  ai  prnpi  i  .,11.  xxm  in.-.dcaod 
[•108-425] 


"|683-707|         usuo  li  29 
g  quel,  <°he  tipi  senato  e  degli  offici 
pl»nti"  lo  Cirio  e  i  fori  e  le  basilicho. 
,<-,.[•--•     prosso  al  mar  che 'I  porto  cavano; 
Qua  sott  i  al  colle,  ch'ta  teatro  fondano, 
pt,r  le  cui  «cono  1  gran  marmi  cho  tagliano, 
K  le  colonne  che  tant'alto  s'ergono. 
Le  rupi  o  I  monti,  a  cui  son  figli,  adeguano. 
Coii  tal  sogliono  industria  a  primavora 
sollecite  pecchio  al  aolo  esposto 
per  fiorite  campaguo  esercitarsi. 
Quando  lo  nuore  fòr  cresciute  genti 
Mandano  in  campo  a  cor  manna  o  rugiada, 
Pi  «leste  liquor  le  celle  ompiondo: 
0  quando  incontro  a  scaricare  i  pesi 
Van  do  l'altro compagne:o  quandoastuolo 
geacriano  i  fuchi,  ingorde  bestie  e  pigro, 
Cho,  solo  intento  a  logorar  l'altrui, 
Pj  le  conservo  lor  si  fan  presepi. 
Allor  cho  l'opra  ferve,  allor  elio  '1  mòlo 
Spargo  di  timo  d' ognintorno  odore. 

0  fortunati  voi,  di  cui  già  sorge 
H  desiato  seggio.  Enea  dicendo, 
A  parto  a  parto  lo  contempla  e  loda. 
Arriva  intanto  alla  muraglia,  o  chiuso 
No  la  sua  nube  (uiorariglia  a  ilirlo) 
1420-4U9J 


80  l'  «HitiDH.  [708-7 

Tra  (fonte  e  gente  va.  cho  non  è  visto. 
Era  nel  mezzo  a  la  cittadc  un  bosco 
Pi  sacro  rezzo  e  grato,  ove  sospinti 
Da  la  tempesta  capitaro  i  Poni 
Primieramente;  e  noi  fondar  trovaro 
Quel  cho  pria  da  Giunun  fu  lor  prodotto 
l»i  barbaro  dostrior  teschio  fatale. 
La  cui  sembianza  iuiagiue  e  presagio 
Fu  poi,  elio  quella  gonto  o  quella  terra 
Saria  por  molte  età  forace  o  fora. 
Qui  fabbricava  la  sidonia  Dido 
Un  gran  tempio  a  Giunone,  il  cui  gran  u 
K  i  doni  e  la  materia  o  l' artificio 
Lo  faceau  prezioso  o  venerando. 
Mura  di  marmo  avea,  colonne  o  frogi 
Di  mischi,  e  gradi  e  travi  o  soglio  0 
Di  risonante  e  solido  metallo. 
Qui  si  ristette  Enea;  qui  vide  cosa 
Che  tòma  gli  scomò,  spomo  gli  accreb 
E  di  paco  aflldollo  e  di  salute; 
Chè  mentre,  in  aspettando  la  regina 
Ch'ivi  s'attendo,  la  città  vagheggia. 
Mentre  nel  tempio  l'apparato  e  l'opre 
E  'I  valor  degli  artefici  contempla. 
Agli  ocelli  DM  parete  gli  s'offerse, 
[M0-466J 


[tS3-"5")  LIBRO  I.  81 

In  cui lllt,B  per  ordine  dipinta 
Era  di  Troia  la  fumosa  guerra. 
E  conosrfnti  a  lo  fattone  aiuto 
jYiiiin  il  ticiinno  re.  poscia  l'nigivo 
E  '|  fero  d'ambidiio  nimico  Achille, 
formossi.  e  lag-rimando:  0,  diane.  Acato, 
Mira  fi"  dote  è  la  notizia  aggiunta 
Pe  le  nostre  ruine!  or  quale  ha  '1  mondo 
l,.„...  che  pien  non  sia  do' nostri  affanni? 
Ecco  Priamo,  ecco  Troia;  o  qui  si  pregia 
Ancor  vcrtii:  chèTerità  non  regna 
1,^  've  umana  miseria  si  compiagne. 
Or  ti  conforta,  chò  tal  fatua  ancora 
Pi  prò  ti  ria  cagione  e  di- salvezza. 

Cosi  dicendo,  o  la  gii  nota  istoria 
Mirando,  or  con  sospiri,  ed  or  con  lutto 
Va  di  vana  pittura  il  cor  pascendo. 
E  conio  quoi  ch'a  Troia  il  tutto  vide, 
]  giti  rammentandosi  e  le  zuffe. 
Col  sembiante  riscontra  il  vivo  o  '1  vero. 
Quinci  vede  fuggir  le  greche  schiere. 
Quindi  le  frigio:  a  quello  Ettorre  infesto, 
A  queste  Achille,  a  cui  pareo  d'intorno 
Che  solo  il  suon  del  carro  o  solo  il  moto 
Pel  cimiero  avventasse  orrore  o  morto. 
[456-408] 


82  l'kskidk.  [758 

Nò  seuza  lacrimar  Reso  conobbe 
Ai  •;  -in.  i  bianchi,  ai  bianchi  padig 
Fatti  di  ganglio  in  mille  parti  rossi: 
Chè  sotto  v'era  Diomede,  anch' egli 
Insanguinato;  o  si  facea  d'intorno 
Alta  strage  di  geute  che  nel  sonno. 
Prima  elio  da  lui  nafte,  era  sepolta. 
Veden  quindi  i  cavalli  al  campo  addotl 
Che  non  poter  (fato  a' Troiani  avversi 
Di  Troia  erba  gustare,  o  hor  del  Xanti 
Scorge  d'un'altra  parte  in  fuga  vòl^ 
DroTlo,  già  senz'armi  e  senza  vita: 
Giovinetto  infelice,  che  di  tanto 
Disegnale  ad  Achille,  ebbo  ardimento 
Di  starli  a  fronte.  Egli  in  su  '1  voto  i 
Gincoa  rovescio,  e  strascinato  e  laceri 
Da' suoi  cavalli,  uvea  la  dostra  ancora 
A  lo  redini  involta,  e  '1  collo  o  i  crini  j 
Traoa  per  terra;  o  l'asta,  onde  tradii 
Portava  il  petto,  con  la  punta  in  l'iusol 
Scrivea  note  di  sangue  in  su  la  polve.fl 
Ecco  intanto  venir  di  Puli  i  al  tempa 
In  lunga  schiera  ed  ordinata  pompa  j 
I.o  donne  d'Ilio  a  far  del  peplo  offertati 
Battolisi  i  petti,  o  scapigliate  e  scalzo  9 
[409-481] 


1,88.tiu7|  LIMO  I.  88 

pujon  pn-gar  divotamento  afflitta 
Perdou»  o  pace:  ed  ella  irata  e  fera. 
Volto  lo  luci  a  torra  e  '1  tergo  a  loro, 
jt„*ti.i  fastidio  di  mirarli'  e  sdegno. 
Vedo  il  misero  Kttor  olle  gii  tro  volto 
Tratto  era  d'Ilio  a  la  muraglia  intorno. 
Vedo  il  padre  più  mhiero,  ch'in  forza 
Pei  dispiotato  e  suo  nimico  Achille, 
Oro  tu  premio  gli  dà  dui  suo  cadavere; 
Spettacolo  crndcl  che  gli  trafiggo 
Profondam«nte  empiii  d'ogn' altro  il  core. 
Oro  il  carro,  gli  arnesi  e  'I  corpo  stesso 
Vede  d'un  tanto  amico,  ed  un  ro  tale. 
Che  solo  e  disarmato  o  suppliclierolc 
Stassi  a  Poccidltor  del  figlio  avanti. 

VI  riconobbe  ancor  sii  stesso,  ov'ora 
A  dura  mischi»  incontro  a' greci  croi. 
Riconobbe  lo  stuoì  cho  d'Oriento 
Addusso  de  l'Aurora  il  negro  figlio: 
E  lui  raffiguro,  che  di  Vulcano  _ 
Avca  lo  sbergo  e  l' armatura  in  dosso. 

Scorge  d'altronde  di  lunati  scudi 
guidar  Pontcsilèa  l'armate  schiero 
De  l' Amazzoni  sue:  guerriera  ardita. 
Che  succinta,  e  ristretta  in  fregio  d"  oro 

Ciao. -3.  [481-492] 


81  l'  jnkidk.  (803-8B 

L'adnsta  mamma,  ardento  e  furiosa  j 
Tra  mille  c  mille,  ancor  che  donna  e  vi-rglH 
Di  qiTal  sia  cavalier  non  turno  it.r  -|  i  ••.  I 
Stava  da  Unte  meraviglie  ad  una  ■  ■ 
Sola  vista  ristretto,  attento  o  fiso  I 
Enea  pien  di  vaghezza  e  di  stupore;  1  I 
Quand'ecco  la  regina,  accompagnata  I  I 
Da  rcal  corte,  con  real  contegno  I 
Entro  al  tempio  bellissima  comparve,  Il 
Qual  sti  le  ripo  do  I'  Eurota  suolo,  I 
O  no'gioghi  di  Cinto,  allor  DTana  '  I 
Ch'a  l'Orèadi  suo  la  caccia  indice,  | 
A  mille  cho  le  fan  cerchio  d'intorno,  I  I 
Divisar  vari  offici,  e  faretrata,  j 
Da  la  faretra  in  su  gir  sovra  l'altro  I 
Neglettamente  altera,  ondo  a  Latona  I  I 
S'intenerisco  per  dolcezza  il  core;  I 
Talo  era  Dillo,  e  tal  per  mezzo  a'  suo!  1 1 
So  ne  già  lieta,  e  dava  ordino  e  forma  I 
Al  nuovo  regno,  ai  magisteri,  a  l'opre*  I 
Giunta  al  cospetto  de  la  Diva,  in  inoM 
De  la  maggior  tribuna,  in  alto  assisa. m 
Cinta  d'armati,  in  maestà  si  pose:  | 
E  mentre  con  dolcezza  editti  e  leggi  I 
Porgo  a  la  gente,  o  con  egual  compengfl 
[492-608] 


|t0„re  distribuisce  e  le  fatiche: 
jjrolg'-ndosi  Knoa,  nel  tempi»  stesso 
Tede  da  groii  concorso  kttoroeggiati 
Entrar  Sorgeste,  Aule*,  Chiantu  •<  tri i  nitri 
Troiani,  cho  di»  sò  disertanti  e  sparsi 
Arca  dianzi  del  mar  P  aspra  tempesta. 
gtnp„ri  timor,  letizia,  tenerezza 
y  ,!,,;„  d'abbracciarli  e  di  mostrarsi 
Assalir1'  i"  1111  tempo  Acato  e  Ini. 
«a,  dui'»  del  successo,  entro  la  nnbo 
pjssimulamto  se  m  stero,  e  cheti, 
Per  rltrar  che  seguisse,  c  cho  seguito 
Tosse  già  do  ,e  navi  c  ""«'compagni. 
Pi  cni  questi  erin  primi  o  gli  più  scelti 
Di  ciascun  legno.  E  già  pieno  ora  il  tempii 
pi  tumulto  e  di  roti  ch'altamente 
gi  scutian  vènia  risonaro  e  paco. 

Poiché  faro  cntromessi,  e  ch'udTcnza 
fa  lor  concessa,  il  saggio  llronco. 
Prese  umilmente  in  colai  guisa  a  d'rc  : 

Sacra  Regina,  a  cui  dal  ciolo  è  dato 
fondar  nuora  cittade,  e  con  giustizia 
Por  freno  a  gente  indomita  c  superba. 
Noi  miseri  Troiani,  a  tutti  i  rcnti, 
A  tutti  i  mari  ornai  ludibrio  e  scherno, 
[508-524] 


SC  I.'  KSKIDK.  [S59-{8 

Caduti  dopo  l'onde  in  preda  si  foco  , 
Clio  dnrtuoi  si  miiincciti  ai  nostri  I<gnfl 
Frcghianti  a  proveder  che  nel  tuo  rogai 
Non  si^commetta  un  si  notando  eccesos 
Fa'  cosa  di  te  degna,  abbi  di  noi 
Pietà,  che  pii,  che  giusti,  eh'  innocenttfl 
Siamo,  non  predatori,  non  corsari 
De  le  vostre  marine  o  de  l'altrui: 
Tanto  i  viuti  d'nrliro,  e  gl'infelici 
D'orgoglio  e  di  superbia  oimò!  non  In 
Una  parto  d' Europa  è,  che  da'  tiraci 
Si  disse  Esperia,  antica,  bellicosa, 
E  fortil  terra,  dagli  Kuotrii  cólta. 
Vrima  Enotria  nomossi,  or,  come  è  fa 
Preso  d'Italo  il  nome,  Italia  è  detta. 
Qui  'I  nostro  corso  era  diritto,  quando] 
Otffon  tempestoso  i  venti  e  '1  maro 
SI  repente  commosse,  o  mar  si  fero, 
Tonti  si  pertinaci,  o  nembi  o  turbi 
Cosi  rabiosi,  che  sommersi  in  parto 
E  dispersi  n'ha  tutti:  altri  a  le  sveebi 
Altri  a  gli  scogli,  ed  altri  altrove  ha  api 
K  uni  pochi,  di  tanti,  ha  qui  condotti* 
Ma  qual  si  cruda  gente,  qual  si  fera 
E  barbara  città  quc9t'uso  appruova, 
1524-540J 


jgg3-907)  libbo  i.  87 

Che  no  sia  proibita  auco  l'arena? 
Che  guerra  ne  si  muova,  o  no,  si  Tioti 
pi  6tar  ne  l'orlo  de  In  terra  n  pena? 
Ah!  6°     l'armi  e  >le  le  genti  umane 
KulU  ri  cale,  a  Di»  mirato  almeno, 
Cho  da'  c'e'  TWlo,  *  riconosco  I  meriti 
v  i  demeriti  altrui.  Capo  e  re  nostro 
gr»  pur  dianzi  Knea,  di  cui  più  giusto, 
più  pio.  più  Pr0'  no  ''«rml,  più  sagaco 
Guerrier  non  Tu  già  "">'•  So  questi  ù  vivo, 
ge  spira,  se  il  destin  non  ee  l'invidia, 
Quanto  ne  speriam  noi,  tanto  potresti 
Tu  non  pentirti  a  provocarlo  in  prima 
A  cortesia.  Ne  la  Sicilia  ancora 
Arem  terre,  avem'anui.  avomo  Aeeste 
Che  n'è  signore,  ed  ò  de' nostri  anch' egli. 
Quelcho  vi  domandiamo  ò  spiaggia.èselva, 
t  vitto  da  munir,  da  risarcirò 
I  voti  e  Manchi  o  sconquassati  legni, 
Per  poter  lieti  (ritrovando  il  duca 
B  gli  altri  nostri,  o  so  pur  mai  n'è  dato 
Wdi-r  l' Italia)  ne  l'Italia  addurne: 
Ha  se  nostra  salute  in  tatto  è  spenta. 
Se  te  nostro  signor,  nostro  buon  padre, 
Pi  Libia  ha  '1  mare,  e  più  speranza  alcuna 
1540-550 I 


88  -    i.*  bnkiok.  [008-98 

Non  ci  rimali  del  giovinetto  Iulo 
Almen  tornar  no  la  §icouia,  onil'ora 
Siam  qui  venuti  e  dove  il  buou'Acesta 
N'  è  parato  mai  sompre  ospito  e  rego. 

Al  dir  d' Monco  fremendo  tutti 
Assentirono  i  Teucri,  o  la  regina 
Con  gli  occhi  bassi  e  con  benigna  voco 
Brevemente  rispose:  0  miei  Troiani, 
Toglietevi  dal  coro  ogni  timore. 
Ogni  sospetto.  Gli  accidenti  atroci. 
La  novità  di  questo  regno  a  fon» 
Mi  fan  s\  rigorosa,  e  si  guardinga 
De' miei  confini.  K  chi  di  Troia  il  nome. 
Chi  do'Troinni  i  valorosi  gesti, 
E  l'incendio  non  sa  di  tanta  gucira? 
Non  han  però  si  rozzo  coro  i  I'oui  : 
Non  si  lungo  da  lor  si  gira  il  aolo, 
Cho  nò  pietà  nò  fama  iniqua  v'arrivo. 
Voi  di  qui  sempro,  o  de  la  grand'  Et|  eri 
E  di  Saturno  cho  corchiate  i  campi. 
0  che  vogliate  pur  d' Acosto  e  d'Kiice 
Tornare  ai  liti,  in  ogni  caso  lil»  ri 
Vo  n'andrete  o  sicuri.  Ed  io  d'aita 
Scarsa  non  vi  sarò,  nò  di  sossidio: 
E  so  qui  dimorai-  moco  voleste, 
fwO-5721 


I983-9Ó"]  libro  i.  89 

Onesta  è  vostra  eittà.  Tirato  ni  tifo 

Vostri  rinvili:  elio  da' Teneri  a' Tiri 

Kulln  scelta-faro,  nullo  di v uro. 

Cosi  V"  Tosse  il  vostro  re  con  voi! 

Cosi  ci  capitasse!  Ma  cercando 

Io  manderò  di  lui  Ano"*  l'estremo 

Po' mici  contini  la  riviera  tutta, 

Se  per  sorte  gittate  in  queste  spiaggo 

Per  selve  errando  o  per  eittadi  andasse. 

Bincorossi  a  tal.diro  il  padro  Enoa 
c  '1  f.n  ti'  Acati  -,  o  di  squarciare  il  velo 
Stavan  già  dostosi.  Acato  il  primo 
«osso  dicendo:  amai;  signor,  che  pensi? 
Tutto  ò  sicuro,  e  tutti  a  salvamento 
I  nostri  legni  o  i  nostri  amici  avemo. 
Sol  un  no  manca;  o  queste  a  noi  davanti 
J|  mar  sorbissi.  Ogni  altra  cosa  al  dotto 
pi  tua  madro  rispondo.  A  pena  Acato 
Ciò  disse,  che  la  nugola  s'aporso, 
Assottigliossi  o  col  ciol  puro  unissi. 
Rimase  in  chiaro  Enea,  telo  ancor  egli 
pi  chiarezza  e  d'aspetto  e  di  statura. 
Che  <:»me  un  Dio  mostrassi:  e  hen  a  Doa 
Era  figlino!,  che  di  bellezza  è  madre, 
l.i  degli  occhi  spirava  e  do  le  chiome 
[573-5a0] 


40  KNEinK.  (9jS-JB« 

Qaci  chiari,  lieti  o  giovenlli  onori 
Ch'olla  stessa  di  lui  madre  gl'infuse. 
Tale  aggiungo  l'artefice  vaghozia 
A  l'aTorio,  a  l' argento,  al  pnrio  marmo,  1 
Se  di  Un'oro  li  circonda  e  fregia. 
Cotal,  comparso  d'improviso  a  tutti. 
Si  fece  avanti  a  la  regina,  e  disse: 

Quegli  che  voi  cerante  Knca  troiano,  | 
Son  qui,  dal  mar  ritolto.  A  te  ricorro 
Vera  regina,  a  te  sola  pietosa 
Do  le  nostro  ineffabili  fatiche. 
Tu  noi,  rimasi  al  ferro,  ni  fuoco,  a  l'onde 
D'ogni  strazio  bersaglio,  d'ogni  cosa 
Bisognosi  o  menditti.  nel  tuo  regno 
E  nel  tuo  albergo  umanamente  accogli.  I 
A  renderti  di  ciò  merito  eguale 
Bastante  non  son  io  ne  fòran  quanti 
Do  la  gente  di  Dàrdano  discosi 
Vanno  per  l'universo  oggi  dispersi. 
Ma  gli  Dei  (s' alcun  Ilio  di-' burnii  b:i  cura^ 
Se  nel  mondo  ò  giustizia,  so  si  truova  I 
Chi  d'altamente  adoperar  s'nppagbc)  I 
To  ne  diati  guidordono.  Ktà  folice  ! 
Avventurosi  genitori  e  grandi 
Che  ti  diedero  al  moudu!  lutili  oh'  i  fiumi 
[691-007] 


[988-1007]        LIBRO  L  il 
Si  rivolgono  al  more,  infln  eh' a' monti 
SI  eirnn  l' ombro,  ìnfìn  c'ha  stelle  il  ciclo, 
]  tuoi  pregi,  il  tuo  nome  e  le  tue  lodi 
iti  saran  sempre,  ovunque  io  sìa,  davanti. 

Ciò  detto, lietamente  a' suoi  rivolto, 
Al  caro  Monco  la  destra  porse 

sinistra  a  Sorgeste,  e  poscia  al  forte 
Cloanto.  al  Corto  Ola,  l'un  dopo  l'altro 
Tutti  gli  salutò.  Stupì  Unione 
Nel  primo  aspetto  d'un  al  nuovo  caso, 
E  d'un  uom  tale,  indi  riprese  a  dire:  • 

Qual  forza,  o  qual  destino  a  tanti  rischi 
T'hanno  in  si  strani,  in  si  feri  paesi 
Esposto,  o  do  la  Dea  famoso  figlio? 
E  sci  t"  quell'Enea  clic  in  su  la  riva 
pi  Simocnta  il  gran  dardanio  Anchise 
pi  Venere  produsse?  Io  mi  ricordo 
QUC|  che  n'intesi  già  da  l'onero,  quando 
Fuor  di  sua  patria,  il  suo  padro  fuggendo, 
Nuovi  regni  cercava.  Egli  a  Sidone" 
Venne  in  quel  tempo  a  dar  sussidio  a  Belo. 
Bolo  mio  padre. allor  face»  l'impresa 
E  'I  conquisto  di  Cipro.  Infili  d' allora 
Io  del  caso  di  Troia  e  del  tuo  nome 
Edo  l'oste  do' Greci  ebbi  notizia. 
[607-624] 


42  i/imrroit.     1 1008-1032] 

Ed  ci  di'  cri»  si  rio  nimico  vostro,  4 

Celebrava  il  valor  di  voi  Troiani, 

E  trar  volea  da  Troia  il  suo  lognaggin. 

Voi  da  ino  dunque  amico  c  fido  ospizio, 

(iiovini,  aretc.  E  me  fortuna  ancora, 

A  la  vostra  simile,  ha  similmente 

Per  molti  affanni  a  questi  luoghi  addotta; 

SI  che  natura  o  sofferenza  e  pruova 

De'miei  stossi  travagli  ancor  me  fauno 

Pietosa  o  sovvenovole  agli  altrui. 

Ciò  detto.  Enea  cortesemente  adduca  > 
No  la  sua  reggia.  In  ogni  tempio  indico  • 
Feste  e  preci  solenni.  Ordina  appresso 
Che  si  mandino  al  mar  venti  gran  tori, 
Cento  gran  porci,  cento  grassi  agnelli  » 
Con  cento  madri,  e  Ciò  eh- a' suoi  compagl 
Per  vitto  e  per  letizia  è  di  mosticro. 
Dentro  al  rea!  palagio,  realmente. 
Po'  più  gentili  e  sontuosi  arnesi 
Il  convito  o  lo  stanze  orna  e  prepara; 
Cuopre  d'ostro  le  mura:  empie  le  mense  I 
D'argento  e  d'oro,  ove  per  lunga  seri*  I 
Son  de' padri  e  degli  avi  i  fatti  egregi. 

Enea,  cui  la  paterna  tenerezza 
Quetar  non  lascia,  a  le  sue  navi  iunand 
[625-644] 


M033  1057]       libro  i.  4! 
Patto  spedisco  Acute,  elio  di  tutto 
igcanio  avviai,  od  a  ai  tosto  il  moni: 
Chi'  in  Asoanioliiai  sempre  intento  e  Uso 
gin  ,1.-1  suo  caro  padre  ogni  pensiero, 
gli  comanda,  oltro  a  ciò,  eh' a  la  resina 
Porti  alcuno  a  donarjipoglie  snporbo 
Che  si  salvàr  da  la  ruina  a  pena 
E  dal  foco  di  Troia:  un  ricco  manto 
Ricamato  a  figure,  e  di  fin' oro 
Tutto  contesto:  un  prezioso  velo. 
Cui  di  pallido  acanto  un  ampio  fregio 
Trapunto  era  d'intorno:  ambi  ornamenti 
p'Klciia  arginile  di  sua  madie  Leda 
Mirami  dono.  In  questo  avea  le  biondo 
Sue  chiome  avvolte  il  di  che  di  Micene 
i  nuove  nozze,  c  non  concesso,  uscio; 
E  porli  nni'O  lo  scettro,  onde  superba  » 
lllone  di  Priamo  «fa  giva 
Primogenita  figlia,  o'I  suo  ninnilo 
])i  gran  lucido  porle;  o  quella  stessa. 
Onde  'I  Tronto  cingcn,  doppia  corona, 
pi  gemme  orientali  ornata  e  «l'oro. 
Tutto  ciò  procurando  il  fido  Acato 
In  vèr  le  navi  accelerava  11  piede. 
Venere  intanto  con  nuov'arte  o  nuovi 
[644-6571 


41  l'mn.  [1058-10881 

Consigli  s'argomenta  ti  far  che  in  reco  I 
E  'il  sembianza  d'Ascanio  il  suo  Cu)iiilo  I 
Se  no  rada  in  Cartago;  e  con  quei  doni,  1 
Con  lo  dolcezzo  suo,  con  la  sua  face 
Alletti,  incenda,  amor  desti  e  furoro 
Nel  petto  a  la  regina,  ondo  sospetto 
Più  non  aggia  o'I  suo  regno,  o  I»  p>  rfidia. 
De  la  sua  gente,  o  di  Giunon  l' insidio. 
Che  da  pensare  e  da  regghiar  le  danno 
Tutto  le  notti.  E,  fatto  «  sò  veniro 
L'alato  Dio.  cosi  seco  ragiona: 

Figlio,  mia  forza  e  mia  maggior  possanza! 
Figlio,  che  del  gran  padre  anco  non  ti  mi 
1,'orribil  tèlo,  onde  percosso  giacquo 
Chi  ne  die  fin  noi  ciel  briga  e  spavento,  J 
A  tè  ricorro  o  dal  tup  nume  aita 
Chieggo  a  l'altro  mio  figlio  Kiien  tuo  fratta 
Como  Giono  il  persegua,  e  corno  l'aggi»  I 
Per  tutti  i  mari  ornai  spinto  o  travolto,  1 
Tu  '1  sai  che  del  mio  duo!  ti  sei  doluto 
Più  volto  meco.  Or  la  sìdonia  Pido 
L'ave  in  sua  forza,  e  con  benigni  e  dolci  j 
Modi  fin  qui  l'accoglie  e  lo  trattiene 
Ma  In  dov'è,  lassai  che  vai,  comunquo 
Sia  caramento  accolto?  in  casa  a  Giuno 
[607-671] 


«083-11*7]       unno  L 
pa  |c  cnrerip'incor  chi  m'nssecura? 
Ch'illa  più  neghittosa,  o  mono  atroco. 
In  un  ^aso  non  fia  di  tanto  affare. 
y  però  eon  astuzia  o  con  inganno 
Cere.'  ili  prevenirla,  e  del  tuo  foco 
Ardere  il  cuor  de  la  regina  in  guisa. 
Ch'altro  nume  noi  rilute,  e  meco  l'ami 
n' immenso  affetto.  Or  come  agevolmente 
Ciò  porre  in  atto  e  conseguir  si  possa, 
Ascolta.  Enea  manda  testo  chiamando 
]]  suo  rcgio'fancùillo,  amor  supremo 
pel  caro  padre,  o  mio  sommo  diletto, 
perchè  de'Tirii  a  la  citta  sèn  vada 
Con  doni  ala  regina,  che  di  Troia 
a  l'incendio  avanzarono  ed  al  mare. 
Questo  vinto  dal  sonno,  o  sopra  l'alta 
Citerà,  o  dentro  al  sacro  bosco  Idalio 
Terrò  celato  si  ch'ei  non  s'accorga. 
Ed  accorto  di  ciò  non  faccia  altrui 
Con  alcun  suo  rintoppn.  K  tu  che  puoi, 
Fanciullo,  il  noto  fanciullesco  aspetto 
Mentire  acconciamente,  in  lui  ti  cangia 
Sola  una  notte,  e  gli  suoi  gesti  imita, 
E  quando  Dido  al  suo  rcal  convito 
jticovcratti,  e,  corno  a  mensa  fassi, 
IG71-085] 


46  b>«M.  [110S-113q 

Sarà,  borendo  e  ragionando,  allegra; 
Quando,  come  fari,  cortese  in  grembo 
Torratti,  abbfaccoratti,  e  dolci  baci 
Porgoratti  sovente,  a  poco  a  poco 
11  tuo  foco  le  spira  e  'I  tuo  volono. 

Al  voler  della  sua  diletta  madro 
Pronto  mostrossi  e  baldanzoso  Amoro,  l 
E  fritto  l'ali;  ed  in  un  tempo  l'abito 
E  '1  somblanto  e  l'andar  preso  di  Iulo. 
Ciprigna  intanto  al  giovinetto  Ascatilo  I 
Tale  un  profondo  o  dolce  sonno  infuse,  1 
E'n  guisa  l'adattò,  dio  agiatamente 
In  grembo  lo  si  tolse;  o  ne  la  cima 
Do  la  selvosa  Idalia,  entro  un  cespuglio 
Di  lieti  dori  e  d'odorata  persa, 
A  la  dolce  aura,  a  la 'frese' ombra  il  poso. 
Cupido  co' suoi  doni  allogiamento, 
Per  far  quanto  gli  avoa  la  madie  imposto. 
Con  la  guida  si  pon  d' Acatc  'n  via. 
Giunse,  cho  giunta  era  Didonc  appunto  I 
Ne  la  gran  sala,  cho  di  fini  arazzi, 
Di  fior,  di  fiondi  e  di  festoni  intorno 
Era  tutta  vestita,  ornata  o  sparsa. 
E  già  sopra  la  sua  dorata  sponda 
Con  real  maoi  tà  s'era  nel  mozzo 
1685-6931 


[|  13!»- 1157]       limimi  t  *7 

^  tutti  gli  «Uri  alteramente  a«sl«». 
Appresso  Enea,  poscia  di  ninno  in  nmuo 
Sopra  ilrappi  ili  porpora  c  di  gota 
Si  -.ti'ndoa  la  troiana  gioventute. 
iì:  ,  con  l'acqua  o  con  Geroro  a  li'  mense 
illi  mirati  vasi  e  i  nitidi  canestri 
£  j  bianchissimi  lini  tran  comparsi. 
Stavano  dentro,  a  le  rirande  intorno, 
intorno  a' fuochi,  a  dar  ordino  n'eihi 
Cinquanta  ancelle,  ed  altre  conto  fuori 
Con  altrettanti  d^una  (tessa  etadu 
Tra  scudiori  o  piucerut;  e  eli  ntiii  tutti 
Si  riempiron  di  Tiri),  a  cui  le  incnso 
Pi  tnpeti  dipinti  eran  distese. 
"  A  l'apparir  del  giovinetto  lulo. 
Corner  tutti  a  mirare  il  manto  c'I  velo 
g  gli  altri  ch'adducea  leggiadri  arnesi,* 
i.  sentir  quollo  suo  Ante  parolo, 
A  contemplar  quel  grazioso  aspetto, 
Ch'  ardore  e  deità  raggiava  intorno. 
Ma  sopra  tutti l'infelico  Dido 
Non  potea  nò  la  vista  nò  'I  pensioro 
Saziar,  mirando  or  gli  suoi  doni,  or  lui; 
E  com'più  gli  rimira,  e  più  s'accende. 
Poiché  lunga  fiata  umile  o  dolce 
.  [698-716] 


jg  t/BXKIDC.  [11&8-U8 

Del  non  suo  genitor  penti;  dal  rollo 
E  Anso  di  flgliuol  vorace  affetto. 
Si  volse  alla  regina.  Ella  con  gli  occhi, 
Col  jicnsier  tutto  lo  contempla  e  mira: 
Lo  pall'ii.  o  'I  bacia,  o  'il  grembo  1"  >i  roc»J 
Misera!  che  non  sa  quanto  gran  dio 
S'annidi  in  sono.  Ei  de  la  inadro  intanto 
Rimembrando  il  precetto,  a  poco  a  poco  ; 
De  la  monte  Sichèo  comincia  a  trarlo.  . 
Con  vivo  amoro  e  con  visibit  Mamma 
Rompendolo  dol  core  il-duro  smalto, 
EJntroducondo  il  suo  già  spento  affetto. 
*Coasati  i  primi  cibi,  o  da' ministri 
Già  le  monso  rimosso,  occo  di  nuovo 
Comparir  nuovo"  tazze  o  vino  e  fiori, 
Per  lietamente  incoronarsi  o  bore. 

Quiuci  un  rumoroggiare,  un  riso,  un  giubjp 
Che  d'allogrozza  empian  le  sale  e  gli  atrUj 
E  i  torchi  o  lo  lumiore  che  pendevano  ] 
Dai  palchi  d'oro,  poiché  notte  focosi, 
Yinccano  il  giorno  o  '1  sol.non  elio  lo  tenoHfl 
Hai  fattosi  Didono  un  vaso  porgerò 
D'oro  gravo  o  di  gommo,  ov'ora  solito 
Ne' conviti  o  no'dl  solenni  e  colebri 
Ber  Belo,  o  gli  altri  che  da  Belo  uscirono,] 
[715-780] 


|1 133-1207]       uno,.  49 

pi  fioi  iornollo, edi  vin  vocchio empiendoli) 

Orò  cosi  dicendo:  Eterno  Giare. 

Che.  Albcrgator  nomato,  lini  dog-li  alberghi 

I  !   !    -"i  tesie  cura  e  dilotto, 
prò-goti  chV  Fonici  ed  »'  Troiani 
fausto  sia  questo  giorno,  e  memorando 
Sempre  a'  posteri  loro.  E  to.  Lièo, 
ljirgitor  di  letizia,  n  te,  celcsto 

buona  ninno,  a  questa  preso  invoco. 
Voi  co'  vostri  favori,  e  Tiri  e  Peni, 
prestato  a'  prìegbwnicl  devoto  assenso. 

Ciò  detto,  riversollo,  e  lievemente  ' 
pel  sacrato  liquor  la  mensa  asperso, 
poscia  ella  in  prhna  con  le  prime  labbia 
Tanto  sol  ne  sorbi  quanto  n'attinse. 
jn,li  con  dolco  oltraggio  e  con  rampogno 
A  Bilia  il  diò,  cliO'Vulorosumcnto 
A  piena  bocca  indilo  a  l'aureo  fondo 
Vi  si  tuffò  col  volto,  e  vi  s'immerso. 
Ciò  seguir  gli  altri  croi.  Comparve  intanto 
Co'  capei  lunghi  o  con  la  cetra  d'oro 

II  biondo  lupa;  e,  qua)  Febo  novello. 
Cantò  del  elei  lo  meraviglio  e  i  moti 
Chedal  gran  vecchio  Atlante  Alcide  approse. 
Cauto  le  vie  cho  drittamente  torto 

C*bo.  -  4.  [730-742J 


50  KKKIDK.  [1208-195 

Boudon  vaga  la  luua  o  buio  il  solo; 
Conio  prima  si  fer  gli  uomini  o  i  bruti; 
Coni' or  si  fan  lo  piogge  e  i  venti  e  i  folgori! 
Cantò  l'Inde  e  l'Orso  o  '1  Carro  o  '1  Cornei 
E  perchè  tanto  a  l' Oceano  il  verno 
Yadan  veloci  i  di,  tarde  le  notti. 

l'n  novo  plauso  iheominciaro  i  Tiri: 
Seguirò  i  Teucri;  e  l'infelice  Dido 
Cbo  giù  fea  dolce  con  Enoa  dimora. 
Quanto  bevesso  amor  non  s'accorgendo,  ' 
A  lungo  ragionar  soco  si  poso 
(^.li  Pritmc.ord'Kttorrc.orconqiial'arml  j 
Vonisso  a  Troia  de  l'Aurora  il  figlio. 
Or  qual  fosse  Diomede,  or  quanto  '.  '  .'le. 
Anzi,  so  non  t'è  grave,  nlfiu  gli  disse, 
Incomincia  a  contar  fin  da  principio 
E  l'insidio  de'  Uroci,  e  la  mina 
E  l'incendio  di  Troia,  «'1  corso  intero 
Degli  errar  vostri:  già  che  'I  settiiu'auni 
E  per  terra  e  por  mar  raminghi  andato, 
[742-75GJ 


DELL'  ENEIDE 


Libro  Secondo. 

Starmi  taciti,  attenti  o  disiosi 
p'udir  già  tatti,  quando  il  padre  Enea 
jp  sò  raccolto,  a  cosi  dirMa  l'alta 
Su»  sponda  incominciò:  Dogliosa  istoria 
v  d'amara  o  (l'orridi!  rimembranza, 
Regina  cccolsa,  a  raccontar  m'inviti: 
Como  la  gii  possente  o  gloriosa 
jlia  patrio,  or  divieta  dogna  o  di  pianto, 
fesse  per  man  de'  Greci  arsa  e  distrutta, 
j  qual  no  vid'io  far  mina  e  scempio: 
Ch'io  stesso  il  ridi,  od  io  gran  parto  fai 
])<jl  suo  caso  infelice.  E  chi  sarebbe, 
incoi  che  Croco  o  Mirinidouo  o  Dólopo, 
Che  a  ragionar  di  ciò  non  lagriinasso? 
E  già  la  notte  inchina,  e  già  lo  stello 
Sonno,  dal  cicl  caggendo,  agli  occhi  infondono  : 
ila  so  tanto  d'udirò  i  nostri  guai, 
je  Brevemente  di  saror  t'aggrada 
L'ultimo  occidio.-ond'clla  arse  o  cadóo, 


52  l'exhidk.  [20-' 

Benché  lutto  c  dolor  mi  rlnorcllo, 
E  sol  de  la  moineria  mi  sgomente; 
la  lo  pur  conterò.  Sbattuti  e  stanchi 
IH  guorreggiar  tant'anni  o  risospiuti 
Ancor  da'  fati,  i  greci  condottieri 
A  l'insidie  si  diero;  e  da  Minorva 
Divinamente  istrutti,  un  gran  eavallo 
lii  ben  contesti  e  bcu  confitti  abeti 
In  sembianza  d'un  monto  edificare 
Poscia  finto  che  ciò  fosse  per  voto 
Del  lor  ritorno,  di  tornar  sombianto 
Esecra  tal,  che  se  ne  sparse  il  grido. 
ITentro  al  suo  cieco  ventre  e  ne  le  grotl 
Che  molte  erano  e  granili  in  si  gran  ma' 
liinchiuscr  di  nascosto  nnne  o  guerrieri 
A  ciò  por  sorte  e  per  valore  ciotti. 

(liacc  di  Troia  un'isola  in  cospetto  ' 
(Ténedo  ò  detta)  nssai  famosa  e  ricca,  \ 
Montro  ch'Ilio  fioriva.  Ora  un  ridotto  | 
£  sol  di  naviganti  e  di  navili, 
Infido  seno,  e  mal  secura  spiaggia. 
Qui,  poiché  di  Sigòo  sciolse  e  sparlo, 
La  greca  armata  si  rattenne.  e  dietro 
Appiattissi  al  suo  lito  ermo  e  deserto. 
E  noi  credemmo  elio  veracemente 
[12-25] 


J4.-.-69]  Mimo  n.  63 

fosse  partita,  o  che  a  spiegate  vele 
Gisse  a  Micene.  Onde  la  Tcucria  tutta. 
Già  cotant'anni  logriUMa  •  mosto, 
Volt«  ne  fa  subitamente  in  gioia. 
g-3|.rtr  lo  porte,  uscir  d'Ilio, ^  d'intorno 
Ì#  genti  tutto,  disios<r  o  liete 
pi  veder  voti  i  campi  o  sgombri  i  liti, 
fjli'rràn* coverti  pria  di  itavi  e  d'anni. 
Qui  t'accampava  Achille,  e  qui  do'  Dòlopl 
Eran  1°  tende-;  ivi  suloan  le  KittTo 
farsi  ùV  cavalieri,  e  là  de'  fanti, 
piccati  pnrtc  vacando,  e  parte  accolti 
l'aceau  mirandoci  gran  destriero  intomo 
Jleraviglio  o  discorsi:  o  chi  per  sacro, 
>;  chi  per  esecrando  il  voto  e  'I  dono 
Areali  di  l'alia.  Il  primo  fu  Timoto 
A  dir  ch'entro  lo  mura,  no  la  ròcca 
Quindi  si  conducesse,  o  froda,  o  fato 
Che  ciò  fosse  do'  misori  Troiani. 
Ha  Capi  e  gli  altri,  il  cui  più  sano  avviso 
0  per  insidioso,  o  por  sospette. 
Quantunque  sacre,  avea  lo  grocho  offerte, 
Voltano,  o  cho  del  mar  fosse  nel  fondo 
Precipitato,  o  che  di  Damme  ardenti 
Si  circondasse,  0  che  forato  c  lacero 
[20-88] 


54  l'kneidx.  [70- 

61  i  fosse  il  petto  c  sviscerato  il  fianco. 

Stava  fra  questi  duo  contrari  in  forse 
In  duo  parti  diviso  il  volgo  incerto; 
Quando  con  grau  caterva  e  con  gran  fa 
]>a  la  rócca  discese,  o  di  lontano 
Gridìi  I.aocoonte:  0  ciechi,  o  folli, 
0  sfortunati!  agli  nemici,  a'  Oroci 
Dato  credonaaV  a  lor  credote  voi 
Clio  sian  parliti?  e  sarà  inai  che  doni 
Siiyo  i  lor  doni,  c  non  più  tosto  inganni! 
Cosi  v'ò  noto  L'Iisso?  0  in  questo  legna 
Sono  i  Greci  rinchiusi,  o  questa  ò  macchi 
Contra  allo  nostre  mura,  o  spia  per  entra 
Ai  nostri  alberghi,  o  scala  o  torre  o  pon" 
Per  di  sopra  assalirne  E  cho  che  sia* 
Corto  o  vi  cova  o  vi  si  ordisco  inganno, 
Chii  de'  Pelasgi  o  do'  nemici  è  '1  dono. 

Ciò  detto,  con  gran  forzauna  grand' 
Avventògli,  o  colpillo,  ove  tremanto 
Stette  altaincnto  infra  duo  costo  infissa! 
E  '1  destricr  conio  fosso  o  vivo  e  fiero, 
Fieramente  da  spron  punto  cotale. 
Si  storcò.  si  crollò,  tonògli  il  ventre, 
E  rintonàr  lo  suo  cave  cavorne. 
E  so  '1  fato  non  era  a  Troia  avverso, 
138-54] 


[95-119]  libro  n.  55 

ge  lo  monti  orati  sano,  uvea  quel  colpo 
Cià  commossi  infiniti  a  Incorarlo, 
j.;  ,11  tutto  a  scovrir  !' ««guato  argolieo: 
Ond'oggi  e  tu.  grand'  Ilio,  e  tu,  diletta 
Troia,  staresti.  Ma  si  vide  intanto 
pe'  pastor  paesani  uni»  masnada 
Venir  ((ridando  al  re.  ch'ivi  era  giunto, 
E  trargli  aranti  un  giovino  prigione 
Ch'area  dietro  le  mani  al  tergo  avvinto. 
Q,„  sti  ora  g/eco;  s  da' «noi  Orcci  area 
pi  salvare  II  destrier,  d'aprir  lor  Troia 
Ass,uito  impresa;  e  per  condurla,  a  tempo 
Ascosto,  a  tempo  a  quel  pastori  offerto 
gVra  per  sò  medesmo,  in  sé  disposto 
%  fermo  di  due  cose  una  a  finire, 
0  quest'opra,  o  la  vit«.  A  ciò  concorso, 
per  disio  di  vedere,  il  popol  tutto 
pai  cavai  si  distolse,  e  dicssi  a  gara 
A  schernire  il  prigione.  Or  ascoltato 
malizio  do'  Greci  :  e  da  quest'uno 
Conosceteli  tutti.  Egli  nel  mozzo 
Cosi  com'era  a  lo  ncmlcho  schiero. 
Turbato,  inerme  e  di  catono  avvinto, 
Fermossl:  o  poi  che  rlmirollo  intorno, 
Con  voce  di  pietà  proruppe,  e  disse: 
[S4-G8J 


50  L'KSKIDK.  1120-114 
Or  qnalo  o  torra,  o  muro,  o  loco  altrov* 

Sarà,  niisoro  mo!  cho  m!  raccolga, 
0  cho  ni- affidi  omal?  poiché  tra'  Greci 
Non  ho  dov'ìo  ricovri,  e  da'  Troiaul 
Non  deggio  altro  aspettar  cho  strazio  o  mo 
Ne  commosse  a  pietà,  n'acquotò  l'ira 

51  doglioso  rammarco;  e  con  dolcezza, 
K  un  promesso  il  confortammo  a  diro 
di'  di  elio  loco  e  di  cho  sanguo  fosso, 
E  che  portasse,  e  qual  fidanza  avesse 
A  darnesi  prigione.  Egli  in  tal  guisa 
Assccurato,  al  ro  ni  volse  o  disso: 
Signor,  segna  elio  vuole,  in  tuo  cospetto 
Io  dirò  tutto,  o  diro  voio.  E  prima 
D'esser  greco  io  non  niego;  chè  fortuna 
Può  ben  far  che  Sinon  sia  giamo  e  misero, 
Ma  non  già  mai  che  sia  bugiardo  o  vano. 
Non  so  se.  ragionandosi,  agli  orecchi 

Ti  venno  mai  di  Palamede  il  nome, 
Cho  nomato  e  pregiato  e  glorioso, 
E  da  Melo  altamente  era  disceso. 
So  ben  con  falso  e  scelerato  indizio 
Di  tradigion,  per  detostar  la  guerra, 
Ei  fu  da'  Greci  indegnamente  occiso; 
Com'or,  che  ne  son  privi,  i  Croci  stessi 
109-851 


il  ló-lf.9]        unno  n.  G> 
I    piangoli  tutti!  A  questo  Palamede, 
A  cui  per  parentela  era  conginnto, 
H  jioTor  padroliiio  no'miei  prim'nnni 
l'i  in  per  valletto  nel  mMtier  de  l'unni. 
pt)i  per  compagno  a  questa  gaerra  iliemmf. 
I ii fi n  oh'ci  visse,  e  fuJl  suo  stato  in  floro, 
fiorirò  ancoimiei  giorni;  e  l'oproo'l  nomo 
E  '1  grado  mio  no  fnr  tali  volta  in  pregio. 
Estinto  lui  (che  per  iuvidia  avvenne, 
Com'ognun  sa.  deUraditoro  Ulisse) 
Amaramente  il  pianai.  E  M  caso  indigno 
li' un  tanto  amico,  e  la  mia  vita  oscura 
Tra  nio  sdegnando,  come  soro  o  follo 
Ch'io  fui.  noi  tacqui.  Anzi  se  mai  In  sorte 
jlel  consentisse,  o  se  mai  fossi  in  Argo 
Tincitor  ritornato,  alta  vendetta 
No  gli  promisi,  e  con  minacce  e  motti 
Acerbi  acerbamente  il  provocai. 

Qnosto  fu  del  mio  mal  primi»  radico; 
E  quinci  de'  suoi  falli  o  del  min  duolo 
Consapevole  Olisse,  a  spaventarmi, 
A  travagliarmi,  a  seminar  susurri 
Si  dlè  nel  volgo,  •  procurarmi  inciampi 
Ond'io  cadessi.  E  non  cessò,  clf  <>rdinin.i 
Per  mezzo  di  Calcante....  Ma  dov'entro, 
[86-W11 


58  L'unno*.  (170-1 

Lasso!  senza  profitto  a  fastidirvi 
Con  noioso  novelle  V  A  voi  sol  basta 
Di  saver  ch'io  son  greco,  già  che  i  Greci 
Tutti  egualmente  per  nimici  avote. 
Or  datemi,  signor,  supplizio  e  morte 
Qlal  a  voi  piaco,  che  piacere  o  gioia 
N'aranno  i  regi  ancor  d'Itaca  e  d'Argo. 
E  qui  si  tacque.  Allnr  brama  no  volino,  , 
Non  cho  disio,  di  più  sapere  avanti; 
Non  ben  sapendo  ancor,  miseri  noi! 
Quanta  scolloratczza  e  quanta  astuzia 
Fosso  no'  Oroci.  Egli,  a  seguir  costretto,.! 
Mostrossi  in  prima  paventoso,  e  poscia 
Di  nuovo  assicufossi,  o  Anso,  e  disso: 

Hanno  molte  frate  i  Greci  afflitti 
Già  da  la  gnerra,  o  dal  disagio  astretti. 
Disiato  o  tentato  anco  più  volto 
Di  qui  ritrarsi,  o  lasciar  Troia  in  paco. 
Cosi  fatto  l'avossoro!  Ma  sempre 
Or  il  verno,  or  i  vonti,  or  lo  procello 
Gli  han  distornati.  E  pur  dianzi  che  l'opri 
Dol  cavai  elio  vedoto  era  fomite: 
Di  nuovo  in  sul  partirò,  e  'n  sul  far  vela. 
Di  tempesto,  di  turbini  e  di  nembi 
KUonù  '1  cielo,  e  conturbossi  il  maro. 
1101-113] 


[195-210]        t,jb«o  n.  M 

Onde,  sospesi,  Euripiln  mandammo 

A  spiar  sopra  a  ciò  quel  cho  ila  Febo 

>c  s'avvertisse.  Kiportonue  un  empio 

Y,  spaventoso  oracolo;  sfu  questo: 

C-I  tangne,  •  con  la  mortt  <C  una  rrrginc 

•  >*f.  •  venti  per  condurvi  in  Ilio: 
C,A  nanyue,  e  con  la  morie  ora  à"  un  giovine 
fanvién  placarli  per  ritlmvi  in  Grecia. 

A  cosi  fiora  voce  sbigottissi. 
Impallidissi,  e  tremò  I  volgo  tutto. 
Ciascun  per  s6  temendo,  «  nessun  certo 
Qiml  di  loro  accennasse  Apollo  o  '1  fato. 

Qui  foce  Ulisse  in  meno  al  greco  stuolo 
Con  gran  tumulto  appresentar  Calcante: 
E  jcl  volerò  in  ciò  de'  santi  Numi 
Interrogollo.  Ed  ci  risposo  in  guisa. 
Che  la  sua  fellonia,  benché  da  tutti 
Jusso  prevista,  fu  però  da  molti 
Simulata  o  taciuta,  o  da  molti  anco 
A  me  predotta:  pur  ci  tacque  ancora 
Per  dieci  giorni;  o  scaltramente  al  niego 
gi  mise  di  volor  cho  per  suo  dotto 
passo  alcun  destinato,  o  spinto  a  morto. 
j|a  poi,  comò  da  gridi  astretto  e  vinto, 
Di  conserto  con  lui  ruppe  il  silonzio, 
1114-129] 


fi0  i/essimi.  r220-2l4 

SI  ch'io  fui  dichiarato  alftn  l'cr  viltima: 
Consentir  tutti,  porche  tutti  ancora 
Finian  con  la  mia  morto  il  lor  periglio. 

Eia  già  da  vicino  il  giorno  orribile, 
In  che  doveann  al  sacrificio  offrirmi: 
E  gì  '1  forro  o  già  '1  sale  e  già  le  bendo 
Erano  a  lo  mie  tempio  intorno  avvolto, 
Quando,  rotto  (io  noi  niego)  ogni  ritegno, 
Da  la  morto  mi  tolsi:  e  fin  eli' a"  venti 
Desscr  le  volo  (ch'orali  presti  a  darle) 
Di  buia  notte  in  un  pantau  m'ascosi, 
Ove  nel  fango  infra  lo  scarde  o  i  giunchi 
Stava  qual  mi  vedete.  Ora  son  qui 
Privo  d'ogni  conforto  e  d'ogni  spemo 
Di  mai  più  rivedor  In  patria  antica, 
1  dolci  figli  o  '1  desiato  padre, 
Che  saran,  lasso  mo!  per  la  mia  fuga, 
Benché  innocenti,  ancor  forso  in  mia  vo 
Incarcerati,  e  tormentati,  o  morti. 

Or  io,  signor,  per  quelli  eterni  Dei 
Che  scorgon  di  là  su  so  'I  vero  io  parlo, 
Per  quella  pura  e  'ntomorata  fedo 
(So  tra'  morteli  in  alcun  loco  è  tal*) 
Ond'io  già  tutto  a  ri  volar  ti  vengo, 
Pricgoti  clie  pietà  di  me  ti  prenda, 
112S)-UI| 


[24Ó-9C9]  muro  tir.  «1 

E  do'  miei  tanti  c  si  gravosi  Affanni 
Ch' indegnamente  io  soffro.  A  colai  pianto 
Commossi,  o  da  noj  Tatti  anco  pietosi 
\  iin  c  Tonili  gli  diamo.  K  di  sua  bocca 
1/omandu  il  re  elio  si  disTerri  e  sciolga; 
fui  dolcemente  in  tal  guisa  gK  parla: 
Qnal  elio  tu  sia.  do'  tuoi  perduti  Greci 
Ti  dimentica  ornai:  che  per  innanzi 
Sarai  de' nostri.  Or  mi  rispondi  il  vero 
l  'i  quel  ch'io  ti  domando.  A  che  Une  hanno 
Qui  si  grande' edifUio  i  Greci  cretto? 
IVr  consiglio  di  cui?  Con  quale  avviso 
I.'lmn  fabbricato  ?  È  voto?  ò  magia?  è  machina  ! 
Che  trama  ù  questa?  A  vca'I  re  detto  a  pena, 
Qttaud'  ci  d' inganni  o  d' arte  greca  instrutto, 
X.e  già  discioltc  mani  al  cielo  alzando, 
Jlisse:  Voi  fochi  cteiqi  o  '«violabili. 
Voi  fasce,  ond'io  portai  le  tempie  avvinte. 
Voi  sacri  altari,  o  voi  culti  i  uefaudi, 
Cui  fuggendo  anco  adoro,  a  quel  ch'io  dico 
]>er  testimoni  invoco.  A  mo  lece  ora 
Ch'io  mi  disciolga,  e  mi  disacri  in  tutto 
Da  l'obbligo  do'  Croci.  E  mi  lece  anco 
Che  non  gli  ami,  e  chegliodii.c  che  divulghi 
Quel  elio  da  lor  si  cela:  gii  ch'astretto 
[M4-l.Mil 


62  l'kskim.  [2T0-'::i|] 

riii  non  son  de  la  patria  à'iogge  alcuna. 
Tu,  so  vero  io  ti  dico,  u  so  gran  uni  to 
IH  ciò  ti  rendo,  o  te.  Troia,  conservo, 
Conserva  a  ino  la  già  promessa  fede. 

Noi  cominciar  di  questa  guerra,  i  Ured 
Riposero  ogni  speme,  ogni  fidanza 
Ne  1 aiuto  di  l'alia;  c  ben  riposte 
Fur  sempre,  infili  che  l'empio  Diomede,  I 
E  l'inveutor  d'ogni  mal'opra  Ulisse, 
Il  sacro  tempio  suo  non  vloiaro: 
Come  fer  quando,  ne  la  ròcca  ascesi, 
N'uccisero  i  custodi,  e  n'involaro 
Il  palladio  fatale,  osando  impuri 
Por  le  man  sanguinose  al  sacrosanto 
Suo  simulacro,  o  macular  l' intatte 
E  'ntemorate  sue  vergineo  bendo. 
Da  indi  in  qua  d'ardir  soinpre  e  di  forze 
Scciiiùr,  non  e  lio  di  speme;  e  l'alia  infesta 
Ne  fu  lor  sempre;  o  ne  die  chiari  segui 
Jt  portentosi,  nllor  ch'ai  campo  addotta 
Fu  la  sua  statua,  cho  posata  a  pona,  . 
Torvamente  niirògli,  e  lampi  e  fiamme  \ 
Vibrò  per  gli  occhi,  o  por  lo  membra  tutto 
Versò  salso  sudoro.  Indi  tre  volte, 
Meraviglia  a  contarlo!  alto  da  torra 
[159-175J 


[J115-819J         limo  li.  m 
Sarte,  e'rabmcciiVlo  scudo, o  brandi  l'asta. 
Allor  gridando  indovinò  Calcanto 
Clio  fuggir  si  dovesse,  o  tosto  a'  venti 

irar  lu  velo:  eh"  ili  Troia  iuvuiio 
Era  l'asscd^i,  se  con  nitri  augùri 
ji'Argo  non' si  tornava  uu'nltta  volta, 
E  do  la  Dea  non  si  «lutava  il  nume, 
Ch'or.perció  faro.lian  secoin  Grecia  addotto 
Onde  giunti  a  Micelio,  incontinente 
gi  daranno  a  dispor  l'armi  o  lo  genti, 
E  gli  Dei  cho.gli  aity  e  gli  accompagni. 
j>oi  ripassando  il  mar,  «od  maggior  fona 
Di  uuo\"  assaliiauvi,  e  d'impioviso. 
Cosi  Calcante  intorprota,  c  predice. 

Or  questa  mole  ebo  tant'alto  sorge, 
Qui  per  consiglio  di  Calcante  è  posta 
Invece  del  palladio,  o  por  ammonda 
Del  nuiiio  offeso,  a  beilo  studio  intesta 
Di  legni  cosi  gravi  e  cosi  glandi. 
Ed  a  si  smisurata  nltom  erotta, 
A  Un  cho  por  le  porto  entro  a  lo  mura 
/  Quinci  addur  non  si  possa,  ore  per  seguo 
'  E  por  memoria  poi  del  nomo  antico 
Riverita  da  voi,  sacrata  o  cólta. 
Sia  licovro  e  tutela  al  popol  vostro. 
[175-188] 


Ut  l' Burro»!  [320-344] 

Chè  allor  elio  questo  dono  a  Valla  offerto 
Per  voBtra  man  aia  violato  o  guasto, 
ltuiiia-estrema  (la  qual  sopra  lui 
Cnggra  pio  tosto)  a  voi  vuol  elio  uo  vong 
Ed  al  ginn  vostro  impero;  ed,  a  rincont 
Quando  da  voi  sia  dentro  al  vostro  corcU 
Condotto  e  custodito;  allor.  che  l'Asia 
Congiurerà  con  !u  sue  forzo  tutto 
A  l'estoruiinio  d'Argo:  o  che  tnl  fato 
Sopra  a'  nostri  nopoti  in  cielo  è  fisso. 

Con  tnl  arto  Sinon,  con  tali  insidio 
Fc  si  cho  gli  credemmo;  e  quelli  stosai 
Cui  non  pntòr  uè  '1  figlio  di  Tidoo, 
Nò  di  Larissn  il  bellicoso  alunno, 
Ne  diece  anni  domar,  né  mille  navi, 
Furon  da  lugrlmettc  o  da  menzogne 
Sforzati  o  vinti.  In  quosta  a  gl'infelici 
Un  altro  sopravvenne  assai  maggioro 
E  più  fero  accidente;  ondo  a  ciascuno 
D'improvviso  spavento  il  cor  turbossi. 

Era  I.nocoonto  a  sorto  eletto 
Sacerdote  a  Nettuno;  e  quel  di  stesso 
(ìli  facca  d'un  gran  torp  ostia  solenno;  , 
tyiand'ccco  cho  da  Tcnedo  (m'agghiado 
A  raccontarlo)  due  serpenti  immani 
[189-204] 


Venir  si  vcggon  parimente  al  lito. 
Ozieggiando  coi  dorsi  onde  maggiori 
pc  le  marino  alln&  tranquillo  e  quete. 
pai  mezzo  In  su  fendean  coi  petti  il  maro, 
■  s'orgean  coi  lo  tosto  orribilmente, 
Cinte  di  crosto  sanguinoso  od  irte,  . 
Il  resto  con  gran  girl  e  con  grand' archi 
Traoan  divincolando,  e  con  le  code 
],' acque  sferzando  si  cho  lungo  tratto 
Si  faccan  suono  o  spuma  e  nebbia  intorno 
Giunti  a  la  riva,  rtin  fieri  occhi  accesi 
Di  viro  foco  o  d'atro  sangue  aspersi. 
Vibrar  lo  lingue,  o  gittàr  fischi  orribili. 
Noi  di  paura  sbigottiti  e  smorti. 
Chi  q«a.  chi  lft  ci  disporgemmo;  e  gli  angui 
S'affilar  drittamente  a  Laocoonte, 
E  pria  di  due  suoi  pargoletti  figli 
Le  teucrollo  montura  ambo  avvincbiando, 
No  si  for  crudo  o  miscrabil  pasto. 
Poscia  a  lui,  eh' a'  fanciulli  era  con  l'armo 
Giunto  in  aiuto,  s'avvonUro,  o  strotto 
L'tvvinser  s\,  cho  le  scaglioso  terga 
Con  duo  spiro  nel  petto  o  due  noi  collo 
Gli  racchiusero  il  fiato:  e  lo  boccho  alto, 
Entro  al  su»  capo  fieramente  infisso, 
Ciao.  -  5.  1205-210) 


00  L'ama*.      \s~o  394} 

Oli  addentarono  il  teschio.  Kg-li.  com'era 

D'atro  sanguo,  di  bava  o  di  veleno 

Lo  benfo  0  'I  volto  asperso,  i  tristi  nodi  ■ 

Disgroppar  con  lo  man  tontuva  indarno,  I 

E  d'orribili  strida  il  cicl  feriva: 

Qual  mugghia  il  toro  aliar  elio  dagli  altari 

Sorgo  ferito,  so  del  maglio  appieno 

Non  cado  il  colpo,  ed  ei  lo  sbalte  e  fuggo. 

1  Bari  draghi  olBu  dai  corpi  essangni 
Disviluppati,  in  vèr  la  ròcca  insiemo 
Strisciando  e  zuflnlando.al  sommo  ascesoro 
E  nel  tempio  di  l'alia,  entro  al  suo  scudo  j 
Rinvolti,  a'piò  di  lei  si  raggruppato. 
Kiuovossi  di  ciò  noi' volgo  orrore 

E  tremoro  o  spavento;  o  mormorossi 
Che  degnameuto  avea  I.aocoonte 
Si  sua  teinorità  pagato  il  fio, 
E  del  furor  cho  coutra  al  sacro  legno 
Gli  armò  l'impura  e  scolorata  mano: 
E  gridar  tutti  elio  di  Palla  al  tempio 
Si  conducesse,  o  con  preghiere  e  voti 
Do  la  Dea  si  facesse  il  nume  amico. 
A  ciò  seguire  immautinouto  accinti, 
Rumiamo  la  porta,  apriam  le  mura. 
Adattiamo  al  cavallo  ordigui  o  travi, 
[219-236J 


ign.vll'.i]  i.inno  n.  07 

g  ruote  o  carri  a'  |  i.  di.  e  funi  al  collo.  1 
Cosi  mossa  o  tirata  agevolniento 

machina  fatale  il  maro  ascende. 
D'armi  pregila  e  d'aranti. a  cui  d'intorno 
pi  verginelle  e  di  fanciulli  un  coro, 
Sacre  Iodi  cantaudo.jcon  dilètto 
Porgeau  mano  a  la  fune.  Ella  per  mezzo 
Tratta  de  la  città,  mentre  si  scuote. 
Mentre  che  no  l'andar  cigola  e  freme, 
Somhra  che  la  minacci.  0  Patria,  o  Ilio, 
Santo  de'  numi  albergo!  inclita  in  armo 
Dardauin  terra!  Noi  la  pur  vedemmo 
Con  tanti  occhia  i'ontrar,  che  quattro  volte 
Fermossi.  e  quattro  volte  anco  n'udimmo 
]|  suon  de  l'armi:  o  pur,  da  fuiia  spinti, 
Cicchi  e  sordi  che  fummo,  i  nostri  danni 
Ci  procurammo:  che  '1  di  stesso  addotto 
£  posto  in  cima  a  la  sacrata  ròcca 
Fu  quel  mostro  infelice.  Allor  Cassandra 
La  bocca  aperse,  eguale  esser  solea 
Verace  sempre  o  non  creduta  mai, 
L'estremo  fine  indarno  ci  predisso:  ' 
£  noi  di  sarra  e  di  festiva  fronde 
Velammo  i  tempii  il  di,  miseri  noi! 
Che  do'  lieti  di  nostri  ultimo  fuo. 

[23Ó-249J 


63  J.'  pmom.  [420-444] 

Scendo  ila  l'Oceàn  In  uottc  intanto, 
E  col  -»f  fosco  velo  involte  o  cuopro 
l.a  tVrn  o  'I  ciolo  e  do'  Telaggi  insieme 
J.' ordito  insidie.  I  Teucri  ai  loro  albciglii,! 
Ai  lor  riposi  addormentati  e  quoti 
(ìinconn  .suenramente:  o  già  da  Tènedo 
A  l'usata  riviera  in  ordinanza 
Vèr  noi  60  no  venia  l'nrgiva  armata. 
Col  favor  de  la  notte  occulta  e  ditte; 
Quando  da  lo  sua  poppa  il  regio  legno 
Ko  die  cenno  col  foco.  Allor  Sinone, 
Che  per  nostra  mina-  era  da  noi 
£  dal  fato  maligno  a  ciò  serbato, 
Accostossi  al  cavallo,  o  'I  cliiuso  ventro 
Chetamente  gli  aperse,  o  fuor  no  trasse 
L'occulto  agguato.  Usciroa  l'aura  in  prima 
1  primi  capi  baldanzosi  e  lieti, 
Tutti  per  una  fune  a  terra  scesi: 
E  fur  Tisaudro  o  Stonalo  ed  l'Iisso, 
Atamauto  o  Tornito  e  Macaone 
E  Pirro  e  Menelao  con  lo  scaltrito 
Fabricator  di  questo  inganno,  Epeo. 
Assalir  la  citta,  cho  gii  ne  l'ozio 
E  nel  sonno  o  nel  vino  ora  sepolta; 
Anciscro  le  guardie;  aprirlo  porto; 
[250  2G0J 


Hi:,.  !•;•.'!        ubio  n.  69 
Miser  le  schiero  congiurate  insieme: 
v  dicr  forma  a  l'assalto.  Era  ne  l'nra 
Cho  nel  primo  riposo  hanno  I  mortali 
Quel  i-li'évlal  cielo  ai  loro  affanni  infuso 
Oportiino  e  dolcissimo  ristoro; 
Quand'eeco  in  sogno  (minsi  avanli  gli  occhi 
Mi  fosso  veramente)  Ettor  m'apparve 
Polente,  lacrimoso,  e  qualo  il  vidi 
Già  strascinato,  sanguinoso  e  lordo 
Il  corpo  tutto,  e  1  piò  forato  e  gonfio. 

|   e!  quale  o'qunoto  era  mutato 

Da  queir  Ettòr  che  ritornò  vestito 
De  le  spoglie  d'Achille,  e  rilnconto 
Del  foce  ond'arso  il  gran  navilo  nrgolico! 
Squallida  nvea  la  barba,  orrido  il  crino 
E  rappreso  di  sangue:  il  petto  lacero 
Di  quante  uuqua  ferite  al  patrio  muro 
Ebbe  d'intorno.  E  mi  parca  cho  '1  primo 
Foss'io  che  lacrimando  gli  diressi: 
0  splendor  di  Dardania,  o  do'  Troiani 
Scrurissima  speme,  c  qnalo  indugio 
T'ha  fin  qui  trattenuto?  Ond'or  ne  vieni 
Tanto  da  noi  bramato?  Ahi  dopo  quantA 
Strage  de'  tuoi,  dopo  quanti  travagli 
De  la  nostra  città,  già  stanchi  o  domi 
[267-284 | 


70  b'  KSEtDl.  f»"0-494J 

Ti  rivegglamo!  E  q»al  fero  accidente 
Fa  s)  deformo  il  tuo  volto  sereno? 
K  .'h\oaglie  son  queste?  Egli  a  ciò  uulìa  , 
Kispose,  corno  a  vani  miei  quesiti; 
Ma  (Ini  profondo  petto  alti  sospiri 
Traendo,  Oh!  fuggi,  Enea,  fuggi,  mi  disse:  i 
Togliti  a  quosto  fiamme.  Ecco  che  dentro  i 
Sono  i  nostri  nomici.  Ecco  già  ch'Ilio 
Arde  tutto  o  ruina:  lutino  ad  ora 
E  per  F'riamo  e  per  Troia  assai  s' è  fatto.  I 
So  difondoro  ornai  più  si  potesse, 
Fora  per  questa  man  difesa  ancora: 
Ma  dovendo'  cader,  le  sue  reliquie 
Sacro  e  gli  santi  suoi  numi  Penati 
A  to  solo  accomanda;  o  tu  li  prendi 
Por  compagnia'  tuoi  fati;  e,  conio  è  d'uopn, 
Cerca  loro  altro  terre,  ergi  altre  mura; 
Clio  dopo  lungo  e  travaglioso  ossiglio 
L'ergerai  più  di  Troia  altere  o  grandi. 
Detto  ciò,  da  le  chiuse  arche  reposto 
Trasse,  o  mi  consognò  le  sacro  hende, 
E  l'effigie  di  Vesta  e  '1  foco  eterno. 

Spargousi  intanto  per  diverse  parti 
Do  la  presa  città  lo  grida  e  '1  pianto 
E  '1  tumulto  do  l'armi;  o  rinforzando 
[285-29i)| 


Via  pi"    uiano  '"  '"  'li-  tanto  »'  avanza. 
Che  a  l'antica  magion-  (lui  padre  Anelli*» 
(Como  ohe  fosse         remota,  o  chiusa 
X)' alberi  intorno)  il  (frati  rumore  aggiunge. 
Allor  dal  sonno  mi  riscuoto,  c  salgo 
Subitamente  d'uo  torrazzo  in  cima, 
E  porgo  per  udir  gli  orecchi  attenti. 

Cosi  rozzo  pastor,  so  da  gran  suono 
te  da  ìungo  percosso,  in  alto  asconde, 
F  mirando  si  sta  confuso  o  stupido 
0  foco  che  ai  soffiar  d'un  turbid* austro 
Stridendo  arda  lo  biade  e  le  campagne, 
0  tempestoso  e  rapido  torrcnto 
Che  dal  monte  precipiti,  o  le  selve 
Ne  meni  o  i  cólti  e  le  ricolto  e  i  campi. 
Allor  tarili  credemmo;  allor  lo  insidio 
No  fur  couto  do'  Orcci.  K  già  '1  palagio 
Era  di  Deifóbo  arso  e  distrutto; 
Già  'I  suo  Ticino  Ucalegon  ardoa. 
E  r  incendio  di  Troia  in  ogni  lato 
Kilucca  di  Sigeo  no  la  marina; 
E  s'udian  gridar  genti  o  sonar  tube. 
Io  m'armo,  e  forsennato  anco  no  l'armi 
Non  veggio  ove  m'adopri.  Alfln  risolvo, 
Rauuati  i  compagni,  avventurarmi, 
[899-819] 


7B  t'  itXKiDK.        [520  544) 

Menar  lo  mani,  e  Uc  I»  ròcca  addormì. 
Mi  fan  l'impeto  o  l'ira  ad  ogni  rischio 
frcripKìso:  c  solo  a  monte  vidimi 
Che  un  boi  morir  tutta  la  vita  onora. 

Brano  mossi;  quando  ceco  tra  via 
Ne  si  fa  Panto  d'improviso  avanti, 
Tanto  figlio  d'Otreo  che  de  la  rócca 
Era  custode,  o  sacordote  a  Febo. 
Questi,  scampato  da'  niinici  a  pena, 
Inverso  II  lito  attonito  fuggendo, 
I  sacri  arrodi  e  i  santi  simulacri 
Degli  Dei  vinti,  o  '1  suo  picciol  nipote 
Si  traca  secò.  0  I'anto,  o  Panto  (io  dissiU 
A  che  siam  giunti?  Oro  ricorso  abbiamo. 
So  la  ròcca  è  già  prosa?  Ei  sospirando 
E  piangendo  risposo:  È  giunto,  Kuea, 
L'ultimo  giorno,  o  'I  tempo  incvitabilo 
De  la  noslra  mina.  Ilio  fu  già; 
E  noi  Troiani  fummo:  or  è  di  Troia 
Ogni  gloria  caduta.  Il  fero  Giovo 
Tutto  in  Argo  ha  rivolto;  o  tutti  in  preda 
Siam  do'  Orcci  e  del  foco.  Il  gran  cavallo. 
Ch'ora  a  Palla  dovoto,  altero  in  mezzo 
Stassi  de  la  cittade,  e  d'ogni  lato 
Arme  versa  ed  armati.  Il  buon  Siuono 
L81G-32D] 


f!U5-5<W]  MURO  II. 

rodo  de  1»  *"»  frodo.  •  d'ogo"  intorno 
c,.orrendo  si  rimescola,,  e  s'aggira 
'       maestro  d'infeudi  e  di  mine. 
A  imi  te  spalancate  entrati  le  schiero 
Senza  ritegno  ed  a  migliaia,  quante 
vi  d'Argo  nsciron  nmi  ne  di' Micene. 
Glialtri  elio  prima  cntrnro.han  già  Icstindo 
Assediato:  stnn  con  l'armi  infesto 
Parate  a  far  di  noi  strago  o  macello. 
Soli  son  fino,  a  qui  sorti  in  difesa 

I  corpi  do  li-  gnnrflle:  e  Questi  al  buio 
Fanno  con  Movi  o  repontini  assalti 
Tale  ima  cicca  resistenza  a  pena. 

Dui  parlar  di*  costui,  dal  numo  avverso 
Spinto,  mi  caccio  tra  le  fiamme  o  l'armi, 
Ove  mi  chiama  il  mio  cieco  furore, 
K  do  le  genti  il  fremito  o  lo  strida 
Cho  feriscono  il  cielo.  E  por  compagni 
Primieramente  al  lumo  de  la  luna 
Mi  si  scuopron  Kifeo,  ìflto  il  vecchio. 
Ed  ì pane  e  Rimante:  indi  comparvo 

II  giovino  Corobo.  Era  costui 

Figlio  a  Mìgdono.  insanamente  acceso 
Po  l'amor  di  Cassandra:  e  corno  fosso 
Già  suo  consorte,  pochi  giorni  avanti 
[330-344] 


74  i.'  exk  oi.  [570-594] 

In  soccorso  del  suocero  c  do'  Frigi 
S'era  a  Troia  condotto.  Infoi  tinnito! 
Clio  naales  In  sua  sposa  indovina 
Ben  anco  intesa.  A  questi  insieme  accolti,. 
Ter  accendergli  più  mi  volgo,  e  dico: 

Giovini  forti  e  valorosi,  invano 
Ornai  fìa  la  fortozza  e  'I  valor  vostro; 
l'oidio  perduti  siamo  e  elio  Tuia  nrt'o,  I 
E  gli  Dei  tutti,  a  cui  tutela  e  cura 
Si  reggea  questo  impero,  in  abbandono 
Lasciano  i  nostri  tempii  o  i  nostri  altari. 
Ma  se  voi  cosi  fermi  e  così  certi 
Siete  pur,  com'io  veggio,  a  seguitarmi;  I 
Ancor  ch'n  morte  io  vada,  in  mezzo  a  l'armi 
Avventinoci,  e  moriamo.  Un  sol  rimedio 
A  chi  spomo  non  bave  ù  disperarsi. 

Cosi  l'ardir  di  quelli  animi  accesi 
Furor  divellilo.  Usciam  di  lupi  in  guisa 
Che  rapaci,  famelici  e  rabbiosi, 
Col  ventre  vóto  o  con  lo  canne  asciutto  ', 
Sentali  de'  lupicini  urlar  per  famo 
Piono  un  digiun  covilo.  Audinm  per  mezzo 
Do'  nemici  e  de  l'armi  a  morte  esposti 
Senza  riservo,  e  via  dritti  fendiamo 
I<a  città  tutta,  a  la  buia  ombra  occulti, 
[314-360] 


r505-fil9l         muro  ti.  m 

pi.e  l'altezza  Tacca  (lugli  «. -lìfì.-i. 
Or  chi  può  dir  la  strage*  la  ruiim 

ni  ouclla  notte  V.H  (|ual  ò  pianto  eguale 

A  tante  oecistoni,  a  tasto  cecidio? 

Troia  mina,  'a  superba,  antica 

•K  gloriosa  Troia,  che^tant'anni 

Porto  scettro  e  corona.  Era,  dovunque 

S'andava,  di  cadivori,  di  sangue, 

p'ogni  calamità  piono  ogni  loco, 

u  vie,  lo  caso.  1  tempii.  E  non  pur  soli 
Caddero  i  Teucrii-chè  l'antico  ardirò 

•  Pcstos3Ì,  e  sorse  alcuna  tolta  aucora 
Kcgli  lor  petti.  I  vincitori  e  i  vinti 
Ciacean  confusìiinento.  o  d'ogni  lato 
S'udian  pianti  e  lamenU;  e  qnosti  e  quolli 
Eran  da  la  paura  e  da  la  morto 
In  mille  guise  aggiunti.  Andrògoo  il  primo 
Do'  Orcci  fu.  eh'  ovanti  no  s'offerse 
Condottier  di  gran  gonio.  Egli  avvisando 
Parto  sollecitar  do  la  sna  senior», 
Affrettatevi  disse;  a  che  badate? 
Cho  'ndugio  è  '1  vostro  ?  Al  t  ri  espugnata  ed  arsa 
E  depredata  han  di  gii  Troia:  e  voi 
Teste  venite?  Avoa  ciò  detto  a  pena, 
Che  '1  sogn»  0  ,a  risposta  indarno  attesa, 
[360-87CJ 


7C  L'Ùnti  ■  [B20-fi44] 

Trn  non^i  li  villo  ;  o  conio  attonito 
Restando,  con  la  voce 'il  più  ritrasse. 
Come  rcpcnto  il  vYator  s'arretra. 
Se  d'improviso  fra  le  spine  uu  antro» 
Avvici!  che  prema,  ed  oi  premuto  e  punto  "( 
li' ira  gonfio  e  di  tosco  gli  s'avventi; 
Cosi  dal  nostro  subitano  incontro 
Sovraggiunto  in  un  tempo  e  spaventato,  . 
Andrògeo  per  fuggir  ratto  si  volse. 
Ma  noi  che,  impauriti  o  sconsertoti 
A  la  sprovista  gli  assalimmo  in  lochi 
A  lor  non  consueti,  in  breve  spazio 
Li  circondammo,  e  gli  aucidcinmo  alfine:  1 
Tanto  nel  primo  assalto  amica  o  presta 
Ne  fu  la  sorte.  E  qui  fatto  Corebo 
IV  mi  tal  successo  e  di  coraggio  altero, 
Compagni,  disso.  poi  che  la  fortuna. 
Con  questo  si  felice  agli  altri  inculiti I 
Ne  porge  alta,  a  nostro  scampo  usinola. 
Mutimi!  gli  scudi,  accomodianci  gli  elmi 
E  l'insegne  da' Greci.  0  biasmo  o  lodo 
Cbo  ciò  no  sia.  chi  co'  nemici  il  cerca? 
L'arme  no  ilainnno  ossi.  E,  cosi  detto. 
La  celata  e  '1  cimicr  d' Andrògeo  stesso, 
E  la  sua  scimitarra  e  la  sua  targa 
[377-39UJ 


r<Vl5-f'f>91  LIBRO  n.  77 

per  lui     prose,  armi  onoralo  o  conte. 
Csl  fece  Kifeo,  così  Dimante, 
y  c0si  tutti;  chwpor  sé  ciascuno 
Ili  nuove  spoglie  allegramente  minossi. 

Ci  mettemmo  tra  lor.  che  i  nostri  UH 
Kon  ermi  nosco:  o  no.)'  oscura  notte 
Coli  ogni  occasione  in  ogni  loco 
Ci  azzuffammo  con  ossi;  o  di  lor  molti 
Mandammo  a  l'Orco,  e  ritirar  molt' altri 
j{o  Tacemmo  alle  navi:  e  Tur  di  quelli 
Che  per  viltà  nel  cavornoso  e  cieco 
Ventro  si  racquietar  del  gran  cavallo. 
Ma  cho?  Contro. '1  voler  de'  regi  eterni 
Indarno  osa  la  gente.  Ecco  dal  tempio 
Trar  reggiani  di  Minerra,  con  le  chiome 
Sparse,  e  con  gli  occhi  indarno  ni  ciol  rivolti, 
La  rorgino  Cassandra.  Io  dico  gli  occhi, 
Perche  le  regie  sue  tenero  mani 
Eran  da'  lacci  indegnamente  avvinte. 

A  si  foro  spottacolo  Corebo 
Infuriato,  e  di  morir  disposto, 
Arni  che  di  soffrirlo,  a  quella  schiera 
Scagliossi  in  mezzo;  e  noi  ristretti  insieme 
Tutti  il  seguimmo.  Or  qui  fessi  di  noi 
Una  strage  crudele  -e  miserabile, 
[892-41 1J* 


78  &'  fxnDK.  ICT0-C94] 

E  da'  nnst^  Mée*mi,  dio  In  cima 
Tenenti  del  tempio,  c  dardi  o  sassi  o  travi. 
Ne  Torsarono  addosso,  imaginando 
Da  l'armi,  da'  cimieri  e  da  l' insegne 
Di  ferir  Greci;  c  i  Greci  d' ognintorno, 
Tratti  dal  gran  rumore  e  da  lo  sdeguo 
De  la  ritolta  Tergine,  s'unirò 
Ai  nostri  danni.  11  belHCQM  Aiace, 

I  fieri  Atridi,  i  Dòlopi  o  gli  Argivi, 
Tutti  ne  furon  sopra  in  quella  guisa 
Ch'opposti  un  coutta  l'altro  Affrico  n  Horti 
K  Garbino  e  Volturno  accolto  in  mezzo 
liuti  le  selve  stridenti  o  '1  mare  ondoso,  T| 
Quando  col  suo  tridente  infln  dal  Tondo  *  I 

II  gran  Nereo  il  conturba.  E  tornar  anco  I 
Incontro  a  noi  quei  che  da  noi  pur  dianzi  I 
Sen  gir  rotti  o  dispersi;  e  questi  in  prima 
Scoprir  lo  nostre  insidie,  e  Ter  palesi 

Le  cangiate  armi  o  gli  montiti  scudi,  V 
E  'I  pailar  che  dal  greco  era  diverso. 
Cosi  ne  Tu  subitamente  addosso 
Un  diluvio  di  gente.  E  qui  por  mano 
Di  l'cnelco,  davanti  ni  sacro  altaro 
De  l'armigera  Dea  caddo  Corebo: 
Cadde  Eifeo,  ch'era  no'  Teucri  un  lume 
[H1-42GJ 


1695-719]         mmo  li.  19 

Di  boiitA.  di  giustizia  o  d'oquitate 

(Cosi  a  Di"  piacque);  od  Ipantfc  Dimanto 

Caddero  anch'ossi,  o  questi,  oime!  trafitti 

l'or  l:i         1""'  llu  ""»W-     '"■  pietoso 

Panto.  cadesti;  e  la  tua  gran  piotato. 

«v'infoia  santissima  d'Apollo 

Tn  ciò  nulla  ti  valse.  0  fiamme  estremo 

0  ceneri  do'  mioi!  (atomi  fedo 

Voi  clic  nel  rostro  occaso  In  rischio  alcuno 

Non  rifiutai  nò  d'armo,  nò  di  foco, 

Kè  di  qual  fosse  incontro,  nò  di  quanti 

j;,.  i .  >scro  i  Greci:  o  se  '1  fato  ora 

Ch'io  dovessi  cader,  caduto  fora: 

Tal  no  feci  opra.  No  spiccammo  alfine 

Jja  quel  moi  talo  assalto.  ìflto  e  l'elia 

Ne  vouiior  meco:  Ifito  afflitto  e  piavo 

Gii  d'anni;  e  l'olia  indebolito  e  tarlo 

D'un  colpo  elio  di  mano  ebbe  6"  Ulisse. 

Quinci  divelti,  al  gran  palagio  andammo 
Da  le  prida  chiamati.  Ivi  ora  un  fremito, 
Un  tumulto,  un  combatter  cosi  fiero,  •  ' 
Come  gucira  non  fosso  in  altro  l<  co, 
E  quivi  sol  si  combattesse,  o  quivi 
Ognun  morisse,  e  nessun  altro  altrove: 
Tal  v'era  Marte  indomito,  e  de'  tire^i 
(42C-440] 


gO  \  ?'  BOOM.  [720-71 

Tanto  concoreo.  Avcan  In  porta  cinta  1 
Di  schiero  o  di  tostuggiui  e  di  travi, 
E  d'niulii  i  lati  a  In  parete  in  alto 
Appoggiate  lo  scale;  onde  saliti 
E  spinti  un  dopo  l'altro,  con  gli  scudi 
Si  licoprian  di  sopra,  e  con  le  destro 
Kampicando  salian  di  grado  in  grado. 

A  rincontro  i  Troiani,  altri  di  sopra  | 
Muri  o  tetti  versando  e  torri  intero, 
]  travi  e  i  palchi  d'oro  e  i  fregi  tutti 
Do  la  regia  e  do'  regi  avoan  per  unni; 
Formi  a  far  si  (poich'eran  giuriti  ni  fina) 
Ch'ogni  cosa  con  lor  finisso  insieme: 
Kd  altri  unitamuuto  entro  a  la  porta  1 
Stavan  coi  ferri  bassi,  in  folta  schiera 
A  guardia  de  l'entrata.  E  qui  di  novo 
A  sovvenir  la  corto,  a  far  difesa 
l'er  entro,  a  darò  a*  viuti  animo  o  fona  1 
Mi  posi  in  coro  :  e  'n  cotal  guisa  il  fei.  4I 
Era  un  audito  occulto  od  una  porta 
Secretamcnto  accomodata  a  l'uso 
Do  le  stan/.o  reali,  ondo  solca 
Andromaca  infelice  al  suo  buon  tempo  l 
Gir  a'  suoceri  suoi  soletta,  e  seco 
l'or  domestica  gioia  al  suo  graud'avo 
|44(M07J 


p^fi-''*"1!  LIBRO  If.  81 

jl  panciotto  AstTanatte  addurre. 
Quinci  cutromesso,  mo  ne  salsi  in  rima 
i  l'alto  corridore,  ondo  i  meschini 
jVcan  di  sopra  a  le  nemichi;  schiero 
Tempesta  in  vano.  Era  dal  tetto  a  l'aura 
Spiccata,  o  6opra  la  Rarctc  n'Alo 
Un'altissima  torre,  ondo  il  paese 
pi  TrcJa.  il  mar.  le  nari  c'1  campo  tutto 
Si  scopria  do' nemici.  A  questa  Intorno 
Co' ferri  ci  mettemmo  o  co' puntelli  : 
%  da  radico,  ov'erif  al  paleo  aggiunta, 
jjda'suoi  tavolati  e  da'snoi  travi 
Recisa  in  parteja  tagliammo  in  tutto, 
v  ]a  spingemmo?  Alta  mina  e  suono 
foco  cadendo:  o  di  più  greche  squadro 
fa  strage  o  morto  o  sepoltura  insieme, 
fili  altri  vi  salir  sopra;  e  d'ogni  parte 
Senz'  intormisston  d'ogn'armc  un  ncinbo 
Volava  intanto.  In  su  la  prima  ontrata 
Stata  Pirro  orgoglioso;  e  d'armi  cinto 
SI  luminoso,  o  da*  reflessi  acceso 
Di  tanti  incenlii,  cho  di  foco  o  d'ira 
Parcan  lungo  avventar  ragpi  o  scintille. 

falò  un  colubro  mal  pasciuto  o  gonfio, 
PI  tana  usc.to,  ove  la  fredda  br  ima 

Cauo.-O-  [457-472J 


'r.xF.rn*.  [770-794J 
Lo  tenne  ascoso,  a  l' aura  si  dimostra,  M 
Quando,  deposto  il  suo  ruvido  spoglio, 
Bingiuvcuito  alteramente,  al  solo 
Lubrico  si  travolve,  o  con  tre  lingua 
Vibra  mille  suoi  lucidi  colori. 
Seco  il  gran  l'erifante,  e  'I  grand' aurigi 

IV  Achille,  Automedonto,  e  lo  stiwl  tutto  j 
Kra  do'Sciri;  e  di  già  sotto  entrati. 
Fiamme  a' tetti  avventando,  ogui  difosa  I 
Ne  facean  vana.  Equi  co'primi  avanti 
Pirro  con  una  in  umn  gravo  bipenno 

Lo  sbarre,  i  logni,  i  marmi,  ogui  ritegno  | 
Po  la  ferrata  porta  abbatto  e  frange,  J 
E  por  disganghorarla  ogni  arto  adopra,  I 
Tanto  alfin  no  recido  elio  nel  mezzo 

V  apre  un'  ampia  finestra.  Appaimi  dentro 
Gli  atrii  superbi,  i  lunghi  colonuati, 

E  di  Priamo  o  dogli  altri  antichi  regi 
I  reconditi  alberghi.  Appaion  l'armi  1 
Che  davanti  oran  pronto  alla  difesa. 
S'odo  più  dontro  un  gemito,  un  tumulto, 
Un  compianto  di  donne,  un  ululato, 
E  di  confusYi-no  e  di  miseria 
Tato  uu  suou  che  feria  l'aura  e  lo  stelle. 
Le  misero  matrone  spaventate, 
1472-187] 


19]  LIBRO  ti.  83 

Cb>  QUR'  ?n'    Por  '°  *T*n  8,'°  errando, 
Ruttonsi  i  petti;  e  con  dirotti  pinati 
Pnnno  inlino  a  le  porte  amplessi  e  baci, 
pjrro  intanto  non  cessa,  e  furioso. 
In  sembianza  dol  padre,  ogni  riparo. 
Ogni  intoppo  sprezzando,  ontro  si  caccio. 

Già  l'ariete  a  Aeri  tolpi  e  spesai 
Aperto,  fracassata,  e  d'ambi  i  lati 
««•cardini  divelta  «vea  la  porta; 
Quand'egli  a  forzo  urtò,  ruppo  e  conquise 
j  primi  armati;  o quinci  in  un  momento 
Pi  Greci  s'allagò  la  reggia  tutu. 
Qual  è.  so  rotti  gli  argini,  spumoso 
Esce  e  rapido  ua  fiume,  allnr  cbo  gonfio 
Etorbo  e  ruinoso  i  campi  inondo, 
geco  i  sassi  traendo  e  i  boschi  interi, 
Egli  armenti  o  le  stalle  e  ciò  che  aranti 
Gli  s'attraversa;  in  cotol  guiso  io  stosso 
Tidi  Pino  uionar  mina  o  strago: 
E  vidi  uo  l'entrato  ambi  gli  Atridi; 
Vidi  Ecuba  infelice,  ed  a  lei  cento 
Nuoro  d'intorno;  e  Priamo  vid'nneo 
Ch'est  inguea  col  suosanguo.oiiuc.'quoi  focili 
Che  da  lui  stesso  eran  sacrati  e  colti. 

Ciuquanta  maritali  appartamenti 
1187-503) 


1 


84  i.'sxkidk.  [S20-844] 

Eran  nel  mio  serraglio:  qualo,  e  quuuta 

Speranza  de'flgiioii  e  to' nipóti  1 

Quanti  fregi,  qimnt'oro,  quanto  spoglie, 
E  qunnt'nltre  ricchezzo!  c  tutte  insiemo 
Perirò  incontinente:  e  dove  il  foco 
Non  era,  erano  i  Greci.  Or,  por  contarvi  A 
Qual  di  PrTamo  fosse  il  fato  estremo, 
Egli,  poscia  che  prosa,  arsa  e  disfatta 
Vide  la  sua  cittadc,  e  i  Greci  in  iiicmo 
Ai  suoi  piti  cari  e  più  riposti  alberghi; 
Ancor  elio  vèglio  o  debole  e  tromanto, 
L'armi,  che  ili  gran  tempo  avea  dismesso, 
Addur  si  foce;  o  d'esso  inutilmente 
Gravò  gli  omori  e'I  fianco;  e  come  a  morte 
Devoto,  ovo  più  foltl^j  più  foroci 
Vide  i  nemici,  incontr'n  lor  si  mosse. 

Era  nel  mezzo  del  palazzo  a  l'ama 
Scoporto  un  grand' altare,  a  cui  vicino 
Sorgoa  di  molti  o  di  molt'anni  un  lauro  j 
Che  co' rami  a  T aitar  facea  tribuna,  1 
E  con  l'ombra  a' Penati  opaco  velo. 
Qui,  come  d'atra  o  torbida  tempesta 
Spaventate  colombe,  a  l'ara  Intorno 
Avua  le  care  figlio  Ecuba  accolto; 
Ove  agl'irati  Dei  pace  ed  aita 
1503- Ó17J 


{845 -SCO]  "      mbio  n.  85 
Chiedendo-  Agli  lor  santi  simulacri 
Stavano  ron  lo  braccia  indarno  appese 
Qui.  poiché  In  dolente  apparir  villo 
j|  vecchio  ro  gioveniimente  armato, 
0,  disse  infelicissimo  consorte, 
Qiial  dira  mente,  o  qiTal  follia  ti  spingo 
A  vestir  di  quest'almi?  Ove  t'avventi 
Misero  ?  Tal  soccorso  a  tal  difesa 
Non  ó  d'uopo  a  tal  tempo:  non,  s'appresso 
.Ti  fosso  anco  Etto/  mio.  Con  noi  più  tosto 
Rimanti  qui:  chè  questo  santo  altare 
Salverà  tutti,  o  morrem  tutti  insieme. 

Ciò  detto,  a  si  lo  trasse:  e  nel  suo  seggio 
In  innestate  il  pose.  Kcco  d'avanti 
A  Pirro  intanto  il  giovine  l'olite. 
Un  do'  figli  del  re,  scampo  cercando 
Pai  suo  furoro,  e  già  da  lui  ferito. 
Per  portici  e  per  loggo  armi  o  nemici  * 
Attraversando,  in  vèr  l'aitar  sèn  fugge: 
K  Pirro  ha  dietro  elio  lo  segue,  e'ncalza 
SI.  che  gin  già  con  l'asta  e  con  la  mano 
Or  lo  prende,  or  lo  fero.  Aititi  qui  giunto, 
Catto  di  inailo  in  mnn  di  forza  essnnsto 
K  di  sangue  e  di  vita,  avanti  agii  occhi 
D'ambi  i  parenti  sui  cadde,  o  spiro. 
1617-532] 


gH  L'ani  [870-8941 

Qui,  perchò  si  vodcsso  a  morto  esposta] 
Prtamo  non  di  sù  punto  obliossi, 
Nò  la  voce  frenò,  né  frenò  l'ira: 
Anzi  esclamando,  0  scelcratn,  disse, 
0  tomorario!  Abbiati  in  odio  il  cielo,    J  '1 
So  nel  cielo  ò  piotate;  o  se  i  celesti 
Hall  di  ciò  cura,  <li  lassù  ti  caggin 
I,a  vendetta  elio  morta  opra  si  ria. 
Empio.ch'finzi  a'  mici  numi. anzi  al  cospetti 
Mio  proprio  fai  governo  e  scompio  tale  '•] 
D'un  tal  mio  figlio,  e  di  sì  fera  viste. 
Lo  mie  luci  contamini  o  funesti. 
Cotal  meco  non  fu.  benché  nimico. 
Achille,  a  cui  tu  meati  ossor  figliolo. 
Quando,  a  lui  ricorrendo,  umanamente  > 
M'accolse,  c  riverì  lo  mie  proghioro; 
Gradi  la  fedo  mia:  d' Ettor  mio  figlio 
Mi  vendè  c'1  corpo  cssang'-o,  o  me  socora 
Nel  mio  regno  riposo.  In  onesta,  acceso  "I 
Il  dobil  vecchio  alzò  l'osta,  o  lancioll»  j 
SI.  che  senza  colpir  languida  e  Manca  I 
Fori  lo  scudo,  o  lo  percosse  a  pena. 
Che  dal  sonante  acciaro  incontinente  J 
Kisospinta  e  sbattuta  a  terra  cadde. 
A  cui  Pirro  soggiunse:  Or  va' tu  dtinqnffl 
|533-5471 


[805-010]         libro  ii.  8? 
Hessaggiero  n  mio  padre,  c  da  te  stosso, 
Le  mie  colpe  accusando  o  i  miei  difetti, 
Fii'ontn  a  lui  come  da  Ini  traligno: 
£  inum  i  intanto.  Ciò  dicendo,  irato 
Affermilo,  o  per  mezzo  11  molto  saligno 
Pel  suo  figlio  tremante,  o  barcolloni 
X  l'aitar  lo  condusse.  Ivi  nel  ciuffo 
Con  la  sinistra  il  preso,  e  con  la  destra 
Strinse  il  lucido  Terrò,  e  fieramente 
Noi  fianco  inllno  agli  el«i  gli  l'immerse. 

Questo  fin  cbbo,*e  qui  fortuna  addusse 
Priamo,  un  re  si  grande,  nn  sì  supcibo 
*  Pominator  di  genti  e  di  paesi. 
Un  de  l'Asia  monarca,  a  veder  Troia 
Ruinata  e  combusta,  a  giacer  quasi 
Nel  Hto  un  tronco  desolato,  nn  capo 
Senza  il  suo  busto,  o  senza  nome  un  corpo. 

Allor  pria  mi  sentii  dentro  e  d'intorno 
Tal  un  orror,  che  stupido  rimasi. 
E,  di  Priamo  pensando  al  caso  atroco, 
Mi  si  rappresentò  l'imago  aranti 
Pel  padro  mio  ch'era  a  lui  d'anni  eguale. 
Mj  sovvenne,  l' amata  mia  C'ronsa, 
11  mio  picciolo  luto,  o  la  mia  casa 
Tutta  a  la  violenza,  a  la  rapina, 
1547-5631 


Ad  ogni  ingiurì»  esposta.  Allora  in  diet«J 
Mi  volsi  per  veder  che  gente  meco 
Fosso  de" miei  seguaci:  e  nullo  intorno  ■ 
Più  no.»  mi  vidi;  che  tra  stanchi  o  mol  ti* 
E  foriti  e  storpiati,  altri  dal  ferro. 
Altri  da  lo  ruine,  altri  dal  foco, 
IT  avoan  già  tutti  abbandonalo.  In  sommi 
Mi  trovai  solo.  Ondo,  smarrito  errando,  ■ 
E  d' ogn'  intorno  i  imirando,  al  lume  1 
Pel  grand-incendio,  ecco  mi  s'olire,  agi  i  occkl 
Di  Tiudaio  la  figlia  elio  nel  tempio 
So  ne  stava  di  Vesta,  in  un  rcposto 
E  secreto  ridotto  asc osa  e  choto; 
Elcna,  dico,  origino  o  cagiono 
Di  tanti  mali,  e  che  fu  d' Ilio  e  d'  Argo 
Furia  commini».  Onde  com.nunemento  j 
E  de' Greci  temendo  o  do' Troiani, 
E  do  l'abbandonato  suo  marito. 
S'ora  in  quel  loco,  o'n  so  stessa  ristrdj 
Confusa,  vilipesa  ed  abburrita 
Fin  dagli  stessi  altari.  A.si  di  sdegno,  M 
Membrando  che  per  lei  Troia  cade»;   J  | 
E'i  suo  castigo  e  la  vendetta  iusu-mo  ,1 
Do  la  mia  patria  rivolgendo.  Aduuqno.» 
Dicea  meco,  impunita  e  trionfante 
|563-577] 


Ifll.vOGO]        •  t»t ubo  n.  89 
«tornerà  la  scolorata  In  Argo  ? 
«^irina  vedrà  Sparla  e  Micene? 
p0j,  r:'i  ilei  marito,  de' parenti. 
Po' li- li  suoi?  Farà  pompe  o  g-i  niulcitzf, 
^d'Ilio  avrà  por  servo  o  ^or  ministri 
X' altero  donne  e  i  gran  donzelli  intorno? 
£  qui  Priamo  sarà  di  ferro  anclso, 
E  Troia  incensa,  o  la  dardnnia  terra 
pi  tanto  sangue  tante  volto  aspersa? 
Non  fia  cosi  ;  oliò  se  ben  pregio  e  lode 
Ndn  s'acquista  aT"»'re  »  vincer  donna. 
Io  lodato  c  pregiato  a*sai  terrommi, 
*  So  si  dirà  cli'aggia  d'un  mostro  talo 
Purgato  il  mondo.  Appaglicrommi  almeno 
Disfogar  l'ira  mia;  vcndiclieromiiii 
Do  la  mia  patria;  e  col  flato  e  col  sanguo 
DI  lei  placherò  l'ombre,  e  farò  sazie 
Le  ceneri  do'  mici.  Ciò  vaneggiando, 
Infuriava  ;  quand'  occo  un»  loco 
jl'aprio  la  notte,  e  mi  scoverse  avanti 
L'alma  mia  genitrice  in  un  sembiante. 
Non  come  l'altre  volte  in  altre  forme 
Mentito  o  dubbio;  ma  verace  e  chiaro, 
E  di  madre  o  di  Dea.  qnal  erodo,  e  quanta 
Su  tra  gli  altri  colesti  in  cicl  si  mostra. 
[678-6«2] 


fl0  t'KSWD*.  [970-9941 

Cotal  la  vidi,  e  tnle  anco  per  mano 
Jli  proso,  o  con  pietà  le  sunto  luci 
E  lo  labbia  rosato  aperse,  o  dlsso: 
Figlio,  a  che  tanto  affanno  ?  a  cko  tant'ir»^ 
Che  non  t'acqueti  ornai?  Questa  o  la  cur» 
Che  tu  prendi  di  noi?  Che  non  più  tosto 
Rimiri  ov' abbandoni  il  vocchio  Anchise  I 
E  la  cara  Creusa  e  '1  caro  Iulo, 
Cui  sono  i  Oreci  intorno?  E  se  non  fossa  J 
Che  in  guardiaio  gli  agsrio.  in  preda  al  frrro,»J 
Fòran  giù  tutti.  Ah  figlio  !  non  il  volto  l«>ej 
Po  l'odiata  Argiva,  non  di  Pari 
La  biasmata  rapiiia.mirdol  cielo 
E  do' colesti  il  volor  empio  atterra 
La  troiana  potenza.  Alza  su  gli  occhi, 
Ch'io  no  trarrò  l'umida  nube,  o  '1  Telo  I 
Che  la  vista  mortai  t'appanna  e  grava:  J 
Poscia  credi  a  tua  madre,  e  senza  indugi» I 
Tutto  fa' che  da  lei  ti  si  comanda: 
Vedi  là  qnella  molo,  ovo  quoi  sassi 
Son  da  sassi  disgiunti,  o  dove  il  fumo 
Con  la  polve  ondeggiando  al  ciol  si  volré 
Come  fiero  Nettuno  infln  da  l'imo 
Le  mura  e  i  fondamenti  e'1  terreo  tutto* 
Col  gran  tridente  suo  sveglio  e  couqua» 
1592-6121 


rgfló-1019]         LIBRO  II.  91 
fedi  qui  su  1»  porti»  corno  Giono 
Infuriata  a  rotti  gli  altri  avanti 
ni  et  i  cinta  di  ferro,  «'da  le  navi 
t,,  sclii'T''  (l'Argo  ai  nostri  danni  invita: 
Vedi  poi       «"  Pallado  in  cima 
A  l'alta  ròcca,  entro  a-quel  nembo  armata, 
Che  con  lucenti  e  spaventosi  lampi 
Il  irai)  Gorgone  suo  discopre  e  vibra. 
Che  più?  mira  nel  ciel,  che  Giovo  stesso 
Sonimiuistrn  agli  Argivi  animo  e  forza, 
g  incontro  a  lo  vostro  armi  a  l'arme  incita 
Oli  eterni  Dei.  Codi  lor.  Aglio,  o  fuggi, 
Poi  cho  indarno  t'affanni,  lo  sarò  teco 
Ovuuquo  andrai,  si  cho  sccurninente 
Ti  porrò  dentro  a'tnol  paterni  nlhcrghi. 

Cosi  disso;  e  por  entro  a  le  folt' ombro 
Po  la  notto  s'ascoso.  Allur  vid'io 
Gl'invisibili  aspetti  o  i  Aeri  volti 
Pe'Nomi  a  Troia  iufosti.  o  Troia  tutta 
In  un  sol  foco  immorsa,  o  fin  dnl  fondo 
Sottosopra  rivolta.  In  qnclla  guisa 
Cho  d'alto  monto  in  precipizio  cado 
U»  orno  antico,  i  cui  rami  pur  dianzi 
IVoan  contrasto  a' venti  e  scorno  ni  solo, 
Quando  con  molte  accottoal  suo  gran  tronco 
1012-627] 


08  l/KNtlDE.  [1020-lMfl 

Stanno  i  robusti  agricoltori  intorno 
Ter  «ttorrarlo,  e  ffli  dan  colpi  u  aura.  ,  J 
Da  cui  vinto,  e  dal  peso,  a  poco  a  poco  ■ 
Crollando  o  balenando,  il  capo  inchina,  fl 
E  stride  c  geme  o  dal  snojRiogo  al  fino  J 
0  con  parte  del  giogo  si  diveglio, 
0  si  scoscendo;  o  ciò  che  intoppa  urtanti 
Di  snono  c  di  ruina  empie  lo  valli. 
Allor  discesi;  e  la  ma/crna  scorta 
Seguendo,  da'nimici  o  da  le  fiamme  ri 
Mi  rendei  salvo;  che  dovunque  il  passo 
Volgea,  cessava  il  fooo,  o  foggiali  l'arra),, 
Poi  ch'io  fui  giunto  a  la  magione  antìi" 
Del  padre  mio,  dì  lui  prima  mi  calsc 
E  del  suo  scampo,  o  per  condurlo  a' moniti 
M'apparecchiava,  qiinnd'oi  disse:  0  flgl" 
Io  decrepito,  lo  misero,  che  avanzi 
Ai  di  de  la  mia  patria?  Io  posso,  io  de 
Sopravvivcro  a  Troia?  E  fia  ch'io  soffra,! 
SI  vilo  ossiglio?  Voi,  che  ne' vostri  anni" 
Siete  di  sangue  o  di  vigore  iutieri, 
Voi  vi  salvate.  A  me,  s'io  pur  dovea 
Restare  in  vita,  nvrobbo  il  elei  serbato 
Questu  mio  nido.  Assai,  figlio,  e  pur  ti  oppi 
Son  vissuto  fin  qui:  poi  ch'altra  volta  1 
LC28-G42J  ' 


«(H.Vl'WOJ      unno  ii.  93 
vidi  'i  '"i*  cadere,  e  non  cadd'io. 
f «temi  or  ili  piota  gli  ultimi  uffici; 
Iteratemi  il  vale,  e  per  defunti» 
Cotti  composto  il  mio  coffe  Usciate, 
Ch'io  troverò  chi  mi  din  morte:  o  i  Croci 
jhsdi'smi,  o  per  piotatolo  por  Vagliela 
De  lo  mie  spoglie,  mi  trarran  di  vita 
vii  miseria:  e  se  d'esseqnie  io  manco, 
ge  mauco  di  sepolcro,  il  danno  è  lieve, 
p.,  l'ora  in  qua  soa  io  risso  a  tu  turra 
pisutil  peso,  òd  al  Rtan  Giovo  in  irò. 
Clio  dal  vento  percosso  edaju  Damino 
fui  del  folgore  suo.  Ciò  memorando 
Stava  il  misero  pn'ìlrc  a  morto  additto, 
>; d'intorno  tri.  or' io.  Creusa,  Inlo, 
j casa  tutta  con  preghiero  e  pianti 
Stringendolo  a  salvarsi,  a  non  trar  seca 
Ogni  cosa  in  ruiua,  a  non  offrirsi 
Da  sò  stesso  alla  morto.  Ei  fermo  e  saldo 
Nò  di  proponimento,  nò  di  loco 
Punto  si  cangia:  ond'io  pur,  l'armi!. grido 
Di  morir  desioso.  E  qual  v'  ora  altro 
Kiniedioo  di  consiglio  o  di  fortuna? 
Ahf  che  di  questa  soglia  io  tragga  il  piede 
Padie  mio,  por  lasciarti?  Ah  che  tu  possa 
'  1643-658] 


94  i/«mwi.  [1070-IOMl 

Creder  tanto  di  moV  da  la  tua  bocca  M 

Tanto  di  aceleranza  e  di  vilfcato 

È  d'ini  tuo  figlio  uscito?  Or  s'ò  destino  1 

Che  di  si  gran  città  nulla  rimanga. 

Se  piace  a  te,  se  nel  tuo  cnje  è  fermo 

Che  nè  di  to,  nè  dogliluoi  si  scorni 

La  ruina  di  Troia;  e  cosi  vada, 

E  cosi  fla;  ch'io  roggio. a  mano  a  mano  ■ 

Qui  del  sangue  del  re  tutto  cosperso, 

E  bramoso  del  nostro,  apparir  Pirro  J 

Ch'  i  padri  occido  anzi  agli  altari,  o  i  ftgfl 

Anzi  agli  occhi  de' padri.  Ah!  uiadro  mlaj 

Per  quosto  fino  qui  sali»  o  difeso 

M' hai  da  l' armi  e  dal  foco,  acci"  eh'  io  vergU 

Con  gli  occhi  miei  no  la'mia  casa  stesa»! 

I  miei  nemici  o'I  mio  padro  e-l  mio  figlio  i 

E  la  mia  donna  crudelmente  occisi 

I/un  nel  sangue  del' altro  V  Mano  a  l'anta 

Chi  mi  dà  l' armi  ?  Kcco  cho  '1  giorno  estro* 

Vinti  a  morto  no  chiama.  Or  mi  lasciata» 

Ch'  io  torni  infra  unnici,  o  elio  di  nuoto  M 

Mi  razzuffi  con  essi;  chè  non  tutti  I 

Abbiam  sonza  vendotta  oggi  a  perirò,  J  | 

E  già  di  ferro  cinto,  a  la  sinistra 
M'adattava  lo  scudo,  e  fuori  uscia, 
L658-672] 


pi'  -  inni      libro  n.  03 

Quand'occo     8U  lo  soglia  attravoisata 
Creusa  avanti  a' più  ini  si  distende, 
f  „n  irli  abbraccia;  o  Tfanaiullotto  luto 
j['  :    .  -.-ni  1. 1-  mi  '1^'-":  Ah  '  mi"         .  •■ 
Poto  ne  lasci?  S'a  morir  ne  Tai, 
Ohe  no"  tec0  n'*d<lucl?  E  se  ne  l'armi 
y  n0| l'esperienza  hai  speme  alcuna. 
Che  non  difendi  la  tua  casa  in  prima? 
Ore  Ascimi» abbandoni?  ore  tuo  padre? 
Ore  Crcusa  tua,  che  tua,  s'e  detta,  , 
Per  alcun  tempo?  H ciò  gridando,  empioa 
pi  pianto  e  di  stridor  lamagion  tutta: 
Quand'ccco  innanzi  agli  occhi,  e  fra  lo  mani 
pepli  stessi  paredti.  un  repentino 
E  mirabile  a  dir  portento  apparvi-; 
Chi  sopra  il  capo  del  fanciullo  Itilo 
Chiaro  un  lume  si  vide,  o  via  più  chiara 
Una  fiamma  cho  troiuola  o  sospesa 
la  Suo  tempie  rosate  o  I  biondi  crini 
Reo  già  come  leccando,  o  senza  oflbsa 
Lievemente  pascendo.  Orrore  o  téma 
Ne  presi  in  prima.  Indi  a  quel  santo  foco 
D'intorno,  altri  con  acqua,  altri  con  nitro, 
Ognun  facea  per  ammorzarlo  ogn'opra. 
Sin  il  padre  Anellino  a  rotai  vista  allegro, 
1678-687J 


08  L'FXKIOK.  [II20-1U4B 

Lo  man,  gli  occhi  e  In  voce  ni  ciol  rivolto 
Orò  dicendo:  Etemo,  onnipotente 
Signor,  s' umana  prece  uuqua  ti  mosso,  m 
Vèr  noi  rimira,  e  ne  fin  questo  assai. 
Ma  so  di  morto  alcuno  in  tuo  cospetto  j 
K  In  nostra  pietà,  padre  benigno. 
Danne  anco  aita;  e  con  felice  segno 
Quest'nnumizio  ratifica  e  conferma.  • 

Avea  di  ciò  pregato  il.vocchio  appena  I 
Che  tnuò  dn  sinistra  e  dal  convesso 
Del  ciol  cadde  una  stolln  che  per  mezzo 
Fendè  l'ombrosa  notte,  e  lunga  strisci» 
DI  face  e  di  splender  dietro  si  trasse 
Noi  la  vedemmo  chiaramente  sopra 
Da' nostri  tetti  ire  a  celarsi  in  Ida, 
SI  che  lasciò,  quanto  il  suo  corso  t . uno, 
Di  chiara  luco  un  solco:  e  hinge  iutornol| 
Fumò  la  terra  di  sulfureo  odoro. 

Allor  vinto  si  diodo  il  padre  mio; 
E  tosto  n  l'aura  uscendo,  ni  santo  sog 
De  In  stella  inchinossi,  e  con  gli  Del 
Parlò  devotamente:  0  do  In  patria 
Sacri  numi  Penati,  a  voi  mi  rendo. 
Voi  questa  casa,  voi  questo  nipote 
Mi  conservato.  Questo  augurio  ò  vostro 
IG87-703J 


j]lir,  1169]      Litnii  il.  97 
g  Dol  ]>oter  di  roi  Troia  rimatisi. 
j>0scia.  rivolto  a  noi.  Fa',  fìgliuol  mio, 
0m;,i.  disse,  ili  mo  clic  più  t'aggrada. 
Ch'ai  tuo  voler  son  pronto,  e  d'uscir  toco 

,,„„  roctiso.  Avoa  gii  '1  Toco  appresa 
\jx  città  tutta,  o'già  lo  fiamme  o  i  vampi 
Ho  fei  ian  da  vicino,  allor  dio  '1  vecchio 
Cosi  dicea.  Caro  mio  padre,  adunque, 
gairgioiis' io,  com'è  d'uopo,  lusu  1«  spallu 
\  me  ti  reca.,  o  mi  t'adatta  al  collo 
Acconciamente:  cV  io.  robusto  efft»ito 
Sono  a  tal  peso;  e  sia  poscia  dio  vuolo: 
Ch'  un  sol  periglio,  una  salute  sola 
pia  d'ambcduo.*Seguami  lulo  al  pari: 
Crciisa  dopo:  o  voi  miei  servì,  udito 
Quel  ch'io  divìso,  fc  do  la  porta  fuori 
Un  colle,  ov'  ha  di  Cererò  un  nntico 
%  deserto  delubro,  a  eoi  vicino 
Sorgo  un  cipresso,  già  molt'anni  e  molti 
In  onor  do  lo  Dea  serbato  e  colto. 
Qui  per  diverso  vio  tutti  in  un  loco 
VI  ridurrete:  o  tu  con  lo  tue  mani 
Sosterrai,  padre  mio,  do'  santi  arredi 
J.  jc'  patrii  I'enati  il  sacro  incarco, 
Ch' a  llie'  sl  lo"l°' c  sl  re™»'0  n*dto 
Cabo.-T.  [703-718) 


98  l'bxeidk.     [1170-1 1MJ 

Ila  tanta  occlsYon.  toccar  norloce 
Pria  che  di  vivo  fiumo  onda  mi  lave. 

Ciò  detto,  con  la  vesto  o  con  la  pcllo 
D'un  villoso  leon  m'adeguo  il  tergo, 
K  il  caro  peso  agli  omeri  m*  impongo. 
Indi  a  la  destra  il  fanciulletto  Iulo 
Mi  s'nggavigua,  o  non  c>)ii*moto  eguale 
Ei  seguo  I  passi  mici,  Crctisa  l'ormo. 
Andiam  por  luoglii  solitati  e  bui: 
E  me,  cui  dianzi  intrepido  c  sicuro 
Vidor  do  l'armi  i  nombi  e  degli  armati 
Lo  folte  sebiore,  or  oyni  suono,  ogn'au 
Empie  di  téma:  s\  goloso  fammi 
E  la  soma  o  il  compagno.  Era  vicino 
A  l'uscir  de  la  porta,  o  fuori  in  tutto. 
Coni' io  credo»,  d'ogni  sinistro  incontro^ 
Quanti' ecco  d'improviso  udir  mi  sembra  ] 
Un  calpestio  di  gente,  a  cui  rivolto 
Disse  il  vecchio  gridando:  Oli!  fuggi,  flgl^ 
Fuggi,  chi  no  son  presso.  Io  veggio,  io  seu 
Sonar  gli  scudi,  o  lampeggiare  i  ferri. 
Qui  ridir  non  saprei  conio,  nò  qualo 
Avverso  ninno  a  nio  stosso  mi  tolse; 
Clio  mentre  da  la  frotta  c  dal  timoro 
Sospinto  esco  di  strada,  o  per  occulto 
[718-737] 


[1105-1219]      libro  il.  90 
j  unii  osato  vie  m'aggiro  o  colo, 
i;   •  i,  misoro  dio!  senza  la  mia 
inietta  muffile,  in  dubbili  so  dal  Fato 
jli  si  rapisso,  o  traviata  errasse, 
0  pur  lassa  a  posar  posta  si  josse. 
Basta  ch'unqua  di  poi  non  la  rividi, 
Uè  per  vodorla  io  mi  rivolsi  mai, 
Hi  mai  mo  no  sovvonno,  infln  che  giunti 
j)i  Cerere  non  fummo  al  sacro  poggio. 
Ivi  ridotti, na  miyicò  di  tanti 
Sola  Creusa,  oimù!  con  quanto  scorno, 
£  con  quanto  dolor  dal  suo  consorto 
E  del  figlio  e  dot  suocoro  o  di  tutti  ! 
]o  che  non  feci  allora,  o  che  non  dissi  ? 
Qual  ilegli  uomini,  folle!  o  degli  Dei 
Con  accusai?  qual  vidi  in  tanto  eccidio, 
0  ch'io  provassi,  o  ch'avvenisse  altrui, 
Caso  più  miserando  o  più  crudele? 

Qui  mio  figlio,  mio  padro  o  i  patrii  numi 
Inscio  in  guardiaa'  compagni,  ed  io  de  l'anni 
Pur  mi  rivesto,  o  'ndietro  me  no  torno, 
Disposto  a  ritentare  ogni  fortuna, 
A  cercar  Troia  tutta,  a  por  la  vita 
Ad  ogni  ripcnlnglio.  Incominciai 
In  prima  da  le  muri»  e  dn  la  porta, 
[70M52] 


lOo  l'  kkkidr.     [1220  1244J 

Ond'or»  uscito;  c  le  vie  stesse  c  l'orme 
Ripetei  tutte,  por  cui  dianzi  io  ronui. 
Gli  occhi  portando  per  vodeila  intenti. 
Silenzio,  solitudine  e  spavento 
Trovili  per  tutto.  A  casa  aggiunsi  in  piana. 
Cercando  se  per  sorte  ivi  smarrita 
Si  ricovrusse.  Era  già  presa  e  piena 
Di  nemici  e  di  foco;  e  già  da'  Tetti 
Usciali,  da'  venti  e  dn  U  fuy'e  spinto, 
Kapide  damme  e  minaccioso  al  cielo. 
Torno  quinci  al  palagio;  indi  a  la  ròcca: 
Seguo  a  le  piazze,  n'  puitici,  a  l'asilo 
Di  tìiunon,  che  già  fatti  eran  conserve 
De  la  preda  di  Troia  a  cui  Feuice 
E  '1  fiero  Ulisse  orai)  custodi  eletti. 
Qui  d'ogni  parte  le  troiane  spoglie 
Fin  de  le  sacristie,  fin  degli  altari 
Lo  sacro  mense,  i  preziosi  vasi 
Di  solid'oro,  o  i  paramenti  e  i  drappi 
E  le  delizie  o  lo  ricchezze  tutte 
Agi' incendi  ritolte,  erano  addotto. 
D'intorno  innumerauili  prigioni 
Stava»  di  funi  e  di  catene  avvinti, 
E  matrono  o  donzelle  o  pargoletti, 
L'ho  di  soidi  lamenti  o  di  muggiti 
[753-767J 


mo.|.-,-12691      libro  n.  10) 
farcini  no  l'aria  no  tuono;  e  men  fra  loro 
Era  1"  donna  mia:  nò. doro  Tosse, 
più  ripensar  sapendo,  osai  dolente 
Cridiif  per  le  vie  tirila;  c,  benché  invano, 
jlillo  volte  iterai  l'amato  nome. 
Mentre  cosi  tra  furioso  o  mesto 
r>cr  1»  citta  m'aggiro,  «  senza  fino 
La  ricerco  e  la  chiamo,  ecco  davanti 
oli  si  fa  l'infelice  simulacro 
Di  lei,  maggior  del  solito.  Stupii, 
Aggricciai,  m'ammutii.  Prose  ella  adirmi 
E  consolarmi:  0  mio  dolce  cousoito, 
A  che  si  follo  affanno?  Agli  Dei  piaco 
Che  cosi  segua.  A  te  quinci  non  loco 
Di  trasportarmi.  Il  gran  Giove  mi  viota 
Ch'io  sia  toco  a  provar  gli  affanni  tuoi; 
Che  soffrir  lunghi  essigli,  arar  gran  mari 
Ti  converrà  pria  ch'ai  tuo  seggio  arrivi, 
Che  (la  poi  no  l'Esperia, ovo  il  tirreno 
Tcbro  con  placid'ondo  opimi  campi 
Di  bellicosa  gente  impingua  e  riga. 
Ivi  riposo  o  regno  c  regia  moglio 
•  Ti  si  prepara.  Or  de  la  tua  diletta 
Crcusa,  signor  mio,  piii  non  ti  doglia; 
Ch'i  Dolopi  supoibi,  o  i  Mirmidóui 
1768-7851 


102  L'nsiioE.  [1270-1204| 

Non  vedranno  già  ino.  dardaniu  prole, 
E  di  maino  figlia,  e  nuora  n  Venero, 
Nò  donna  lor,  uè  di  lor  doline  nncolla, 
Cliìi  la  gran  genitrice  dogli  Dei  # 
Appo  sé  tienimi.  Or  il  mio  caro  luto. 
Nostro  continuile  amore,  ama  in  tuia  vecoi 
E  lui  conserva,  o  te  consola.  Addio.  1 
Cosi  detto,  disparire.  Io  che  «Ini  pianto. 
Era  impedito,  ed  avoa  molto  a  dirlo. 
Me  l'avventai,  por  ritonerla,  al  collo; 
E  tro  volto  abbracciandola.  altrottante,_  I 
Como  vento  stringessi  o  fumo  o  sogno,  j 
Me  no  tornai  con  lo  man  voto  al  petto.  ( 
E  così  scorsa  e  consumata  indarno 
Tutta  la  notte,  al  poggio  mi  ritrassi 
A'  mio'  compagni,  ove  trovai  con  molta 
Mia  meraviglia  d'ogni  parto  accolta 
Ulta  gran  guitto,  un  misornbil  volgo 
D' ogni  età,  d'ogni  sesso  e  d'ogni  grado, J 
A  l'essiglio  parati,  e  'nsicmo  additti  •  I 
A  seguir  mo,  dovunqito  io  gli  adducessi,  I 
0  por  mare  o  per  terra.  Uscla  già  d'Iti»  j 
La  mattutina  stella  e  '1  di  u'apria, 
Quando  in  dietro  mi  volsi,  o  vidi  Troia 
Fumar  gii  tutta;  e  do  la  ròcca  in  cima, 
[786-8021 


n295-12flfl  libbo  n.  103 
I  f  di  sovr*"- ìiì  porta  inalborato 

Lo  "rocho  insogno:  ondo,  nù  ria  ni  «pomo 
jìini.iiit  ndomi  più  di  darle  aita. 
CtJt-i;  riprosi  il  carco,  o  salsi  al  monto. 
1802-804] 


104 


1 1  i oi , 


DELL'  ENEIDE 


Libro  Terzo. 


Poi  cho  fu  d'Asia  il  glorioso  regno 
E  '1  suo  re  seco  o  '1  suo  lognaggio  tutto* 
Com'al  cicl  piacque,  indegnamente  estint 
Ilio  abbattuto  e  la  nottunia  Troia 
Desolata  o  combusta;  i  santi  augùri 
Spiando,  a  vari  essigli,  a  varie  terrò 
Por  ricovro  di  noi  pensando  andammo: 
E  no  la  Frigia  stessa,  a  pio  d'Antandro,] 
No' monti  d'Ida,  a  lubricar  no  domino 
La  nostra  armata,  non  ben  certi  ancora \ 
Ovo  il  cicl  ne  chiamasse,  o  qual  altrovo 
No  desso  altro  ricotto.  Ivi  lo  genti 
D'intorno  accolte,  ni  mar  ne  riducemmo,  j 
E  n'imbarcammo  alfine.  Era  do  l'anno 
I,a  stagion  prima,  o  i  primi  giorni  a  pOD 
Quando.  sci»l£e  lo  sarto  c  date  a'  venti 
Le  volo,  corno  vollo  il  padro  Ancliiso, 
Piangendo  abbandonai  le  rivo  o  i  porti 
E  l  campi  ove  fu  Troia,  i  mici  compagni^ 
[1-11] 


[gO-U]  irnao  m.  ,,',> 

jfPcn  traendo  e  1  mio  figlio  o  1  mici  Binili 
A  l'orni»  in  preda,  o  do  In  patria  iu  band  >. 

È  de  In  Frigi»  incontro  un  gran  paese 
p.,'  Traci  arato,  al  fioro  Marte  addillo. 
Ampi"  roP10  0  ramoso,  c  seggio  un  tempo 
pel  feroco  Licurgo.  Ospiti  antichi 
S'ora»  Traci  e  Troiani;  o  fin  cu' a  Troia 
yeta  arriso  fortuna,  ebbero  entrambi 
Comuni  alberghi.  A  questa  terra  in  prima 
Drizzai  '1  mio  corso,  o  qni  primieramente 
Kel  curvo  lito  con  destino  avvorso 
Una  città  fondai,  elio  dal  mio  nomo 
Eaòailc  nomossy  e  mentre  intorno 
Mo  le  travaglio,  e  i  santi  sacrifici 
l  Vcnore  mia  madre  od  agli  Poi, 
Che  sono  al  cominciar  propizi,  indico: 
Mentre  che  'n  su  la  riva  un  bianco  toro 
ii  supremo  Tonanto  offro  per  vittima, 
Udito  elio  m'avvenne.  Era  nel  lito 
Un  piccini  monticollo,  a  cui  sorgea 
pi  mirti  in  su  la  cima  e  di  corgnali 
Una  folta  sclvctta.  In  questa  entrando, 
perdi  fronde  velaro  i  «acri  altari, 
Mentre  do'  suoi  piti  tenori  o  più  verdi 
Arbusti  or  questo,  or  quol  diramo  e  svolgo 


106  t{  «KEim.  [45- 

.  Orribile  a  veder,  stupendo  a  dire,     ' - 
M'apparve  un  «ostri):  clic  ilivult.i  il  piimoj 
Db  le  priine  radici,  uscii  di  sangue 
Lurido  gocce,  o  no  fu  '1  suolo  asporso. 
Ghiado  mi  strinse  il  coro;  orror  mi  scoaifl 
Lo  membra  tutto;  e  di  paura  il  sangue 
Mi  si  rapprese.  Io  lo  cagioni  ascose 
Di  ciò  cercando,  un  altro  ne  divolsi: 
Ed  altro  sangue  uscinne:  ondo  confuso 
Vio  più  rimasi,  e  nel  mio  cor  diversi 
Pensici'  volgendo,  or  do  l'agresti  ninfo, 
Or  dol  scitico  Marte  i  santi  numi 
Adorando,  porgea  preghiere  umili. 
Che  di  si  fiera  o  portentosa  vista 
Mi  si  togliesse,  o  si  temprasse  nlmono 
Il  diro  annunzio.  Ritentando  ancora, 
Vengo  al  terzo  virgulto,  c  con  più  foriaj 
Mentio  lo  scorpo, e  i  piedi  :il  suoli  apponi 
E  lo  scuoto  e  lo  sbarbo  (il  dico  o  '1  taccia 
Un  sospiroso  o  lagrimabil  suono 
Da  l'imo  poggio  odo  cho  grida,  o  dico:' 

Ahi!  perche  si  mi  laceri  e  mi  scempi?! 
Perchè,  di  cosi  pio,  cosi  spiotato, 
Enea,  vèrme  ti  mostri?  A  che  molesti 
Un  eh' 6  morto  e  sepolto?  A  cho  contai 
[26-42] 


1*0-911  libro  m.  W 

<vi|  sangne  m'°  '°  consanguineo  mani? 
rliii  no  di  patria  nò  di  gente  esterno 
tfcju  io     'e.  n0  «.«osto  atro  liqnoro 
vsic  da  sterpi,  ma  'la  nwubra  umane. 
Ah!  f"-'-''-  Enea,  *n  I06**0  empio  paese, 
j-npei  i»  questo  abbotnjnevol  lito: 

Chè  r«li|loro  io  sono' 0  con,itto 
«•ha  nembo  micidiale  e  ria  semenza 
ni  fùrri  e  d'asto  che  dal  Corpo  mio 
Umor  l"  esn  c  radicii  lian  fatto  selva.  i 

A  cotal  suon,  da  (fobia  t«.ma  oppresso, 
Stupii,  mi  raggricciai,  moto  divenni, 
pi  |Y,lidoro  udendo.  Un  do'  figlinoli 

Era  questi  dcl  rc- =h'al  tracìo  tos° 
A,  con  molto  tesoro  occultamento 
Accomandato  nllor,  elio  da'  Tioiani 
illComin.-iossi  a  diffidar  do  l'armi, 
K  tomer  de  l'assedio.  11  rio  tiranno. 
Tosto  che  a  Troia  la  fortuna  vido 
Volger  lo  spalle,  anch' ei  si  volse,  e  l'armi 
E  la  sorto  segui  do'  vincitori; 
SI  che  de  l'amicizia  o  de  l'ospizio 
j  de  P  umanità  rotta  ogni  legge, 
Tolto  al  regio  fanciul  la  vita  e  l'oro. 
Ahi  do  l'oro  empia  ed  essocrabil  fumé! 
142-65) 


108  u'Kntm*-  t95"^ 

E  clic  por  te  non  osn,  e  clic  non  tento 
Quest'umana  ingordigia?  Or  poi  clio'l; 
Mi  fu  da  l'osso  uscito,  ni  primi  capi 
Ilo!  popol  nostro  ed  a  mio  padre  in  ptf 
Il  prodigio  refersi,  c  di  ciascuno 
Il  parer  ne  spiai.  Via.  disscr  tutti 
Concordemente,  abbandouiam  quest' 
E  scolerà ta  terra;  nndiam  lontano 
Da  questo  infame  c  tiaditorc  ospizio 
Bimottiancl  nel  mare.  Indi  l'cssequi 
Di  Polidoro  a  celebrar  no  demmo: 
E.  composto  di  terra  un  aito  cumulo 
Gli  aitar  vi  consacrammo  ai  numi  in 
Clio  di  ceruleo  bende  c  di  funesti 
Cipressi  cran  coverti.  Ivi  le  donno 
D' Ilio,  com'è  fra  noi  rito  soldino,  ,j 
Vestito  a  bruno  o  scapigliato  e  mesto 
Ulularono  intorno:  o  noi  di  sopra 
Di  caldo  latto  o  di  sacrato  sangue 
Pieno  tazze  spargemmo,  o  con  suprenj 
Riclilami  amaramente  al  suo  sepolcro: 
Rivocainmo  di  lui  l'anima  errante. 
Nò  pria  ne  si  mostrar  l'ondo  sicuro, 
E  fidi  i  vonti,  che,  del  porto  usciti, 
Incontinente  no  vedemmo  avanti 
[56-72] 


I  | 80-1      1  LIBUO  111.  100 

Sparir  l*©dIo«»  terra,  e  gir  da  noi 

pi  pano  in  man  fuggendo  i  liti  o  i  monti. 

j.-  ,„.|  iwr./.o  n  l'Egèo,  diletta  a  Pori 
n  Nettuno,  un'isola  famosa. 
Clio  g'''  mobile  e  Tnga  intorno,»'  liti 
Agitata  da  l'ondo  cria»do  nudava; 
jla  fatta  di  I.atona  e  do'  suoi  figli 
ghetto' un  tempo,  dal  pietoso  arciero 
Tra  GTaro  e  Micou  fu  stretta  in  guisa. 
Ch'immota,  e  oolta,^  consacrata  a  lui, 
Ebbe  poi  lo  tempesto  e  1  venti  a  scherno. 
Qui  l,or,°  lucidissimo  0  wcnro 
Stanchi  no  ricevotfe,  e  già  smontati 
Venoraram  d'Apollo  il  santo  nido; 
Qnand'ccco  Aulo  suo  rogo,  e  roge  bulMM 
E  sacerdote,  che  di  sacre  bondo 
E  d'onorato  alloro  il  crino  adorno 
Ne  si  fa  'neontro.  Era  al  mio  padro  Anch'so 
Già  di  moli' anni  amico;  onde  ben  (osto 
Jjo  riconobbe,  o  con  sembiante  allegro 
Lai  primamente,  indi  noi  lutti  accolti, 
N'abbraccii'',  ne  'nvitò,  seco  n'addusse. 

Quinci  al  delubro,  eh' ad  Apollo  in  cima 
Era  d'un  sasso  anticamente  astratto, 
Tutti  salimmo:  ed  io  devoto  orai: 
172-84] 


jjO  h'T.s.  |115-1( 

Danno,  padre  Timbrilo,  propria  magio» 
E  propria  terra,  ovo  già  stanclii  «I  bia" 
Posa  o  ristoro,  e  ne  dà'  stirpo  e  nido . 
Opportuno,  durabile  a  socuro: 
Danne  Troia  novella;  e  de'  Troiani 
Sciba  questo  reliquie,  che  avanzato 
Sono  a  pena  agli  storpi,  a  le  ruine. 
Al  foco,  a' Greci,  al  dispietato  Achille.! 
Mostrano  chi  ne  gnidi,  ove  s'indrlttj  ; 
Il  nostro  corso,  e  qnal  fia  '1  nostro  sei 
Coi  tuoi  più  ciliari  e  manifesti  unirmi, 
Signor,  tu  ne  predici  e  tu  n'inspira.  J 
Avca  ciò  dotto  a  pena,  che  repente  | 
11  limitare,  il  tempio,  e  "1  monto  tutto  i 
Crollossi  intorno;  scompigliarsi  i  laurir 
Aprissi,  o  dagli  interni  suoi  ridotti  • 
Mugghiò  la  formidabile  cortina. 
Noi  riverenti  a  terra  ne  gittamino; 
E  '1  suon,  eh'  era  confuso,  a  l"  aura  a»6 
Articolossi,  e  cosi  dire  udissi: 

Dardanidi  robusti,  onde  l'origine 
Traeste  in  prima,  ivi  ancor  lieto  o  fortìi 
]ii  vostra  antica  madre  il  grembo  nspeffl 
Di  lei  dunque  corcate:  a  lei  tornatoTltT 
Ch'ivi  sovr'ognì  gente  in  tutti  i  secol^ 
185-97] 


p70-I94]|        Lineo  ITI.  Ili 
pgmiiiiTnnno  i  gloriosi  Ricadi, 
»  |R  posterità  degli  lor  posteri. 

fio  disse  Apollo:  o  del  suo  detto  féssi 
Infni  noi  gran  letizi»  e  gran  bisbiglio, 
Interrogando  c  ricercando  ogimno 
Qual  paoso,  4ua'  madre,  qual  ricetto 
No  s'accennasse.  Allora  il  padre  Aneli,:  j 
Da  lungo  i  tempi  ripotendo  o  i  casi 
nei  nostri  antichi  eroi,  Signori,  udite, 
Ite  disse,  ch'io  dar^luma  o  compenso 
^  le  rostro  speranze.  È  del  gran  Giovo 
Creta  quasi  gran  cuna  io  mezzo  al  mare 
Jsola  chiara,  e  regno  ampio  e  ferace. 
Che  cento  gran  citta  nodrlsco  o  reggo. 
Itì  sorge  un'altr'Ida.  ondo  nomata 
fu  l'Ida  nostra;  ond'ha  soino  o  radice 
Nostro  legnaggio;  ondo  primioranicnto 
Teucro,  padre  maggior  do'  maggior  nosti  i 
(So  ben  me  no  rammento),  errando  venne, 
A  le  spiagge  di  Roto,  ov'egli  elesse 
Di  fondare  il  suo  regno.  Ilio  non  era. 
Nò  di  Pergamo  ancor  sorgean  le  mura 
Tino  in  quel  tempo;  o  sol  no  l'Imo  vaMi 
Abitava!!  le  genti.  Indi  a  uoi  venne 
Lagiau  Cibolc  madre;  indi  son  l'armi 
[97-111] 


jj2  L'k.NÉlDB-  1105-2| 

po'  Coribnnti,  indi  la  selva  Idea,  ^ 
E  quel  Udo  silenzio,  ondo  celati 
Sou  quei  nostri  misteri,  e  quei  leoni 
Ch'ai  carro  de  la  Dea  son  posti  ni  giotf 
Di  la  dunque  veniamo  o  là  vuol  Febo  J 
Che  si  ritorni.  Or  via  seguiamo  il  Tato» 
Vlnchiamo  i  venti,  o  ne  la  Crota  nudl^ 
Che  non  è  lungc;  o  80  n'ù  Giove  amte% 
Anzi  tro  di  n'approderemo  ai  liti. 

Ciò  detto,  a  ciascun  dio,  come  con 
Sacrificando,  due  gran  tori  occiso: 
E  l'un  diede  a  Nettuno  e  l'altro  a  Fo" 
Dm  pecora  negra  a  la  Tempesta; 
Al  Sereno  una  bianca.  Era  in  quei  gio 
Fama,  che  Idomonòo  cretese  croo,  , 
Da  la  sua  patria  e  da'  patemi  regni  j 
Era  scacciato;  ondo  di  Creta  i  liti 
D'armi,  di  duco  c  di  seguaci  suoi. 
Nostri  nimici,  In  gran  parto  spogliati, 
Stavano  a  noi  botimi  contesa  esposti. 

Tosto  d'Ortigia  abbandonammo  i 
Trapassammo  di  Naso  i  pampinosi 
Colli,  o  Bacco  onorammo:  i  verdi  liti 
Pi  pònto,  o  d'Olearo  varcammo; 
Uiuugemnio  a  Taro,  e  lo  suo  binncho 
[111-126] 


[22'1-244|         LiHiut  ni.  113 
fasciammo  indietro;  indi  di  mano  in  ninno 
faltrc  Ciclndi  tutto  o  "I  mar  ebo  rotto 
pa  tanl' isolo  o  chiuso  ondeggia  o  forre; 
%  seguendo,  com'.  .!,  '  untanti 
Marinaresca  usanza,  in^Creta,!  in  Creta! 
Lietamente  gridando,  «on  un  rento 
Che  no  feria  scura  ritegno  in  poppa. 
Quasi  a  volo  nndnvamo;  onde  ben  tosto 
Pc'  Curcti  appressaiunio  i  liti  antichi; 
£  gli  scoprimmo,  o  T'approdammo  alfine. 
Giunti  i-lie  fummo,  avidamente  diemmi 
\  fabiic.tr  le  desiato  mora, 
E  Pergamoa  da  largamo  lo  dissi. 
Con  questo  amato  nomo  amore  c  «pome 
pestai  di  nuova  patria,  e  studio  intenso 
P' alzar  lo  mura  o  di  fondar  gli  alberghi. 

Ermi  le  navi  in  su  la  rena  addotto 
Per  la  più  parto;  ora  la  gonto  intenta 
A  l'arti,  a  la  coltura,  ai  maritaggi. 
Ad  ogni  affare;  od  io  lor  ministrava  • 
leggi  e  ragioni,  o  facoa  tempii  a  strado. 
Quando  fera,  improvvisa  pestilenza 
Ne sopravvoline;  o  la  stagiono  o  l'anno 
E  gl!  uomini  egli  nrmontlo  l'aria  o  l'acquo 
E  tutto  altro  infettoniio;  onde  ogni  corpo 

OBO.-8.  112(1-1401 


,u  l'imi»».  [245-2« 

0  cadeva  o  languivi»;  e  1»  «omento 
E  i  frutti  e  l'erbo  e  le  campagne  stosso, 
Pa  la  rabbia  di  Sirlo  o  dal  veleno 
Po  l'orribil  contado  arse  e  corrotto, 
Ci  negavano  il  vitto.  Il  pnùro  mio 
Por  consiglio  ne  dio  che  un'altra  volta,, 
Kiuavigando  il  navigato  mare, 
Si  tornasse  iu  Ortigia.  o  elio  di  nuovo 
Ricorrendo  di  Febo  al  sauto  oracolo, 
Pcrdón  gli  si  cbiedesso,  aita  o  scampo 
Da  si  maliguo  c  velenoso  influsso, 
Ed        del  camino  e  do  la  stanza 
Chiaro  no  si  traesse  Inditelo  e  lume. 

Era  gii  notto,  o  già  dal  sonnu  vinta 
Poso  e  ristoro  uvea  l'umana  gente, 
Quando  lo  sacro  effigi  de'  Penati,  j 
Quello  elio  nioco  nvea  tratto  dal  foco 
De  la  min  patria,  quello  stosso  in  sogno, 
Vivo  mi  si  mostrili'  voraci  0  chiare, 
Tal  piena,  avversa  o  luminosa  lunn 
Penetrava,  por  entro  al  chiuso  albergo, 
Di  puii  vetri  i  lucidi  spiragli; 
E  come  oran  visibili,  appressando 
La  sponda  ov'io  giacca  sonvemento. 
Mi  si  focoro  avanti,  o  'u  cotnl  guisa 
[U0-1S3] 


[STO  COI]  LIBRO  III.  11 

jli  confortaro:  Qnol  che  Apollo  stesso, 
gc  tornaste  in  Ortlgia.  a  voi  direbbe, 
Qui  immilliti  dit  lui  ri  digiuni  noi: 
j:  nei  si"'11  'l"c'  «ne  dopo  Troia  iucensa 
per  tanti  mari,  a  tniit»affanni  toco 
N'uscimmo,  e  te  sogniamo  e  l'armi  tue. 

i  compagni  ti  siamo,  e  noi  saremo 
Cu'a  la  nova  citta,  elio  tu  proculi; 
Daremo  eterno  imperio,  o  i  tuoi  nipoti 
Ergeremo  a  l.e  stelle.  Alto  ricetto 
Tu  dunque,  e  degifb  de  l'altezza  loro, 
Prepara  intanto;  e  1  rischi  e  lo  fatiche 
Non  rifiutar  di  più  lontano  essiglio. 
Corca  loro  altro  seggio;  ergi  altro  mura 
Yio  più  chiaro  di  queste;  elio  di  Creta 
Nò  curiali)  noi,  nò  lo  ti  dice  Apollo. 

Una  parte  d'Europa  è,  che  da'  Oroci 
Si  disse  Esperia,  autica,  bellicosa 
E  fertil  terra.  Dagli  Enotrl  cólta, 
Filma  Enotria  nomossl:  or,  com'è  fama, 
Freso  d'Italo  il  nonio,  Italia  ò  detta. 
Quest'ò  la  terra  destinata  a  noi. 
Quinci  l'ani. ino  in  prima  o  Iasio  uscirò; 
K  Dardano  ù  l'autor  del  sangue  nostro. 
Sorgi  dunque  e  riporta  al  padio  Auchiso 
1158-169] 


j!6  i.'  i'm-.idk.        I-".'".  :1I9]  1 

Quel  ch'or  noi  ti  dioiain,  chi  diciam  vero: 
£  tu  corca  di  Còrito  o  d'Ausonia 
L'untichi  terre,  che  da  Giovo  in  Creta  .  \ 
Regnar  ti  s'interdico,  lo  di  tal  vista, 
E  di  tai  voci,  ch'cran  voci  e  corpi 
Ile'  nostri.  Ilei,  non  simolacri  e  sogni 
(Chù  no  vid'io  le  snere  hendo  e  i  volti  '. 
Sfilanti  e  vivi),  attonito  e  cosperso 
Di  gelato  sudore,  in  un  momento 
Salto  dal  letto;  e  con  le  mani  al  ciolo 
E  con  la  voce  supplicando,  spargo 
Ili  doni  intemerati  i  santi  fochi. 
Riveriti  i  Penati,  al  padre  Anchiso 
Lieto  nièn  vado,  e  del  portento  intera- 
mente il  successo  e  l'ordine  gli  espongo. 
Incontinente  riconohbc  il  doppio 
Nostro  loguaggio.oiducpadri  oiduo  trono' 
Be'  cui  rami  siam  noi  vette  e  rampolli; 
E  d'erro  uscito,  Ora  io  m'avveggio,  disti 
Figlio,  che  segno  sei  de  le  fortuno 
E  del  fato  di  Troia,  e  ciò  rincontro 
Clio  Cassandra  dicoa:  sola  Cassandra 
I.o  previde  o  'I  predisse.  Ella  al  mio  snng 
Augurò  questo  regno;  o  questa  Italia 
E  questa  Esporla  avea  sovente  in  bocca.  „ 
1 170-185] 


[820-844]        libro  m.  117 
jln  ehi  nini  no  l'Esperia  nTrln  creduto 
Che  regnosscio  I  Teucri?  E  ehi  erode» 
]n  quel  twnpo  a  Cassandra?  Ora,  mio  Aglio, 
Oliam  i  a  Febo:  o  ciò  eho  '1  dio  del  vero 
;Co  dà  per  meglio,  per  miglior  s'elegga. 

Ciò  disse,  oi  dotti  suol  tostò  ossegli  iniino; 
Ed  ancor  questa  terra  abbandonammo, 
go  non  se  pochi.  N'andavamo  a  rcla 
Con  se '"ini' aura;  e  già  d'alto  mirando, 
Non  più  torra  appaila,  ma  cielo  od  acqua 
Vedevnm  solamcnto;  quando  oscuro 
Y.  denso  e  procolloso  on  nembo  sopra 
Mi  stette  al  capo,  ondo  tempesta  c  notto 
Ne  si  fcco  repente,  o  di  più  siti 
Rapidi  uscendo  imporrorsaio  i  vanti; 
S'abbuiò  l'aria,  abbaruflbssi  il  maro, 
E  gouAaro  altamente  o  mugghiar  l'ondo, 
llciel  frcmondo.in  tuoni,  in  lampi,  in  folgori»^ 
SI  squarciò  d'ogni  parto.  11  giorno  notto 
Féssi,  o  la  notte  abisso:  o  l'un  da  l'altro 
Non  disccrnondo  Palinuro  stesso 
Do  la  i  in  diflldossi  o  do  la  vita. 

Cosi  tolti  dal  corso,  e  quinci  e  quindi  - 
Por  lo  gran  golfo  dissipati  o  cicchi, 
Da  buio  e  da  caligine  coverti, 
[180-802J 


jjg  I.*  BHWDE.  [315-86 

Tro  Soli  inferi  senza  luco  errammo, 
Tro  notti  senza  stelle.  Il  quarto  giorno 
Vcdommo  nllln.  quasi  dal  mar  risorta,  •• 
La  tcrrn  «primo  i  monti  e  gittar  fumo.. 
Caggion  Io  tele:  o  1  romignnti  a  pi-uova.. 
Di  bianche  schiume  il  gran  comico  golfuì 
Sognando,  inverso  i  liti  1  logni  affrettano! 
Nò  prima  fui  di  si  gian  rischio  uscito, 
Cho  giunto  no  lo  Strofndi  mi  vidi. 
Strofadi  grecamente  nominato 
5on  corto  isole  in  mozzo  al  grande  Ioni 
Da  la  fora  Colono  e  da  quell'altre 
Rapaci  o  lordo  suo  compagne  nrpio 
Fin  d'allora  abitato,  che  per  téma 
I,asciàr  le  primo  mense,  o  di  Kinòo  (  i 
Fu  lor  chiuso  l'alborgo.  Altro  di  qnest* 
Più  sozzo  mostro,  altra  piti  dira  pesto 
Da  lo  tartaree  grotto  unqua  non  venne 
Sembrali  vergini  a'  volti,  nccogli  o  cag 
A  l'altro  membra:  hanno  di  ventre  un 
Profluvio,  ond'ò  la  piuma  intrisa  ed  I 
Le  man  d'artigli  armato,  il  collo  smn 
I,a  faccia  per  la  famo  e  por  la  rabbia 
Tallida  sempro,  o  raggrinzata  e  magra. 
Tosto  che  qui  sospinti  in  f  ito  entrai» 
1203-21«J] 


[370-394]        unno  m.  1,9 
jcco  sparsi  vogglam  per  la  campagna 
gonza  custodi  nudar  gran  torme  errando 
pi  cornuti  e  villosi  armenti  e  gregiri. 
-,,,.,,,(■1:11110  in  terra:  ojcr  far  carne. preso 
ì/ariui.  a  predare  andmmo,  0  do  la  preda 
Jli  liei  chiamiamo  e  Giove  stesso  n  parto. 

Fatta  la  strago  e  gU  parati  i  cibi, 
E  disteso  lo  uronso,  craram  lungo 
Al  curvo  llto  a  ricrcaruc  assisi, 
Ouand'occo  elio  da'  monti  in  un  inoinouto 
Con  dire  voci  0  spaventoso  rombo 
vc  si  fan  sopra  le  bramato  arpie; 
E  con  gli  urti  e  con  Tali  0  con  gli  ugnonl, 
Col  tetro,  osceni),  nl.bominovol  puzzo 
«Io  sgominar  le  mouse,  ne  rapirò. 
Ne  infettar  tutti  0  i  cibi  0  i  lochi  0  noi. 

Era  presso  un  ridotto,  ove  alta  0  cava 
Rupe  d'arbori  chiosa  0  d'ombro  intorno 
Faceo  capace  od  opportuno  ostello. 
Ivi  ne  riducemmo,  0  no  lo  monso 
Biposti  i  cibi  0  negli  altari  i  fochi, 
A  convivar  tornammo,  ed  ecco  un'altra 
Volta  d'un' altra  parte  per  occulto 
E  non  provisto  vio  no  si  scoverse 
i;0rrìbil  torma;  0  con  gli  ndunclii  artigli, 
(219-2S3J 


120  j/kxkid».        [895  lift] 

Co' fieri  denti  c  con  le  bocche  impure 
Ghermir  In  preda,  e  ne  lasciAr  di  novo 
Voto  le  mens/ì  scompigliato  e  sozzo. 

Allor, Via! dico  a'  mici,  di  guerra  è  d'uoj 
Contra  a  si  dira  gente:  o  tutti  a  l'arme  «j 
Ed  a  battaglia  incito.  Eglino  in  guisa  J 
Ch'io  gli  disposi,  i  ferri  ignudi  e  l'asta  J 
E  gli  scudi  c  lo  (rombo  e  i  corpi  stessi 
Infra  l'erba  acquattarci  :,  il  lor  litoruo 
Storo  aspettando.  Era  Misuii»  in  alto 
A  la  veletta  asceso;  o  non  più  tosto 
Scoprir  lo  yido,  o  schiamazzare  udillo. 
Che  col  (janoro  suo  cavo  oricalco 
No  diè  conno  a'  compagni.  Uscir  d'aggnat 
Tutti  in  un  tempo,  e  nuova  zuffa  e  strana 
Tentar  contra  i  marini  uccegli  invano;  . 
Chò  le  piume  o  lo  terga  ad  ogni  colpo  • 
Aveano  impenotrabili  o  sceme; 
Ondo  seciiramcnto  al  cicl  rivolto 
So  no  fuggirò,  o  no  lasciar  la  proda 
Sgraffiata,  smozzicata  o  lorda  tutta. 
Sola  Celeno  a  l'alta  rupe  in  cima 
Disdegnosa  fcrmossi  ;  o  d' infortuni!  M 
Trista  indovina,  infnrtossi,  o  disse: 
liuniiue  non  basta  averne,  ardita  rozza 
[233-SU7J 


[420-444J        libro  m.  121 

pi  l.aoiucdopto,  depredati  o  scorsi 

gli  (irmeli tic  i  campi  nostri,  clicniicorgiiorra, 

Gueira  ancor  ne  t.«*  E  l'innoconti 

Ai  i-i-  -••*••"■•'»»'  «lei  patri»  regno  osate? 

Jla  sentite,  o  nel  cor  fl  riponete 

QhcI  eli'  io  T'annunzio.  |o  son  Fili  iasnpioma 

ChViimmiiioa  voi  quel  che  'I  gran  Giove  a  Febo 

E  Febo  a  ino  predice.  Il  vostro  corso 

fi  per  Italia,  e  ne  Pitali*  areto 

E  porto  e  seggio,  ila  di  mura  avanti. 

In  città  che  dal  ciel  vi  si  destina. 

Non  cingerete,  elio  d'un  tale  oltraggio  . 

Castigo  aretc;  e  dira  fame  a  tanto 

Vi  condurrà,  elio  ìino  anco  le  mense 

pivororcte.  E,  cosi  detto,  il  volo 

Riprese  in  vèr  la  solva,  o  dileguimi! 

Sgomenlaronsi  i  mici,  cadde  lor  l'ira; 
E  prieglii.  invoco  d'armi,  e  voti  oprando, 
Mercé  cbiesero  e  paco,  o  Divo  o  Hiro 
Clic  si  fnsser  l'alato  ingordo  belva; 
E  'I  padre  Anchiso  in  su  la  riva  sporto 
Al  ciel  lo  palme,  0  i  gran  celesti  numi 
Umilnicnto  invocando,  indisso  i  sacri 
A  lor  dovuti  onori:  0  bit  possenti, 
0  Pii  benigni,  voi  rendete  vane 
12I7-2G5] 


122  i.'  KNF.inìl.         [4 I5-46B| 

Questo  minacce;  voi  di  caso  lalo 
No  liberate;  e  voi  giusti  o  voi  buoi 
Siate  pietosi  a  noi  Hi' empii  non  si 
Indi  ratto  romnndn  clic  dal  lit» 
Si  disciolgnno  i  legni.  Entriam  ne!  mari 
Spieghimi!  le  vele  agli  austri,  e  via  per  l'osi 
Spumoso  a  tutto  corso  in  fuga  andiamo] 
I,à  '  ve  '1  vento  o  '1  nocchicr  ne  gu  ida  e  spln^ 
E  già  d'alio  apparii  v«ggiam  le  selve 
Di  Zacinto:  passimi!  DollcWo  e  Same; 
Varcliiam  Nèrito  alpcstro;  e  via  fuggonjj 
E  bestemmiando,  trapassiam  gli  scogli , 
D'Itaca,  imperio  di  Lnorto.  e  nido 
Del  fraudolento  Ulisse  Indi  ne  s'apro 
11  niniboso  Loueiite,  o  quel  che  tanto 
A'  naviganti  e  spaventoso.  Apollo. .  4 
Ivi  stauchi  approdammo;  ivi  gittate 
L'ancoro. ed  accostati  i  legni  al  lito, 
Ne  la  picclola  sua  citUdc  entrammo. 

Grata  vio  più  quanto  sperata  meno 
No  fu  la  terra;  onde  purgati  ergemmo 
Altari  e  voti,  ed  ostie  a  Giovo  offrin 
E  d'Azio  in  su  In  riva  festeggiando, 
Ignudi  ed  unti,  uscir  de'  mioi  compa 
I  più  robusti,  e,  com'è  patria  usanza, 
(265-2S1I 


[j;0-494]        libro  in.  128 

V.u  le  palestre  a  lotlt-ggiar  ni  dicro; 
gjoinsi  che  por  tanto  mare  e  tante 
greche  torre  luimiche  a  ulvamcnto 
fofic'  tant' oltre  «(Motti.  Km  do  l'ami  > 
Comi1"0  "  &T0'  0  '  gelidi  aquiloni 
Inastavano  il  maro:  nnd'io  lo  scudo, 
CI,,  di  forbito  0  concavo  metallo 
fu  già  del  grando  Aliante  insogna  o  spoglia, 
,'„ii  un  tal  motto  in  su  le  porte  appesi: 

^•GBK<"t  VIKCITORI  KNRA  I.KVOl.l.O. 

jn  a  te  'lsacka,  A  pollo*  Indi  al  mar  giunti 
Ko  rimbarcammo:  o  remigando  a  gara, 
fnnimo  in  un  tcmjo  du'  Felici  a  vista, 
H»li  varcammo:  poi  rivolti  a  destra. 
Costeggiammo  l'Epiro,  e  di  Caonia 
Giungemmo  al  porto.cd  in  Butroto  ontrammo 
Qui  cosa  udii,  cho  meraviglia  e  gioia 
ìli  porse  insieme;  o  fu  ch'Eleno,  figlio 
Di  Priamo  re  nostro,  ora  a  quel  regno 
Di  grecho  terrò  assunto,  o  die  di  Pirro 
E  del  suo  scettro  e  del  suo  letto  credo, 
Troiano  sposo,  a  la  troiana  Andrninaclio 
S'era  congiunto.  Arsi  d'immeuso  amore 
pi  visitarlo,  e  di  spiar  da  lui 
Come  ciò  fosse;  o  de  l'armata  nsccudot 
[•282-300] 


124  l'.kskidk.  [195-51 

Scesi  nel  llto,  c  me  n'andai  con  pochi 
A  ritrovarlo.  Era.  quel  giorno  a  sorto 
Andromache  regina  in  su  la  riva 
Del  novo  Siraoenta  a  far  solenne 
Sopolcral  sacrificio;  o  corno  è  rito 
De  la  mia  patria,  nvea,  fra  due  grand'» 
Di  verdi  cespi,  unn  gran  tomba  eretta, 
Mouumonto  di  Ingrimo  e  dtoduolo; 
Ovo  con  tristi  doni  0  con  lugubri 
Voci,  del  grand' Ettòr  l'anima  e  '1  noma* 
Chiamando,  il  finto  suo  corpo  onorava.  1 

l'oichè  venir  mi  vido,  o  cho  dì  Troia 
Avvisò  l'armi,  e  me  conobbe,  un  mostro 
Veder  le  parve,  o  forsennata  e  stupida 
Fermossi  in  prima:  indi  gelata  o  smorta 
Disvonnc  o  cadde:  e  dopo  molto,  n  pen' 
Uisensundn,  mirommi,  o  cosi  disse: 

Oh!  sci  tu  vero,  o  pur  mi  sombri  Ero} 
Sei  corpo  od  ombra?  So  da'morti  udita' 
jì  '1  mio  richiamo,  Ettòr  perchò  te  ma" 
Perch'ei  teco  non  vieno  ?  E  soi  tu  cor 
Nunzio  di  lui?  Ciò  detto,  lagrimando, 
Empia  di  strida  o  di  lamenti  i  campi. 

Io  di  pietà  e  di  duol  confuso,  a  pena 
In  poche  voci,  e  quelle  anco  interrotto) 
[300-3UJ 


p20-M4]         libro  in.  125 

I.ii  la  lingua:  Io  tìvo  so  pur  vita 
j;  menar  giorni  si  gravosi  o  duri  : 
jla  ■■■■sì  spiro  ancora,  o  roramcnte 
goti  i<>  <iuui  cho  ti  sembro.'  0  da  qual  grado 
Scaduta,  o  da  quanto  inclito  marito! 

j^nli  oc- ho  d'Ettór  a  Cirro,  a'Pirro 

fosti  congiunta?  Or  qua)  altra  più  lieta 
f  incontra,  o  più  di  to  degna  fortuna? 
abbassò  '1  volto,  o  con  sommessa  voco 
(^si  rispose:  0  fortunata  lol  • 
govr'  ogni  donna,  elfo  regina  e  vergine, 
j[c  la  sua  patria  a  sacrificio  offerta, 
pel  nimico  fu  vittima  e  non  preda, 
jji  del  suo  viucitor  serva  nò  donna! 
Io  dopo  Troia  incensa,  e  dopo  tanti 
£  tanti  arati  mari,  a  sorvir  nata, 
De  la  stirpe  d'Acliillo  il  glog.i  e  '1  fasto, 
j  '1  superbo  suo  figlio  a  soffrir  ebbi. 
Questi  poi  con  Ermionc  congiunto, 
E  lei.  ebo  de  la  razza  era  di  Leda 
£  del  sangue  di  Sparta,  a  ine  proposta. 
Volle  eh'  Klcno  od  io,  servi  ombiduu, 
{■"accoppiassimo  insiomo.  Oreste  intanto, 
Che  tór  l'amata  sua  donila  si  vide, 
Da  l'amore  infiammato  e  da  lo  faci 
[3U-381] 


]og  l'  exkid'k.  [54ó-580j 

Po  le  furio  materno,  anzi  «sii  «"ari 
Pél  padre  Aehillo,  insidTosamouto 
Tolse  la  vita  a  lui.  Por  la  sua  morto 
Fu  'I  suo  regno  diviso,  o  questa  paito 
Do  la  Caouia^'l  Eleuo  ricadde, 
Clio  dal  nume  di  Càone  troiano 
Cosi  l'ha  Sotta,  conio  disse  ancora 
Ilio  da  l'Ilio  nostro  quosta  ròcca 
Che  qui  su  vodi;  o  Siuioeuta  e  Pergamo 
Questo  picciolo  mura  o  questo  riro.  2 
Ma  te  quai  venti,  o  qual  nostra  veutnwj^ 
Un  qui  condotto,  fuor  d'ogni  pensioni  ,  j  I 
Di  noi  corto,  o  tuo  forse?  Ascanio  nostrS 
Vivo?  crosco?  c'ho  fa?  come  ha  sentito    j  I 
La  morte  di  Ciousa  V  K  qual  presagio 
No  dà,  eh'  Knca  suo  padre,  Kttor  suo  zio 
Si  rinovino  in  lui?  Cotali  Audroraacho 
Spargca  pianti  u  parole;  ed  ecco  intanto  , 
11  teucro  oroo  elio  do  la  torra  uscendo,  M 
Con  molti  intorno  a  rincontrar  uo  vcn«^ 
Tosto  cho  u'adocchiò,  meravigliando 
No  conobbe  n'accolse,  o  lietamente 
Seco  n'addusse,  do'  communi  aifaunì 
Molto  con  mo,  mentre  andavamo,  ancli'ea 
Kagiouaudo  o  piangeudo.  Entrammo  al  fiat 
|33 1-310] 


J570-S941         vano  in.  127 
}(o  I»  lucciola  Troia,  e  con  Allctto 
fu  arido  ruscello,  un  cerchio  augusto 
gi.ntii  con  Unti  o  rlnovati  nomi 
Chiamar  Pergamo  e  Xanpo;  odo  la  Seca 
porta  entrando  abbracciai  l'amata  soglia. 
Cosi  Tecoro  i  mici,  meco,  godendo 
1,'aniica  terra,  conio  propria. o  vera 
fosse  lor  patria.  Il  ro  lo  sale  o  i -portici 
pi  m       ompiondo,  fé  lor  cibi  c  viui 
Pi'    -  '1  serri  realmente  esporro 
Con  vaselli  d' argon  fo  o  eOMft4'oro. 

Passato  il  primo  giorno  e  Paltr>>  oppressi, 
Soffi""  prosperi  i  venti;  ond'io  emulato 

l' indovino  ro  chiedendo,  seco 
Mi  ristrinsi  o  gli  dissi:  Inclito  siro 
Cai  non  son  degli  bei  lo  menti  occulto, 
Che  Fono  spiri  e  '1  tripode  e  gli  allori 
Del  suo  tempio  dispensi,  o  de  lo  stella  * 
E  de' volanti  ogni  secreto  intendi, 
Danne  certo,  ti  priego,  indicio  e  lume 
De  le  nostro  venturo.  Il  nostro  corso, 
Coro'ogui  augurio  accenna  od  ogni  mimo 
Ne  persuade,  è  per  Italia:  e  lieto 
E  fortunato  ancor  ne  si  prometto 
lutino  a  qui.  Sola  Colono  arpia 


jog  i.' kseide.  [.VKi-Mfl 

Novi  o  tristi  iufortunii,  e  fumo  ed  ira 
Degli  Dei  ne  minaccia.  Io  da  te  cliiogg; 
Avvertenze  o  ricordi,  onde  ila  saggio 
A  tai  perigli,  e  forte  a  tanti  affanni. 

Qui  pria'solounemento  Eluno,  occisi 
]  dovuti  L'inventili,  in  atto  limilo 
Impetrò  dagli  Dei  fnvoro  e  paco; 
Poscia,  raccolto  in  sf>.  le  bendo  sciolse 
Del  sacro  capo;  e  me,  cosi  coni' ora 
A  tanto  officio  attonito  o  sosposo, 
Per  man  prendendo,  a  la  febea  spelone» 
M' nddnsso  avanti,  e  con  divina  voco 
Intonando  proruppe:  0  do  la  Dea 
Pregiato  figlio  (quando  a  gran  fortuna 
È  chiaro  in  prima  eho  'I  tuo  corso  ò  riti 
Tal  e  del  ciel,  do'  fati  o  di  colni 
Clio  gli  reggo,  il  voler,  l'ordine  o  'I  aiottf 
Io  di  molte  o  gran  coso  che  antiveggo  I 
Dol  tuo  poregrinaggio,  acciò  più  franco1] 
Navighi  i  nostri  mari,  o  '1  porto  ausonia 
Quando  che  sia  seenramentc  attinga. 
Poche  no  ti  dirò;  eh' a  te  lo  l'nreho 
Victnn  che  pili  no  sappi  ;  ed  a  ino  liiuno, 
Ch'io  più  te  no  riveli.  In  prima  il  porto, 
E  l'Italia  che  cerchi  o  si  vicina 
1365-8811 


jg-2 ;i  OH)         ubro  in.  129 

sentirà,  è  da  tal  via,  da  tinti  intrichi 
Scevra  da  te,  ch'anzi  cho  tu  v'aggiunga. 
Ti  parrà  malagevole,  e  lontana 
r>jn  ,  hi  non  credi  :  o  ti  fh  d'uopo  avanti 
gtniicar  più  volte  i  remiganti  e  i  remi, 
jj  ']  mar  de  la  Sicilia  e  'I  nyir  tirrcnj, 
%  i  laghi  inferni  o  l'isola  di  Circo 
Cercar  ti  converrà,  pria  che  vi  fondj^ 
Securo  seggio,  lo  di  ciò  chiari  segni 
Darotti,  o  tu  no  fa' noto  e  conserva. 

Quando  più  stanco  e  travagliato  a  riva 
Sarai  d'un  fiume  u'sottó  un'eleo  accolta 
gara  candida  troia,  od  ari  trenta 
Candidi  figli  a  lowio  poppo  intorno, 
Allor  di'  :  Questo  6  '1  segno  e  '1  tempo  o  'I  loco 
Da  fermar  la  mia  sodo,  e  questo  è'1  fino 
Po' miei  travagli.  Or  cho  l'ingorda  latti 
4ddur  ti  deggia  a  trangugiar  lo  monso, 
Comunque  ovvonga,  i  fati  a  ciò  daranno 
Oportuno  compenso;  e  questo  Apollo 
Invocato  da  voi  presto  saravvi. 
Queste  terre  d' Italia  o  questa  riva 
Vèr  noi  volta  o  vicina  ai  liti  nostri, 
jj  tutta  da'nimici  o  da'malvagi 
Greci  abitata  o  cólta:  o  però  lungo 
Cìbo.-O.  1381-39»! 


180  l'wtkbb.*  [C45-( 

Filtrici  «In  'oro.  I  Locri  di  N'inizia 
Qui  si  posaro;  o  qui  ne'Snlentiiii 
1  suoi  Orotosi  Idomenèo  •  •  disse. 
Qui  Filottete  ilmeliboo  campiono 
La  pieclole'tta  sua  Potilia  crosso. 
Fuggili  dic:o,  o  quando  anco  varcate 
Sarai  di  là  no  l'alto  lito,  intonto 
A  sciorro  i  voti,  di  purpureo  ammanto 
Ti  vola  il  capo,  acciò  tra  i  santi  fochi, 
Mentro  i  tuoi  numi  adori,  ostilo  aspetto 
To  coi  tuoi  sacrifici  non  conturbi: 
E  questo  rito  poi  sia  castamente 
Da  te  servato  e  da'nepoti  tuoi. 

Quinci  partito,  allor  elio  da  vicino 
Scorgerai  la  Sicilia,  o  di  Puloro 
Ti  si  discovrirà  l'angusta  foco, 
Tionti  a  sinistra,  e  del  sinistro  maro 
Solca  pur  via  quanto  a  di  lungo  iutorno 
Gira  l' isola  tutta,  e  da  la  destra 
Fuggi  la  terra  e  l'ondo.  È  fama  antica 
Che  questi  or  duo  tra  lor  disgiunti  luchl 
Erano  iu  prima  un  solo,  che  pe»  forza 
Pi  tompo,  dì  tempeste  odi  ruine  I 
(Tanto  a  cangiar  questo  terreno  cose 
Può  de'secoli  il  corso),  un  dismembrato 
I39U-116| 


[f,70-*94J        liiiho  m.  131 
fu  poi  da  r altro.  Il  nutrirà  mozzo  entranti» 
Tanto  urtò,  Unto  róse,  che  l'esperio 
Poi  sicolo  terreni)  alfln  diviso: 
K  '  '""l"'  0  II'  città,  cltin  su  Io  riro 
Kestaro,  angusto  (Veto  or  bagna  e  sparto. 
Noi  destro  lato  ò  Svilla:  nel  sinistro 
È  l'ingorda  Cariddi.  Una  vorairo  . 
D'un  gran  baratro  è  quosta,  elio  tre  volto 
I  vasti  flutti  rogirando  assorbe, 
£  tro  volto  a  vicenda  li  ributta 
Con  immenso  bollo*  fino  a  le  stelle. 
Scilla  dentro  a  lo  suo  bnic  caverne 
Stnsseni:  insidiando;  e  con  lo  bocche 
Dc'suoi  mostri  voraci,  cho  distese 
Ticu  mai  sompro  od  aperte,  i  naviganti* 
Entro  al  suo  spoco  a  sè  traggo  e  trangugia. 
Dal  mezzo  in  su  la  faccia,  il  collo  o  '1  petto 
Ha  di  donna  o  di  vergino;  Il  rcstanto, 
D'una  pistrico  immano,  che  simili 
A'delflni  ha  lo  code,  ai  lupi  il  ventre. 
Meglio  ò  con  lungo  indugio  e  lunga  volta 
Girar  Pachino  e  la  Triuacria  tutta. 
Che.  non  ch'altro,  vodor  quell'ini t i  o  orron  lo, 
Sentir  quegli  urli  spaventosi  e  fieri 
Di  quei  cerulei  suoi  rabbiosi  cani. 
[416-432J 


J32  L'KrtiDi.  f<!95-7: 

Oltre  a  ciò,  se  prùdenti,  so  fedeli 
Sembrar  ti  può  clje  siai;  d'Eleno  i  detti, 
E  se  scarso  non  m'òdol  vero  Apollo; 
Sovr'a  tutto  io  t'assenno,  ti  predico, 
Ti  ripeto  più' rolto  e  ti  nimnionto, 
La  gran  Giunone  invoca:  a  Giuiion  roti 
£  preghi  e  doni  e  sacrifìci  offrisci 
Devotamente;  chù,  lei  vinta  alfino, 
Torrai  d'Italia  il  desiato  lito. 

Giunto  in  Italia,  allor  che  ne  la  spiaggia 
Sarai  di  Clima,  il  sacro  averne  lago 
Visita,  o  quello  selve  o  quella  rupe, 
Ove  la  vocchia  vergine  sibilla 
Profotozza  il  futuro,  o  'n  su  lo  foglie 
Bipono  i  fati:  in  su  le  foglie,  dico, 
Scrive  ciò  cho  prevede,  o  no  la  grotta 
Disteso  od  ordinate,  ove  siau  lette, 
In  disparte  le  lascia.  Glie  serbando 
L'ordine  e  i  versi,  ad  uopo  do' mortali1 
Parlali  do  l' avvenire  e  quando,  aprond^o 
Talor  la  porta,  il  vento  lo  disturba, 
E  va»  per  l'antro  a  volo,  ella  non  prendo 
Più  di  ricorlc  e  d'  accozzarlo  afTanuo; 
Onde  molti  delusi  e  sconsigliati 
XoiMn  sovente,  e  mal  di  lei  s'appagano. 

[4S8-463] 


[720-744  J         libro  411.  103 
Tu  per  soverchio  Mie  ti  sembri  indugio, 
pertichiamo  de' venti  0  do' compagni. 
jOni  lasciar  di  vederla,  «  d'impetrarne 
Grazia,  clic  di  sua  bocc*  ti  rispondi, 
jj  non  con  frondi.  Ella  daratti  avviso 
D'Italia,  de  le  guerre  •  de  lo  genti 
Che  ti  finn  contra;  e  mostreratti  il  modo 
Pi  fuggir,  di  soffrir,  d'espugnar  tutte 
Le  tue  fortune,  e  di  condurti  in  portò. 
Questo  ù  quolcho  ni'  occorro,  0  che  mi  lece 
Ch'io  ti  ricordi.  Or  vanne,  0  co' tuoi  gesti 
Te  porta  e  i  tuoi  con  la  gran  Troia  al  cielo. 

Poscia  che  ciò,como  profeta  disse. 
Comandò  come  amico  eh' a  lo  navi 
Gli  portassero  i  doni,  opro  e  lavori 
Ch'avea  d'oro  0  d'avorio  apparecchiati, 
Egran  masse  d'argento  0  gran  vaselli 
Di  dodonèo  metallo:  una  lorica 
Di  forbite  azziraino,  0  liiitcrzato 
Maglie,  dentro  d'acciaro  o'ntorno  d'oro; 
Una  targa,  un  cimiero,  una  celata. 
Ood'era  a  pompa  ed  n  difosa  armnto 
Neottolomo  altero.  Il  vecchio  Anchiso 
Ebbe  anch' egli  i  suoi  doui:  ebber  poi  tutti 
Cavalli  e  guide  ;  e  fu  di  remi  e  d'armi 
1453-471] 


|34  KSF.IDR.  ["l'i-TTO] 

CIascui)  legno  pfovìsto;  o  porcili  '1  vontoj 
Che  secondo  feria,  non  punto  indarno 
Spirasse  ordine  uvea  di  scior  lo  velo 
Gii  dato  Anchise,  a  cui  con  molto  onore  4 
Si  foce  Elcno  avanti,  o  cosi  disse: 

0  ben  degno  a  cui  fosso  amica  o  sposti 
I,a  gran  madre  d'Amore;  o  de' colesti 
Sovrana  cura,  eh' a  l'eccidio  avanzi 
Già  due  volto  di  Troia,  eccoti  a  vistSl 
Giunto  d'Italia,  A  questa  il  corso  indrizz» 
Ma  fa  mesticr  di  volteggiarla  aucora 
Con  lungo  giro,  poiché  lungo  assai 
t  la  parte  di  loi  che  Apollo  accenna. 
Or  lieto  te  no  va',  padre  folico 
Di  si  piotoso  figlio.  Io,  già  elio  l'aura 
SI  vi  spira  propizia,  indarno  a  bada 
Più  non  torrovvl.Indi  lamosta  Andromaca» 
Foco  con  tutti,  o  con  Ascanio  alfino 
La  suprema  partenza.  Arnesi  d'oro 
Guarniti  e  ricamati,  o  drappi  e  giubbe 
Di  morosco  lavoro,  od  altri  degni 
Di  lui  vestiti  o  fregi,  o  ricca  o  larga 
Copia  di  biancherio  donógli.  o  disse: 

Prendi,  figlio,  da  ino  quest'opre  uscite 
Da  lo  mio  mani,  o  por  memoria  tionlo 
[471-487J 


|770-"9*]  LIBRC^  HI.  135 

p0]  grande  e  lnngo  amor  che  sempre  avratti 
Androniache  d'Ettorro:  ultimi  doni 
Clu.  ricevi  da'tnoi.  Tu  mi  sei.  figlio. 
Queir  unico  sembiante  elle  ini  resta, 
p- AsKanatte  mio.  Cosi  la  bocca. 
Osi  le  man,  cosi  gli  oeehi  move». 
Quel  mio  figlio  infelice;  o  d'anni  ogualo 
X  te.  dèi  pari  or  snria  teco  in  fioro. 

Ed  io  da  loro,  anzi  da  nio  partendo. 
Con  le  lagrime  agucchi  aliln  soggiunai: 
Vivete  lieti  voi.  cui  gii  U  sorte 
Vostra  è  compita:  noi  di  fato  in  fato, 
pi  mare  in  mar  tapini  andicm  cercando 
Quel  che  voi  possedete.  A  noi  l'Italia 
Tanto  ognor  so  no  va  più  lungc,  quanto 
Più  la  seguiamo;  0  voi  già  la  scmbiania 
P'Ilio  o  di  Troia  in  paco  vi  godete, 
Kegno  e  fattura  vostra,  ah!  che  do  l'altra 
Sia  sempre  e  più  folico  e  mono  esposta 
A  lo  forze  do'Grcci.  Io,  s'unqua  il  Tobro 
Vedrò,  so  fia  già  mai  che  no'  suoi  campi 
Sorgan  lo  mura  dostinato  a  noi; 
Come  la  nostra  Esperia  o  '1  vostro  Epiro 
Si  non  vicini,  e  conio  ambo  lo  torre 
Fien  vicino  o  cognate,  od  nmbo  avranno  . 
[487-603] 


130  L'UBBÌE.  l"9."»-81ff 

Jlardano  per  auturo,' o  per  fortuna 
Un  caso  stesso  ;  cosi  d'ambedue 
Mi  proporrò  elfo  d'animi  od'amoro 
Siamo  una  Troia;  e  ciò  perpetua  curi 
Sia  de' nostri  nipoti.  Entrati  in  maro 
No  spingemmo  oltre  agli  certuni  monti  l 
A  Butroto  vicini,  onde  a  le  spiagge 
Si  fa  d'Italia  il  piìibrovo  tragitto. 

Già  dechinava  il  solo,  o  crcsccau  l'nìhb 
Do' iti'  n  i  opachi,  quando  a  torra  vòlti 
Col  desire,  e  co'rcmi  in  su  la  riva 
Por  n'adducemmo,  o  procurammo  a' co 
Cibo,  riposo  o  sonno.  Ancor  la  notte 
Non  era  al  mozzo,  cito  del  suo  stram 
Surse  il  buon  Palinuro;  e  poscia  eh'eb 
Con  gli  orocchi  spiati  il  Tento  fi  'I  ma 
Mirò  lo  stollo,  contemplò  l' Arturo, 
L'Indi  pioTOse,  i  gemini  Trioni, 
Kd  Oriono  armato:  o  visto  il  ciclo 
Sereno  o  '1  mar  sicuro,  in  su  la  poppa 
Ri -cussi,  o  '1  segno  diclino.  Immaiitincn 
Movemmo  il  campo,  e  quasi  iu  un  baie 
Giunti  o  posti  nel  mar,  vela  facemmo. 

Avoa  l' Aurora  già  vermiglia  e  rancia 
Scolorito  le  stello,  allor  elio  lunge 
[503-522] 


J820-644]        libro  in. 
geoprimmo.enon  ben  chiari,  i  monti  in  piim.'». 
j>0sriA  i  liti  ti'  Italia.  Italia!  Acato 
Qfiilù  primioramonto:  Italia!  Italia! 
pa  ciascun  legnò  ritornando,  allegri 
Tutti  la  salutammo.  Allora  Anchise 
Con  una  inghirlandata,  o  piena"  tazza 
In  su  la  poppa  alteramente  assiso, 
0  del  pelago,  disso,  e  de  la  terra, 
E  do  lo  tempesta  numi  possenti, 
Spirate  auro  seconde,  e  ver  l'Ausonia 
De' nostri  legni  agevolata  il  corso. 

Rinforzaronsi  i  venti;  apparve  il  porto 
più  da  vicino:  npparvo  al  monto  in  cima 
Di  rallado  il  dolubro.  Allor  le  velo 
Calammo,  o  con  lo  prore  a  Urrà  demmo. 

fc  di  vèr  l' Oriento  un  corvo  sono 
In  gu"'54  d'arco,  a  cui  di  corda  in  veco 
Sta  d'un  lungo  macigno  nn  dorso  avanti, 
Ove  spumoso  il  mar  percuote  e  frange. 
So' suoi  corni  Ita  duo  scogli,  anzi  due  torri, 
Cbo  condue  bracciali  mardentro  accogliendo 
ly,  fa  porto  e  l'asconde;  o  sovra  al  porto 
Long*  dal  lito  è  '1  tempio.  Ivi  smontati, 
Quattro  dostrior  vio  pia  che  nove  bianchi, 
Che  pascovano  il  campo,  al  primo  incontro 
1522-538] 


133  l>"  WWOfc  (845-889] 

Por  nostro  niifcurio  avemmo.  Oh  !  disse  Anchii 
Guorra  ne  si  inina/cia;-a  guerra  additti 
Sono  i  cavalli  ;  o  pur  sono  anco  al  carro 
Talvolta  aggiunti,  o  van  del  pari  a  giogo; 
Guerra  ila  dunque  in  prima,  e  pace  dupo. 

Quinci  dovoti  venerammo  il  mimo 
De  l'armigera  Palla,  a  cui  gioiosi 
Prima  il  corso  indrizzammo.  In  su  la  riva 
Altari  ergemmo;  e  noi  d'intorno,  corno 
Eleno  ci  ammoni,  lo  teste  avvolte 
t)i  frigio  ammanto,  a  la  gran  Giuuo  argiva 
Preghiere  o  doni-o  sacrifici  offrimmo. 

Poiché  solonncmonte  i  prieghi  e  i  voti 
Furou  compiti,  al  mar  ne  radducemrao 
Iminantinonto:  o  rivolgendo  i  corni  , 
Do  le  velate  antenne,  il  greco  ospizio 
E  'I  sospetto  paeso  ahliandonammo. 

£  prima  il  tarcntino  erculeo  seno 
(Se  la  sua  fama  e  vera)  a  vista  avemmo: 
Poscia  a  rincontro  di  Lacinia  il  tempio, 
1m  ròcca  di  t'aulóne  e  '1  Scillacòo, 
Onde  i  navili  a  si  gran  rischio  vanno. 
Indi  ne  la  Trinacria  al  mar  discosto 
IV  Ktna  il  monto  vodemino,  e  lunge  udimmo 
11  fremito,  il  muggito,  i  tuoni  orrendi 
[5a8-5óó| 


[S70-894]         ubbo  m.  ,s" 
Che  faccan  ne' suoi  liti  o'ntorno  a' sassi 
E  dontro  a  lo  caverne  i  flutti  e  i  fuochi, 
\l  del  ruttando  insicmo  U  maro  e  'I  monto 
fiamme,  fumo,  faville,  amie  o  schiumo. 

Qui  disse  il  vecchio  Anchiso  :  K  Torso  ciucsl  :. 
Quella  Cariddi?  Quosti.»cogli  «erto. 
E  questi  sassi  orrendi  Beno  dianzi 
jjc  profetava.  Via,  compagni,  a' remi 
Tutti  in  un  tompo.  e  vincitori  usciamo 
D'un  tal  periglio.  Palinnro  il  primo 
Rivolse  la  sua  vela*  la  sua  proda 
Al  manco  lato:  o  cio«li  altri  seguendo. 
Con  le  sarte  o  co' remi  in  un  momento 
Kc  glttammo  a  sinistra:  o  '1  mar  sorgendo 
Prima  al  cicl  ne  sospinse;  indi  calando, 
Ko  l'abito  ne  trasse.  In  ciò  tre  volto 
Mugghiar  sentimmo  i  cavornosi  scogli, 
E  tre  volto  rivolti  in  vòr  lo  stollo 
D'umidi  sprazzi  e  di  salata  schiuma 
11  ciel  vedemmo  rugiadoso  e  mollo. 

Eravam  lassi;  o  'I  vento  o  '1  solo  insieme 
Ne  mancar  si.  che  del  viaggio  incerti 
pisavvcdutmiento  a  le  contrado 
Po"  Ciclopi  approdammo.  K  per  sè  stesso 
A' venti  inaccessibile  e  copaco 
[565-6701 


HO  i.' Fjtiinr.  |S'.r.-ui9| 

Di  molti  legni  i\jf  orto  ove  sorgemmo; 
Ma  si  d'Etna  Ticino,  che  i  suoi  tuoni 
E  lo  suo  spaventevoli  mino 
Lo  tempestano  ognora.  Esce  talvolta 
Da  questarfffbnto  a  l'aura  un'atra  uubo 
Mista  di  nero  fumo  o  di  rovonti 
Faville,  che  di  cenere  e  di  poco 
Fan  turbi  e  groppi. ed  ondeggiando  a  scosse  j 
Vibrano  ad  ora  ari  or  lucide  flammo 
Che  van  lambendo  a  scolorir  le  stollo; 
E  talvolta,  lo  suo  viscere  stosso 
Da  si  divette,  immani  sassi  e  scogli 
Liquofatti  e  combusti  al  eie)  vomendo 
In  fin  dal  fondo  romoreggia  e  bolle. 

È  fama,  cho  dal  fulmine  percosso 
E  non  ostinto.  sotto  a  questa  molo   *  i 
Giace  il  corpo  d'Eucclado  superbo;  1 
E  che  quaudo  por  duolo  e  per  lassezza 
Bi  si  travolvc,  o  sospirando  anela, 
Si  scuoto  il  monto  e  la  Trinacria  tutta; 
E  del  ferito  petto  il  foco  uscendo 
Per  lo  caverne  mormorando  esala, 
E  tutte  intorno  le  campagne  o  'I  ciclo 
Di  tuoni  empie  e  di  pomici  e  di  fumo. 
A  questi  mostri  tutta  notte  esposti, 
[570-683J 


[920-944]        i. unto  in. 
{Intro  una  seira  stemmo,  non  sapendo 
j,e  cagion  d'essi,  c  di  cercarlo  ogu'usij 
jfe  si  togliek.  poiché  'I  paese  conto 
jfon  c'era:  nò  stellato,  ni  «crono 
gi  vcoVa  'I  elei,  ma  fosco  je  nutritolo, 
«'tra  le  nubi  ora  la  luna  ascosa. 

GiJ  del  giorno  seguente  era  il  mattino. 
E  chiaro  albore  area  l'umido  reto 
T„lto  dal  mondo;  quando  occo  dal  bpsco 
«e  si  fa  'ncontro  un  non  mai  Tisto  altrore 
Di  strana  o  misoralrHc  sembianza, 
Scarno,  smonto  o  distrutto;  nna  figura 
più  di  mummia  elio  d'uomo.  Area  la  barba 
lunga,  io  chiome  incolto,  indosso  un  mautu 
Ricucito  da  spini  :  orrido  tutto, 
F.  squallido  o  difforme  con  lo  mani 
Verso  il  Uto  distese,  a  lonto  passo 
Vonia  mercè  chiedendo.  Era  costui, 
Como  prima  no  parvo  e  poscia  udimmo. 
Croco,  c  di  quei  cho  militerò  a  Troia. 
Onde  noi  per  Troiani  o  i  nostri  arnesi 
E  le  nostr'armi  conoscendo,  in  prima 
Attonito  fermossi:  o  poscia  quasi 
Rincorato  a  noi  renne,  o  con  preghiere 
E  con  pianto  no  disse:  Oh!  so  lo  stello, 
ISS3-599] 


•  io  l'eku'dk.  |0I."i-9 

*  •'vi 

Su  gli  Del.  so  qiujsTaura  ondo  spiriamo, 
Onerosi  e  magnanimi  Troiani, 
Serbili  la  jrffa  a  voi.  quinci  ini  tolga 
La  pietà  vostra,  o  vosco  m'adducete, 
Ove  che  sia;  die  ini  fin  questo  assai  ; 
Poich'Io  sou  greco,  o  di  quei  Greci  nncoi^ 
Che  venner  (lo  confesso)  ai  danni  vostri. 
Se  'I  fallo  è  telo,  e  se  '1  vostro  odio  è  tau 
Ch'io  no  doggia  morir,  morte  mi  date, 
E  se  così  v'aggrada,  a  brano  a  brano 
Mi  lantate,  e  ne  fato  esca  a' pesci; 
Chò  so  per  man  d' umana  gente  io  péro, 
Perir  mi  giova.  E,  cosi  detto,  a' piedi  J 
No  si  gittò.  Noi  l'essoitammo  a  dire 
Chi  fosse  a  di  che  patria  e  ili  ohe  sangue, 
E  qual  era  il  suo  caso.  Il  vecchio  Ali  ìii-e 
La  sua  destra  gli  porse,  o  con  tal  pegno 
L'affidò  di  saluto;  ond'ei  socuro 
Tosto  soggiunse:  Itaca  è  patria  mia,  ' 
Achomcnido  il  nome,  lo  fui  compagno 
De  l'infelico  Ulisse,  o  venni  a  Troia, 
La  povertà  dol  mio  padre  Adamante 
Fuggendo  (cosi  povero  mai  sempre 
Foss'io  stalo  con  lui!):  qui  capitai 
Con  osso  Ulisse;  e  qui.  meati' ci  fuggi» 
[600-C1UJ 


[  "70-994]        libito  in.  U3 
Con  gli  altri  snoi  questo  crudele  ospizio, 
Per  toma  ahband»n»mml  e  per  oblio 
jic  rniitì  ojilcl  clclopo.  Ì5  questo  uu  antro 
Opimo,  ImmenSo',  che. macello  è  sempre 
!>'  umana  carne,  onde  aìioor  sempre  intriso 
j  di  sanie  e  di  sangue,  od  è  '1  ciclopo 
jjd  mostro  spavontoso,Ain  oho  col  capo 
Tooca  le  stollo  (o  Dio,  leva  di  terra 
Una  tal  pesto),  eh' a  mirarlo  solo, 
Solo  a  parlarne  orror  sento  ed  angoscia. 
Pascosi  de  le  visconte  del  sangue 
De  la  misera  gente;  od  io  l'ho  visto 
Con  gli  occn'  mici  no1  800  8P0C0  rovescio 
Stender  lo  branche,  e  duo  presi  de' nostri. 
Botargli  a  corco,  0  sbattergli,  o  schizzarne 
Infra  quei  tufi  le  midolle  e  gli  ossi. 
Vist'lio  quando  le  membra  de'  meschini 
Tiopidc,  palpitanti  o  vive  ancora 
Di  sanguinosa  bava  il  mento  asperso 
Frangea  co'donti  a  guisa  di  maciulla. 

Ma  noi  soffri  senza  vondetta  Ulisso; 
Kè  di  sè  stesso  in  si  mortai  periglio 
Punto  obliossi;  chò  non  prima  stoso 
Ijo  vide  ebbro  o  satollo  a  capo  chino 
Giacer  no  l'antro,  e  s  uinacchioso  e  gonfio 
[61C-C31J 


H4  ^KvKtPK.  [9!i:--1019j 

Buttar  pezzi  di  c»rnc  o  sangue  o  vino, 
Che  ne  restrinse:  ed  invocati  in  primi 
1  santi  niimlfilivrsò  le  veci 
Sì,  che  parte  il  .tenemmo  in  terra  saldo, 
Parto,  con  un  gran  palo  al  foco  aguzzo,' 
Saprà  gli  fumili";  o  quel  ch'unico  ave»  i 
Di  targa  e  di  febèa  lampade  in  guisa 
Sotto  la  torva  fronte  occhio  rinchiuso, 
Gli  trivellammo,  vendicando  alllno 
Col  tor  la  luco  a  lui  l' ombro  de' nostri. 

Ma  voi  che  fato  qui?  che  non  fuggito; 
Miseri  voi?  Fuggito,  c  senza  indugio 
Taglili  te  il  fune  e  v'allargate  in  maro: 
Cho  cosi  smisurati  e  cosi  fieri. 
Com'è  costui  cho  Polifemo  è  detto, 
No  son  via  più  di  conto  in  questo  lito, 
Tutti  ciclopi  o  tutti  antropofiigi 
Che  vanno  il  di  per  questi  monti  errando. 
Già  visto  ho  la  cornuta  o  scema  luna 
Tornar  tro  volto  luminosa  o  tonda, 
Da  cho  son  qui  tra  solvo  o  tra  burroni, 
Con  lo  fere  vivendo.  Entro  una  rupe 
E  '1  mio  ricetto:  e  quindi,  benché  lungo 
Gli  miri,  ad  or  ad  or  d' avergl' intorno 
Mi  sembra,  e  'I  suon  n' abbono  «  'I  calpesti» 
[632-C18J 


i:020-10M]      LIBRO  HI.  Ho 
lit-  la  voce  e  dj'  pie.  Pasoomi  d'orbe, 
)ii  coccole  o  di  more  di  corgnali, 
y  Ai  tali  nlfrl  cibi  acerbi  e  fieri: 
\  ita  e  vitto  Infelice.  In  q«i"-st..  tempo, 
Rantolio  scoperto  intorno, iniqua  uon  vidi 
di' altro  legno  gin  mal  qui  capitasse. 
Salvo  ch'i  vostri.  A  voi  dunque  del  tutto 
M'addico:  o,  che  che  Bla,  pari  animi  assai 
jruggir  questa  nefanda  0  dira  gcnto. 
Voi,  1" ift  eho  qui  lasciarmi,  ogni  supplizio 
j|i  date  ed  ogni  nrorte.  A  pena  il  Greco 
Ave»  ciò  detto,  ed  ecco  In  su  la  vetta 
pel  ino»1"  avverso,  Pentono  app*rr«. 
Sembrato  mi  sarebbe  un  altro  uioute 
A  cui  la  gr^BK0  SUR  pasecsse  intorno, 
Se  non  che  si  movea  con  essa  insiemo, 
K  torreggiando,  inverso  la  mariua 
l'or  l'usato  scuticr  se  no  calava: 
Mostro  orrendo,  difforme  o  smisurato, 
Che  avea  conio  una  grotta  osi-ma  in  front» 
Invece  d'occhio,  e  por  bastone  un  pino, 
Ondo  i  passi  fermava.  Avea  d'intorno 
La  greggia  a' piedi,  c  la  sanipogna  al  collo, 
Quella  il  suo  amore,  e  questa  il  suo  trastullo, 
Oud'oibo  alleggeriva  il  duolo  in  parto. 
Cako.-10.  IC18-BCII 


un  i/fNiiDK.  [104Ó-1069] 

Giunto  n  la  ri  va,  filtro  ue  l'onde  a  guazzo- 
E  pila  de  l'occbiuMa  sanguigna  cispa 
Lavossi,  ad  ortd  or  per  irs  i  denti 

Digrignando  e  fremendo;  indi  si  steso  "  I 
J'or  entro  'I  mare,  e  n*l  più  basso  tondo  ■ 
Fu  pria  co' piò  che  nou  furi' onde  a  l'anche. 

Noi  per  paura,  ricevuto  in  prima, 
Come  ben  meritò,  l'ospite  greco. 
Di  fuggir  n'affrettammo;  e  chetamente 
Sciolto  le  funi,  a  remigar  no  demmo 
Più  elio  di  l'urja.  Udì  '1  ciclope  il  suono  1 
E  'l  trambusto  de'  reuii  :  o  vòlti  i  passi 
Vèr  quolla  parte  e  'l  suo  gran  pino  a  cerco, 
Poiché  lungi  scntinne.  e  lungamente 
Pensò  seguirne  por  *' Ionio  iu  vano, 
Trasse  un  mugghio.cho'l  mare,  i  liti  intorno 
Ne  tiomàr  tutti,  no  soutl  spavento 
Fino  a  l'Italia:  no  tonaion  quanti 
La  Slcania  avea  seni,  Etna  caverne. 
L'udir  gli  altri  ciclopi,  e  da  lo  selvo 
E  da'  monti  calando,  in  un  momento 
Corsero  al  porto,  o  se  n'ompioro  i  liti. 
Gli  vodovam  da  lungo  in  su  l'arena, 
Quantunque  indarno,  minacciosi  e  torvi 
Stender  lo  braccia  a  noi,  le  teste  al  cielo: 
ICC2-678] 


pOTO-1094)    .  ubro  DJ.  147 
Concilio  orrendo,  chu  ristretti  insidilo 
grano  quai  di  querce  annoso  a  Oiove, 
pi  cipressi  coniferi  a  Diana 
g'crgono  i  boschi  nlterunent*  al' aura. 

rVru  timor  n'assalsO;'e  da  l'un  cauto 
Pensammo  di  lasciar  che  '1  vdnto  stesso 
Ko  portasso  a  seconda  ovunque  fosse, 
purché  lungo  da  loro;  ma  da  l'altro, 
p'Klcno  cél  vietava  il  detto  espresso, 
Che  per  mezzo  di  Scilla  e  di  Cariddi 
l'assai'  non  si  dovesse  a  si  gran  rischio, 
£  di  sì  poco  spacio  e  quinci  e  quindi 
Scevri  da  morte.  In  questa,  che  gii  formi 
Eravam  di  voltar  lo  vele  a  dietro, 
Ecco  che  da  lo  stretto  di  Poloro, 
Ko  vien  Hora  a  grand' uopo,  ondo  repento 
A  la  sassosa  foco  di  Pantagia, 
Al  megarico  seno,  ai  bassi  liti 
Ne  trovammo  di  Tapso.  In  cotai  guisa 
Riferirà  Achcmenide,  compagno 
Che  s'è  dotto  d' l'I  isso,  osscr  nomati 
Quei  lochi,  onde  pria  seco  era  passato. 

Giace  de  la  Sicauia  al  golfo  avanti 
Un'isolctta  che  a  Plcmmirio  ondoso 
È  posta  incontro,  e  dagli  antichi  è  detta 
1 079-0931 


148  fc'ESJtiDK.     fioor.  1118] 

por  nomo  Ortiafa*.  A  o/iost' Isola  è  fama. 
Che  ]ier  vie  sotto  al  maro  il  groco "Àlfeo 
Yien.  da  Doride  intatto,  infili  d'Arcadi» 
Ter  bocca  d''Ar»tusa  a  mescolarsi 
Con  l'onde  dì  Sicilia.  E  qui  del  loco 
Venerammo  i  gran  numi:  indi  rnrcauimc 
Pel  paludoso  Eloro  I  campi  opimi. 
Rademmo  di  Pachino  i  lassi  alpestri, 
•  Scoprimmo  Camarilla,  e  'I  fato  udimmo. 
Che  unii  per  lei  f.'.n  il  su.,  stagno  asl'ìuttfJ 
I,a  pianura  passamano  de'  Geloi, 
Di  cui  Gela  è  la  terra  e  Gela  il  fiume. 
Molto  da  lungo  il  gran  monto  Agragaatt 
Vedemmo,  e  lo  sue  torri  e  lo  siio  spiagge 
Che  di  razzo  Tur  già  madri  famose. 
Col  vento  stesso  indietro  ne  lasoiammo 
La  palmosa  Sclioc;  e  'n  su  la  punta 
Giunti  di  Lilibeo,  tosto  girammo 
Le  sue  cieche  secengne,  e  'I  porto  alfine 
Del  mal  veduto  Drepano  afferrammo. 

Qui,  lasso  me!  da  tanti  affanni  npprer 
A  tanti  esposto,  il  mio  diletto  padre, 
Il  mio  padre  pordoi.  Qui  stanco  o  mesto, 
Padre,  m'abbandonasti:  e  pur  tu  solo 
M'eri  in  tante  grarose  mio  fortune 
[U91-Ì10J 


[1120-1134]      libro  iti.  149 
Quanto  nvcn  di  conforto  o  di  sostegno. 
Oiinì  !  cho  Indarno  di  il  gran  perigli 
Salvo  ne  ti  rendesti.  Ab,  che  Tra  tanti 
q,-,,  „,li  e  niisornbili  infortuni, 
Ch'Eie""  ci  predisse  e  Compi»  arpia, 
Questo  non  ora  già,  ch'era  il  maggiore! 
Oh  fosse  questo  ancor  l'ultimo  affannOi 
Com'è  l'ultimo  corso!  Chi  partendo 
Pa  Propano,  se  bon  fora  tempesta 
Qui  m'ha  gittato.^orto  amico  mimo 
M'ha,  benigna  regina.  »Toi  condotto. 

Cosi  da  tutti  con  silenzio  udito. 
Poich'oblio  Ene»  distesamente  esposto 
l,a  mina  di  Troia  e  i  rischi  e  i  fati 
E  gli  crror  suoi,  fece  qui  fino  o  tacque. 
[711-718J 


150 


[1-1 


DELL'  ENEIDE 

Libro  Quarto. 

Ma  la  regina  d'amoroso  strnlo 
Già  punta  il -coro,  e  no  lo  reno  aerosa  j 
D'occulto  foco,  intanto  ardo  o  si  sfuco; 
E  de  l'amato  Enea  fra  su  volgendo 
Il  legnaggio,  il  valore,  il  sonno,  l'opre, 
E  quel  elio  più  le  sta  no  l'alma  impresso 
Soavo  ragionar,  dolco  sembiante,' 
Tutta  notte  ne  pensa,  o  mai  non  dorme. 

Sorgea  l'Aurora,  quando  surse  ancli'e 
Cui  le  piume  parcan  gin  stecchi  o  spini  j 
E  con  la  sua  dilotta  e  Ada  suora 
Si  ristrinse  e  le  disse:  Anna  sorella, 
Che  vigilie,  che  sogni,  cho  spaventi 
Son  questi  mici?  che  peregrino  è  quosto 
Cho  qui  norellamonto  è  capitato? 
Vedesti!  mai  si  grazioso  aspetto? 
Conoscesti  iniqua  il  più  saggio,  il  più  fo 
E  il  più  guorrioro?  Io  credo  (o  non  è  t» 
La  mia  credenza)  che  dal  ciel  discenda 
[1-121 


[20-4*1  LIBRO  IT.  151 

Vera'-'''''!'''!0-  1/nltorojZB  è  soglio 
p'nnimi  generosi.  E  che  flirtano. 
v  olii"  guerre  ne  coniti  lo,  se  non  fosso 
CI,,,  fermo  o  stabilito  ko  noi  cor  mio 
Che  nodo  maritai  più  non  mi  stringa. 
Poiché  >'  primo  si  ruppe;  e  se  d'ognuno 
Schiva  non  fossi,  solamente  a  Ini 
Torse  m'inchinerei.  Ch'a  dirti  'I  roro, 
Anna  mia.  da  che  morte  e  l'empio  frate 
)Ii  privar  di  Sichèo,  sol  questi  ha  mosso 
I  miei  scusi  e  'I  min  core,  e  solo  in  lui 
Conosco  •  segni  dell'antica  fiamma. 
Ma  la  terra  m'ingoi  o  '1  ciel  mi  fulmini, 
E  ne  l'abisso  mi  trabocchi  in  prima 
Ch'io  ti  violi  mai,  pudico  amore; 
Col  mio  Sichèo,  con  chi  pria  mi  giungesti, 
Giungimi  sempre,  o  'ntomorato  o  puro 
Entro  al  sepolcro  suo  «oco  ti  sorba. 
E  qui  piangendo  o  sospirando  tacque. 
Anna  risposo:  0  più  de  la  mia  vita 
Stessa,  amata  sorella,  adunque  sola 
Vuoi  tu  vedova  sempre  o  sconsolata 
Passnr  questi  tuoi  verdi  e  florid'anni, 
Che  frutto  non  no  colga,  o  mal  non  gusti 
La  dolcezza  di  Venere  o  '1  contento 
[12-331 


!52  i.' «union.  [45-09] 

Da'  cari  fluii  ?  DM  gran  cura  corto 
Unii  di  ciò  l'ombro  o  '1  coìior  de'  sepolti! 
Abbiti  insilili  a  qui  fatto  ritinto 
K  del  frettilo  larba  e  di  tant' altri 
Possonti,  generosi  o  ricchi  duci 
Peni  o  Fenici,  eli'  io  di  ciò  ti  scuso, 
Com'allor  dolorosa,  o  non  amante.: 
Ma  poi  ch'ami,  ad  amor  sarai  ruhella. 
E  ritrosaa  to  stossa?  Ali!  non  -  >vvi<  oli  I 
Qual  cinga  il  tuo  reame  assedio  intorno? 
Com'ha  gl'insuperabili  Gettili 
Sa  l'ima  parte,  i  Numidi  da  l'altra. 
Fora  gente  o  sfrenata?  indi  le  secche. 
Quinci  i  deserti,  o  più  da  lungo  infesti 
1  fervei  Barcòi?  Taccio  lo  gnorro 
Clio  gin  sorgon  di  Tiro,  o  le  minacce 
Del  fioro  tuo  fratello.  Io  ponsò  certo 
Che  la  gran  Ghino,  e  tutto  il  ciel  benigno 
Ne  si  mostrasse  allor  che  a'  nostri  liti 
Quosti  legni  approdaro.  Oh  qua!  cittade, 
Qual  imperio  fia  questo!  Quanto  onore, 
Quanto  prò,  qnanta  gloria  a  questo  regno 
No  vorrà,  quando  ei  teco,  o  l'armi  suo 
Saran  giunte  allo  nostro!  Or  via,  sorella, 
Porgi  preci  agli  Dei.  fa'  vezzi  a  lui,. 
[33-51] 


|*n-94]  libro  tt.  158 

Assecondo,  onoralo,  intrattiollo; 

Clio  '1  crudo  Terno,  il  tempestoso  mare, 

lì  i  .\..s«i  Un'uno,  i  venti,  il  cielo, 

],     "iiuuassutc  nin  i  in  ci»  no  danno 

Miilo  scuso  di  niorn  e  di  ritegno. 

Con  questo  dir.  cho/u  qual'nura  ni  foco 
Ond'era  il  cor  de  In  regina  acceso, 
1/ infiammò,  r  incitò,  spome  le  diodo, 
K  \oi gogna  le  tolse.  Andaro  in  prima 
A  visitino  i  tempii,  a  chieder  paco 
E  favor  da'  celesti.^  porger  doni, 
X  far  <i'  ciotte  pocorollo  offerta 
A  Cerere,  ad  Apollo,  al  padre  Bacco, 
E  pria  elio  a  tutti  gli  altri,  a  la  gran  Giulio, 
Cui  son  le  nozzo  e  i  maritaggi  a  cura, 
La  regina  ella  stessa  ornata  o  bolla 
Tien  d'oro  un  nappo,  o  fra  lo  corna  il  rersa 
D'una  candida  vacca;  o  ai  ravvolgo 
Intorno  a'  pingui  altari,  ed  ogni  giorno 
Rinova  i  doni,  e  de  lo  aperto  vittime 
le  palpitanti  fibre,  i  vivi  moti. 
E  lo  spiranti  viscorc  contempln, 
E  con  lor  si  consiglia.  0  monti  (Ciocche 
Degl'indovini!  E  che  ponno  i  delubri, 
E  i  voti,  esterni  aiuti,  a  mal  eh'è  dentro? 
151-60J 


154  l'rctidb.         [05-119]  j 

Noi  cor.  no  lo  midollo  o  ne  lo  vono 
E  la  piaga  ■     fiamma,  ond'nrdo  e  pére. 
Ardo  Didoi  infelice,  c  fiirtosa 
Por  tutta  In  città  s'aggira  o  smania: 
Qunl  no'  boschi  di  Creta  incanta  cerva  J 
D'insidioso  arcicr  fuggo  lo  strato 
Clio  l'ha  già  colta:  e  seco,  ovunque  vada. 
Lo  porta  al  fianco  infisso.  Or  a  diporto 
Va  con  Enea  por  la  città,  mostrando 
Lo  fabrieho,  i  disegni  e  lo  ricchozze 
Del  suo  nuovo  reame:  or  disinsa. 
Di  scoprirgli  il  suo  climi  prende  consiglio:; 
Poi  non  osa,  o  s' arresta.  E  quando  il  giorno] 
Va  dechinando,  a  convivar  ritorna, 
E  di  nuovo  a  spiar  degli  accidenti 
E  do'  fati  di  Troia,  e  nuovainonte 
Pendo  dal  volto  del  facondo  amante 
Tolti  da  mensa,  allor  che  notte  oscura 
In  disparto  gli  traggo,  o  cho  lo  stella 
Sonno, dal  cicl  caggondo,  agli  occhi  infondono] 
Dolonto,  in  solitudine  ridotta. 
Ritirata  dagli  altri,  ù  sol  con  lui 
Che  lo  sta  lunge,  o  lui  sol  vede  c  sento. 
Talvolta  Ascanio  il  pargoletto  figlio 
Per  sembianza  dui  padre  in  grembo  accolto, 
L6U-64J 


1 120-144]        muso  rv.  155 
Tenta,  se  coi)  può,  l'ardente  amore 
(  i  spegnere  o  scemare,  o  farli  Inganno. 

I>o  torri,  I  tempii.  ogn'ediflViu  intanto 
(',. ssa  di  sormontar:  costa  da  l'armo 
1.3  gioventù.  1.1!  porte.  Il  poi  lo.  il  molo 
Non  sorgon  più;  dismesse  od  interrotto 
Pendoli  l'opero  tutte  e  la  gian  machina 
Clio  fo3  diauzi  ira  a' monti  c  scoino  al  cielo. 
Vide  da  l'alto  la  saturnia  Giono 
]1  furor  di  Bidone,  e  tal  che  fama 
E  rispetto  d'onor  più  non  raffrena; 
Ondo  Venere  nssalse,  a  'n  cotal  guisa 
Disdegno*»  le  di^se:  Una  gran  loda 
Certo,  un  gran  m'erto,  un  mcniorahil  nome 
Tu  col  fanciullo  tuo,  Ciprigna,  acquisti 
jyarcr  due  sì  gran  dii  vinta  una  femina! 

10  so  hen  che  guardinga  o  sospettosa 
Di  me  ti  ronde  o  delia  mia  Cartago 

11  temer  di  tuo  figlio."  Ma  fla  mai 
Che  questa  teina  e  questa  gelosia 

Si  finisca  tra  noi?  Clio  non  più  tosto 
Con  una  oterua  pace  e  con  un  saldo 
Nodo  di  maritaggio  nnitameuto 
No  ristringcmo?  Ecco  hai  già  vinto:  e  vedi 
Quel  che  più  desiavi.  Ama,  arde,  infuria; 
I&.-101I 


150  .l'enkibk.  [145-1691 

Con  ogni  affato  ó  Torso  Enea  tno  figlio 
La  min  Hido  rivolto.  Or  Ini  si  pronte; 
E  noi  concordomouto  in  pace  abbiamo 
Ambedue  questo  popolo  in  tutela; 
Nò  ti  sdegnar  clic  si  nobil  regina 
Serva  a  frigio  marito,  o  ch'oi  le  genti 
N'aggia  di  Tiro  e  di  Cartago  in  doto. 

Tonerò,  elio  ben  vide  ove  mirava 
Il  colpo  di  Giunone;  e  elio  l'occulto 
Sno  bersaglio  ora  sol  con  questo  avviso 
Distor  d'Italia  il  destinato  impero 
E  trasportarlo  in  Libia,  incontra  a  loi 
Cosi  scaltra  rispose:  E  chi  si  follo 
Sarebbe  mai  eli' un  tal  fésse  rifiuto 
Pi  qnol  ch'oi  più  desia,  por  toco  averne, 
Teco  che  tanto  puoi,  gara  o  tenzono. 
Quando  ciò  eho  tu  di'  possibil  fosse? 
Ma  non  so  cho  si  possa,  nò  che  'I  fato, 
Nò  che  Giovo  il  permetta,  che  due  gontl 
Pivorso,  conio  son  Tiri  o  Tmiani, 
Una  sola  divenga.  Tu  consorto 
Gli  sei;  tu  nel  dimanda,  c  tu  l'impetra, 
Ch'io.pcr  mo.mc  n'appago.  Kd  in. soggiunse 
Giuno,  sopra  di  mo,  l'incarto  assumo, 
Ch'oi  nói  consenta.  Or  odi  brevemente 
1101-11C] 


1 170-104)        muro  IT.  157 
]1  modo  che  a  ciò  far  già  ne  si  porge. 
Ti 'Sto  elio  'I  sol  dimnuu  uscir»  fuori, 
l'scir  anrnr  l' innamorata  Indo 
l'  !  troiai!  duco  a  cac4M(' apparecchia, 
li.,  opportunamente  a  In  foresta. 
Jk-ntre  do'  cacciatori  £  do'  cavalli 
•.   •  .sii  le  schiero  in  volta,  io  loro  un  ncinlio 
Spargerò  sopra  tempestoso  c  nero, 
tu»  un  turbo  di  -i  .unirne  o  di  piemia, 
i  ili  si  fieli  tuoni  il  cielo  empiendo. 
Ch'indi  percossi  Hot  seguaci  tutti, 
Andraii  dispersi  e  d'atra  nube  involti. 
Solo  con  sola  W<\p  Enea  ridotto 
111  un  antro  medesimo  aecorrassl. 
Io  vi  sarò:  saravvi  anco  Imeneo; 
E  se  del  tuo  voler  t  u  m'assecuri, 
lo  farò  si,  eh'  ivi  amhidue  saranno 
]ii  nodo  indissolubilo  congiunti. 
Venere  in  ciò  non  disdicendo,  insieme 
Chinò  la  testa:  e  de  la  dolce  froda 
Polcemciitc  sorrise.  Uscio  del  maro 
J,' aurora  intanto;  od  ecco  fuori  minati  • 
Di  spiedi  o  di  zagaglie  a  suon  di  corni 
Venirne  ^cacciatori,  nltii  con  reti, 
Altri  con  cani.  Ha  questi  un  ginn  molosso, 
[UG-131] 


158  i'kxkidr.  [195-219 

Quelli  un  voltr^a  guinzaglio,  <■  lunghe  Rie 
Vini  di  seguavi  incatenati  aranti. 
Scorrono  intorno  i  caralier  .Mussili; 
K  i  maggior  Peni,  c  più  chiari  Fenici  I 
Stanno  in  sella  aspettando  anzi  al  palagio, 
Mentre  ad  uscir  fa  la  regina  indugio; 
E  presto  intanto,  d'ostro  e  d'oro  adorno 
11  suo  (ridotto  e  vagamento  fioro, 
Ringhia,  e  spargo  la  terra,  e  uiordo  il  freno 

Esce  a  la  fine  accompaguata  intorno 
Da  regio  stuolo,  e  non  con  regio  arnese. 
Ma  loggiadro  e  ristretto.  È  la  sua  rosto 
Di  tirio  drappo,  o  d'arabo  lavoro 
Riccamente  fregiata:  ò  la  sua  chioma 
Con  nastri  d'oro  in  treccia  al  capo  avvolta 
Tutta  di  gemino  conio  stello  aspersa; 
E  d'oro  son  lo  fillio, onde  sospeso 
Le  sta  d'intorno  de  la  gonna  il  lombo. 
Bagli  omeri  le  pende  una  farotra; 
Dal  fianco  un  arco.  I  Frigi,  e  '1  bello  Inlo 
Le  cavalcano  avanti;  e  via  più  bollo, 
Ma  di  beltà  feroce  o  graziosa,        .  > 
Le  giva  Enea  con  la  sua  schiera  a  lato. 
Qual  so  no  va  da  Licia  o  da  lo  rivo» 
Di  Xauto,  ove  soggiorna  il  freddo  inverno 
[181-113) 


[220-Mj         muro  iv.  -159 
A  la  materna  Dclo  il  biondo  Apollo. 
Allor  che  festcggiand. ^accolti  o  misti 
Infra  gli  altari  i  Drlopi,  i  Cretosi, 
K   'lipinti  Agatirsi  in  vario  trcscho 
(ili  s'aggirano  intorno;  o  quando  spazia 
Tei  le  piagge  di  Cinto,  a  l'aiint  sparsi 
I boi  cria  d'oro,  o  de  l'amata  fronde 
ys  tompie  avvolto,  o  di  faretra  armato; 
Tal  Tra  la  gente  si  mostrava,  o  tale 
Era  ne'  gosti  e  nel  sembiante  Enea, 
Sovra  d'ogn' altro  valoroso  e  vago. 

Poscia  che  furo  a'  monti,  e  nel  più  folto 
Penetrar  do  lo  selve,  ecco  dai  balzi 
jjc  l'alte  rupi  uscii  capri  e  camozze, 
E  cervi  altronde  elio  d'armenti  in  guisa, 
Quasi  in  un  gruppo,  spaventati,  a  torme 
Fuggono  al  piano,  o  fan  nubi  di  pulvo. 
Pi  ciò  gioioso  il  giovinetto  lulo 
Sai  feroce  destrier  per  la  campagna 
Gridando  e  traversando,  or  questo  arriva, 
Oruuol  trapassa;  e  nel  suo  core  agogna 
Tra  lo  timido  bolvo  o  d'un  cignale 
Aver  rincontro,  o  ebo  dal  monto  scenda 
Vn  velluto  leone.  In  questa  il  ciolo 
Mormorando  turbossi,  o  pioggia  e  grandmo 
[144-160J 


160  'l'intuii.  [215-269J] 

PiluvTando,  d'oVni  parto  In  fnga 
Asolilo,  i  Teucri,  i  Tiri  ni  più  proprinquf 
Tetti  si  ritirarci;  e  fiumi  in  tanto 
Sccscr  da'  monti,  od  allagalo  i  piani.  ' 
Solo  con  sola  Pido  Enea  ridotto 
In  un  antro  medesimo,  s'accolse. 
Diè  di  quel  cho  segui  la  terra  segno 
K  la  pronuba  Ghino.  I  lampi,  i  tuoni 
Far  de  lo  nozze  lor  le  faci  e  i  canti; 
Testimoni  Resistenti  e  consapevoli 
Sol  ne  furl'aria  e  l'antro;  csopra'l  moni 
N'ulularon  lo  ninfe.  Il  primo  giorno 
Fu  questo,  o  questa  fu  la  prima  origine  ' 
Di  tutti  i  mail,  e  de  la  morte  alfine  - 
Pe  la  regina;  a  cui  poscia  non  calso 
K6  do  l'indegnità,  ne  do  l'onoro, 
Nò  do  la  socretezza.  Ella  si  foco 
Moglie  chiamar  d'Enea;  con  questo  nor 
Kicoversc  il  suo  fallo;  e  di  ciò  tosto 
Per  le  terre  di  Libia  andò  la  fama. 
È  questa  fama  un  mal.  di  cui  nuli' altro 
È  più  veloce;  e  com'  più  va.  più  cresce; 
E  maggior  forza  acquista.  È  da  principio! 
Picciola  e  debbil  cosa,  e  non  s'nn  ischi* 
Pi  palesarsi;  poi  di  mano  in  mano 
11C1-175J 


■ 

[270-294]        libro  ir.  101 
SI  diseuopro  o  s'avanza,  o  sopra  terra 
Sòu  va  movendo  e  sormontando  a  l'nura. 
Tanto  clic  'I  capo  infr»lo  nubi  asconde, 
picon  che  gii  la  nostra  madre  antica, 
Per  la  mina  de'  giganti  Irata 
Contr'a'  celesti,  al  mondo  l&'produsso, 
p'Encelado  e  di  Ceo  minor  sorella; 
Mostro  orribile  e  grande,  d'ali  presta 
JJ  veloce  de'  pie;  che  quante  ha  piume. 
Tanti  ha  sotto  occhi  vigilanti,  e  tanto 
(Meraviglia  a  ridirlo)  ha  lingue  e  boccho 
Per  favellare  e  per  udire  ortiochi. 
Vola  di  notte  per  l'oscure  tenebre 
Pc  la  terra  e  del  elei  senza  riposo, 
Stridendo  sempre,  e  non  chiude  occhi  mai. 
Il  giorno  sopra  tetti,  e  per  le  torri 
Sen  va  de  le  citta,  spiaudo  tutto 
Che  si  vode  e  che  s'ode;  e  seminando, 
Koumon  che'lbeiico'l  vero.il inslee'l  falso. 
Pi  rumor  empio  o  di  spavento  I  popoli. 
Questa  gioiosa,  bisbigliando  in  |*  ima, 
Poscia  crescendo,  del  seguito  caso 
Mi  Ite  cose  dicea  vere  e  non  vero. 

Picea,  ch'ini  di  ti  ninna  stirpe  uscito, 
Venuto  era  in  Cartago,  a  cui  degnata 


j6i  V  FNEIDB.  [295-819J 

8'  era  la  bolla  ftdo  esser  congiunta, 
Cbi  con  nodo  dicea  di  maritaggio,      4  à 
Chi  di  (ascivo  amore;  o  eh' ambedue, 
Posti  i  regni  in  non  citlc,  a  l'ocio,  al  lusso, 
A  la  lascivia  bruttamente  additti, 
Consumavan  del  verno  i  giorni  tutti. 
Questo,  o  cose  altro  assai,  la  sozza  Dea 
l'er  le  boccilo  dogli  uomini  spargendo, 
Tosto  in  Getulia  ni  gran  Iarba  pervenni»;) 
E  con  parole  o  con  puuturo  acerbo 
SI  do  l'offoso  re  l'animo  acceso. 
Ch'arso  d'ira  c  di  sdegno.  Era  d'Amm 
K  do  la  Garamautide  Napea, 
Già  rapita  da  lui,  questo  re  nato, 
Ondo  a  Giove  suo  padro  entro  n'  suoi  r 
Cento  gran  tempii  o  cento  pingui  altari 
Avca  sacrati,  e  di  continui  fochi 
Mantenendo  agli  Dei  vigilie  eterne,  '« 
Di  vittime,  di  fiori  e  di  ghirlando 
Gli  tonea  sempre  riveriti  e  cólti. 
Ei  si  com'era  afflitto  e  conturbato 
Da  l'amara  novella,  anzi  agli  altari 
E  fra  gli  Dei,  lo  mani  al  cielo  alzando, 
Colali,  umile  insiomo  o  disdognoso, 
Porso  prieghi  o  querole:  Ouuipotcnto 
L192-206J 


[320-344]        libro  iv.  1G8 
Padre,  a  cui  tanti  opimi  e  sontuosi 
Conviti,  e  di  I.euèo  si  larghi  onori 
Offrisce  oggi  ile'  Mauri  il  gran  paese. 
Vedi  tu  questa  coso?  a  pure  invano 
Tonni"!"  c  folgorando  et  spaventi? 
Una  lumina  crranto,  una  che  dianzi 
Ebbe  a  prezzo  da  me  noi  mio  paese, 
Ter  fondar  la  sua  terra,  un  pieciol  sito; 
Una  ch'arena  ha  per  araro,  ha  vitto, 
Jjoco  o  leggi  da  me,  me  per  marito 
Kiliutii;  c  di  sò  dotino  o  del  suo  regno 
Ha  fatto  Enea.  Questo  or  novello  l'ari 
Con  quei  suoi  delicati  e  molli  eunuchi, 
Jlitrato  il  mento  o  profumato  il  crino, 
Ya  del  mio  scorno  e  del  suo  furto  altero: 
Ed  io  qui  me  ue  sto  vittime  e  doni 
A  te  porgendo,  e  son  tuo  Aglio  indarno. 

Cosi  larba  dicea:  nò  da  l'altare 
S'era  ancor  tolto,  quando  il  Pudro  udillo; 
E  gli  occhi  in  vèr  Cartagino  torcendo 
Vide  gli  limanti  eh' a  gioire  intasi 
Avcnn  posti  in  oblio  la  fama  o  i  regni. 
Ondo  vólto  a  Mercurio:  Va',  figliuolo, 
Gli  disse;  chiama  i  venti,  e  ratto  scendi 
Là  've  si  neghittoso  il  troian  duce 
[206 -224 J 


164  *•  F.KEID».  [tffiJI 

Buda  in  Cartagine  "1  desinato  impero 
Non  (Tradisce  o  non  cuta; e  ciò  gli  .niiiuMia 
Pa  parte  mia,  che  Venero  sna  madre 
Non  por  tal  lo  mi  dludo,  e  eh'a  tal  fino 
Non  è  stato  da  lui  da  l'armi  grecho 
Gii  due  volto  scampato.  Ella  promise 
Ch'ti  sarebbe  atto  a  sostener  gl'imperi 
E  le  piorro  d'Italia,  o  trar  qua  suso 
La  progonie  di  Toucro,  a  porro  il  freno, 
A  dar  lo  loggi  al  mondo.  A  ciò  so  'I  pregi 
Pi  si  gran  cose  o  do  la  gloria  stessa 
Non  muove  lui.  perchè  non  guarda  al  figli 
Porche  di  tonta  sua  grandezza  il  froda. 
Pi  quanta  finn  Lnvinio  ed  Alba  e  Ituma 
No'  secoli  a  vonìro?  E  con  che  speme. 
Con  che  disegno  in  Libia  fa  dimora, 
E  co'  nomici  suoi?  Navighi  in  somma. 
Questo  dilli  in  mio  nomo.  Udito  ch'ebbe 
Mercurio,  ad  csseguir  tosto  s'accinse 
I  procetti  del  padre;  o  prima  a'  piedi 
I  talari  adattossi.  Ali  son  queste 
Con  pernio  d'oro,  ond'ei  l'aria  trattando, 
Sostenuto  da'  venti,  ovunque  il  corso 
Volga,  o  sopra  la  terra,  o  sopro  al  maro, 
Va  per  lo  ciel  rapidamente  a  volo. 
[225  24 1J 


■    [870-394]         limo  tt.  165 
1    Indi  prendo  In  verga,  nini' ha  possanza 
I    Fin  ne  l'inferno,  onde  richiama  In  vita 
I.'uninie  spi  nte,  onde  le  vive  Addii™ 
l'ini"  aliisso.  e  di  Anno  o  vigilia 
E  rifa  e  morte:  Aduna  e  sparge  I  Tonti, 
*    E  trapassa  lo  nulli.  Era  volando 

Giunto  la  've  d'Atlante  il  capo  o  'I  fianco 
Scorgca.  de  lo  cui  spallo  il  cielo  è  soma; 
D'Atlante,  la  cui  tosta  irta  di  pini. 
Pi  nubi  involia,  a  piogge.,  a  venti,  a  nomili 
È  sempre  esposta  ;Tl  cui  mento,  il  cui  dorso, 
E  per  nievi  e  por  gicl  «Muto  e  gobbo, 
È  da  fiumi  rigato.  In  questo  monto, 
Clic  1   padre  di  :.!.V.i.  avo  di  lui, 
■  Primamente  forniossi.  Indi  cnlando 
I  gj  gjttù  sovra  l'ondo,  o  lungo  al  iito 
'   Di  Libia  se  n'andò,  l'auro  secando 
•   In  quella  guisa  elio  marino  augello 
H' un'alta  ripa,  a  nuora  pesca  inteso, 
Terra  terra  sòn  va  tra  rive  o  scogli 
'     Umilmente  volando.  A  pena  giunto 
I     Era  in  Cartago,  elio  d'avanti  Kuca 
Si  vide,  intento  a  dar  siti  e  disegni 
Ai  superbi  edifici.  Arca  dal  manco 
V  Lato  una  storta,  di  diaspro  o  d'oro 
[243-2CIJ 


160  i'.'  KXKini!.  [395-419] 

(ìuarnita.  c  di  utente  «emme  adorna. 
Dal  tergo  gli  pendea  di  tiria  ardente  ■ 
Purpura  un  ricco  manto,  arnesi  0  doni 
Ile  la  sua  Dldo:  ch'ella  stessa  intesta 
Avon  la  tela,  o  ricamati  i  fregi. 
Ne  '1  rido  pria,  cho  li  fu  sopra,  c  disso: 

Tu  to  no  stai  si  neghittosamente, 
Enea,  servo  d'amor,  ligio  di  donna, 
A  fondar  l'altrui  reguo;  c  '1  tuo  non  cuti 
A  te  mi  manda  il  rcgnator  cotesto, 
Ch'io  ti  dica  in  sua  veco:  Che  pensiero,  J 
Che  studio  è  il  tuo?  con  cho  speranza  indugi 
In  queste  parti?  So  '1  tuo  proprio  onore, 
So  la  propria  grandezza  non  ti  spingo; 
Che  non  miri  a'  tuoi  posteri,  al  destino, 
A  la  speranza  del  tuo  figlio  Iulo, 
A  cui  si  dovo  il  glorioso  imporo 
Do  l'Italia  o  di  Roma?  E  più  non  disse, 
Nò  più  risposta  atteso:  anzi  dicendo, 
Uscio  d' umana  forma,  o  dilcgoossl. 

Stupì,  si  raggricciò,  tremanto  c  fioco  I 
Divoune  il  troian  duce,  il  gran  procotto 
E  chi  '1  portava  e  chi  '1  mandava  udendo. 
Già  ponsa  di  ritrarsi:  ma  che  modo 
Terrà  con  Dido  ad  impetrar  cotniato? 
[868-888] 


r  120-4+*]         i-'»bo  Iv-  107 
Con  quoi  parole' assalili,  con  quali 
pjsporrà  mai  la  furiosa  amante? 
TYrisa,  volge,  rivolge;  in  un  momento. 
Or  questo,  or  quel  partito,  or  tutti  insicino 
\:i  ,|iscorrcndo;  ed  ora  ad  un  s'appiglia. 
Ed  ora  a  l'altro.  Si  risolvo  alfine: 
E  fatto  a  sò  venir  Memmo,  Sergosto, 
E  l'ardito  Cloanto:  Andate,  di*so, 
Kaunnte  i  compagni  :  itene  al  porto: 
E  con  liei  modo  cliotamentc  l'armo 
Apprestate  c  l' nrmataj  esnon  mosti  ato 
Signo  di  novità  nò  di  partenza. 
Intanto  io  troverò  loco  opportuno, 
E  tempo  accomnìodato.  c  destro  modo 
P' ottener  da  quest'ottima  regina, 
Clic  da  lei  con  dolcezza  mi  diparta. 
Nulla  sapendo  ancor  di  mia  partita. 
Nò  sperando  tal  fino  a  tanto  amore. 

A  l'ordine  d'Enea  lieti  i  compagni 
Obbedir  tutti:  o  prestamente  in  punto 
fu  ciò  cho  impose.  Ma  Didon  del  tratto 
Tosto  s'avvide;  o  che  non  vode  amore? 
Ella  pria  s«  n'accorse;  ch'ogni  cosa 
Tornea,  benché  sccura.  E  già  la  stessa 
Fama  importunamente  lo  rapporta 
[284-299] 


1C8  l^se™.  [445-Ì69] 

Armarsi  I  legni,  esser  i  Teucri  accinti 

A  navigare.  Onde  «l'amore  o  d'ira 

Accesa,  infuriata,  e  fuori  uscita 

pi  sè  incdosma  iniporvorsando  scorro 

Per  tutta  la  città.  Quale  ai  notturni 

Gridi  di  Citeron  Ttade,  allora 

Cho  'I  trleunal  di  Bacco  si  rinova. 

Nel  suo  moto  maggior  si  scaglia  e  fi  omo,, 

E  scapigliata  e  fiera  attraversando, 

£  mugolando  al  monte  si  conduce; 

Tal  era  Pido,  o  da  tal  furia  spinta 

Enea  da  sò  con  tai  parnlo  assolse: 

Ali  perfido!  celar  duni|ue  sperasti    a  J 
L'na  tal  tradigionc.  e  di  nascosto 
Partir  de  la  mia  terra?  E  del  mio  aurora, 
De  la  tua  data  le,  di  quella  morto 
Che  no  fari  la  sfortunata  Dido, 
Punto  non  ti  sovvieno  o  non  ti  cale?  "l 
Forse  cho  non  t'arrischi  in  mozzo  ni  ver 
Tra'  più  fieri  Aquiloni  a  l'ondo  esporti, 
Crudele?  Or  cho  faresti,  so  straniero 
Nou  ti  fosser  le  tene,  ignoti  i  lochi 
Cho  tu  procuri?  E  elio  faresti,  quando 
Fusse  ancor  Troia  in  piede?  A  Troia  andresti 
Di  questi  tempi?  E  me  lasci,  o  me  fuggi? 
UU0-3MJ 


[470-404]         moro  ir.  169 
Deh  !  per  queste  mio  lagrime,  per  qnollo 
Clic  tu  de  In  tua  fu  pegno  mi  désti 
<|\.i  rlie  a  I  idi)  infelice  altra  non  resta 
CI»'  :i  se  tolto  nuli  nggta).  por  lo  nostro 
jl;iiit»l  nullo,  por  l'impreso  nozzo. 
per  quanti  ti  foi  nini„so  nini  ti  fui 
Coinmoilo  o  grazia  alcuna;  o  t'Alena  dolco 
Avesti  iniqua  da  ine,  ti  pricg»  ch'abbi 
pioti  del  dolor  mio,  do  la  mina 
Clio  di  ciò  m'. avverrebbe;  e  (so  più  luogo 
Ha»  le  preci  con  fb)  elio  tu  dol  tutto 
Liisci  questo  pensiero.  Io  per  to  sono 
In  odio  n  Libia  tutta, 'a'sjjoi  tiranni, 
A'niieiTirii.a  m'o  stessa.  Ho  già  macchiata 
I„i  pudicizia;  e  (quel  ohe  più  mi  duolo) 
Ho  perduta  la  fama,  ond'io  pur  dianzi 
Sorvolava  lo  stello.  Or  come  in  preda 
Solo  a  morto  mi  insci,  ospite  mio? 
Ch'ospite  sol  mi  resta  di  chiamarti. 
Di  marito  che  m'ori.  E  perche  deggio. 
Lassa,  viver  lo  più?  Per  veder  forso 
Clio  '1  mio  fratcl  Piginalton  distrugga 
Queste  mie  mura,  o  '1  tuo  rivale  larb.i 
|n  servitù  m'adduca?  Almono  avanti 
M  tua  partita  avcss'io  fatto  acquisto 
1314-3281 


170  rfv.SEinE.  [495-516] 

D'un  pargoletto  Enea,  che  per  le  sale 
Mi  scherzasse  d'intorno,  e  solo  il  rotto,' 
E  non  altro,  ili  to  sembianza  avesse; 
Ch'esser  uon  mi  parrebbe  abbandonata. 
Né  delusa  del  tntto.  A  tai  paralo. 
Enea  di  fiiovo  al  pian  precotto  affisso,  j 
Tcuca  il  pensiero  <•  gli  occhi  immoti  esalai 
E  brevemente  le  rispose  alfino: 
Regina,  e'  non  fin.  mai  ch'io  non  mi  tonM 
Doverti  quanto  forso  nit(|ua  potessi 
Riniprovorarmi,  o  non  Ila  mai  che  Elisa  j 
Non  mi  ricordi  infin  che  ricordanza  i 
Avrò  di  me  medosmo,  o  che  'I  mio  spirto 
Reggerà  questo  membra.  Ora  in  il  isoarco 
Di  mo  dirò  sol  questo,  che  sperato 
Ne  pensato  ho  pur  mai  d'allontanarmi 
Da  te,  come  tu  di'  l'urti vamente: 
Nò  d'esserti  marito  anco  pretendo: 
Ch'iniqua  di  maritaggio,  o  di  soggiorno  1 
Teco  non  patteggiai.  Se  '1  mio  destino 
Fosso  che  la  mia  vita,  e  i  miei  pensieri 
A  mia  voglia  reggessi,  a  Troia  in  prima 
Farei  ritorno:  raccorroi  le  dolci 
Suo  disperso  reliquio;  a  la  mia  patri* 
Di  nuovo  ronderei  la  vita  e  i  figli, 
[32'J-3431 


[520-541]        libro  it.  ITI 

jj  in  regi»  o  lo  torri  o  mo  con  loro. 

jla  ne  l' Italia  il  mio  fato  mi  chiama. 

Italia  Apollo  in  Dolo, in  Lioio.  otiiihiu? 

Va,i,i  n  mando  a  spiarne,  mi  prometto. 

Qncst'é  l'amor,  quest'i  la  patria  mia. 

Se  tu.  clic  di  Fonicia*oi"Tonutn. 

Siedi  in  Cartago,  e  ti  diletti  e  godi 

Del  tiio  libico  rogno.  qual  divieto, 
Qual  invidia  6  la  tna,  oh'l  miei  Troiani 
Prendano  Ausonia?  Non  loco  anco  a  noi 
Corcar  do'rogn  i  esterni?  8  non  cuopre  ombra 
La  terra  mai.  non  mai  torgon  le  stollo, 
Cho  del  mio  padre  una  turbata  imago 
Non  veggio  in  sogno,  e  elio  di  ciò  ricordo 
Non  mi  porga  o  spavento.  A  tutto  l'oro 
Pel  mio  figlio  sovvienimi,  e  do  l'ingiuria 
Che  ricevo  da  mo  si  caro  pegno. 
So  del  rcguo  d' Italia  io  lo  dofraudo. 
Cho  li  son  padre,  quando  il  fato  o  Giove 
Nel  privilegia.  E  pur  dianzi  mi  venno 
Dal  ciel  mandato  il  mossaggier  celeste 
A  portarmi  di  ciò  nuova  imbasciata 
Dal  gran  ro  degli  Dei.  Donna,  io  ti  giuro 
Per  la  lor  deità,  por  la  saluto 
D'ambedue  noi,  cho  con  quest'occhi  '1  vidi 
[344-8581 


172  l^nhhk.  [545-569] 

Qui  dentro  in  chiaro  lume;  e  la  sua  voce 
Con  quest' orecchi  udii.  Rimanti  adunque 
Di  più  dolerti  ;  c  con  le  tue  querele 
Nò  to  né  ini!  più  conturbare  Italia 
Non  a  mia  voglia  lo  segno.  K  più  tuoi  'l'uso* 
Ella,  meiitro  dicca.  crucciata  o  torva  J 
Lo  rimirava,  e  volgea  gli  occhi  intorno  I 
Senza  far  motto.  Alfln.  da  sdegno  vinta  0 
Cosi  proruppe:  Tu.  perfido,  tu 
Soi  di  Vonere  nato?  Tu  del  sangue 
Di  Dardano?  Non  già;  chò  l'aspre  rupi 
Ti  prodnssor  di  Caucaso,  o  l' li  cane   »  I 
Tigri  ti  fur  nutrici.  A  che  tacere?      »  s  m 
11  simular  elio  giova?  E  elio  di  meglio  VI 
No  ritrarrci?  l'orso  ch'a'miui  Inmcnti 
Ila  mai  questo  crmlcl  tratto  un  sospiio, 
0  gittata  una  lagrima,  o  pur  mostro 
Atto  o  segno  d'amore,  o  di  pictadc? 
Di  che  prima  mi  dolgo?  di  che  poi? 
Ali!  elio  né  (iiuno  o  imi,  li"  (liove  slesso  A 
Cura  di  noi:  nò  c  m  ginsf  occhi  miri 
Più  l'opro  nostre.  Ov\  qua  -iù  i  iù  fede? 
E  chi  più  la  ni. ni licii     Era  costui 
Dianzi  uel  lito  mio  naufrago  errante, 
Mondico.  lo  l'ho  raec"lto,  io  gli  ho  ridotta 
[3ÓS-374| 


[570-5941         unno  iv.  173 
]  suui  compagni  o  i  aito!  invili  insieme, 
Cli'tTan  morti  o  disponi;  od  in  l'ho  mosso 
(Folle!)  n  parto  con  ma  del  reguo  mio, 
£  di  dio  stesso.  Ahi  d»<fnror,  da  foco 
K„|,ir  mi  sento!  Ora.il  profeti!  Apollo, 
Qr  lo  sorti  di  Licia,  ora  un  araldo, 
Cho  dal  ciel  gli  si  monda,  a  gran  facondo 
Quinci  lo  chiama.Un  gran  pensiero  han  certo 
pi  ciò  gli  Ilei:  d'nn  man  traraglio  è  questo 
A  lor  quieto.  Or  va',  che  per  innanzi 
più  non  ti  tcgua,  «  più  non  ti  contrasto. 
Va'  pur.  segni  l'Italia,  acquista  i  regni  ■ 
Cho  ti  dau  1'  ondo  e  i  Tenti.  Ha  se  I  numi 
Son  pietosi,  o  so*  pomi»,  io  spero  ancor  i 
Che  da'  venti  o  da  l'onde  e  dagli  scogli 
K'avrai  degno  castigo;  o  cho  più  volto 
Chiamerai  Dido,  che  lontana  ancora 
Co'  neri  fuochi  suoi  ti  ila  presente: 
£  tosto  che  di  morto  il  freddo  giolo 
L'anima  dal  mio  corpo  avrà  disgiunta, 
Tasso  uon  inorerai,  cho  l'omhra  mia 
Non  ti  sia  intorno.  Avrai,  crudolu,  avrai 
Ricompensa  a'  tuoi  morti,  o  uo  l' inferno 
Tosto  ino  uo  verrà  lieta  novella. 
Qui  '1  suo  dire  interruppe:  o  lui  por  téma 
[875-888J 


J74  V  KNKIDB.  '  "  ''"■-019] 

Confuso,  e  molto  a  replicarle  inteso, 
Lasciando,  con  disdoguo  e  con  angoscia  . 
(ili  si  tolse  davanti.  Incontinouto 
Lo  fur  l'ancollo  intorno;  o  al  com'era 
Egra  o  dolente,  entro  :il  suo  ricco  alhergoi 
Lo  dicr  sovra  lo  piuino  agiu  c  riposo. 

Encaquautunquo  pio, quantunque  afflitto 
E  d'amore  infiammato  e  di  desiro 
Di  consolar  la  dolorosa  amante 
Noi  suo  cuore  ostinami.  E  fermo  e  saldo 
II' obbedire  agli  Dei  fatto  ponsioro,  «■ 
Calossi  al  mare  o  i  suoi  legni  riride. 
Allor  furo  in  uu  tempo  unti  o  rispinti 
E  posti  in  acqua:  o  per  la  fretta,  i  romi 
Diventarono  i  rami  che  dal  bosco 
Si  portavano  allor  frondosi  e  rozzi. 

Era  a  veder  da  la  cittado  al  porto 
Do'  Teucri,  de  le  ciurme,  e  de  lo  robbe  '  i 
Ch'ai  mar  si  couduceau,  pieno  il  sentiero; 
Qual  è,  quando  lo  provide  formiche 
Do  lo  lor  vornaricco  vettovaglio 
Fonsoso  e  procacciovoli,  si  danno 
A  depredar  di  biado  un  grande  aeorro, 
Cho  va  dal  monte  ai  ripostigli  loro 
La  negra  torma,  e  per  angusta  e  lunga 
1389-4041 


[620-644]         libro  IT.  17 
gomita  lo  campagne»  attravorsando, 
Altro  al  carreggio  intese  o  lo  s' sdossano 
0  traendo,  o  spingendo  lo  conducono; 
Altre  tt-ngon  lo  schiera  unite,  od  altro 
Castigai)  !'  infingardo;  •  tutto  insieme 
fan  che  tutta  la  via  brulica,  fa  forre. 
Che  cor,  misera  nido,  che  lamenti 
Erano  allora  i  tuoi,  quando  da  l'alto 
XJu  tal  moto  scorgovl,  e  tanti  gridi 
No  sontivi  dal  mare?  Iniquo  amore, 
Clio  non  puoi  tu  nS'petti.dc'morJali ? 
Ella  di  nuovo  al  pianto,  a  le  preghiere, 
A  sottoporsì  a  l'amoroso  giogo 
Da  la  tua  forza  o  suo  mal  grado  «stretta. 
j[a  per  faro  ogni  schermo,  anzi  elio  muoia 
ì..i  sorolla  chiamando:  Anna,  lo  disse. 
Tu  redi  che  s'affrettano  e  sen  vanno. 
Vedi  già  loro  in  su  la  spiaggia  accolti, 
le  rote  in  alto,  e  le  corone  in  poppa. 
Sorolla  mia,  s'avessi  un  tal  dolore 
Antiveder  potuto,  io  potrei  forse 
Anco  soffrirlo.  Or  quosto  solo  all'alino 
Prondi  per  la  tua  misera  sirocchia. 
Poiché  te  sola  quel  crudolo  ascolta, 
E  sol  di  te  si  fida,  e  i  lochi  c  i  tempi 
1401-1231 


176  fj.' ninno*.  [M6-6ÌH 

Sai  I1  esser  seco,  e  di  trnttnr  con  lui; 
Truova  questo  supeibo  m'o  nimico,  M 
E  supplichevolmente  gli  favella. 
Pilli  elio  Pido  io  sono,  o  che  non  fui 
In  Aulido  co'Grcci  a  far  congiura 
Contro  a' Troiani,  e  che  di  Troia  a'dannn 
Nò  1  mioi  legni  mandai,  nò  le  mio  genti, 
pilli  che  nò  lo  ceneri,  nò  l'ombro 
Nò  del  suo  padre  mai  né  d'altri  suoi 
Non  vtolal.  Qua!  dunque  o  mio  domarti  ■ 
0  sua  durezza  fa  eh'  fi  non  ascolti  %V 
11  mio  dire,  o  mo  fugga,  o  sò  precipiti? 
Chiedili  per  mercè  do  l'amor  mio, 
Por  salvezza  di  lui.  por  la  mia  vita, 
Ch'  indugi  il  su  i  partir  tanto  che  'I  maro 
Sia  più  sicuro,  o  più  propizi  i  venti. 
Nò  più  dol  maritaggio  io  lo  richieggo 
Ch'ha  già  tradito,  nò  vo'più  elio  manchi 
Pel  suo  bel  Lazio,  o  i  suoi  regni  non  curi. 
Un  pieeiol  tempo,  e  d'ogui  obligo  sciolto 
Io  li  dimando,  o  tanto  o  di  quieta 
0  d'intervallo  al  mio  cieco  furoro, 
Ch'in  parte  il  duol  disacerbando,  impari 
A  meli  dolermi.  Questo  o  '1  dono  estranio 
Che  da  lui  per  tuo  mezzo  agogna  e  brama 
1 123-4351 


[870-694]         libro  nr.  177 
Questa  tua  miscrabilo  sorella: 
E  se  tu  lo  m'impetri,  altro  cho  morto 
forza  non  avrà  mai  ch'io  rrib  u'oblii. 

Qih-st*  e  tali  altre  cose  ella  piangendo 
Picca  con  Anna,  ed  Anna  al  frigio  duco 
nisso,  ridisse  o  riporto  più  volto 
Or  da  l'una,  or  da  l'altro,  o  tutto  in  vano; 
Cbò  ni  pianti  nò  proci  nò  querele 
Vanto  Io  niuovon  più.  Oli  ostano  Mali, 
v  solo  iu  ciò  gli  ha  Dio  chiuso  l'orecchie; 
Benché  dolco  e  trattabile  o  benigno 
yussc  nel  resto.  Como  annosa  o  valida 
Quercia,  che  sia  no  l'Alpi  esposta  a  Borea, 
«•orda  l'uno  or» da  l'altro  do'  suoi  turbini 
£  combattuta,  si  scontorce  o  tituba,  ' 
Stridono  i  rami  0  '1  suol  di  frondi  spargcsl, 
E  "1  tronco  al  monto  infisso  immoto  o  solido 
Se  ne  sta  sempre;  e  quanto  sorge  s-l'aura 
Cou  la  sua  cima,  tanto  in  giù  stendendosi 
So  ne  va  con  le  barbo  influo  agi' infori; 
Cosi  da  preci,  o  da  quorele  assiduo 
Battuto  duolsi  il  gran  Troiano  ed  angosi, 
E  con  la  mento  in  sè  raccolta  e  rigida, 
Citta  Indarno  per  lui  sospiri  e  lagrime 

La  sfortunata  Dido,  poi  che  tronca 

Caro. -12.  L48Ó-450J 


j78  ^l'  xxiidi.  [C95-7 

Si  vido  ogni  speranza,  spaventata 
Dal  suo  fato,.»  di  sè  schiva  e  del  sole. 
Disiò  di  ninrire,  o  gran  portenti 
Di  ciò  presagio  o  fretta  anco  lo  fero. 
Ella,  mcntro  agli  nltari  incensi  e  doni 
OlTria  devota  (orribil  cosa  a  dire!). 
Vide  avanti  di  sè  con  gli  occhi  suoi 
Farsi  lurido  e  negro  ogni  liquore 
E  '1  puro  vin  cangiarsi  in  tetro  sangne; 
E  '1  vide,  e  M  tacque  o  'nflno  a  la  sorsi 
Lo  tonno  ascoso.  Entro  al  suo  regio  albe 
Avea  di  marmo  un  bel  delubro  cretto, 
E  dedicato  al  suo  mnrito  antico. 
Questo  con  molto  studio,  o  molt' onore 
Fu  mai  sempre  da  lei  di  bianchi  velli 
E  di  festiva  fronde  ornato  o  cinto. 
Quinci  notturno  voci  udir  le  parve 
Del  suo  caro  Sichèo  elio  la  chiamasso; 
E  del  suo  tetto  un  solitario  gufo 
Molte  ftato  con  lugubri  accenti 
Fe  di  piauto  una  lunga  querimonia. 
Oltre  a  ciò,  da  l'antiche  profezio. 
Da  pronostichi  orrendi  e  spaventosi 
De  la  vicina  morte  era  ammonita. 
Vodeasi  Euca  tutte  le  notti  avanti 
1450- 40ó] 


|720-7«]         lib«o  :v.  179 
Con  fora  imago,  che  turbata  o  mesta 
La  tonea  sempre.  Le  parea  da  tutti 
Restare  abbandonata,  o  por  un  lungo 
g  deserto  ramino  andar  lolinga 
rie'  suoi  "l'i ri ■  cercando.  In  cotal  guisa 
r,c  schiero  de  l'Eumenidi  vodoa 
pèiiteo  forsennato,  o  doppio  il  solo 
E  doppia  Tebe.  In  cotal  guisa  Oreste 
Per  lo  scone  imperversa,  o  furioso' 
Tede,  fuggendo,  la  sua  madre  armata 
Di  serpenti  e  di  fa«,  o  'n  su  le  porto 
Le  Furio  ultrici.  Or  poi  che  la  meschina 
Fu  da  tuuto  furor,  da  tanto  affanno 
Appresa  e  viuta,"b  di  morir  disposta. 
Divisò  fra  sè  stessa  il  tempo  o  'I  modo: 
Ed  Anna,  si  com'era  afflitta  e  mesta, 
A  sè  chiamando,  il  suo  fiero  consiglio 
Celò  nel  core,  e  noi  sereno  volto 
Spiegò  gioia  o  speranza;  Anna,  dicendo, 
Rollégiati  con  mo,  ch'alfin  trovnto 
Ilo  com'io  debba  o  rncquistar  quoll'  tuipiu, 
0  ritormi  da  lui.  Nel  lito  estremo 
De  rOceàu,  là  dove  il  sol  si  corca. 
De  l'Etiopia  a  l'ultimo  confino. 
E  presso  a  dove  Atlanto  il  ciol  sosticuo, 
1166-182J 


180  ^  '•'  >-m  [T  !.,-7r,0f 

Giace  un  paese,  ond'ora  è  qui  venuta 
Una  sacerdotessa  incantatrice, 
Chu.  Massim  di  gente,  è  «tata  poi  i 
Del  tempio  do  l' Esperidi  ministra,  j 
E  del  drago  nudriee.  e  de  li-  pianto      N  J 
Del  pomo  d'oro  guardiana  un  tempo. 

Questa,  d'umido  mèle  e  d' obliosi 
Papaveri  composto  un  suo  miscuglio,  i 
Promette  con  parolo  e  con  malio 
Altri  scior  da  l'amore,  altri  legaro, 
Com'a  lei  piace,  distornare  i  l'unni, 
filtrar  le  stello,  e  convocar  por  forza, 
Lo  notturne  fantasma.  Udrai  la  t.  i  ra 
Mugghiar  sotto  a'tuoi  pie.  Vedrai  da' monti 
Calar  gli  in  ni  e  le  querce.  Io  per  gli  Dei, 
Per  to,  per  la  tua  vita  a  me  si  cara. 
Ti  giuro,  suora  mia.  che  mal  mio  grado 
M'adduco  a  questi  magici  incantesml; 
Ma  gran  forza  mi  spini.'.-,  i  r  va',  sorella. 
Scogli  por  entro  a  le  mio  stanco  un  luogo 
11  più  remoto  e  solo  a  l'aura  esposto. 
Ivi  ergi  una  gran  pira,  e  vi  conduci 
L'armi  che  a  la  mia  camera  sospeso 
Lasciò  quel  disleale,  e  quelle  spoglie 
Tutte  e  quel  lotto,  ov' io,  lussa!  perii; 
1 482- 137 J 


[770-704 1         libro  ir.  181 
j„  somma  ogni  suo  arnese;  citò  la  maga 
Cosi  m'impone,  c  vuol  ch'ogni  memoria. 
Ogni  sogno  di  lui  si  spenga  e  itera. 

'fusi  eletto,  si  tacque,'*  di  pallore 
Tutta  fi  tinse.  Non  però  s'nvvido 
Amia,  clic  sotto  a' nuot  i  sacrifici 
Si  celasse  di  lei  morto  si  fera; 
Che  si  foro  concetto  non  lo  vonno, 
E  „oii  temi  elio  poggio  l'avvenisse 
Ch'i»  morto  di  Sichòo.  Tosto  fc  dunqno 
Quel  ch'imposto  lo'fu.  Fatta  la  pira, 
E  d'ilici  e  di  tede  aride  e  scisso 
Altamente  composta,  la  regina 
D'atre  ghirlando  e  di  funesto  frondi 
Omar  la  fece  intorno;  Indi  le  spoglio 
E  la  spada  e  l'effigie  do  l'amante 
Sopra  a  giacor  vi  poso,  ben  socura 
Di  ciò  che  11'avvcrrobbo.  Ernn  dintorno 
(ìli  altari  erotti:  era  tra  lor  la  maga 
Scapigliata  e  discinta;  o  con  un  tuono 
DI  voce  formidabile  invocava 
Trecento  deità.  l'Èrebo,  il  Oao, 
Ecatc  con  tre  formo,  o  con  tro  facco 
I    La  vergine  Diana.  Avea  già  sparso 
Le  fiuto  acquo  d'averno,  o  I  suffumigi 
1407-5121 


182  y.'  knridk.  |"05-8i 

Fatti  da  lo  nocivo  orbo  iiotoIIo, 
Ohe  per  punti. di  luna  e  con  la  falco 
D'incantato  metallo  nran  segato. 
Si  fo  venir  la'inalTosa  carne 
Ohe  de  la  fronte  al  tenero  pulledro  1 
Oon  l'amor  de  la  madre  si  divelle. 
Essa  stessa  regina  il  farro  o  'I  salo 
Con  le  man  pie  so vr' agli  altari  impone 
E  d'uu  piò  scalza  o  di  tutt' altro  scio! 
Solo  accinta  a  morir,  por  testimoni 
Chiama  li  Doi.JVotestasi  a  le  stelle 
Del  suo  fato  consorti:  c  s' alcun  nume 
Mira  agli  ufllitti  o  sfortunali  annuiti. 
Questo  prega  e  scongiura  che  ragione 
E  ricordo  ne  tenga,  o  ne  li  caglia. 

Era  la  notte;  o  già  di  mezzo  il  corso 
Cadeau  le  stello  ;  ondo  la  terra  e  '1  mare, 
Le  selvo,  i  monti  o  lo  campagne  tutto, 
E  tutti  gli  animali,  i  bruti  e  i  pesci 
E  i  volanti  e  i  serpenti,  e  ciò  che  rive 
Avea  da  ciò  elio  la  lor  vita  affanna 
Tregua,  silenzio,  oblio,  sonno  o  riposo. 
Ma  non  Dido  infelice,  n  cui  la  notte 
Nò  gli  occhi  grava,  nò  'I  ponsioro  alleggi» 
Anzi  maggior  col  tramontar  del  solo 

[US-Mi] 


[820-8+tl         libro  it.  183 

jn  lei  risorga  l'amorosa  cura: 
g  non  men  elio  u*amor.jTir»  avampando, 
(•„si  fra  sò  farnetica  c  farcita: 
|/  die  Tirò  cosi  dolosa  poi? 
fili  più  mi  seguirà  du'  primi  amanti? 
proferiromnii  por  consorto  io'stessa 
p'nn  Zingaro,  d'un  Moro,  o  d'un  Arabo, 
Quando  n'ho  vilipesi  e  rifiutati 
Tanti  c  tai,  tante  volto?  Andrò  co'Toucrl 
la  su  l' urinata?  mi  fari  soggetta, 
pi  regina  ch'io  sono,  e  serra  a  loro? 
Si  certo,  che  gran  prò  In  qui  riporto 
Do  lo  mio  lor  usato  cortesie; 
;  grAdo  me  n'iranno,  o  grazia  poi. 
ila  ciò,  dato  ch'io  voglia,  chi  permette 
Ch'io  l' inseguisca?  Chi  cosi  schernita 
Volontier  ini  raccoglie?  Ahi  sfortunata 
Dido!  ch'aucor  non  vodi  a  che  sei  giuuta, 
£  le  frode  non  sai  di  questa  iniqua 
Schiatta  di  Lunmodoute.  K  poi  elio  Ila 
Her  questo?  Dvggio,  sola,  in  compagnia 
Di  marinari  andar  femina  crrimto? 
0  condor  meco  i  miei  Fenici  tutti 
Con  altra  armata?  o  trarli  uu' altra  volta 
D'uu'altia  patria  in  mare  in  preda  ai  voliti 
I532-5-1G] 


184  ^.'fxiidk.  f$4ó-86^ 

Senz'alcnn  j)ro,.sonza  cagione  alcuna;  I 
Quando  anco  a  pena  di  Sldi'm  gli  Massi  J 
Per  ritorli  da  man  d'empio  tiranuoV 
Ah!  muor  più  tosto,  conio  degnamente 
Itai  meritato;  o  pon  col  ferro  fino 
Al  tuo  grave  dolore.  Ali,  mia  sorella! 
Tu  sci  prima  cagion  di  tanto  malo: 
Tu,  vinta  dal  mio  pianto,  in  quest'ang  i^L 
M'hai  posta,  e  data  ad  un  nemico  in  pie  li 
Chò  devoa  vita  solitaria  e  fera 
Menar  più  tosto,  che  commetter  fallo 
SI  dannoso  o  si  gravo,  e  romper  fedo 
Al  cencr  di  Sichòo.  Questi  lamenti 
Uscian  del  petto  a  l'affannata  Dillo, 
Quando  già  di  partir  fermo  o  parato 
Knoa,  por  riposar  pria  che  sciogliesse. 
S'era  a  dormir  sopra  la  poppa  agiato; 
Ed  ecco  un'altra  volta,  in  sonno,  avanti 
Del  modesmo  celeste  mossaggicro 
(.ili  appar  l'imago,  con  quel  volto  stesso,- 
Con  quel  color,  con  quella  chioma  d'oro  ' 
Con  elio  lo  vide  pria  giovino  o  hello; 
E  da  la  stessa  voce  udir  gli  parve: 

Tu  cori  i.  Enea,  si  gran  fortuna,  o  donai 
Non  senti  qual  li  spira  aura  socomla? 
154G-5C2) 


[870-894]         mbbo  iv.  183 
pi.!.,  cose  nefande  ordisco  ed  osi, 
Certa  pi»  di  morire,  e  d'ira  accesa 
jl  diro  impreso  4  vòlt»;  e  tu  non  fu^pi 
Mentre  fuggir  ti  lece?  &  ninno  a  mano 
pi  legni  travagliar  vedrassi  il  muro, 
pi  focbi  il  lito,  e  di  furor  leggenti 
Incontra  a  te,  se  tu  qui  '1  giorno  nspotli. 
Via  di  qi»  tosto;  dà'  le  velo  a'  venti. 
Femina  è  cosa  mobil  per  natura, 
F.  per  disdegno  impetuosa  o  fora. 
E  qui  tacendo  entro  noi  baio,  e  sparvo. 

Knon.  preso  da  subito  spavento, 
Pestossi.  o  fe  destar  la  gente  tutta: 
Via.  compagni,  dicendo,  ai  banchi,  al  remi; 
Ch'or  d'altro  uopo  ne  fa  che  di  riposo. 
Fato  vela,  sciogliete,  elio  di  nuovo 
Frocotto  ne  si  fa  dal  ciolo,  o  frotta. 
Kcco.  «t'inl  tu  ti  sia.  mosso  celeste. 
Che  '1  tuo  detto  seguiamo;  e  tu  benigno 
N'aita,  e  '1  cielo  e  'I  mar  ne  icndl  amico. 
'    Ciò  detto,  il  ferro  strinse,  e.  fulminando, 

li   Pel  suo  legno  la  gemina  rocisc. 

MCotl  fer  gli  altri,  e  col  medusmo  nrdoro 
Tutti  insieme,  sciogliendo,  travasando, 
E  spingendosi  in  nlto,  in  un  momento 
1503-5821 


I86  1,'kmidf.        [895  919] 

Lasciare  11  llto^-o  'I  mar,  dai  legni  aacOMM 
SI  fe  per  tanti-remi  o  tante  velo 
Spumoso  e  bianco,  fera  vermiglio  e  ìanclofl 
Fatto  già  de  la  notte  il  bruno  :imimuto,J 
Lasciando  di  Titón  l'Aurora  il  lotto, 
Quando  d'uu'alta  loggia  la  regina 
Tutto  scoprendo,  poi  eh' a  pieno  volo 
Vidole  frigio  navi  irne  a  dilungo, 
E  vóti  i  liti,  8  senza  ciurma  II  porto; 
Contra  sò  fatta  iugiuitosa  o  fora, 
Il  delicato  petto  o  l'auree  chiomo 
Si  percuote,  si  lacerò  più  volto; 
E 'neon  tra  al  ciel  rivolta:  Ali.  tiiovc,  disso,  j 
Puuqtie  pur  so  n' andrà V  Dunquo  son  io 
Fatta  d'un  forostier  ludibrio  o  scliorno 
Noi  regno  mìo?  Nò  Ha  chi  prenda  l'armi 
Nò  chi  lui  segua  nò  i  suoi  legui  incoudat 
Via  tosto  a  lo  lor  navi,  a  l'armi,  al  foco. 
Mano  a  lo  volo,  a'  remi,  oltre  nel  mare.^ 
Clio  parlo?  0  dovo  sono?  K  che  furori  1 
F.  il  tuo,  Dido  infelieo?  Iniquo  fato,  . 
Misera,  ti  pcrsogiio.  Allor  Tu  d'uopo 
Ciò  elio  tu  di',  quando  di  to  signoro 
E  del  tuo  regno  il  fofti.  F.cco  la  dostr», 
Ecco  la  fede  sua.  Questi  è  qirol  pio 
[5B2-598I 


[920-944]         muro  tv.  181 
Che  seco  adduce  i  suoi  putrii  Penati, 
£'1  vocchio  padre  agli  omeri  s'imposo. 
jioii  potoa  farlo  prendere  e  sbranarlo. 
f.  gjtt.irlo  nel  mare?  aBcl'lor  lui 
Con  tutti  i.suoi?  dilantaro  il  fìllio, 
E  darlo  in  cibo" al  padre'/  Qbl  perigliosa 
Fora  stata  l' impresa.  E  di  periglio 
La  si  fosse,  e  di  morto;  in  ogni  guisa 
Morir  dovendo,  a  che  Utncrc  indarno? 
Arsi  avrei  gli  steccati,  incesi  i  legni, 
Occiso  il  paàro,  ilUplio.  il  some  in  tutto 
pi  questa  gente,  o  mo  spento  con  loro. 

Sole,  a  cui  do'jnortall  ogn'opra  è  conta; 
Giuno,  do  le  mie  cure,  o  do'  miei  falli 
Pronuba  consapevole  e  mezzana; 
Ecate,  che  ne'trivii  orribilmonto 
Sei  di  notte  invocata;  nitrici  Furio, 
Spiriti  inferni,  e  dii  de  l'Infelice 
Dido.ch'a  molto  e  giunta,  il  mio  non  degna 
Caso  riconoscete  e  'nsieme  udito 
Queste  dolenti  mie  partilo  ostromc. 
Se  forza,  so  destino,  o  se  decreto 
E  di  Giove  e  del  cielo,  e  fisso  e  saldo 
È  pur  elio  questo  iniquo  in  porto  arrivi, 
E  terra  acquisti;  aluieu  da  Dura  gente 
IÓUS-C15I 


188  ^yrs-rjDK. 
Sia  combattute!:  e  de'  snni  fini  in  linndoj* 
I)a  suo  figlio  divelto  implori  aiuto, 
E  perir  voglia  i  suoi  di  morte  indegna.  I 
Nò  leggi  che  riceva,  o  paco  talqn» 
Cho  accetti,  nnco  gli  giovi:  n6  del  regno! 
Né  de  la  vita  lungamente  goda; 
Ma  enggia  anzi  al  suo  giorno,  e  ne  l'areni 
Oiaccia  insepolto.  Questi  prieghi  estrerafl 
Col  mio  sangue  consacro.  E  voi,  miei  T1H| 
Coi  discesi  da  voi  tcnoto  seco 
E  co'  posteri  suoi  guerra  mai  sempre. 
Qncsti  falli  al  mio  filiere  mandato. 
Morta  ch'io  sia.  Nò  mai  tra  queste  genti 
Amor  nasca,  no  pace;  anzi  alcun  sorga 
De  l'ossa  mie,  elio  di  mia  morto  preuda 
Alta  vendetta,  e  la  dardania  gento 
Con  lo  fiamme  e  col  ferro  assalii  e  spenga 
Ora.  in  futuro,  e  sempre:  e  sian  le  fon» 
A  quest'animo  eguali:  ì  liti  ai  liti 
Contrari  eternamente,  l'ondo  a  l'ondo, 
E  l'armi  Incontro  :i  l' armi,  <■  i  nostri  ai  lori 
In  ogni  tempo.  E.  ciò  dotto,  imprecandéB 
Schiva  di  più  veder  l'otoria  luce. 
Affrettò  di  morire.  E  Bnrco  in  prima 
Vistasi  intorno,  una  nutrico  antica 
IC15C32J 


[!<70-994]         unno  ìv.  lvv 

l)A  suo  Sichèo  (chò  la  sua  propria  in  Tiro 

Eia  cenere  già).  Cara  nutrice, 

I...  disse,  va',  mi  chinina  Anna  mia  suora, 

i;  1.  di' che  solleciti,  e  site  l'onda 

pel  fiume  o  l'ostie  o  i  suffumigi  adduca, 

y  ciò  cb'e  d'uopo,  come  pria  Io  dissi, 

_\  prepararmi;  chè  finire  intendo 

]l  sacrificio  che  a  Plutono  inforno 

Solennemente  ho  di  già  fare  impreso, 

por  fine  imporro  a'  miei  gravi  martiri, 

E  dar  foco  a  la  pirft,  ov'è.l'imago 

pi  quell'empio  Troiano.  A  tal  precetto 

>l„>s:i  la  vccchiarella,  a  suo  potoro 

lentamente  affrèttossi  ad  osseglielo. 

pido  noi  suo  pensiero  immano  o  fiero 
piornmente  ostinata,  in  atto  prima 
pi  paventosa,  poi  di  sanguo  infetta 
1«  torvo  luci,  di  pallore  il  volto, 
E  tutta  di  color  di  morte  aspersa, 
So  n'entrò  furiosa  ove  segreto 
Era  il  su0  ro»°  R  ,,aur*  ■PP»"!«<:ni,lto' 
Sopra  vi  salse;  e  la  dardania  spada. 
Ch'ebbe  da  lui  non  a  tal  uso  ili  dono, 
Distrinse;  e  rimirando  i  frigii  arnesi 
E'1  noto  letto,  poi  ch'in  sè  raccolta 
1632-C49J 


19»  ^«*KTD«.  i— ,.,„ 

Lag-rimando  o.pensando  alquanto  H||^| 
Sovra  vi  ai  inchinò  col  ferro  al  patto,  il 
K  Miami"  fuor  qm-st' ultimo  parole:  ') 

Spoglio,  menti  e  al  ci<  1 pi  "l"'.  amate» 
A  voi  reud'io  quest'anima  dolente. 
Voi  l'accogliete:  e  voi  ili  questa  angoge|-  I 
Mi  Iil,.-iat.-.  K.V"  i  .  *»n      into  al  fine 
Ile  la  mia  vita,  e  ili  mia  suite  il  cor«o 
Ilo  già  compito.  Or  la  mia  granili.,  in,,,-. 
N'andrà  «otti-ria:  e  qui  -li  ine  e|,0  lasei()» 
Foudata  ho  pur  questa  mia  noliil  terra- 
Viste  tu>  pur  le  mie  mura:  ho  vendicato 
Il  mio  consorto:  ho  castigato  il  fiero 
Mio  nimico  fratello.  Ah  elio  felice, 
Felico  assai  morrei,  s' a  questa  spiagj|t 
Qlunte  non  fo«sor  mai  velo  troiane! 
K  qui  sul  letto  iiiihandonossi,  o  '1  volto 
Vi  tenne  impresso:  indi  sugl'illuso:  Aduaui 
Morrò  senza  vendetta?  Kli.  elio  si  muoia 
Comunque  sia:  cosi,  cosi  mi  giova 
(iirne  tra  l'omhre  inferni-;  e  poi  ch'il  cruda 
Mentre  meco  era.  il  mio  luco  non  vide, 
Veglialo  di  luiitanu,  e  '1  trist.i  augurio 
Do  la  mia  morto  aluion  seco  no  porto, 
Avea  ciò  detto,  quando  le  ministro 
I01D-GC3I 


■Lj04l|       LIBRO  IV.  191 

I      •  lor  sopra  B'  furro  "  'n"ssa' 
r'     (1  ,.0„  le  man  di  sauguc  intriso 
o  ,.  M  ..  Iu  pianti,  in  ululati 
SP""*k"0  in  ,m  iuoniout<ml  eouvorso 

ia  tutta.  e  'usino*!  eie'  n'amlaro 
j  |jc  0  fioche,  e  »u<jti  «li  ulwn  con  elio. 

ludi  per  '»  tittA  Srid"°  0  tum,,lto- 
?;*    (.prosa  da' nemici  a  Tonta 

Tiro  oCartago  arsa  o  distrutta. 

'Tua  tosto  ,-h'udillo.  il  volto  o-l  petto 

B,Me.siel^orossi;«0frf>genU 

L„lan,oril-.".aa  sua  «rolla, 

d  ndo  e  il  itoiui.-  suo  gridando,  corso: 

^.r0(lue»to-dic0a',8llOra-8On  Ì0 
Il  te  cosi  tradita?  Io  t'ho  per  questo 
,    ira  e  l'aro  e 'I  foco  apparecchiato? 
rta  mo!  I»i  phe  dorrommi  in  prima? 
morir  dovendo,  una  tua  suora 
Scompagna  rifiuti?  E  perchè  toco. 
,  tassa'  non  m'invitasti?  CI.' un  doloro. 
j£f,.rro,  un'ora  stessa  ambe  n'avrebbe 
Tolte  d'affanno.  Olmo!  con  lo  mie  mani 
T-bo  posto  il  rogo.  Olmo!  con  la  mia  voco 

Ho  gl'  "e'  du  la  v'iUm  *  C>!>  cnìalim,i- 
Tn-U,  folle!  ho  futt' io.  perchè  tu  muoia, 
1663-6  il\ 


.10O  .dm»  U"irl0<! 

Pcrrh- lo.  nel  tuo  morir  teco  noi.  sia. 
Con  te,  me.  questo  popò),  questa  terra. 
E-lsidonio  senato  Lai.  suora,  esimio.; 
Or  mi  date  che  il  corpo  ornai  componga 
Clio  lavi  la  ferita,  che  raccolga  v 
Con  le  mi"  laVta  «  <"><>  spirito  estremo,, 
Se  più  spirto  lo  rosta.  E,  ciò  dicendo,  , 
Già  do  la  pira  era  salita  in  cima. 
Ivi  lei  che  spirava  in  seno  accolta, 
La  sanguinosa  piaga,  lagrimando, 
Con  lo  sue  roste  lo  rasciuga  e  tergo; 
Ella  talor  le  gravi  luei  alitando 
U  mira  a  pena,  che  di  nuovo  a  fona 
Morte  lo  chiude;  o  la  ferita  intanto 
Sangue  o  nato  spargendo  anela  e  striò. 
Tre  volto  sopra  il  cubito  risorso; 
Tre  volto  cadde,  ed  a  la  terza  giacque:  j 
E  gli  occhi  vòlti  al  cicl.  quasi  cercandol 
Veder  la  luco,  poiché  vista  l'eneo, 
No  sospirò.  Do  l'affannosa  morto 
Fatta  Oiuno  pietosa,  Iri  dal  dolo 
Mandò,  cho'l  groppo  disciogl.csso  tor 
Che  la  tonea,  malgrado  anco  di  morto, 
Col  suo  mortai  si  strettamente  avvin' 
Ch'anzi  tempo  morendo,  e  non  dal  fa 
[678-M6J 


|1070-10831      libro  iv.  »J 

>ta  dal  furore  ancisa,  non  l'are» 

l'roserplna  divelto  anco  il  fatalo 

Suo  dorato  capello,  nò  dannata 

Kra  ancor  la  sua  tosta  »  l'Orco  Inferno. 

Katto  spiosó  Ijs.  rugiadosa  Dea 

La  sue  penne  dorato,  e  'ncontra  al  solo 

pi  quei  tanti  suoi  lucidi  colori 

1  unga  striscia  traendo;  indi  sospesa 

Sopra  al  capo  lo  stetto,  e  d'oro  un  filo 

Ite  svelse,  o. disse:  lo  qui  dal  ciol  mudi 

Onesto  a  l'iuto  consacro,  e  te  disdoro 

H„  lo  tuo  membra-.  Ciò  dicendo,  sparve. 

Kd  ella,  in  aura  il  suo  spiri»  converso, 

l'ccsto  senza  caforc  e  sen/a  vita. 

IC97-70&] 


Caro.  — 13- 


194 


\ 


[1 


DELL'  ENEIDE 


Libro  .Quinto. 


Intanto  Enea,  spinti  dal  vento  in  Mtofl 

Veleggiava  a  dilungo:  o  pur  con  gli  occhia 
Da  la  forza  d'amor  rivolto  indietro, 
Kiniirava  a  Cartago.  Ardea  la  pira 
Già  d'Elisa  infelice:  e  lo  suo  flamine 
ltaggiavan  di  lantan  gran  luce  intorno.  I 
La  cagion  non  sapea;  ma  In  temenza 
Lo  rimordea  del  violato  amore, 
E  'I  saper  quel  che  punti-  .-.pi.  I  che  ordisco; 
Fcmina  furiosa;  e  'I  tristo  augurio 
Del  foco,  cho  lugubre  era  o  funesto. 
Lo  tem  a  con  lo  stuol  de' Teucri  tutti' 
Disanimato  o  mesto.  Ermi  di  vista 
Già  de  la  terra  usciti,  o  cielo  ed  acqua  I  * 
Appartati  solamento  d'ogu'intorno,  I 
Allor  ch'itti  denso  e  procelloso  nembo  | 
Si  fe  lor  sopra;  ondo  tempesta  e  notte  J  { 
Surse  repente,  e  Palinuro  stesso  J 
Da  l'alta  poppa  il  ciel  mirando:  Oh!  diti 


[M8] 


[20-44J  libro  r.  193 

Oftu  fia  con  tante  intorno  accolte  nubi? 
g  clic  ponsi  o  che  fai,  padre  Nettuno? 
|n,|i  i- ..monda:  Via.  compagni,  armianci, 
Opi  i;iiii  >  i  remi,  acconudiapi  le  relè, 
fogniamo  al  vento  avverso  obliquo  il  sono. 
^  rivolto  ad  Enea:  Con  questo  ciolo. 
Signor,  diss'  egli,  ornai  più  non  in' affido 
Prender  Italia,  ancor  che  Giove  stesso 
Vi  promettesse,  ed  ei  nocchier  ne  fosso. 
Vedi  il  vento  mutato,  rodi  il  maro 
Ili  vèr  ponente,  ci»  s'annera  o  gonfia: 
Vedi  nel  ciel  qual  ne  s'accampa  stuolo 
Di  folto  nubi.  Traversia  di  corto 
N'assalirà,  si  clìe  nè  girlo  incontro 
Nò  durar  la  potremo.  Or  poi  ch'a  forza 
Cof.1  no  spingo,  noi  por  nostro  scampo 
Assccondianla;  cho  già  prosso  i  porti 
No  son  do  la  Sicilia  o  'I  Udo  ospizio 
p'Èrico  tuo  fratello,  s'abbastanza 
Ile  l'arto  mi  rammento  o  de  le  stelle. 

Rispose  Enoa:  Ben  conoscb'io  cho  duro 
È  '1  contrasto  do' venti;  o  '1  nostro  ò  vana 
Volgi  lo  velo.  E  qual  più  grata  altrovo, 
0  più  commoda  riva,  o  più  sicura 
Aver  mai  ponno  le  mie  stanche  navi, 
[18-29] 


,96  l'^F.ID».  H5-6J) 

Di  quella  che  no  Serba  11  curo  Acosto,  \ 
E  l'ossa  accoglie  del  buon  padre  mio?  « 

Cosi  vòlti  a  levante,  e  preso  in  poppa J 
Il  vento  o  '1  flutto,  a  tutta  vela  il  golfo  Jj 
Correndo,  fur  subitamente  a  pruda  "M 
De  l'amica  riviera.  Avea  di  cima 
Visto  d'un  monte  if  cacciatore  Accsto  I 
Venir  la  frigia  armata:  ondo  in  un  tempo 
Fu  con  essi  a  la  riva:  e  rincontrolli 
Allogramontc,  si  com'era  incólto. 
Di  dardi  armato  e  d'irta  pollo  cinto 
Ili  1  Iole' orso,  umano  insieme  o  rozzo, 
Do  la  troiana  Kgosta  o  di  Criniso 
Fiume  onorato  figlio.  F.i  degli  antichi 
Suoi  parenti  membrando,  con  gioioso 
Volto,  se  ben  con  rustico,  apparecchio,  1 
Gl'invita,  gli  ricevo  e  gli  consola. 

Fra  de  l'altro  di  l'aurora  o  '1  solo 
Già  fuor  do  l'onde,  allor  elio  '1  fiiglo  duo 
Convocati  i  suoi  tutti,  alto  in  un  greppoj 
Posto  In  mezzo  di  lor  cosi  lor  disse: 

Generosi  o  magnanimi  Troiani, 
Degna  prolo  di  Dardano  o  del  cielo, 
Questa  6  l'amici  t-rra.  ove  oggi  >'■  l'anno 
t'Ii'o  le  santo  ossa  'l'  I  mio  padre  Anelli» 
130-17] 


|70-!>4]  Lineo  T.  1°" 

pomni"  requie  0 Sepolcro.  0  i  mcsli  alluri 
Oli  consecrammo. Oggi  i-.s'i»  non  m'inganno, 
Qia  l  Minine  acerbo  od  onorato  giorno, 

onorato  od  acerbo  mi  fia  sempro 
(Poi  che  si  piacqoea  I)io),quautuuqiic  ovunque 
Questo  cssiglio  infelice  mi  trasporti; 
Pongami  ne  l'arcuo  0  ne  le  sacche 
j)e  la  Betulla;  spingami  agli  scogli 
poi  mar  <!'  Grecia;  116     Urepia  stessa 
Mi  chiu|>gft-  c  tlcutro  al  cerchio  di  Miccno; 
Ch'io  l'arò  sompro  por  *oleinio,  e  voti 
Farògli  ogni  anno  0  sacrifici  e  ludi.  * 
Or  poi  elio  du'culosti,  oltro  ogni  avviso 
Nostro,  tra' nostri  siamo  in  prtiova  addotti 
Por  onorar  le  suo  ccnori  sante, 
Onorianle,  adorianlc,  e  dal  suo  nuuio 
Imploriamo  devoti  amici  i  venti, 
E  stabil  seggio,  ovo  gli  s'erga  un  tempio. 
In  cui  siau  quest'ossequio  e  questi  onori 
Innovellati  eternamente  ogni  anno. 
Può  pingui  buoi  I»«  ciascun  nostro  loglio 
■Vi  profferisce  il  buon  troiano  Acosto. 
Voi  d'Acesto  e  di  Troia  i  patrii  numi 
Ko  convitato;  od  lo,  quando  l'Aurora 
Tranquillo  e  quoto  il  nono  giorno  adduca, 
[4S-64J 


108  LV.xr.mK.  [95-llJ 

A'solonnl  spettatoli  v'invito 
Pi  imvi,  di  pedoni  e  df  cnvalll. 
Al  coreo,  a  la  palestra,  al  costo,  a  l'area 
Ognun  vi  si  prepari,  ognun  ne  spori  J 
Degna  del  suo  valor  mercede  o  palma.  ' 
E  voi  datovi  assenso,  e  tutti  insieme 
V'inghirlandato.  E,  ciò  dicendo,  il  primo 
Del  suo  mirto  materno  il  crin  si  ciusc. 
Èlimo  lo  segui,  seguillo  Alotc, 
Un  di  verd'anni  e  l'altro  di  maturi; 
Poscia  il  fanciullo  Iulo;  e  dietro  a  loro 
D'ogni  età  gli  altri  tutti.  Enoa.  disceso 
Pai  parlamento,  in  mezzo  a  quante  intoni 
Avea  schiere  di  gonti.  umile  e  mesto 
Al  sepolcro  d'Anchise  appi  osen  tossi  : 
E  con  rito  solenne  in  terra  sparto 
Due  gran  coppe  di  vino  e  due  di  latto 
E  due  di  sanguo,  di  purpurei  fiori 
Vi  nevigò  di  sopra  un  nembo,  e  disso: 
A  voi  sant'ossa,  a  voi  concri  amato 
E  famoso  e  felici,  auima  ed  ombra 
Del  padre  mio,  torno  di  nuovo  indarno 
Per  onorarvi;  poi  cho  Italia  o  'I  Tobro 
(Se  pur  Tebro  è  per  noi)  no  si  contendo.  I 
Or,  quel  ch'io  posso  con  devoto  affetto 
[C6-88| 


[1-20-144]  LIBRO  V. 

V  udore  o  'nchino  conio  cosa  Bnntn.  _ 
Mentre  cosi  dicci,  di  sotto  ni  cavo 
ji,.  l'alto  avello  un  ginn  lubrico  serpe 
I .. ...  placidamente;  o  ietto  volto 
fon  «etto  giri  al  tumulo  s'avvolse. 
Indi,  strisciando  infrit  gli  altari  e  i  vasi, 
le  vivande  lambendo,  in  dolco  guisa. 
Con  le  cerulee  suo  squamose  terga 
Seii  B'"  divincolando,  o  quasi  un'lri 
^  sole  avvedo,  scintillò  d'intorno  . 
jlillo  vari  color  di  lue» «"d'oro, 
gtnj.issi  Knea  di  cotal  rista;  c  lingue 
PI  lung"  tratto  infra  le  mense  o  l'are, 
Ond'ern  uscito  aitili  si  ricondusse. 
Binovello  gì'  incominciati  onori 
Il  frigio  duco,  del  sorpento  incerto, 
S«  del  loco  era  il  gonio,  o  pur  del  padre 
Sergente  o  mosso.  K  com'era  uso  mitico, 
Cinque  pecore  elotto  e  cinque  porci. 
Con  cinque  di  morello  il  tergo  aspersi 
Orassi  giovenchi  ami  a  la  tomba  occiso, 
Nuove  ta/70  versando,  e  nnovanionto 
yin  d'Acheronte  richiamando  il  nomo 
g  l'anima  d'Anchiso.  Indi  i  compagni, 
Ciascun  secondo  la  sua  possa  offrendo, 
183-100] 


orni  i.'rraiDK.        [113  1 

Lieti  <-f>lmftr  di  «Ioni  i  santi  altari: 
Altri  di  lor  lo  »  it  :  fi».-  iminolara. 
Altri  cibi  no  fóro;  e  tutti  insieme 
Sul  verde  prato  a  corivivar  ai  dioro. 

Era  già  '1  nono  destinato  giorno 
Scrono  o  lioto  a  l'orfontc  apparso, 
K  gii!  In  vaga  fama  e  '1  chiaro  nomo 
Avea  d'Acestd  convocati  intorno 
1  vicin  tutti,  e  pieni  erano  i  liti 
Di  gente,  cui  traea  parto  vaghezza 
Pi  vedoro  i  Troiani,  e  parto  ardire 
Di  provarsi  con  loro.  In  prima  esposti 
Con  pompa  riguardevole  o  solenne 
Furo  in  mozzo  del  circo  armi  indorate, 
Purpureo  vesti,  e  tripodi  e  corone, 
K  più  guise  d'aruosi  e  di  monote 
D'argento  e  d'oro,  e  paline  ed  altri  prò 
Di  vincitori.  Indi  sonora  tromba 
D'alto  dio  segno  ai  desiati  ludi, 
E  dal  mar  coininciossi.  Avean  di  tutta 
La  teucra  armata  quattro  legni  scolti 
Più  di  remi  e  di  remigi  guarniti, 
E  di  tutti  più  destri.  Un  fu  la  Pistri, 
E  Memmo  la  regea:  Memmo  che  poi 
L'Italo  fu  nomato,  e  diede  il  nome 
[100-117] 


[170-194]         libro  r.  -ul 
\  la  stirpe  dò'  Menimi.  La  Chimera 
fa  l'altro,  a  cui  preposto  era  il  gran  Ci  i. 
Un  gran  vascello  che  a  tre  palchi  ave  j 
|ii>pusti  i  remi:  e  i  remiganti  tulli 
Kran  troiani  o  giovini  e  robusti. 
Fu'l  gran  Centauro  iUcr/.o;ui  quost'era 
'    Sorgeste  il  capo,  che  a  la  Sergia  prole 
Diede  priucipio.  L'ultimo  la  Scilla 
Guidata  da  C'Ioauto,  onde  i  Chianti 
Trasser  uomo  o  legnagffio.  È  luuge  incontra 
X  la  spumosa  riva  un  buco  scoglio 
Clic,  da' flutti  percosso,  è  talor  tutto 
Inondato  o  sommerso.  Il  verno  i  vooti 
Vi  tcndon  sopra  nn  nubiloso  ve|o 
Che  ricuopro  lo  stelle,  e  quando  è  il  tempo 
Tranquillo,  ha  no  l'asciutto  una  pianura 
Ch'i)  di  marini  ucccgli  aprica  stanza. 

Qui  d'uu  eleo  frondoso  il  segno  poso 
Il  padro  Euca,  fin  dovo  il  corso  avanti 
Stender  pria  si  dovesso,  e  poi  dar  volta. 
Indi,  sortiti  i  lochi,  a)  suo  ciascuno 
Si  pòse  in  fila.  I  capitani  in  poppa, 
Addobbati  di  bisso  e  d'ostro  e  d'oro, 
Bisplondcan  di  lontano;  o  gli  altri  tutto 
U'uua  livrea  di  pioppo  incoronati, 
1117-134J 


202  L'tntpm.  [105-21J5j 

Stavnno  con  le  torgn  ipeiudi  ed  unti. 
Ri  che  tri»  l'olio  è  '1  sol  lumiere  e  spcechjB 
Pnrean  du  luugc.  E  giù  no'  bnnclii  astrisi  J 
Teso  H'roini  lo  braccia,  al  siimi  1  "iccchìaJ 
Aspettavano  il  segno.  I  cori  intanto 
Palpitando  movoa  disio  d'onore, 
K  timor  di  vergogna.  Avea  la  tromba 
Squillato  appena,  che  in  un  tempo  i  roml  I 
Si  tuffir  tutti,  e  tutti  i  legni  Insiemi 
Si  spicc4r  da  le  mosse.  1  gridi  al  cielo 
N'niidùr  do'  marinari.  Il  mar  di  schiuma  j 
S'asperse  intorno,  e'n  quat  tro  solchi  eguali 
Fu  con  molto  stridur  da'  rostri  aperto 
E  da'  rumi  stracciato.  Ijupoto  pari 
Non  fer  nel  circo  mai  bighe  e  qtrndi  igho  , 
Da  lu  carceri  uscendo,  allor  eh' a  sciolto 
Ed  ondeggianti  rodine  gli  aunghi 
Ai  volanti  destrior  sferzali  lo  terga. 
Lo  grida,  il  plauso,  il  fremito  o  le  voci,  1 
In  favore  or  di  questi  ed  or  di  quelli, 
Tra  i  curvi  liti  avvolto,  c  da  le  selve 
E  da'  colli  riprese  o  riporcosse, 
Faccun  l'aria  intonar  fino  a  le  stelle. 

Nel  primo  uscire,  il  priin»  avanti  a  tutti 
Si  vide  (iia,  ìnontio  la  gente  fremo; 
[133-152J 


[230-844]        libro  r.  S!Ui» 
E  ilopo  lui  Cloanto,  cho  do'  remi 
Migliore  assai,  per  la  gravezza  indietro 
liimanca  del  suo  legno.  Indi  del  pari, 

,|i  ]infO  infra  loro  .nei»  contesa 
jl  Centauro  e  la  Pistri:  o  quando  questa. 
Quando  quello  era  avanti,  o  quando  eu  trambi 
Or  le  fronti  avean  giunte  od  or  le  code. 

Eran  del  sasso  già  presso  a  la  meta. 
E  di  buon  tratto  vincitore  avanti 
Già  se  ne  già;  quand'  ci  »òn  vido  in  alto 
D»  la  ripa  più  lunge:  onde  rivolto 
Al  suo  nocchiero:  E  dote,  disse,  andrai 
j[t.nt  te?  AtHenli  al  lito  o  radi  il  sasso  :% 
Vadano  gli  altri  In  alto.  El  tuttavia 
n'urtar  temendo.  In  pelago  si  miso; 
E Già  di  nuovo:  In  qua,  Mcnote,  al  sasso. 
Al  sasso,  a  la  sinistra,  a  la  sinistra. 
Picea  gridando:  e  vòlto  indietro  vido 
Ch'avca  Cloanto  addosso.  Era  Cloauto 
Gii  tra  lo  scoglio  e  la  Chimera  ontrato, 
Y  vin  radendo  la  sinistra  riva, 
Tenne  giro  si  breve  e  si  propinquo, 
Cho  lui  tosto  c  la  mota  anco  varcando. 
Si  vide  avanti  il  mare  ampio  o  sicuro. 
Grand1  ira,  gran  dolore  c  gran  vergola 
1152-172] 


go4  i^tmm>«.  [2t.")-200| 

No  sont)  'I  fioro  giovine:  n  piangendo 
Di  stizza,  o  non  mirando  il  «lo  decoro,  | 
Né  che  Menotc  del  suo  legno  seco      .  M 
Fosse  guida  e  saluto,  in  mezzo  il  preso,  M 
E  da  la  poppa  in  mar  lunge  avvcntollo.  | 
Poscia,  ci  nocchiero  e  capitano  insieme,  I 
Più  di  piglio  al  timone,  e  rincorando 
1  suoi  compagni,  al  sasso  lo  rivolse. 

Mvnutu,  che  di  veste  era  gravato, 
E  ria  più  d'anni,  infino  a  l'imo  fondo 
Ricevè  '1  tulio;  o  risorgendo  a  pena 
Iiampicossi  a  lo  scoglio,  e  si  com'era 
Molle  v  guazzoso,  de  li  rupe  in  cima 
Qual  bagnato  mastino  al  sol  si  scosso. 
Rise  tutta  la  gente  al  suo  cadere; 
Rise  al  notare;  e  più  rise  anco  allora 
Ch'n  flutti  vomitar  gli  vide  il  mare.  J 

Mommo  intanto  «•  Serge>to.  ••«.:  del  pari 
Erano  addietro,  parimonto  accesi 
Su  l'indugio  di  Già  prcscr  baldanza, 
Sergcsto  in  vèr  lo  s 1  i "  ai. -a  1  vantaggio 
Del  primo  loco:  ma  non  tutto  ancora 
Era  il  suo  legno  avanti,  che  la  l'istri 
Premoa  col  rostro  del  Centauro  il  fiauco. 
E  Menniio  confortando  i  suoi  compagni 


|  j70-20t|  LIBRO  V.  203 

i  'n  su  e  'n  tri  fi  per  la  corsia  gridando: 
Via!  fratelli,  dicea,  ria!  degni  alunni 
Ii'Kttorre  invitto,  via!  compagni  elotti 
Al  grand' uopo  di  Troia;  Ora  ù  mestioro 
l>i>'  remi,  do  le  forze  o  del  coraggio, 
Ch'a  le  Sirti,  a  Cai  iddi,  a  la'Malea 
Mostraste  già.  Non  piti  vincer  contendo. 
Che  pur  dovrei,  se  pur  Mommo  boii  io: 
Vinca  cui  ciò  da  te,  Nettuno,  ò  dato. 
fin  eh'  ultimi  arriviamo,  ah  non,  fratelli, 
Questa  vergogna:**  ciò  vincasi  almeno, 
Che  di  tanto  rossor  tinti  non  siamo. 

A  cotal  dir  tutti  insorgendo,  a  gara 
Stesor  le  braccia,  ed  innarcaro  I  dorsi, 
E  fcr  per  avanzarsi  estremo  sforzo. 
Tremava  ai  colpi  il  bon  ferrato  legno; 
poggia  di  sotto  il  mare;  ansando  i  romigi 
Aprimi  l'asciutto  bocche:  o sposso  i  Amichi 
Battendo,  a  grondo  di  gudor  colavano. 

Ih.  lor  fortuna  il  desiato  onore; 
Chò,  mentre  furióso  oltro  si  spinga 
Sergosto,  e  con  la  prora  arditamente 
Kade  la  ripa,  ebbe  il  meschino  intoppo, 
Uitando  de  lo  scoglio  in  mia  roccia 
Che  nel  mar  si  sporgea.  Schcggiossi  il  sasso, 
1189-205J 


4  » 
*t 

200  VimiDK.  [205-8H 

'  Fiaccarsi  i  remi,  si  scosceso  il  rostro;  » 
E  fon  luto  pendente  o  scossa  tutta 
Trcniò  In  nave,  e  scompigliossi,  e  stette 
1  remiganti  attoniti,  con  gridi. 
Con  ferrato  aste,  con  tridenti  e  pali 
Starali  piugeudo  o  puntellando  il  Ugno, 
K  ripescando  i  remi,  lutnnto  allegro,  ' 
K  del  successo  coraggioso  o  baldo 
Mummo  ratto  s'avanza,  e  vinco  il  sasso: 
E  via  vogando  ed  invocaudo  i  venti 
Fendo  a  la  cliiua  ed  a  l'aperto  il  mare,  j 
Quul  d'una  grotta,  ov'nggia  i  dolci  (Ig 
E  '1  caro  nido,  spaventata  in  prima 
Da  subito  schiamazzo  esco  rombando,  ^ 
Ed  arrostando  una  colomba  a  l'aura, 
Clio  poi  giunta  ne' campi  a  l'ner  quoto 
^lietamente  per  via  diitta  o  sicura 
Sùn  va  con  l'ali  Immobili  o  veloci; 
Cosi  la  Pistri  pria  travolta  o  vaga 
\enia  da  sozzo;  indi  nftllata  e  strutta  , 
Passò  prima  Sorgesto  che  nel  sasso, 
Como  da  vischio  rattenuta  augello 
E  spennacchiato,  i  suoi  spezzati  romi 
Dibattendo,  chiedoa  soccorso  invano; 
Poscia  spingendo,  la  Chimera  aggiunse 
[20&-223J 


[3-.-0-844J         unto  v.  201 
i  trapassolla,  chè  la  sua  gran  molo 
:  '1  perduto  nocchie*  la  f .  »  più  tarila. 

Sol  restava  Cloauto:  e  verso  lui 
Affilandosi,  al  Un  quasi  tei  corso 
Con  ogni  sforzo  il  segue,  e  pia  l'incalza. 
Levossi  al  ciclo  un'altra  volta  il  grido 
jlel  favor  che  facea  la  gente  tutta, 
]', - r ■  •  1  > ■  •  >  secondi  divenisse!-  primi. 
Quolli  cacci»  lo  sdegno  e  la  vergogni, 
p-,  non  tenero,  il  conseguito  onoro, 
Che  la  gloria  antepongono  n  la  vita; 
Questi  il  successo  inanima  e  la  speme 
pi  ciò  poter:  poi  ch'altrui  par  elio  possmio. 
S'cran  già  presso,  o,  pareggiati  i  rostri. 
Del  pari  i  premii  avrian  forse  ottenuti  ; 
Se  noli  ch'amile  le  mani  al  cielo  alzando, 
Cotal  fece  agli  Del  Cloanto  un  voto: 

Santi  numi  del  pelago  ch'io  corro, 
So  'l  corso  agevolato  al  legno  mio, 
Nel  medesimo  lito  un  bianco  toro 
Lieto  consacrorovvi,  e  do  l'opimo 
Suo  viscere,  e  di  vili  limpido  o  puro 
L'arena  spargerovvi  o  l'ondo  salso. 

Furon  da  l'imo  fondo  i  preghi  uditi 
Del  huon  Cloanto  da  la  schiera  tutta 
[224-289J 


2Q8  l'  kxkidk.  1345-oB 

Do  lo  nìnfo  di  Nereo  e  di  Forco, 

E  di  1»  Panopèa  vorgino  intatta; 

E  'I  gran  padre  Portuno  di  su»  mano  J 

Oli  spinso  il  legno;  unde,i|iml  untoostr^ 

Lancio»*!  a  terra,  e  si  scagliò  nel  porto. 

11  padre  Enoa  (com'è  costumo)  avantt 
Convocati  a  se  tutti,  a,suon  di  trombai 
Dichiarò  vincitor  Cloanto  il  primo, 
E  le  tempio  di  lauro  incoronigli. 
Poscia  a  ciascuna  de  lo  navi  in  dono 
liiè  tri'  grassi  gicivonelii.  e  tre  giand'un] 
Ili  prezioso  vino,  c  di  contanti 
Un  gran  talento.  Une.  di  maggior  doni  , 
1  primi  condottieri.  Al  vincitoro 
Presentò  di  broccato  un  ricco  arno»,  J 
Clio  d'ostro  a  groppi  sopra  l'oro  ave»  J 
Doppio  un  lavoro  di  ricamo  o  d'aco. 

Nel  mezzo  entro  al  frondoso  bosco  Id 
Un  rcal  giovinetto  ora  tessuto. 
Ch'anelo  o  Aero  con  un  dardo  in  manoJ 
Segui»  per  la  foresta  i  cervi  in  cacci»» 
E  poco  indi  lontano  un'altra  volta 
Era  il  medesmo  da  l'ucccl  di  liiovo 
Rapito  in  alto;  o  i  suoi  vecchi  custod 
E  i  (idi  Mai  lo  miravan  sotto, 
[240-25G] 


[370-894]  unno  t.  _20» 

Qur^li  indarno  lo  mani  ni  ciclo  alzando, 
£  i|iii'8ti  il  muso,  «d  abbaiando  a  l'aura. 

A  l'altro  poi,  che.  por  valore  il  piimo, 
fu  per  sorto  socoudo,  In  promio  diodo 
v  pcr  ornamento  e  per  difesa  in  armo 
Una  lorica  ebo  d'antica  maglia 
j  Jj  lucente  o  rinterrato  acciaro, 
pi  massiccio  oro  avoa  le  flbio  e  gli  orli. 
Questa  di  Simoenta  in  su  la  rifa 
gotte  l'nlto  Ilio,  o  di  soa  propria  mauo 
Tolse  al  vinto  Demolecfi»  al  gravo, 
Cho  da  Kegco  e  da  Sigari,  due  forti 
E  robusti  sergenti,  ivi  condotta 
jra  stata  a  gran  pena:  o  pur  in  dosso 
L'area  Domoleo  il  di  cho  combattendo 
Mise  in  lineili»  riviera  i  Teneri  in  volta. 
I  terzi  doni  due  gran  nappi  fòro 
Di  forbite  metallo,  o  duo  gran  coppo, 
pi  puro  argonto  figurate  intorno 
Con  mirabile  intaglio.  E  già  donati, 
E  de'  lor  doni  altieri  e  fosteggianti 
Se  ne  gian  tutti  di  purpureo  bendo 
Lo  tempio  avvinti,  o  di  lentischio  adorni: 
Quando  ecco  da  lo  scoglio  con  grand' arto 
jj  C0I,  molte  fatica  appena  svelto 
CABO.-U-  I257-270J 


210  à/ aurina.  1395-4 

Sei-gesto,  eoi  suo  legno  infranto  o  iiionc 
K  tarpato  du'  remi,  in  vèr'la  terra 

50  no  venia  disonorato  o  mesto. 
Com'anguc  suol,  eh  'o  sia  da  ruota  o,>pi« 

Tra  la  ripu  c  'I  sentiero,  o  sia  di  sasso 
Dui  viator  percosso  o  di  randello, 
Procacciando  fuggir,  con  lunghe  spire 
S'arrosta  indarno,  e  inalberato  e  lluro 
Dal  manzo  in  suso  arde  negli  occhi  e  fisca 
E  d'altra  parto  dilombato  e  tardo 
Dehilmcntc  guizzando,  in  sò  medestno 

51  ripioga,  s'attorco  e  si  raggruppa; 
Cosi  co' remi  la  fiaccata  nave 

Se  ne  già  lenta,  e  con  lo  velo  a  volo, 
Oh' a  pieno  vele  al  fino  in  porto  aggiunti 
Kd  a  Sergcsto  anco  i  suoi  doni  assegni 
11  padre  Enea,  di  ricovrar  contonto 
11  suo  buon  logno  o  i  suoi  (idi  compagni, 
E  furo  i  doni  una  cretoso  ancella, 
Fèloo  di  nome,  o  di  tolaro  e  d'aco 
Maestra  esperta  0  da  Minerva  instrutta. 
Giovino  e  bella,  e  con  duo  figli  al  petto. 
Questo  primo  spottacolo  compito, 
Enea  per  gli  altri  una  pianura  elegga 
Che  di  teatro  in  guisa  d' ngu'iutoruo 
[27I-288J 


[420  444]         libro  v.  211 
jjn  solvo  e  colli,  od  un  gran  circo  armiti, 
Oro  in  un  palco  alteramente  cstnitto 
fr:,  molti  mila  colloco»!  in  mezzo. 
quì  prima  ni  corso  i  corridori  invita 
fon  preziosi  premii.  e  i  premi!  capono  : 
E  de'  Teucri  o  do'  Sicoli  mostrarsi  * 
I  più  famosi.  Apprescntossi  in  prima 
Eurlalv  con  Niso.  Un  giovinetto 
pi  singolnr  bellezza  Kurlalo  era; 
■a  }}jso  un  di  liii  fido  o  rasi  .  amante, 
popò  questi  DiòroTEra.  costui 
pcl  legnaggio  di  Priamo  un  rampollo. 
Glorino  gonorosoj  o  Salio  o  Patro 
Tennero  appresso;  d'Ammaina  l'uno, 
P' Arcadia  l'altro  o  del  togòo  paoso: 
E  due  Siciliani,  Elimo  e  Pànope, 
Ambvduo  cacciatori,  ambi  seguaci 
Pel  rocchio  Accsto;  o  oon  quosti,  altri  assai 
P' oscura  nominanza.  A  cui  nel  mozzo 
Stando  il  (tran  padre  Enea,  cosi  ragiona  : 
Nissun  da  me  di  questa  schiera  eletta 
Andrà  senza  mio'  doni,  e  parimente 
Una  coppia  di  dardi  avrà  ciascuno 
Di  rilucente  acciaro,  od  una  d'oro 
E  d'aleuto  commosso  a  l'arabesca 
[288-307] 


212  I.' EXEIIIE.-  [4-15-441 

Non  piti  vista  bipenne.  I  principali 
Tre  vincitori  i  primi  progi  ««ranno,  « 
E  flan  tutti  d'oliva  incoronati. 
E  °1  primiero  do'tre  d'un  buon  destriero! 
Sarà  provisto  ben  guarnito  o  bollo. 
L'altro  avràtd'iin'Ainazono  un  turcasso 
Pien  di  tracio  saotto,  e  un  arco  d'osso,  < 
Ed  un  bel  cinto,  a  cui  sono  ambi  apposij 
C'han  di  gemme  il  fermaglio  o  d'or  la  DM 
11  terzo  d'un'argolica  colata 

50  ne  vada  contento:  o  sarà  questa. 

Ciò  dotto,  c  presi  i  luoghi,  o  'I  segno  iti 
S' avventar  da  la  sbarra:  e  quasi  un  nomi 
L'un  da  l'altro  dispersi,  insieino  tutti  > 
Toblr,  mirando  al  fino.  Il  primo  avanti 

51  tingffo  Xiso,  e  di  irran  lunga  avanti; 
Chù  va  di  vento  o  di  saotta  in  guisa. 
Prossimo  a  lui,  ma  prossimo  d'un  tratto 
Molto  lontano,  è  Salio.  A  Salio,  Eurialo; 
EurTulo  ha  di  poco  Èlimo  nddiotro; 

Ad  Èlimo  Diòro  appresso  tanto 
Clio  già  sopra  gli  anela  e  già  l' incalza; 
E  se  '1  corso  durava,  anco  l'arebba 
0  provenuto  o  pareggiato  almeno. 
Erau  presso  n  la  mota,  ed  orali  lussi, 
I 308-8271 


[470-494]         libro  T.  213 
Quando  ne  l'erba,  pria  di  sanguo  intrisa 
Degli  acciai  g  uvenchi,  il  pie  formando 
Sinistramente  o  sdrucciolando  a  terra 
Cadde  Niso  infelice,  o  t  Tolto  impresse 
jìol  sacro  loto,  si  che  gramo  e  sozzo 
fco  surso  poi.  Ma  del  suo  amore  intanto 
Non  obliosBi;  chò  sorprendo,  intoppo 
gì  fece  a  Salio:  onde  con  esso  avvolto 
Stramazzò  no  l'arena:  o  mentre  ei  giacquo 
Eurtalo  del  danno  e  del  favore 
S'avanzò  de  Tamifo,  e  du  le  grida. 
Con  che      dicrlo  genti  animo  o  forza: 
Ond'  ei  fu  '1  primo,  ed  felimo  il  secondo; 
Piòro  il  terzo.  E  tal  fino  ebbe  il  corso. 

Ma  di  rumor  se  n'empie  e  di  tenzono 
11  circo  tutto:  e  Salio  anzi  al  cospetto 
Do' giudici  o  do' padri  or  si  protesta. 
Or  detesta,  or  esclama:  e  del  tradito 
Suo  valor  si  rammarca,  o  ragion  chiede. 
In  difesa  d' Eurfalo,  a  rincontro, 
È  '1  favor  de  la  gente,  o  quol  docoro 
Suo  dolce  Ingriuinre,  e  quell'invitta 
Forza  c'ha  la  vortìi  con  beltà  mista. 
Grida  Diòro  anch' egli,  o  lui  sovviene, 
E  sò  stesso  difeude,  poi  ch'il  terzo 
1.328-347] 


gjl  l' rotini.  [495-6 

Esser  non  può  quando  sja  Sullo  il  pria») 

Knou  cosi  decise:  Aggiato  voi, 
flouorosi  garzoni,  i  pregi  vostri; 
E  nulla  in  ciò  de  1" ordino  si  muti:  | 
Cli'  io  sopplirò  con  dJgna  ammenda  al  ci 
Orni' ha  fortuna  indegnamente  afflitto 
1,'amico  mio.  Ciò  detto,  una  gran  pelle 
I'roscnta  a  Salio  d'un  leon  sellilo, 
O'Iia  il  tergo  irto  di  volli  e  l'unghie  d'< 
E  qui  Niso:  0  signor,  disso.  di  tanto 
Guiderdonate  i  perditori,  o  tale 
Di  chi  cado  piota  vi  prende:  ed  io 
Di  piota  non  son  degno  nò  di  pregio, 
Io  cho  son  di  fortuna  a  Salio  eguale, 
E  di  valoro  a  tutti  gli  altri  avanti? 
E  ciò  dicendo,  sanguinoso  il  volto 
E  livido  mostrossi  e  lordo  tutto. 

Riso  il  Imon  padre  Enea,  poscia  un  prog 
E  degno  scudo,  eh' a  lo  porto  appeso 
Era  già  di  Nettuno,  ed  ci  riscosso 
1,'avea  da'tìreci,  con  mirahil  arte 
Dal  saggio  Didimàono  construtto. 
Venir  tosto  si  foco,  o  Kiso  aruionno. 
Finiti  i  corsi  0  dispensati  i  doui. 
Or,  disso  Euea,  qual  sia  cho  vaglia  od 
[347-3GUJ 


[520-644]         libro  t.  215 
pi  forza  o  d'ardimento,  ni  co«to  imito. 
Cliinii'l"»  accetta,  col  tuo  braccio  in  alto 
Si  mostri  accinto.  K.  ciò  diccud<i,  in  im/./.o 
propoli  duo  pregi:  al  v(ncitor  un  toro 
jii  |„  lido  il  tergo  adorno  c  d'or  lo  corna; 
ITn  elmo  ed  un  cimiero  od  una  spada 
Por  conforto  del  vintB.  Incontincnto 
Uscio  Darete  podoroso  in  campo, 
jj  con  gran  plauso  si  mostrò  del  volgo. 
Era  Darete  un.  elio,  di  forze  estremo, 
fu  solo  ardito  a  star  con  Pari  a  froiito, 
E  elio  a  la  tomba  del  famoso  Kttorro 
In  su  l'arena  il  gran  Boto  distoso: 
E  fu  Muto  un  attata.  anzi  un  colosso 
pi  corp0  immane,  che  in  Bebrizia  nato, 
P'Xniico  si  vantava  esser  disceso. 
Por  tal  da  tutti  avuto  o  tal  comparso 
In  su  la  lizza,  altero  ed  orgoglioso 
Squassò  la  test*:  e,  i  grandi  omori  ignudo, 
Le  muscolose  braccia  e  M  corpo  tutto 
Brandi  più  volto,  e  nionò  colpi  a  l'aura. 

Ccrcossi  un  pari  a  lui,  uè  fu  tra  tanti 
Chi  rispondesse  o  elio  di  costo  armato 
S'apprcsentasse.  Ond'oi  lieto  o  sicuro, 
Como  d'ogni  tenzon  libero  fosso, 

laoa-osuj 


8,0  l'ìxkidk.  I545-&W 

Al  toro  avvicinossi,  c  il  destro  corno 
Con  la  sinistra  sua  gli  prese  e  disse: 
Signor,  poiché  non  è  chi  meco  ardisca 
Di  stare  a  pruova.  a  elio  più  bado?  e  quanj 
Badar  più doggioV  Ordì' che  'I  piegio  ò m 
Porch'io  meco  l'adduca.  A  ciò  fremendo 
Assentirono  i  Toucri;  o  già  co- gridi 
Do  l'onor  lo  faccan  degno  o  del  dono;  - 
Ijnando  verso  d'Entello  il  vecchio  Ace*t< 
SI  come  gli  era  in  un  cespuglio  a  canto, 
Si  volse  e  rampognando  :  Ah  !  disse,  finteli 
Tu  soi  pur  fra  gli  croi  do' nostri  tempi 
11  più  noto  e  il  più  forte;  o  conio  soffri 
Ch'un  si  gradito  pregio  or  ti  si  tolga 
Senza  contesa?  Adunque  è  stato  invano 
Fin  qui  da  noi  rammemorato  e  cólto 
Erico,  iu  ciò  nostro  maostro  e  dio? 
Ov'ò  la  fama  tua  che  ancor  si  spaudo 
Per  la  Trinacria  tutta?  Ove  son  tante 
Appose  ai  palchi  tuo  famoso  spoglie?  j 

Risposo  Entello:  Nò  disio  d'onoro. 
No  vaghezza  di  gloria  uuquu,  signoro, 
Mi  lasciar  mai  nò  mai  viltà  mi  prese: 
Mi»  l' incarco  dcitli  anni,  il  fn-ddo  -saugu», 
E  la  scornata  mia  destrezza  e  forza 
[3Sl-a'J0J 


pTO-BM]  limo 
jli  ritraggono  a  dietro.  Io  qoando  avessi 
0  meu  quei  giorni,  o  non  meo  quel  vigore, 
ODile  costui  di  so  tanto  presume. 
Già  per  diletto  mio  soao  alle  mani 
Sarei  venuto,  e  non  dal  premio  indotto. 
Che  premio  non  no  chero.  E -pur  qui  sono, 
pisse,  o  sorgendo,  due  gran  cesti  e  gravi 
(jitti  nel  campo,  o  quelli  stessi,  ond'era 
Solito  a  le  suo  pugno  Erico  armarsi. 
Stupir  tutti  a  quell'anni  elio  di  setto 
Dorsi  di  setto  busi,  di  grave  piombo 
E  di  rigido  ferro  eran  conserti. 
Stupì  Darèto  in  prima,  e  ricusolle 
A  viso  aporto,  ónde  d' Anchiso  il  figlio 
Lo  preso  avanti,  e  i  lor  volumi  o  '1  pondo 
Stava  mirando,  quando  il  vecchio  Entello 
Osi  soggiunso:  Or  elio  dirla  costui 
Se  visto  avosso  i  costi  e  l'armi  stosso 
D'Ercole  invitto,  e  l'infelico  pugna. 
Ondo  in  su  questo  lito  Èrico  cadde? 
D'Erico  tuo  fratello  eran  quest'armi; 
Tedi  elio  son  ancor  di  sanguo  infette 
E  d'umano  cervella.  11  grande  Alcide 
Con  queste  Èrico  assalso:  e  con  quest'io 
M'esscrcitai,  mentre  le  fono  o  gli  anni 
13D0-415J 


gl8  L'rsr.ini!.      •  GI8J 

Eran  più  verdi  e  nuli  canati  i  crini. 
Ma  posria  che  Darete  or  lo  lìGutn, 
Su  piace  a  te,  «e  mèi  consente  Acosta  j 
Por  cui  son  qui,  di  ciò,  Troiano  ardito,.  I 
Non  to' elio  ti  sgomenti,  lo  mi  rimetto,  1 
E  cedo  a  questo,  e  tu  cedi  a  le  tue,     •  j 
Combattiam  con  altr'armi,  e  slam  del  par| 
Cosi  detto,  spogliossi;  e  si  com'era 
Do  le  braccia,  degli  omeri  o  del  collo 
Edi  tutte  lo  membra  o  d'ossa  immane, 
Quasi  un  pilastro  in  su  l'arona  stolta. 

Allor  Enea  foco  duo  cesti  addurre 
P'  ugual  poso  e  grandezza;  ed  cgiialmon 
No  furo  armati.  In  prima  in  su  le  punta 
Da' pfe  pun  contra  l'altro  si  levaro: 
Brandir  le  braccia;  ritirarsi  in  dietro 
Con  lo  teste  alte:  in  guardia  si  posare 
Or  questi  or  quelli:  alfine  ambi  ristretti  I 
Miscliiùr  le  mani,  ed  a  ferir  si  diero.  .  J 
Era  giovino  l'uno,  agilo  o  destro 
In  su  le  gambe;  ora  monibruto  e  vasto  | 
L'altro:  ma  (lacco  in  sn'ginoccbi  e  lenta 
E  per  lentezza  (il  flato  ansio  sentendo  jj 
Le  gravi  membra  e  l' affannata  lena) 
Palpitando  anelava.  In  molte  guisa 
I415-133| 


[G20-644]         ubko  t. 
In  rati  pria  si  tontaro,  c  molte  mito 
S'avvisar,  s' accennare  e  B'iuvostiro. 
A  le  piene  percosse  un  suon  a' lidia 
Pu'oavi  (lancili,  un  i  intonar  di  putti, 
Un  crosciar  di  mascella  orrendo  e  fiero. 
Cadean  lo  pugna  a  noinbi,  o  vèr  le  tempio 
jliravau  la  pili  parte:  e  s'oran  voto. 
Bombi  facoan  por  l'aria  e  fischi  o  vento. 

Stava  Entello  fondato:  o  quasi  immuto, 
Poco  de  la  persona,  assai  degli  occhi 
gi  valoa  per  suo  schermi).  A  cui  Datelo 
Girava  intorno,  qual  ehi  ròcca  oppugna. 
Quantunque  indarno,  oho  por  ogni  via 
Con  ogni  arte  la  stringo  o  la  combatto. 
Alzò  la  destra  Entello,  ed  in  uu  colpo 
Tutto  s'abbandonò  contra  Daròto; 
Ed  ei,  elio  lo  previde,  accorto  o  presto 
Con  un  salto  schivollo;  ondo  no  l'aura 
Percosso  a  vóto,  o  dal  suo  pondo  stesso 
E  da  l' impeto  tratto  a  terra  cadde. 
Talo  un  alto,  ramoso,  antico  pino 
Carco  de' gravi  suoi  pomi  si  svelle 
IV  un  cavo  greppo,  e  con  la  sua  ruiua 
D'Ida  una  parto  o  d'Erimanto  ingombra. 
Allor  gridò,  gioì,  tornò  la  gento, 
1433-4Ó0J 


g20  i"  umidi.        pr>l">  669] 

SI  coni' crnn  dc'Sicoli  0  do' Teneri 
Gli  animi  o  i  voti  ai  due  coinp.ignijiffntttj 
Lo  grida  al  ciol  ne  giro.  Acostc  il  ]>i  imo  ì 
Corse  per  sollovare  il  vecchio  amico;  M 
Ma  né  dal  caso  ritardato  Entello, 
Nò  da tóma  sorpreso,  in  un  baleno      •  | 
liisiirse  e  più  spedito  e  più  foroco:  1 
Cliè  l'ira,  la  vorgogna  e  la  memoria 
Del  passato  valor  forza  gli  accrebbo. 
Tornò  sopra  a  Pai  ite,  e  per  lo  campo 
Tutto  a  forza  di  colpi  orrondi  e  spessi 
Lo  miso  in  volta,  or  con  la  destra  in  alto 
Or  con  la  manca,  Bcnza  posa  mai 
Dargli,  nè  spazio  di  fuggirlo  almeno. 

Non  con  si  folta  grandine  percuoto 
Oscuro  nembo  do' villaggi  i  tetti,  :t 
Como  con  infiniti  colpi  e  fieri 
Sopra  Darete  rivorsossi  Entello. 
Allor  il  padre  Enea,  l'un  ritogliendo 
Da  maggior  ira,  o  l'altro  da  stanche»»  I 
E  da  poriglio,  ontrò  nel  mezzo;  e  prima  j 
Fermato  Entello,  a  consolar  Darete 
Si  rivolse  dicendo:  E  cho  follia 
Ti  spinge  a  ciò?  non  vedi  a  cui  contrasti? 
Non  senti  e  le  suo  forze  e  i  numi  avverili) 
[450  -4.0K] 


|f,70-«M]  LIMO  T.  221 

Cedi  a  Dio,  cedi  :  e,  cosi  dotto,  imposo 
fine  a  l'assalto.  I  suoi  lidi  compagni 
Cosi  com'era  afflitto,  infranto  o  lasso. 
Cui  cip"  spenzolato,  e  eon  la  bocca 
Che  sangue  insicnio  \.. mit.ua  e  denti, 
lo  portaro  a  lo  navi;.©  fu  lor" dato 
L'elmo,  il  cimiero  o  la  promessa  spada. 
Rimase  al  vincitor  lo  palma  e  '1  toro, 
pi  elio  lieto  e  superbo:  0  ilo  la  !>oa, 
plssc.  famoso.  Aglio,  o  roi  Troiani, 
Quinci  vodctoquarno'mlei  veni' anni 
Fu  la  mia  possa,  e  da  qoal  morte  aggiato 
liberato  Darete.  E,  ciò  dicendo, 
Recossi  anzi  al  gìurenco,  e  '1  duro  costo 
Gli  vibrò  fra  lo  corna.  Al  fiero  colpo 
S'aperse  il  tMOhlO,  si  schiacciaron  l'ossa. 
Schizzo  'lccrvollo:  e'I  bue  tremante  e  chino 
Si  scosso,  barcollò,  morto  cadè. 
Ed  oi  soggiunse:  Erico,  a  to  quest'alma 
Più  degna  di  morire  offriseo  in  voce 
pi  quella  di  Darèto,  e  vinoitoro 
Qui  '1  cesto  appendo,  o  qui  l'arto  riponga 

Immantinonto  Enea  l'altra  contesa 
Propoli  do  l'arco,  e  i  suoi  premii  dichiara. 
Ma  l' ulboro  condur  pria  do  la  navo 
(467-487] 


222  l'  BifEiD».        f GA5-7 

Fi»  "11  Sorgesto,  o  no  l'arena  il  pianta: 
Borri  unii  fimo,  o  no  1»  fimo  Apponile 
Una  vira  colomhn,  o  per  bersaglio 
La  pon  do  lo  saetto  e  dogli  furieri,  "il 
Forsi  i  più  chiari  avanti,  o  i  nomi  loro 
Del  fondo  si  caviir  d'un  olmo  fi  sorte.» 
Uscio  primiero  Ippocoonte,  il  figlio  ' 
D'Irtaco  goneroso,  a  cui  con  lieto 
Grido  1»  gente  applauso.  A  lui  soconflo 
Fu  Mommo,  clic  pur  dianzi  il  pregio  ottetti 
Del  naval  corso:  o  Mommo,  si  com'era. 
Di  vord»  oliva  Incoronato  npparro. 
Apparve  Boriilo  il  terzo;  ed  era  «.uosti 
Minor,  ma  ben  di  te  degno  fi  Otello, 
l'àndaro  glorioso,  che  de' Teucri 
Rompesti  I  patti,  o  saettasti  in  mezzo 
A  l'oste  greca  il  gran  campione  argiro.  , 
Ultimo  si  restò  de  l'elmo  in  fondo 
Il  rocchio  Accste.  che  si  vecchio  anch'ij 
Ardi  di  porsi  a  giovonil  contrasto. 
Tesoro  gli  archi  e  tiassor  lo  qnadrell» 
Da  le  farotre.  A  tutti  gli  altri  avanti 
D'irtnco  il  figlio  a  saettaro  accinto 
Col  suon  del  norvo  o  del  pennuto  strai» 
L'aura  percosse  e  si  dritto  feudella 
|4o7-508J 


[7  JO-T44]  libro  r.  223 

Clio  l'albero  investi.  Tremonno  il  legno, 
Spaventassi  l'augello;  o  d'nltc  grida 
Risonò  il  campo  o  In  rivieni  tu  t  i. 

Jli'innioviendnpo.eponla  mira. e  se  •  va: 
E'I  misero  .fra' piò  colpisce  appunto 
|u  su  la  corda,  e  no  recide  il  nodo. 
J,ibern  la  colomba  a  volo  nl/ossi, 
j;  por  lo  ciel  veloce  a  fuggir  diesai. 
Eurizio  allor,  ch'aron  già  l'an'n  teso 
£  la  coiva  in. sul  nervo,  al  suo  fratello 
Votossi,  e  trasse:  o"  ne  le  nubi  stesso 
(SI  conio  lieta  so  ne  gir»  e  sciolta) 
La  feri  si  che  con  lo  strale  a  terra 
Cadilo  trafitta,  e  lasciò  l'alma  in  cielo. 

Sol  vi  restava  Acesto,  a  cui  la  palina 
Era  gin  tolta:  ond'ei  scoccò  ne  l'alto 
Lo  stralo  a  vóto  e  la  destrezza  o  l' ai  te 
Mostrò  nel  gesto  o  nel  sonar  de  l'arco. 
Quinci  subitamente  un  mostro  apparve 
Di  meraviglia  0  di  portento  orrendo; 
Come  si  vide,  e  conio  interpretato 
Fn  poi  da  formidabili  indovini. 
Chi  la  saottn  in  su  le  nubi  accesa 
Quinto  volò,  tanto  di  fiamma  un  solco 
Si  trasse  dietro,  infili  ch'ella  nel  foco, 
I504-52C] 


£21  L'ESKIDK.  [71Ó-769J 

E  'I  foco  in  aura  dileguossi  o  sparvo. 
Tal  sovente  dal  ciol  divelta  cado 
Notturna  stella,  e  trascorrendo  lascia 
Dopo  sé  lungo  e  luminoso  il  crino. 
A  questo  augurio  attoniti  i  Sicani  ' 
E  i  Teneri  tutti,  uinllemcnte  a  terra  * 
dittarsi,  ed  agli  dii  paco  chiederò. 
Solo  Enea  por  sinistro  o  per  infausto 
Non  l'ebbe:  o'I  vecchio  Acosto,  che  gioivi 
Era  di  ciò.  gioiosamente  accolso, 
E  molti  doni  apprescntògli,  e  disse: 

Prendi,  padro,  da  me  questi  che  scorri 
Dagli  altri  onori  a  te  destina  il  ciclo 
Con  questi  auspicii.eqnosta  coppa  in  prim 
Un  de' più  cari  a  me  patemi  arredi, 
E  caro  e  prezioso  al  padro  mio, 
E  per  l'intaglio,  e  per  la  riiuomhrania 
Dol  buon  re  Cisso,  che  fra  gli  altri  doni 
Questo  in  Tracia  gli  diò  pegno  e  ricordo 
De  l'amor  suo.  Cosi  dicendo,  il  fronto 
Gli  ornò  di  Tordo  alloro,  e  dichiarullo 
Vincitor  primo.  Né  di  ciò  sentissi 
Il  buon  Eurizlo  offeso,  ancor  eh'  ei  solo 
Eosse  de  la  colomba  il  feritore 
Di  lui  fu  poscia  il  guidcnlon  secoudo. 
[627-542J 


1770-79-!]  unito  r.  225 

Chi  recise  la  corda  ottenne  il  terzo: 
K  l'ultim'obbo  chi  confisse  il  legno. 
Non  ora  ancor  questa  contesa  al  fine, 
quando  in  disparte  Epltido  chiamando 
I  n  che  di  lulo  ora  custode  c  guida. 
Va',  gli  disse  a  l'orecchiò,  o  to' elio  Ascanio 
Si  spinga  aranti,  se  le  schiero  in  punto 
Ila  de' fanciulli,  e  ch'armeggiando  onori 
La  memoria  do  l'avo.  Impono  intanto 
Clic  la  gonto  s'apparti,  o  il  circo  tutto 
Quanto  ò  largo  si  «gombri  e  quant'ù  lungo. 

Già  si  mettono  in  vis;  già  nel  cospetto 
Tengon  de' padri  i  pargoletti  croi 
gii  frenati  dcstifor  lucenti  e  vaghi. 
Solo  a  veder  gli  abbigliamenti  e  i  gesti. 
No  sta  di  Troia  o  di  Sicilia  il  volgo 
Meraviglioso,  e  ne  gioisce  e  fremo. 
Parte  ha  di  lor  una  ghirlanda  in  tosta, 
E  sotto  accolto  o  raccorciato  il  crine: 
Parte  ha  l' arco  o  '1  turcasso,  e  d'oro  un  fregio 
Cho  da  le  spallo  attraversando  il  petto 
Sin  va  di  serpo  attorcigliato  in  guisa. 

Erau  tutti  in  tro  schiero;  avean  tre  duri, 
E  ciascun  duce  conducca  di  loro 
Tre  volto  quattro,  e  'n  tre  luoghi  spartiti, 

Caso. -15.  1543-5C2J 


225  t' KffttT».  [705-8 

Facean  pomposa  od  ordinata  mostra. 
I/una  do  lo  tro  schiero  avea  por  capo 
Prianfo  novello,  di  Polito  11  figlio. 
E  di  cui  nomo  avoa  nipoto  illustro, 
Grand' acquisto  d'Italia.  11  suo  destri»» 
Era  nato  di  Tracia  d'un  mantollo  *  jf 
Vario,  balzdn  d'un  piò,  stellato  in  front» 

Ati  fu  l'altro,  onde  i  Latini  limi  dutoB 
Nome  a  l'Attla  famiglia:  uu  r.iu-iul  caro  i 
Al  garzonctto  lulo.  Iulo  il  torio, 
Ma  di  bellezza  e  di  valore  il  primo, 
Cavalcava  un  corsler  clic  sortano 
Era  di  razza,  e  do  la  bella  Dido 
L'avoa  por  un  ricordo  o  per  un  pegno 
Do  l'amor  suo.  Gli  altri  fanciulli  tutti 
Eran  d'Accsto  in  su' cavalli  assisi. 

Con  gran  letiziacrou  gran  plauso  (Tenerti 
Gli  ricover,  corno  che  timidotti 
Fossero  in  prima,  o  le  sembiante  in  loro 
Avvisaro  o  '1  valor  de'padri  stessi. 

Poscia  cho  passeggiando  al  circo  intoni 
Girarsi  in  lenta  o  graziosa  mostra. 
Si  disposoro  al  corso;  o  mentre  accolti 
So  ne  stavano  a  ciò  schierati  in  fila 
Pai' un  do' capi,  Epltide  da  l'altro 
[502-570J 


[S20-844]         libro  v.  227 
piò  lor  col  suon  do  la  su»  sfora»  il  conno, 
(àrsero  .  tro  por  tre,  pari  e  disgiunti 
j/una  schiera  dn  l'ultra,  o  rivole  ndo 
l\.in.ìr  di  durdi  c  di  saetto  armati. 
Indi  a  cacciarsi,  a  rincontrarsi,  a  porsi 
In  vai  io  assiso,  ad  uno,  ad  uno,  a  molti, 
£  tutti  insieme,  a  far  volte,  rivolte, 
E  giri  o  mischie  in  più  modi  si  dicrn: 
Or  fuggendo,  or  seguendo:  or  come  infesti, 
Or  come  amici.  In  quanto  guise  a  zuffa 
Si  viene  in  campo*  in  quanto  si  discorra 
IV  r  le  molto  intricato  e  cieche  strado 
pel  labirinto  cho  si  dico  in  Creta 
Esser  construtto;  in  tanto  s'agglraro, 
Si  confusero  insieme,  o  si  spartirò 
Po' Teucri  i  Agli:  e  tali  anco  I  delfini 
Per  l'IBnio  scherzando  o  per  l' Egeo 
Fan  giravolte  e  scorribande  e  tresche 
Questi  tornTamcnti  o  queste  giostro 
Rinovò  poscia  Ascanio,  allor  ch'ercsso 
Alba  la  lunga;  approsongli  i  Latini; 
Gli  mantennor  gli  Albani;  o  d'Alba  a  Roma 
Knr  trasportati,  e  vi  son  oggi;  e  conio 
E  J'nso  e  Roma  o  i  giuochi  derivati 
-'oli  da  Troiani,  hanno  or  di  Troia  il  nomo. 
[579-602) 


228  L*  KMK1DK.  [?4'i-8W 

Questi  t'unì  fliio  a  qui  ilei  santo  vocchio 
Celebrati  al  sepolcro  ouori  o  ludi, 
Allor  cho  1«  fortuna  ni  Teucri  infida 
Un  nuoro  storpio  Agi' infelici  ordio:  « 
Che  mentre  orano  in  ciò  parte  occupatLl 
E  tutti  intesi,  la  saturnia  Giulio        .  3 
Da  l'antico  odio  spinta,  o  de'lor  danni  1 
Non  ancor  sazia,  Iri  coi  venti  in  prima 
Venir  si  foce;  o  poiché  instrutta  l'cbba 
Si  ciò  eh' or' uopo,  n  la  troiana  annata 
Le  commise  ch'andasse  Ella  veloce 
Infra  mille  suoi  lucidi  colori 
Occulta  ed  invisibile  calossi. 
Vide  sul  lito  uua  gran  gente  accolta 
Da  l'un  de' lati;  il  porto  abbandonato 
Da  l'altro,  o  vóti  e  senza  guardin  i  legnL 
Vide  poi  elio  dagli  uomini  in  disparto 
Stavan  lo  donno  d'Ilio,  il  morto  Anchis» 
Piangendo  anch'esse;  enu'  h»  pianti  il  mari 
Mirando,  Oh.  dicoan  tutte,  ancor  di  tu 
E  con  tanti  perigli  o  tanti  affanni 
Ne  resta  a  navigarlo,  e  siam  già  vinto 
Da  la  stanchezza!  in  ciò  desio  mostraud 
Di  ricetto  e  di  posa,  o  téma  o  tedio 
Di  rimbarcarsi.  Ella,  che  a  nuocor  luogo 
LC08-C18J 


[970-804]         libro  v.  220 
K  (ompo  vide  accommodato  ed  atto, 
pcposto  do  la  Dea  l'abito  e  '1  volto, 
Tra  lor  si  mise,  e  Bórdo  si  fece: 
Vii»  vecchia  d'aspotto  e  d'anni  grave, 
Cho  del  tracio  Doriclo  ora  già  moglie, 
pi  famiglia,  di  nomo  •  di  flgllunli 
ìlatruna  illustre,  e  tal  sembrando  disso: 
0  mescliinello,  a  cui  per  man  do'Groci 
Non  fu  sutto  Ilio  di  morir  coucosso. 
Gente  infelice,  a  clic  strazio,  a  elio  scempio 
Ij»  fortuna  vi  serba!  Ecco  gii  volgo 
Il  settim'anno,  da  elio  Troia  caddo. 
l'ho'l  mar,  la  terra,  il  clol.gli  uomini,  i  sassi 
Avete  incontro;  o  pur  Lazio  segnito 
Che  vi  fugge  davanti?  Or  che  vi  toglio 
pi  uni  fermarvi?  Non  fur  questi  liti 
p'un  già  frate  d'Enea?  Non  son  d' Acosto 
Ospite  nostro?  E  perchè  qui  non  s'orgo 
La  città  elio  dal  ciol  no  si  dostina? 
0  patria!  o  da' nemici  invan  ritolti 
Santi  numi  Fenati!  invano  ndunquo 
Aspottorcm  de  la  novella  Troia 
Le  desiate  mura?  e  non  Ha  mai 
Che  più  Xanto  veggiamo  o  Simocnta? 
gii  figlie,  mauo  al  fuco,  o  queste  infausto 
L018-C35J 


280  '■'  RKRio».  [R95-91M 

Navi  ardete  con  me.  eli' io  da  fnssandn  n 
Di  cosi  far  soli  ammonita  in  sogno. 
Ella  con  un'ardonto  fuco  in  mano 
Questa  uotto  m'apparve,  e  m'eri  avvisa  1 
P'essor,  coni' or  son,  vosco,  e  eh'  din  voltai 
Vèr  noi,  prendete  no  dicosso,  o  Troia  *  1 
Cercato  qui;  clic  qui  posar  T*è  dato. 
Orquestaò  nostra  patria,  e  questo  ò'I  tempo 
Di  compir  l'opra  cho  '1  prodigio  accenna,  < 
Più  non  s'indugi.  Ecco,  Nettuno  stesso 
Con  questi  quattro  a  lui  sacrati  altari 
No  da  l'occasKon,  l'animo  o  '1  foco. 

Ciódisse:  ed  ella  in  prima  un  tizzo  ardenti 
Kapl  da  l'are;  o  '1  braccio  alto  vibrando 
Via  più  l'accese,  e  vèr  le  navi  il  trasse. 

Confuso  no  rostaro  o  stupefatte 
Le  donne  d'Ilio;  e  Plrgo,  una  di  loro, 
Ch'ora  d' anni  maggiore,  o  fu  di  molti 
Figli  del  gran  re  Priamo  nutrice. 
Potine,  disse,  non  ò,  non  è  costei 
Nò  Troiana,  nò  Bórdo,  nò  moglie 
Fu  di  Doriclo:  è  Dea.  Notato  i  segni: 
Coni' ardo  no  la  vista,  e  quali  spira 
Ne  l'andar,  ne  la  voce  e  nel  somliiniite 
Celesti  ornili.  Io  pur  testò  mi  parto 
I635-6Ó0I 


[020-944]  t      unno  T.  231 
lm  Bèroc,  eho  di  corpo  egra  lanir-.  • 
Stassi,  o  sdognnodo  che  a  quost'atto  sola 
Ibisco  non  intervenga.  E  qui  si  taccimi. 

1..  nmilri  paventoso-*  dubie  in  prima 
Con  gli  occhi  biechi  rimirar  lo  navi. 
Sospeso  le  nicschiuo  infra  l' amoro 
pi  godorei  la  terra,  o  la  speranza 
Che  pordean  do' reami  a  cui  chiamato 
Er.in  dal  fato.  Intanto  alto  in  su  l'ali 
La  ]lea  levossi,  o  tra  le  opache  nubi 
Per  entro  al  sùognuid'arconsccso.o  sparvo. 

Allor  dal  mostro  spaventato,  o  spinto 
Da  cieca  furia,  s'avventar  gridando; 
E  di  faci  «  (li  ffo"*0  "  virgulti 
Spogliar»  altro  gli  altari,  altro  Infocaro 
1  legni  si,  che  in  mi  momento  appresi 
I  banchi,  i  romi  e  l'impociato  poppd 
Mandar  flanimo  e  scintille  e  fumo  al  cielo. 
Portò  di  questo  incendio  Eumòlo  nvviso 
Là  'vo  al  sepolcro  ora  la  gente  accolta, 
E  do  P  incendio  stosso  un  atro  nembo 
Xe  die  fuinaudo  e  scintillando  indizio. 

Ascanio  il  primo  (si  coni' ora  avanti 
lineo  del  corso)  al  mar  si  spìnso  in  guisa 
Ubo  ì  suoi  maestri  impallidir  per  toma, 
1G50-6C9I 


832  L'  KNKI0K.  ['J 

E  richiamando  lo  seguirò  invano. 
Giunto  che  fu:  Clic  furor,  disse,  è  questo? 
Dorè,  doro  no  gite?  e  che  tentate, 
Misoro  cittadine?  Ali!  che  non  questi 
De'Oroci  i  legni,  o  gli  steccati  sono. 
Voi  di  voi  stosse  lo  speranze  ardete. 
Io  sono  il  vostro  Ascanio.  E  qui  1* .  luiotW 
Ondo  a  la  giostra  ora  comparso  armato,  ,1 
Oittossi  a  pie.  Corsevi  intanto  Enea: 
Vi  corsero  de' Teucri  o  do'Sicani 
Lo  schiere  tutte.  Allor  per  téma  sparso 
Le  donne  per  lo  lito  e  per  le  solvo 
Se  no  fuggirò,  ed  appiattarsi  ovunque 
Ebher  di  rupi  o  di  spelonche  incontro; 
Che  pentito  del  fallo  odiar  la  luce, 
Cangiar  ponsieri,  o  con  l'amor  do' suoi 
Ili  del  petto  disgombrarsi  e  Oiuno. 

Ma  non  poro  l'iudomito  furore 
Cessò  dol  foco;  che  la  secca  stoppa, 
E  l'unta  pece,  o  gli  aridi  fomenti 
L'avean  fin  dentro  a  le  giunturu  appreso: 
Ondo  noi  mollo,  ancor  vivo,  esalava 
Un  lento  fumo,  e  penotrava  i  fondi 
SI,  ch'ogni  forza,  ogni  argomento  uni» 
E  '1  maro  stesso,  cho  da  taute  genti 
[6C9-68IJ 


(.•70-9941  li  unii  v.  233 

Sopre  gli  si  versava,  erano  invano. 

Squarciassi  Enea  dagli  omeri  la  reste. 
Ch'area  lugubre,  e  ila' celesti  aita 
Chiedeudo.  al  elei  rolso  le  palme  e  disse 
Onnipotente  Oioro,  se  do'Tcucri 
Ancor  non  t'è,  senza  rjscrvo,  in  ira 
I„i  gente  tutta,  e  su.  qual  sci.  pietoso 
Miri  agli  umani  affanni,  a  tanto  incendio 
Ritogli,  padre,  i  male  addetti  legni; 
gitogli  a  morto  questo  podio  afflitto 
Reliquie  de'Troianf;  o  quel  che  resta 
>fu  col  tuo  proprio  telo,  e  di  tua  mano 
(Se  talo  è  il  mcrto  mio)  folgora  o  spegni. 

Ciò  disse  a  pena,  elio  da  torbidi  austri 
g  da  nera  tempesta  il  cielo  involto 
In  disusata  pioggia  si  converso. 
Tromaro  i  campi,  si  crollaro  I  monti 
Al  suoli  do'  tuoni:  n  cataratte  aporto 
Traboccar  da  le  uubi  i  nombi  o  i  fiumi. 
Cosi  sotto  dal  mar,  sovra  dal  ciclo 
Le  già  qunSI  ftrse  nBV'     mczzo  accolto 
Furon  da  l'acquo:  ondo  le  fiamme  in  prima, 
Poscia  il  vapor  s'ostinsc.  e  tutte  spente, 
So  non  se  quattro,  si  salvaro  alfine 

Di  si  fero  accidente  Enea  turbato, 
LG81-7O0J 


284  i.'FirrwE.  f09rl-1019J 

Molti  o  gravi  peusior  tra  si  Tolgondo,  > 
Stava  infra  due.  ho  per  suo  novo  seggi»  J 
(l'usto  il  lato  in  non  cale)  ei  s' elcggoiaoM 
Se  la  Sicilia  i  pompi,  n  pur  di  lungo  «J 
Cercasse  Italia,  hi  ciò  N'unte  un  vecchioni 
Ch'era  (morcè  di  I'nllade  e  degli  anni)  4  <f 
Di  molta  ospcrTonia  e  di  gran  senno, 
0  fosse  ira  di  Dio  che  lo  movesse, 
0  pur  ch'era  cosi  nel  ciel  prescritto, 
In  cntal  guisa  a  suo  conforto  disse: 

Magnanimo  signor,  comunque  il  fato 
No  tragga  o  no  ritragga,  e  che  elio  sia, 
Vincasi  col  soffrirò  ogni  fortuna. 
Acestc  è  qui,  ch'il  dol  dardanio  senio 
E  di  stirpe  celeste  un  ramo  anch' egli. 
Prendi  lui  por  compagno  al  tuo  cunsigli^, 
E  con  lui  ti  confedora  o  t'aduna, 
Che  in  grado  prcuderallo:  e  tu  de' tuoi  ' 
Ciò  che  t' avanza  por  gli  adusti  legni, 
0  fastidito  è  di  si  lungo  cssiglio, 
0  che  langua  o  elio  toma  o  che  sia  multi 
Per  etate  o  per  sesso,  a  lui  si  lasci, 
Ch'é  pur  troiano;  ed  ei  lor  patria  assegni 
Che  dal  nome  di  lui  si  nomi  A  cesta. 

S'accese  al  dott..  .1.1  mi.i  vecchio  amico' 
1701-719J 


[1020-1044]      limo  t.  23o 
]1  :  Man  duco;  e  trapassando  d'uno 
In  uu  nitro  pensiero,  era  già  notte. 
Quando  l'imago  dui  suo  padre  Ancliisc 
Vi'dur  gli  parvo,  che  dui  elei  discosa 
In  tal  guisa  dicesso  :  0  fllflio.  amato 
Yie  più  de  la  mia  vita  infili  olv'io  vissi, 
figlio,  elio  segno  sei  do  le  fortuno, 
j;  jel  fato  di  Troia,  io  «di  mandato 
S-ui  dui  gran  Giovo,  che  dal  del  piotoso 
Ti  mirò  dianzi,  e  1  tuoi  legni  ritolso 
D»  l'ut  ri  l'ile*  incendio.  Attendi  al  detto 
Ilei  vecchio  Naute,  e  né  l'Italia  adduci 
(S)  come  ei  fodelmonto  ti  consiglia) 
Do  In  tua  gioventù  soli  ì  più  sciiti, 
I  più  sani,  i  più  forti  o  i  più  famosi. 
Ch'ivi  aspra  gente  e  ruvida  o  feroco 
Domar  convionti.  Ma  couvienti  in  prima. 
Per  via  d'Averno  ne  l'inferno  addurti, 
E  meco  ritrovarti,  ov'ora  io  sono, 
Figlio,  non  già  nel  Tartaro,  o  fra  l'ombro 
De  le  perdute  genti;  ma  felico 
Tra  i  Mici  o  tra'pii,  por  quelli  amoni 
Elisii  campi  mi  diporto  e  godo. 
A  onesti  lochi,  allor  elio  molto  sanguo 
Avrai  di  negre  pecorollo  sparso, 
1719-7-JuJ 


230  i/nreiD».  [1045-101 

Ti  condurrà  In  Tergine  sibilla. 
Ivi  conto  saratti  il  tuo  legnaggio,     .  i 
E  '1  tuo  seggio  fatale:  e  qui  ti  Inscio. 
Gin  che  varcato  è  do  la  Hutto  il  mezzo, 
E  del  nimico  sol  dietro  anelando 
I  votoci  desti  ier  veuir  mi  souto. 
E  ciò  dicendo,  allontanossi  o  sparve. 

Dove,  padre  ne  vai,  dovo  t'ascondi? 
Ilicendo  Euen,  chi  fuggi?  o  chi  li  tiglio  ì 
Da  le  mie  braccia?  al  già  sopito  foco  < 
Si  trasse,  e  lo  raccese:  e  incenso  e  farro 
Offri  devoto  ai  sacrosanti  numi 
De  l'alma  Vesta  e  do' suoi  putrii  Lari. 

Didi  i  compagni,  e  pria  di  tutti  Acosto, 
Do  l'imperio  di  (iiovo  o  de' ricordi 
Vcl  caro  padre  incontinento  avvisa, 
E  '1  suo  parer  ne  porgo.  In  un  momento 
Si  propon,  si  consulta  e  s'essequisco. 
Accsto  nou  recusa;  o  già  doscritti 
I  nomi  do  lo  madri,  dogi'  infermi, 
E  de  le  genti  cho  mistioro  o  cura 
Avenu  più  di  riposo  che  di  lodo. 
Essi  pochi,  ma  scolti,  e  guerrier  tutti, 
ltivolti  a  risarcir  gli  adusti  legni 
Kiuuvavou  lo  sarte,  i  remi,  i  banchi, 
[730-753] 


[! '">70 -1094]  unno  v.  23 
E  ciò  che  '1  foco  htc»  corroso  ed  arso. 

Knoa  de  la  città  le  murn  intanto 
Insolca,  e  I  lochi  UMfll;  e  parta  Trota, 
j:  |  :irt»  Ilio  ne  chiama,*  re  n'nppcll.i 
;  buon  troiano  Accsto.  Hi  lieto  il  carco 
Kc  prende;  indico  il  fijro,  eleggo  i  padri, 
li,!    giudica  e  manda.  Allora  in  cima 
jH.  IVricinio  giogo  il  gran  dolubro  • 
Sursc  a  Venere  Idalia:  e  i  sacerdoti 
Gli  si  addissoro  in  prima.  Allor  s' aggiunga 
il  tumulo  d'AnchfSo  il  sacro  bosco. 

Avea  già  nove  di  fatti  solonni 
Sacrifìci  e  conviti;  e  '1  mare  e  i  venti 
Eran  placidi  e  qneti.  Austro  sovento 
Spirando,  in  alto  i  lor  legni  invitava. 
Quando  un  pianto  dirotto  por  lo  llto 
1         .  un  condolersi,  un  abbracciarsi 
Che  tutto  il  di  duro,  tutta  la  notte 
Le  meschincllc  donno,  e  quegli  stessi, 
Cui  dianzi  spaventosa  era  la  faccia 
JJ  '1  nomo  intollerabile  dol  mare, 
Voglion  di  nuovo  ogni  marin  disagio 
Soffrire,  e  do  l'cssiglio  ogni  fatica. 
Ha  li  racnuota  o  li  consola  Enea 
Con  dolci  modi,  o  lacrimando  alfine 
1751-770J 


ggg  L1  kkfipk.  [100:i-1I19J 

Da  lor  si  parto,  ed  ni  suo  caro  Acosto  « 
Qunnto  può  caramonto  gli  acconimand«.i« 
Poscia,  fatta  al  grand'  Erico  i*  sul  lito  j 
Di  tro  giuvenchi  offerto,  o  d' un' agnelli^-  I 
A  le  Tomposto,  si  rimbarca  e  scioglie. 
Kd  ci  stosso  altomento  in  su  la  proda,  4 
Cinto  il  capo  d'oliva,  una  gran  Uzza 
In  man  sì  roca,  e  di  lenèo  liquoro 
E  di  viscere  sacro  il  mare  aspergo. 

Sorgoa  da  poppa  il  vento,  e  le  sjls'uiid» 
Ne  gian  solcando  i  remiganti  a  gara, 
Quando  del  figlio  Citcroa  golosa 
Nettuno  assalso,  0  seco  querelossi  ' 
In  cotal  guisa:  La  grav'ira  e  l'odio 
I>i  (iiuno  insaziabile  m'inchina  al 
Ad  ogni  priego;  poscia  che  né  'I  tempo, 
Nò  la  pietà,  nè  Giovo,  nò  'I  dostino  • 
Acquetar  non  la  ponno.  E  non  le  basto 
D'avor  già  Troia  desolata  ed  arsa. 
Che  le  reliquie  il  nomo  e  l'ossa  e  '1  ccnor* 
No  perseguito  ancora.  Ella  ne  sappia, 
Ella  no  dica  la  cagiono.  Io  chiamo 
Te  por  mio  tostimon  de  l'improvisa 
Mieidtal  tempesta  che  pur  dianzi 
Per  mozzo  de  l'eolide  procello 


ri  120-1144]      libro  v.  2S'J 
jlnssu  lor  contri  (tua  inorctdu)  invano. 
Or  ha  I"  iniqua  per  lo  mani  (tosse 
Ilo  ie  tenero  mattono  i  teucri  lefriii 
ji  •;  -1  bruttamente  al  feco  in  preda, 
p,  i  Ih''  i  meschini,  arselo  navi  loro, 
ginn  di  lasciare  i  lor  compagni  astretti 
per  le  terre  straniero.  Or  quel  elio  rosta, 
£  eh' a.  te  chieggo,  è  elio  il  tuo  regno  ornai 
gjj  ]or  sicuro,  e  ch'una  volta  alfine 
Toccliin  del  Tebro  e  di  Lauronto  ì  campi. 
Se  però  quol  ch'io  •hieggo  è  elio  dui  ciclo 
il  mio  fìllio  si  debba,  0  M  quol  soglio 
Ne  dan  1°  l'arche  o  '1  fato.  A  loi  do  l'ondo 
Rispose  il  domatore:  Ogni  fidanza 
prender  puoi,  Citerea,  ne' regni  mici. 
Ondo  tu  pria  nascesti.  E  non  son  pochi 
Ancor  teco  i  mici  morti  ;  chè  più  volte 
Ho  per  Euoa  l'ira  o  il  furore  estinto 
£  del  mare  o  del  ciolo.  Ed  anco  in  torra 
Non  obb'io  (Xanto  o  Simocntn  il  sanno) 
Do  la  saluto  sua  cura  minore, 
Allor  eh' Achille  a  le  troiane  seniore 
SI  narve  amaro,  o  cho  fin  sotto  al  muro 
Ite  cacciò  d' Ilio,  o  tal  di  lor  fe  strage, 
Che  no  gir  gonfi  e  sanguinosi  i  fiumi; 
[7J2-806J 


5>40  l'kxkii'R.  [1145-IK 

E  Xanto  da' cadaveri  impedito 
Sboccò  ne' campi,  e  deviò  dal  mare. 
Era  quel  giorno  Enea  d'Achille  a  front». 
Né  dii  nò  forre  avea  eli' a  lui  del  pari  j 
Stessero  incontro.  Io  fui  elio  ne  la  :mbe 
Allor  l'ascosi;  io  che  di  man  nel  trassi, 
Quando  piti  d'atterrar  avea  desio 
.,  Quelle  mura  odtose  o  disloali, 
Clio  pur  do  le  mio  mani  oran  fattimi. 
Or  ti  conforta  che  vèr  lui  son  io 
Qtial  fui  mai  sompro,e,come  agogni, il  po 
Attingerà  sicuramente;  e  'I  lago 
Yodrà  d' Avorno,  e  de' suoi  tutti  un  solo 
Gli  manchora.  Sol  un  convion  elio  pòra 
Per  condur  gli  altri  suoi  lieti  e  sicuri. 

Poiché  di  Cìtorea  la  niente  quota  1 
Ebbe  do  l'ondo  il  padre,  i  suoi  cavalli 
Giunti  insieme  o  fronati,  a  lento  briglia 
Sovra  do  l'alto  suo  coruleo  carro 
Abbundnnossl,  o  llevomonto  scórse 
Per  lo  mar  tutto.  S'adeguaron  l'onJe, 
Si  dileguar  lo  nubi  :  ovunque  appai  vo, 
Tutto  sgombrassi,  del  suo  corso  al  snon 
Cb'avoa  di  torbo  il  cicl.  di  gouflo  il  mai 
Ciugcan  Nettuno  allor  da  la  man  dea 
1,807-822] 


[1170-1198]    "  unno  v.  241 

forme  di  pistii  c  di  balene  ìmniani. 

pi  Glauco  il  vecchio  coro,  o  A'  In»  il  figlio, 

:  i  veloci  trìtoni,  a  tutto  insieme 

I_„  stimi  di  Forco.  Da  sMstra  intorno 

Gli  era  Tcti,  Melilo  o  Panoplia, . 

Spio,  Nisea,  Cimodoco.e  Tallii. 

Qui  per  l'amara  dipartenza  afflitto 
Il  padre  linea  rasstrenossi  in  parte, 
%  ciò  clic  a  navigar  Cacca  mistiuro 
Gioiosnuiciitaa'  suoi  compagni  impose. 
Tiiàr  l'antenne.  iilalborar  le  relè. 
Sciolsero,  ammainar,  calalo,  al/aro, 
pcr  le  marinaresche  lor  bisogne 
Tutti  in  un  tempo,  ed  in  nn  tempo  Insieme 
Drizzar  le  prore  al  mar,  le  poppe  al  vento. 
Innanzi  a  tutti  con  più  legni  in  frotta 
Già  Palinuro.  il  prorido  nocchiero, 
JJgli  altri  dietro  lui  di  mano  in  mano. 

Era  l'umida  notto  a  mezzo  il  cerchio 
pel  ciel  salita,  o  già  languidi  o  stanchi 
Sui  duri  legni  i  naviganti  agiati 
Prendcan  quiete:  quando  ecco  da  l'alto 
Stello  placido  o  Movo  il  Sonno  sceso 
Si  foce  quanto  nvoa  d'aero  intorno 

Ciao.- 10.  [822-839] 


242  l'kxkidr.     J 1 19 1-1211 

Scrono  e  quoto:  a  te.  buon  l'alinuro, 
Senza  tua  colpa,  insidioso  assalso 
Portando  «gli  occhi  tuoi  toutbre  eterne.;] 
Ki  di  Forbante  marinato  esperto 
I'rcsa  la  forma,  come  liuto,  appresso  ' 
In  su  la  poppa  gli  si  pose,  o  disse: 
Tu  vedi,  Paliuuro,  il  mar  ne  porta 
Oli  lostosscondo,  o  '1  routo  ugual  tic  spirj 
Tcmp'è  che  pósi  ornai:  china  la  testa,  J 
E  fuga  gli  occhi  a  la  fatica  un  poco. 
Poscia  ch'io  son  qui  teco  e  per  te  veglio. 

Cui  Paliuuro.  già  gravato  il  ciglio, 
Cosi  rispose:  Ali!  tu  non  credi  adunque 
Ch'io  conosca  del  mar  le  pcrlld'onde, 
E  'I  falso  aspetto?  A  tnle  infido  mostijo 
Ch'io  fidi  il  mio  signoro  o  i  legni  suoi? 
Ch'ai  fallace  sereno,  ai  venti  iustabili 
Piesti  fedo  io,  che  son  da  lor  deluso 
Già  tante  volte?  E  ciò  dicendo,  avea 
Le  man  ferme  al  Union. gliocchialcstolle* 

Il  Sonno  allora  di  letèo  liquore, 
E  di  stigio  veleno  un  ramo  asperso 
Sovra  gli  scosse,  o  l'ima  tempia  e  l' altra,' 
(ili  spruzzò  si,  clic  gli  occhi  uucor  lubelli 
1839-8501 


(1218-1241]  libbo  v.  248 
(ili  strinse,  gli  gravò.  gli  chiuso  alfine. 

A  pena  nTonu  la  plinto  gocce  infusa 
I  .,  'mi  virtù,  elio  'I  Inni»  nocchie!  ilist.<;,i 
\,  -  i.u''|uo:  e'I  dio  cui  Mio  mentito  corj'O 

Sepia  irli  si. recò,  pinse  o  s  li-.  •• 

l'M  ghcron  de  la  poppq,  o  lui  con  esso 
K  col  temon  precipitò  nel  maro, 
jfi.  sii  valse  a  gridar,  cadendo,  aita, 
Chi  1* un  qual  pesco,  e  l'altro  qual  augello, 
Questi  ne  l'onda,  e  quei  no  l'aura  sparve. 
Uè  l'armata  ne  glo*peiù  men  ratta, 
fct.  un  n  si.-iira  ;  chi  Nettano  stesso. 
Come  promesso  ave»,  la  fesso  e  spirilo. 

Eia  de  lo  Sirene  ornai  solcando* 
Giunta  agli  scogli  perigliosi  un  tempo 
A'navignnti;  onde  di  teschi  e  d'ossa 
D'umana  pento  si  vedoan  da  lungo 
Biancheggiar  tutti.  Or  sol,  di  canti  invoce, 
So  n'odo  un  roco  suon  di  sassi  e  d'ondo. 
Kra,  dico,  qui  giunta,  allor  ch'Enea 
Al  vacillar  del  suo  legno  s'accorso, 
Che  di  guida  eia  scemo  o  di  temono: 
Ond'ogli  stesso,  infili  che  'I  giorno  apparve, 
Se  no  pose  al  governo,  e  'I  caso  indegno 
[6ÓG-80UJ 


24  4  BHieiDB.      [  1 21 2  - 1  a 

Pel  cnro  amico  in  tal  guisa  ne  pianse: 
Troppo  al  sereno. e  troppo  a  la  bonacct 
Credesti,  Palinnro.  Or  ne  l'arena 
Dal  mar  gittate  in  qualche  strano  lito 
Ignudo  e  sconosciuto  giacerai,  » 
Nò  chi  t'onori  avrai  nò  chi  ti  copra, 
[869-871] 


[1-19J  245 

DELL'  ENEIDE 
Libro  Sesto. 

Cosi  piangendo  disse:  e  navigando 
Di  Climi»  in  vèr  l'eubolc*  riviera 
Si  spinsi'  a  tutto  corso,  onde  ben  tosto 
Vi  fui  un  sopr/i,  c  v'approdino  alfine. 
Volser  le  prue,  gittir  l'ancore;  o  i  legni, 
SI  eoine  storo  un  dopo  l'altro  in  fila, 
pi  lungo  tratto  ricovrir  hi  riva. 

Lieta  la  gioventù  noi  lito  osporio 
Oittossi;  ed  in  un  tempo  al  vitto  iutosi, 
Cbi  qua.  chi  là  si  dicro  a  picchiar  selci, 
A  tagliar  boschi,  a  cercar  fiumi  c  fonti. 

Intunto  Enea  verso  la  ròcca  ascese, 
Ove  in  alto  sorgea  di  Febo  il  tempio, 
E  là  dov'era  la  spelonca  immane 
Do  l'orronda  sibilla,  a  cui  fu  dato 
Dal  gran  delio  profeta  animo  o  mento 
D'aprir  l'occulte  o  le  futuro  cose. 

Avca  di  Trivio,  già  varcato  il  bosco, 
(Quando  avanti  di  marmo  ornato  o  d'oro 
11-13] 


SIC  i.'  KNKtnz.  |20' 

Il  bel  tcuiiti»  ni  vide.  È  Tullia  enCic»  j 
Clio  Dedala,  di  Creta  nllur  l'uggendo 
Ch'ublie  ardimento  di  lemmi  a  volo 
Culi  |ilù  fulici  o  con  più  destre  pestio  t 
Che  M  6UO  Aglio  non  mosse,  il  freddo  poj 
Yido  più  presso:  e  per  sentici-  non  tUtoi 
A  l' umnn  seme,  a  questo  monte  aitino 
Del  Calcidico  seno  il  corso  valso. 
Qui  giunto  o  fermo,  n  te,  Febo,  de  l'ali 
I/ordigno  appose,  o'I  tuo  gran  tempio  or 
No  Io  cui  patte  cTa  da  l'un  de'lati 
II'  Andn'igeu  hi  tuoi  i .•.  e      Un  pena 
Clio  di  Cècropo  i  figli  a  dar  costrinse 
Sotte  lor  corpi  a  l'empio  mostro  %'u'ann 
Miseiabil  tributo  !  c  v'era  l'urna, 
Ondo  a  sorto  eron  tratti.  Bravi  Creta 
Un  l'altro  lato,  alto  diti  mar  levnta, 
Ch'arca  del  tauro  istoriata  intorno 
E  di  l'nslfo  il  bestiale  amore, 
E  la  bestia  di  lor  nata  biforme, 
DI  si  nefando  arder  memoria  infame. 
Kravi  l'intricato  laborinto; 
Kravi  il  Alo,  onde  gl'intrighi  suoi 
K  le  sue  cieche  vie  Pedalo  stesso, 
Per  pietà  ck'ebbo  a  la  regina,  aj  erso. 
118-8(1] 


J4.-.-69]  libbo  ti.  247 

K  in.  «e  'I  pianto  del  tuo  padre  o  'I  duolo 
}Col  contendali,  saresti,  Icaro,  a  parto 
p;  -1  nobil  lavoro.  M*  duo  volto 
Tento  ritrarti  in  oro,  o4  altrettanti' 
gì  l'aliliorrl,  che  l'opera  o  lo  stile 
Di  man  crii  cadde.  Krn-con  gli  altri  Enoa 
Tutto  a  mirar  sospeso,  quando  Acato 
Tornò;  ch'era  precorso:  e  seco  addusso 
Doifobo  di  Glauco,  una  ministra 
pi  Diana  e  d'Apollo.  Ella  rivolta 
jU  frigio  duce.  Non  è  tempo,  disse, 
Ch':i  <-ió  si  hadi.  Or  è  d'offrir  mestiere 
Sette  non  domi  ancor  giuvoiichi,  e  sette 
Kogro  pccoro  olettc.  E  ciò  spedito 
Tosto,  come  s'impose,  ella  ne)  tempio 
Seco  i  Teucri  condusse.  E  da  l'nn  oanto 
Doll'oubolca  rupo  un  antro  immenso 
Cho  nel  monte  pouòtra.  Avvi  d'intorno 
Cento  vie,  cento  porte;  e  cento  voc! 
K'oscono  insicmo  allor  che  la  sibilla 
Le  sue  risposto  intuona.  Era  a  la  soglia 
]1  padre  Enea,  quando,  Ora  o  il  tcmpo.disse 
jji  vergine,  di',  di':  chiedi  tue  sorti: 
geco  lo  dio  ch'ù  già  comparso  o  spira. 
Ciò  dicendo,  de  l'antro  in  su  la  bocca 
[81-471 


248  L'amo*.  [70 

In  ptt  volti  CTitiffiossi  «  in  |iiù  colori 
Scompigliossi  le  chiome;  aprissi  i^p< 
Lo  batto  '1  Umico,  o  'I  cor  di  rabbia  far 
Farvo  in  vista  maggior:  maggior  il  tubi 
Fu  clic  d'umana  voce:  e  poiché  '1  mimo 
l'iu  le  Tu  presso,  A  che  badi,  soggiunse. 
Figlio  d'Anchisc?  So  non  di',  non  s'apra 
Questa  di  Febo  attonita  cortina. 
K  qui  si  tacque.  Orror  por  l'ossa  e  ginlo 
Corso  allor  do' Troiani;  0  '1  tonerò  duce 
Iufln  da  l'imo  petto  orò,  diccudo: 

Fobo,  la  cui  pietà  mai  sempre  n  Troia 
Fu  propizia  e  benigna,  ondo  di  l'ari 
Già  reggesti  la  man,  drizzasti  il  tèlo 
Contro  al  corpo  d'Achille,  io,  dal  tuo,] 
Scòrto  fin  qui,  tanto  di  mare  ho  corso, 
Tante  torre  ho  girate,  a  tanti  liscili 
Mi  son  esposto;  insino  a  le  remoto 
Massilo  genti,  insili  dentro  a  le  Sirti 
Son  penetrato;  od  or,  pur  tua  mercede, 
Di  questa  fuggitiva  Italia  il  lito 
Ecco  ho  già  tocco,  o  ci  son  giunto  nifi 
Ah!  che  questo  sia  il  lino  equi  rimai 
L'infortunio  di  Troia!  E  tempo  ornai, 
Dii  tutti  o  Dee,  cui  la  dardauia  gente 
[47-04J 


I'Cj-119]  libro  ti.  B*9 

I  nqua  feco  onta,  clic  perdono  o  pace 
1 .  concediate.  E  tu.  vergine  santa, 
pel  futuro  presaga,  or  ue  dimostra 

II  ;;t.*io  e  '1  regno  che  ne  danno  i  fati 

(  -,  pur  nèJ  danno)  ore  i  Troiani  afflitti, 
Ovi  'i>  Troia  i  travagliati  nagii. 
i;  i  dispersi  renati  alberghi  e  pòpi  ; 
Ch'allor  di  saldo  marmo  a  Trivia,  a  Fobo 
grgero  tempii,  o  del  suo  nome  i  ludi 
Consacrcrolli,  e  ì  di  fusti  e  solenni. 
Ed  ancor  tu  nel  nostro  regno  avrai 
Sacri  luoghi  reposti,  ore  serbati 
per  lumi  o  specchi  a  le  future  genti 
rjg  venerandi  a  ciò  patrizi  eletti 
gamnno  1  detti  c  I  vaticini!  tuoi.  • 
Quel  elio  prima  ti  chioggioò  che  i  tuoi  carini 
S'odnn  per  la  tua  lingua,  o  non  ch'ili  foglie 
Siali  da  te  scritti,  onde  ludibrio  poi 
Sian  di  rapidi  venti.  E  più  non  disse. 

Ella  già  presa,  ma  non  doma  ancora 
D»l  febeo  nume,  per  di  sotto  trarsi 
A  si  gran  salma,  quasi  poltra  e  fiera 
Scapestrata  giumenta,  per  la  giott* 
Imperversando  o  mugolando  andava. 
Ma  coni' più  si  scotoa,  più  dal  gran  dio 
164-79] 


250  fKSFins.         1 1 20- W 

Era  affronata,  e  le  rabbiose  labbia  3 
E  l'efferato  core  al  mio  misturio 
Pili  mansueto  «  più  vinto  remica. 
1  i  ni  da  lor  già  de  la  grotta  aperte  ì 
ha  conto  porte,  allor  ch'ella  gridando  I 
Cosi  inandò  la  sua  risposta  a  l'juira:  J 
Compiti  son  del  mar  tutti  i  plMicdì;  J 
Kcstan  quei  do  la  terra,  che  ten  ibili  \ 
Rnrnu  veracemente  e  formidabili. 
Vorranno  i  Teucri  al  regno  di  Lavlnloj  j 
Di  ciò  t'affido.  Ma  bon  tosto  d'esservi  j 
Si  pentiranno.  Guerre,  guorro  orribili 
Sorgerne  veggio,  e  pien  di  sanguc.il  TevorJ 
Saiavvi  un  altro  Xanto,  un  altro  Simoi 
Altri  Greci,  altro  Achille,  che  progeufo  j 
Ancor  egli  è  di  Dea.  Giuno  implacabili 
Allor  più  ti  sari,  che  sopplirhcrola 
Andrai  d'Italia  a  quai  uon  terrò  o  popoli 
D'aita  mendicando  o  di  sossidiil 
E  fiali  di  tanto  mal  di  nuovo  «rigino 
D'esterna  moglie  esterno  spousaluie. 
Ma  il  tuo  cor  non  paventi,  anzi  con  l'ani 
Supera  lo  fatiche  e  gl'infortuni! , 
Che  tua  salute  ancor  da  terra  argolic» 
(t|uel  cho  inen  credi)  avrà  Iuuio  e  principi 
[80-97] 


|  I  l.")-IG9j        .  MUSO  n.  Sol 

Questi  intricati  c  spaventosi  detti 
Pai  Jllil  rcposto  loco  alto  mugghiando 
;  i  Oumò»  profolossa,  anpica  lo  spero 
li'orriliil  tuoni:  ecomoflsno  furore 
Kra  ila  Febo  raffrenato  o  spinto. 
0  dal  «no  raggio  arca  Jinrbaglto  o  lume, 
Cosi  miste  lo  tenebro  co)  voro 
Sciogliea  la  lingua  e  disgombrava  il  petto, 
poiché  la  furia  o  la  rabbiosa  boera 
Quctossi,  Enea  ricoinineiandn  disse: 
Vergine,  a  me  nnllif  si  mostra  ornai 
jVr'ui  nò  dì  fatica  nò  d'affanno. 
Che  mi  sia  nuova,  o  non  pensata  in  prima. 
Tutto  ho  provistò,  tutto  ho  presentito. 
Che  da  te  ni' 6  predotto;  e  tutto  io  sono 
A  soffi  ir  proparato.  Or  sol  ti  cliioggio 
(Poscia  rhe  qui  si  dice  esser  l'in  trota 
So' regni  inforni,  e  d'Acheronte  il  lago) 
Che  por  te  quinci  nel  cospetto  io  venga 
Ile)  mio  diletto  padre:  e  tu  la  porta, 
Tu  'I  senticr  me  no  mostra,  o  tu  mi  guida- 
lo lui  dal  foco  o  da  militarmi  infesto 
Tratto  ho  di  meuo  a  lo  nimichc  schiere 
Su  questo  spalle;  ed  ci  «corta  e  compagno 
Del  mio  viaggio  e  del  mio  cssiglio,  meco 
[03-112] 


252  L' tmiDt.        1 1 70-] 

]  perigli,  i  disagi  e  le  tempeste 
Del  mar,  del  cielo  e  de  l'età  soffrendo. 
Vèglio,  dcbilo  e  stanco.  Iia  lue  seguito} 
Ed  egli  stesso  m'ha  nel  sonno  imposto. 
Che  a  te  ne  venga,  o  per  tuo  mezzo  a  lsj 
Mi  riconduca.  Abbi  pietà,  ti  priogo, 

I  del  padre  e  del  figlio:  ed  ambi  insiemi 
Come  puoi  (che  puoi  tutto)  or  ne  congiunirl 
Ch'Ecuto  non  indarno  a  questo  solve 
T'ha  d'Avorno  preposta.  11  tracio  Orfeo  ■ 
(Sola  mercè  de  la  sonora  cetra) 
Sccndir  potevvi,  e  richiamarne  in  vita 
I/amata  donna.  Ne  potè  Polluce 
Ritrarre  il  frato,  ed  a  vicenda  soco 

Vita  o  morte  cangiando,  irvi  e  redirvi 
Tanto  (Vate.  Andovvi  Teseo;  andovvl 

II  grande  Alcide;  ed  ancor  io  dal  cielo  i 
Traggo  principio,  o  s»n  da  (linvc  anch'io. 

Cosi  pregando  avea  lo  braccia  avvinto 
Al  sacro  altare,  allor  elio  la  sibilla 
A  dir  riprese:  Enea,  germe  del  cielo. 
Lo  scender  noli'  Averno  è  cosa  agevolo, 
Chè  notte  o  di  ne  sta  l' eutiata  aperta; 
Ma  tornar  poscia  e  riveder  lo  stelle, 
Qui  la  fatica  o  qui  l'opra  consisto, 
[112-129] 


|  nló-2191       •  UHM  ™  Boa 
questo  :■  pochi  ò  concesso,  ed  a  quei  pochi 
i'Ii'ii  Dio  son  cari,  o  pur  uman  raion) 
S.  ne  poggiano  al  cielo.  A  questi  è  dato 
Onno  a'cclcsti.  Il  loco  tatto  in  meno 
j.;  da  selvo  intricato;  o  da  uegro  acquo 
De  l'infornai  Cocito  intorno  è  cinto. 
SI»  se  tanto  disio,  se  tanto  amore 
T'invoglia  di  veder  duo  volte  Stigo 
E  duo  volto  l'abisso,  c  soffrir  osi 
Un  cosi  gravo  affanno,  odi  che  prima 
0lilin-  couvlcnti.  K  fio  la  selva  opaca. 
Tra  valli  oscure  o  dense  ombro  riposto 
E  ne  l'nrborc  stesso,  un  lonto  ramo  m 
fjon  foglie  d'oro,  il  cui  trouco  ó  sacrato 
A  Giono  infcrna:  o  chi  seco  divelto 
Questo  non  porta,  no' secreti  rcgui 
Penetrar  di  Plutone  iniqua  non  poto. 
Ciò  la  bella  Proscrpìna  comanda. 
Che  per  suo  dono  il  chiodc  :  o  svelto  l'uno 
Tosto  l'altro  risorgo,  o  parimente 
Ha  la  sua  verga  o  lo  suo  chiome  d'oro. 
Futrn  nel  bosco,  0  con  lo  luci  in  alto 
Lo  cerca.  Il  truova,  o  di  tua  man  lo  sterpa; 
Ch'agevolmcnto  storperassi,  quando 
U,  ti  consento  il  fato.  In  altra  guisa 
[129-H7J 


251  t' kxkidk.  '  [220-1 

No  con  man,  nò  con  ferro.  ne  con  altra 
Umnnii  forza  inni  fin  clic  si  schiAqti, 
i  ■  elio  si  tronchi.  Oltro  ili  ciò.  nel  lito. 
(Mentre  qui  lindi  o  In  risposta  attendi) 
Giace,  lasso!  d'un  tno,  che  tu  non  sai. 
Disanimato  o  non  sepolto  un  corpo. 
Che  tutti  rende  i  tuoi  legni  funesti. 
A  questo  procurnr  seggio  o  sepolcro 
I'ria  conrerratti.Qr  pur  sua  purga  in  p 
Nogro  pecore  adduci;  o'n  cotal  pulsa 
Vedrai  gli  elisii  campi,  e  i  stigii  regni, 
Cui  rederc  a' mortali  anzi  la  morto 
Non  è  concesso.  K  qui  la  hocca  chiuse. 

Enea  gli  occhi  abbassando,  affli  ttoeraoJ 
I)a  l'antro  uscio,  tra  si  ^t. -mi  vulgendo  1 
1/ oscuro  profezie.  Giva  con  lui 
Il  fido  Acato,  e  con  lui  parimente 
Truca  pensieri  e  passi.  Erano  ontrnmuffl 
Ragionando  in  pensar  di  qual  amico,  i 
Ili  qual  corpo  insepolto  ella  parlasse,  J 
Che  coprir  si  dovesse;  nllor  che  giunti  J, 
Nel  secco  lito  in  su  l'nrona  steso  J 
Vider  Miseno  indognnmento  estinto;  ^ 
Miscno  il  figlio  d'Eolo,  ch'araldo 
Era  supremo,  o  col  suo  fiato  solo 
[M7-lCt) 


i:ir,-eoo]      ur.=o  ti.  »>0 

v,  -~i  iitc  »  suscitar  Mnrto  e  Bellona, 
già  costui  del  grand' Ettor  compagno, 
y  ,|,  '  più  sognalafi  intorno  a  lui 
Combattendo,  or  la  tromb*j»4-  or  '»  lancia 
^luporava:  o  poi  elio  '1  Auro  Achille 
Ettorro  uncino,  comò  ardilo  o  fido. 
gc(r,il  l'armo  d'Knoa:  cho  non  Tu  punto 
jnfortoro  -a  lui.  Stara  sul  mare 
Sonando  il  folle  con  Tritone  a  gara. 
Quando  da  lui.  ch'aschio  «entiuuo  o  sdegno 
(So  creder  dòssi),  insMioiamento 
Tr!it|.,  h'iù  da  lo  scoglio  or'era  assiso, 
fu  un  l'ondo  sommerso.  Al  coipo  intorno 
Convocati  già  tutti,*amaro  pianto 
E,l  alto  stiidn  insieme  no  gittaro; 
y  ji,  degli  altri  Enea.  Poaeia  soguondo 
q,u.|  ch'era  lor  da  la  sibilla  imposto. 
fflUpprestaron  l'esse  inio.  Entrar  noi  bosco, 
pi  foro  antico  albergo;  ed  elei  ed  orni 
e  frassini  atterrando,  alzAr  gli  altari; 
poser  la  tomba,  fabbricar  la  pira, 
E  la  spinsoro  al  cielo.  Il  fiigio  duco 
Fra  lo  suo  schiero  di  bipenno  armato 
A  par  de^li  altri  e  più  di  .tutti  ardonto. 
Di  propria  mano  adoperando,  a  l'opra 
105  1S3J 


250  l'kxkide.  [270-91 

EssortAVA  i  compagni;  e  fra  se  stosso  1 
Pensoso,  in  iti  mi  il  bosco  il  {n'ardo  iute! 
Cosi  pregava  :  Oh  se  quel  ramo  d'oro 
No  si  scoprisse  in  questa  selva  intanto, 
Come  n'ha  la  sibilla,  oimè,  pur  troppo 
Di  te.  Miscno,  annunziato  il  vero!    .  j 
Ciò  dieso  a  pena,  ed  ecco  da  travortfj 
Due  colombe  venir  dal  ciol  volando, 
Ch'avanti  a  lui  sul  verde  si  poSAro. 
Conobbe  il  magno  eroe  le  messaggicro 
De  la  sua  madre,  e  lieto  orando:  0,  disse 
Siatemi  guide  voi,  materni  augelli, 
S'a  ciò  sentier  si  truova;  ite  por  l'aura 
Drizzando  il  nostro  corso,  ov'ò  de  l'om 
Del  prezioso  arbusto  il  bosco  opaco. 
E  tu,  madre  benigna,  in  si  dubbioso 
Passo,  del  lume  tuo  no  porgi  aita. 
E,  ciò  detto,  formossi.  Elle  pascendo,  ' 
Andando,  saltellando,  a  scosse,  a  volo, 
Quanto  l'occhio  scorgila,  di  mano  in  m 
Giunsero  ove  d' Avorno  era  la  bocca: 
E  '1  tetro  alito  suo  schivando,  in  alto 
Katto  l'ali  spiegalo,  e  dal  ciel  puro 
Al  desiato  loco  in  giù  rivolte, 
Si  posàr  sopra  a  la  gemella  pianta; 
[184-203J 


[C05-819}         libro  n.  251 
Indi  tra  fiutidl  o  frolliti  il  color  d'oro, 
Clic  direno  dal  verde  uscio  raggiando, 
l'i  trcmuln  splendor  l'nura  percosse. 

Cerno  no'bnschi  ni  limami  .tempo  suola 
Di  vischio  uu  cesto  in  altrui  sconta  nato 
fnitgar  verdi  le  frondi  ejrialli  i-pomi, 
v  c,ip  le  sue  radici  ai  non  suoi  rami 
abbarbicarsi  intorno;  cosi  '1  bronco 
Era  de  l'oro  avviticchiato  a  l'elee, 
Oiid'cra  surto,  o  cosi  lievi  al  vento 
Crepitando  movea  l'aerato  foglie. 
Tosto  che  'I  rido  Enea  di  pigilo  dielli, 
g  disfogo,  ancor  che  duro  e  valido 
Gli  sembrasse,  a  la*  fin  lo  svelse;  o  seco 
^  l'indovina  vergiuc  lo  trasse. 

Jiou  s'intermise  di  Miseno  intanto 
Condnr  Tesseiiulc  al  suo  cimerò  estromo. 
j  primanicnte  la  gran  pira  ostruita, 
DI  pingui  tedo  o  di  squarciati  roveri 
V'aUàr  catasto:  di  funoste  frondi, 
D'atri  ciprossi  oruiir  la  fronte  e  i  lati, 
E  piantar  no  la  cima  armi  e  trofoi. 
Parte  di  loro  al  foco,  0  parte  «  l'acquo, 
E  parte  intorno  al  fi  a  ldo  corpo  intenti. 
Chi  lo  spogliò,  chi  lo  lavò,  chi  l' mise. 
Cìbo.-H.  [204-210J 


258  l'  esuma.  |"20-ft 

Poiché  fn  pianto,  in  una  ricca  nara 
Lo  collocare,  o  di  purpuree  vesti. 
Do' suoi  più  noti  è  più  graditi  arnosi  1 
UH  feron  (Vetri  o  mostro  omonti  intoni» 
Altri  (pietoso  e  tristo  ministero) 
11  gran  fcrotro  agli  omori  addossarsi;  I 
Altri,  com'è  de'più  stretti  congiunti 
Antica  usanza,  vólti  i  vólti  indietro, 
Tcnner  le  faci  o  dior  foco  a  la  pira; 
K  gran  copia  d'incenso  o  di  liquori 
E  di  cibi  o  di  vasi  ancor  con  essi, 
SI  come  ò  l'uso  antico,  ontro  gittùrvi. 

Poiché  cessar  le  fiamme,  o  'ncenortrst 
Il  rogo  o  'I  corpo;  lo  reliquie  o  l'ossa 
Furon  da  Corinòo  tra  lo  favillo 
Hicorche  o  scolte,  o  di  vin  puro  asperso, 
Poi  di  sua  mano  acconciamento  in  una 
Di  dorato  motallo  urna  reposte. 
Lo  stesso  t'oriuòo  tro  volte  intorno 
Con  un  rampollo  di  felice  oliva 
Spruzzando  di  chinr'ouda  i  suoi  compagni 
Li  purgò  tutti,  o  '1  vaio  ultimo  disso. 
Oltro  a  ciò,  foco  Enea  por  suo  sepolcro 
Krgcro  un'alta  e  sontuosa  molo, 
E  l'armi  «  'I  romo  o  la  sonora  tuba 
121ÌO-1Ì33J 


[HI5-8C9]        unno  ti.  259 
Al  monte  Appeso,  elio  d'Aedo  il  nomo 
fino  aliar  cblio,  od  or  di  lui  nomato, 
Jliscno  è  dotto,  o  ai  diri  mai  sempre. 
Ci  '  finito,  a  fluir  quel  che  tri' impose 
I,i  profetessa  incontinente  mosse. 

Era  un'atra  spelonca,  la  cui  Lucca 
fin  dal  baratro  aperta,  ampia  vomirò 
pacca  di  rozza  e  di  scheggiosa  roccia, 
ji...  negro  lago  ora  difesa  intorno, 
%  in  solvo  ricinta  annoso  o  folte. 
Uscio  do  la  sua  loro»  a  l'aura  un  flato, 
Aikì  mia  posto,  a  cui  volar  di  sopra 
Con  lo  vita  agli  uccelli  era  interdetto;  . 
Onile  da' i itoci  poi  si  disse  Avcrno. 

Qui  pria  quattro  giovenchi  Knoa  condotti 
Pi  negro  tergo,  la  sibilla  in  fronte 
Riversò  lor  di  viti  lo  tizzo  intoro; 
£  da  ciascun  di  mozzo  lo  duo  corna 
pi  setole  maggior  il  ciuffo  svelto 
Piè  por  saggio  primiero  al  santo  foco, 
Ecatc  ad  aita  voco  in  ciò  chiamando, 
Pel'Krobo  odel  ciel  nume  possente. 
Parte  di  lor  con  lo  coltella  in  mano 
Lo  vittimo  svoltando,  o  parte  in  vasi 
Slava  il  snnguoaccogliendo.  Egli  a  la  Notte, 
[S84-2M] 


SCO  l'  kkkide.  ptTO-8 

t 

Clio  do  lo  Furie  è  madre,  ed  a  In.  IVrra» 
Cli'è  sua  sorella,  con  la  propria  spada 
Pi  negro  vello  utì'ngna,  ed  una  race*. 
Storilo  a  te,  Proscrpina,  percosse. 
Poscia  a  l'imperador  de' regni  inferni 
Notturni  altari  ergendo,  i  tauri  interi 
Sopra  a  le  fi:. lume  impose,  e  dj^inguo 
Lo  bollenti  lor  viscoro  consperse. 

Ed  ceno  a  l'apparir  del  primo  solo 
Mugghiò  la  terra,  si  crollnro  i  monti, 
Si  sgominar  lo  solvo,  nrlàr  lo  Furio 
Al  venir  de  la  Dea.  Via,  via  profani, 
(Iridò  la  profetessa,  itene  lungo 
Pai  Losco  tutto;  c  tu  nioeo  to  n'ontr», 
E  la  tua  spada  impugna.  Or  d'uopo,  En 
Fa  d'animo  o  di  cor  costante  o  fermo. 
Ciò  disse:  e  da  furor  spinta,  con  lui. 
Ch'adeguava  i  su'ii  passi  arditamente,  - 
Si  mise  dentro  a  lo  secreto  cose. 

0  dii,  che  sopra  l'almo  imperio  avete 
0  tacit' ombro,  o  Flogctontc,  o  Cao, 
0  no  la  notto  e  nel  silenzio  eterno 
Luoghi  sepolti  e  bui,  con  pace  vostra 
Siami  di  rivelar  lecito  a' vivi 
Quel  c'uo  do' morti  udito.  Ivan  por  cu 
[219-2G8J 


[395-416]         libro  ti.  261 
I,o  cieeho  erotte,  por  irli  oscuri  o  vóti 
Beffili  di  Dite:  c  sol  d'errori  o  d'ombro 
\\<  nn  rineontri:  coinè  ehi  per  selve 
f.\  n.itturno  viaggio,  allorché  'ccnia 

nuora  luna  è  da  Io  uubi  involta, 
E  In  grnnd'oinhra  del  tesrestro  globo 
privn  di  luce  e  di  color  lo  cose. 

Sei  prhno  entrar  del  doloroso  regno 
Stanno  il  Pianto,  l'Angoscia,  e  le  Toraci 
Cure,  e  i  pallidi  Morbi  o  '1  duro  Affanno 
Con  la  dcbil  Vecchiezza.  KytI  In  Tenia, 
litri  la  Fame:  nna  eh" è  freno  al  bene, 
I/altra  stimolo  al  igale:  orrendi  tatti 
Ji  spaventosi  aspetti.  A»  vi  il  Disagio, 
jj  Povertà,  la  Morte,  o  do  la  Morto 
Parente,  il  Sonno.  Avvi  dc'eor  non  sani 
Lo  non  sincero  Oloic.  Avvi  la  Guerra, 
De  le  genti  omicida,  e  de  lo  Furio 
1  ferrati  covili,  il  Furor  follo. 
L'empia  Discordia,  elio  di  serpi  ha  '1  rrinc, 
E  di  sangue  mai  sompro  il  volto  intriso. 

Sei  mezzo  ergo  le  braccia  annoso  al  ciolo 
Un  olmo  opaco  o  grande,  oro  si  dico 
Che  s'annidauo  i  Sogni,  o  ch'ogni  fronda 
V'ha  la  sua  vana  imago  e  '1  suo  fantasma. 
[2G8-2SI] 


IN  t' ItHKlD».  [420-4 

Molte,  oltre  a  ciò.  ri  son  di  varie  fero  ■ 
Mostruoso  apparenze.  In  su  le  poi  te 

I  biformi  contami,  o  le  biformi 
Imo  Scilla;  BrTarèu  di  conto  doppi; 
La  Chimera  di  tre.  clic  con  tre  h'iylic 

II  foco  avventa:  il  gran  Serpe  di  Lorna 
Con  sette  testo;  e  con  tre  corpi  umani 
ferito  o  G  orióne;  e  con  Medusa 

Le  Gòrgóni  sorelle;  e  l'empie  Arpio, 
Clio  sou  vergini  insieme,  augelli  e  caga 

({ni  preso  Enea  da  subita  paura 
Strinse  la  spnda,  o  la  sua  punta  volgo 
Incontroa  l'ombre;  ose  non  ch'.ombroet 
Voto  do' coi  pi  o  nude  fonile  o  Uovi 
Conoscer  ne  le  fe  la  saggia  guida, 
Avrebbo  Impelo  fatto,  o  vanameuto 
In  vano  coso  ardir  mostro  o  valore  , 
Quinci  prcser  la  via  là  've  si  varca 
11  tartareo  Acheronte.  Un  (lume  è  ipiosto 
Fangoso  o  torbo,  o  fa  gorgo  e  vorago, 
Che  bolle  o  frange,  o  col  suo  negro  luto 
Si  devolve  in  Cocito.  E  guardiano 
E  passeggiero  a  questa  riva  imposto 
Caroli  Demonio  spaventoso  o  sozzo, 
A  cui  lunga  dal  mento,  incolta  ed  irta 
[285-300] 


[  1 15-469]         unno  vi.  -63 
1'.  rido  Minuta  barba.  Un  irli  oc-Ili  accesi 
Omo  di  bragia,  ila  con  un  groppo  ni  eolio 
Ap poso  ■<■■  lordo  ammanto,  ocon  un  pillo, 
Clio  gli  fn  remo,  e  co»  In  Teln  reggo 
1/ affumicato  loglio,  ondo  tragitta 
Su  l'altra  riva  ognor  la  jeiito  morta. 
Vecchio  e  d'aspetto  o  d'anni;  mn  di  forzo, 
Como  dio,  vigoroso  o  vordo  ii  sempre. 

A  qiiosta  riva  d'ogn' intorno  ognora 
jr ogni  età,  d'ogui  sesso  o  d'ogni  grado 
v  .  .  .  io  si  traonn  11»nimo  sponto, 
E  de' figli  »"co  innanzi  a' padri  estinti, 
jlon  tante  foglio  no  l' estremo  autunno 
Per  le  solvo  codor,  ìion  tanti  augelli 
Si  veggo»  d'alto  mar  calarsi  a  terra. 
Quando  il  freddo  gli  caccia  ai  liti  aprichi, 
Quanti  ermi  qnosti.  I  primi  avanti  orando 
Chiedenti  passaggio,  o  con  lo  sporto  mani 
Mostravano  il  disio  do  l'altra  ripa. 
Ha  iUovoro  nocchiero,  or  questi  or  quolli 
Scegliendo  o  rifiutando,  una  grati  parto 
lungo  tene»  dal  porto  o  da  l'arena. 

Enea  la  moltitudine  e  'I  tumulto 
Mora» igr'«»<>o.  Ond'è,  vergine,  disse. 
Questo  concorso  al  fiume  ?  e  qual  disio 
[300-310] 


SGI  l'kskidi.  [470-4^H 

Mona  quest'alme?  c  qual  grazia  a  divhj^B 
Fu  chequestcdan  volt»,  e  quelle  apprudaii<aHi 

A  ciò  la  profetessa  lue-veniente  t  , 
Così  rispose:  Knea,  stirpo  divina 
Voracemente  (elio  di  ciò  n'accerto 
Il  qui  vedorti),'!»  Oocito  stagna; 
Quinci  va  Stige,  la  palude  .e  'I  mimo 
Per  cui  di  spergiurar  lino  agli  Del 
Del  cielo  è  formidabile  o  tremendo. 
Questi  6  Caronte  il  fin  tristo  uochicro;  | 
Quella  turba  che  passa,  6  de'sepolti; 
Questa  che  torna,  è  de' meschini  ,  ••tinti 
Olio  uè  tomba  nò  lagrime  nò  polvo 
Ehber  morendo.  A  lor  non  ò  concesso 
Traiettar  questo  ripo  e  quest  i  fiutilo 
Se  pria  l'ossa  non  hnn  seggio  e  covcrelilg 
Erran  cent'anni  vagolando  intorno 
A  quosti  liti,  o  '1  disiato  stagno 
Visitando  sovente,  infili  ch'ai  passo 
Non  sono  ammessi.  Enea  di  ciò  pensando 
Mosso  n  piota  de  la  lor  sorto  iniqua 
Fermossi;  ed  ecco  incontro  gli  si  t  .imo 
Mesti,  d'ossequio  privi  e  di  sepolcro 
Lcucaspi,  o  '1  conduttur  de' Lidi  Oront 
Ambi  Troiani,  ambi  dal  vento  insidilo 
[a  10-335] 


105-510]  LIBRO  TI.  *no 

Vi  Licii  tutti,  o  con  l' inora  nnvc 
Sci  mnr  sommersi.  Appresso  Tiiliniiro 
Il  gran  imccliior  itu  li  li"iana  minata. 
,  h,-  dianzi  «fi  turimi  'li  Mbla.  il  M" 
Il  lo  stollo  mirando,  in  mar  fu  tratto. 
,\  costui  si  rivolso,  o  poicjiò  l'ubbo 
l\  r  entro  una  grand'  ombra  a  pena  scòrto 
C  .si  prima  gli  disse:  0  I'nliuuro, 
K(|iial  fu  degli  Dei  eh' a  noi  ti  tolso, 
Kd  a  l'onde  ti  dipde?  Or  lo  mi  culo  : 
i  !„••  deluso  da  Febo  uTìqoa,  npn  fui. 
Se  non  so  in  to:  Febo  protese  puro 
Che  tu  nosco  del  mar  scettro  o  salvo 
jt-ilia  attingorcsti.\b!  dun-fuc  un  dio, 
K  dio  del  vero,  in  tal  guisa  no  froda? 
jtisposo  ralinuro:  Inclito  duce, 
liò  l'orncol  d'Apollo  ba  to  deluso, 
lic  l' ira  ba  me  di  l'io  nel  mar  sommerso; 
Cl,;.  l  temono,  ond'  io  mal  non  mi  divelti 
per  tua  saluto,  ancor  per  man  ritenni 
AUor  ch'in  maro  io  caddi,  lo  giuro,  Enea, 
Pcr  l'onde  irate,  clic  di  ine  non  tanto 
Quanto  del  tuo  poriglio  ebbi  timore 
Che  non  la  navo  tua.  del  mio  governo 
SuoclinU  o  del  suo  freno,  al  mar  giù  gonflo 
^  1335-058]  ' 


2CC  L'uxmnr.  i',-"-.Vi4] 

Kcstnsso  in  prodn.  Austro  tro  nntUjiit 
Con  In  sun  correntia  per  l'nmpio  mar» .1 
Mi  trasse  a  forzn.  Il  quarto  giorno  a  pe 
Discorcrtn  l' Italia,  n  poco  a  poco 
M'accostava  n  In  terra;  e  giunto  ornai 
Cosi  com'era  nucor  di  veste  grato 
E  stanco  0  molle,  con  l'adunche  ninni 
M'aggrappava  a  In  ripa,  e  snlvo  (óra; 
So  non  ch'ignara  e  fora  genio  iucontro,i 
Coni' a  prodn  innrinn,  mi  si  fece, 
ì.  col  ferro  m'nncise.  Or  lungo  ni  liti 
Vnssono  il  corpo  mio  ludibrio  a' venti 
E  scherzo  ni  fiuti i.  I-M  i.>.  signoro  invitto,  | 
Per  la  superna  luco,  per  quell'aura 
Ondo  si  vivo,  per  tuo  padre  Anchise, 
For  lo  speranze  del  tuo  Aglio  Iulo, 
Priogoti  a  sovvcniimi:  0  elio  di  terra 
Mi  cuoprn  (corno  puoi)  cercando  il  cor 
Per  la  spinggia  di  Velia,  o  in  altra  gu| 
S' altra  no  ti  sovviene,  0  ti  si  mostra 
Ufi  In  tua  diva  madre;  che  non  senza 
Nume  divino  un  tal  passaggio  imprond 
Porgimi  la  tua  destra,  e  toco  traumi 
Oltre  a  quell'acque,  perchè  morto  nlmooél 
Paco  ti  uovi  0  riposo.  Arca  ciò  detto, 
I3Ó3-372I 


1 545-56»!         hbbo  ti.  w1 
(jiinmVi  cosi  la  vergine  rispose: 

Ah!  Palinuro,*  qunl  dira  follia 
A  ciò  t*  invoglia?  Non  sepolto  adunque 
1,' acque  di  Stigo  e  la  sorta»  foco 
Traiettar  do  l'Egmenldi  presomi? 
Tu  di  qui  torti  a  l'altMutft»  intendi 
S.nza  comlato?  Indarno  indarno  speri 
Clic  per  nostro  pregar  fato  si  cangi. 
Sia  con  questo  t' acqueta,  e  ti  eonfoita 
)).■  T  infortunio  tuo:  eh*  quello  terrò 
\U  ino  al  luogo  ove  Ti  tuo  eorpo  giace,  . 

pestilenza  e  da  prodigi  astretto, 
Lo  raccorranno,  e,  con  solenne  rito 
Gli  faian  sacrifici,  ossequie  e  toml)a; 
E  da  te  por  innanzi  avrà  quol  loco 
j)i  Pallnoro  oternainento  il  nomo, 
j^.t»  d'un  tanto  onoro,  e  consolato 
Da  tale  annunzio,  il  traTagliato  spirto 
jt^st»  contento  ed  appagato  in  parto. 

Indi  il  camin  seguendo,  a  la  riviera 
§•  appi  ossimoro;  o  il  passeggier  da  lungo, 
Poiché  senza  far  motto  entro  a  la  solva 
Passar  gli  vide  o  'ndirizzarsi  al  vado: 
Oli.  forma  costi,  disso  gridando, 
Oual  che  tu  sci,  ch'ai  nostro  fiume  armato 
1372-388] 


2'  ÙWCT.  [ói»-6 

Tcn  vni  si  baldanzoso;  e  di  costinci, 
Di'  clii  sci,  quel  cho  corchi,  o  porcili  vie 
Clio  notte  solamente,  o  sonno  ed  ombro 
limi  i|iii  ricotto,  o  non  lo  genti  vivo, 
Cui  di  varcare  al  mio  legno  non  loco. 
E  s' Ercole  e  Tosèo  o  l'iiitóo 
Già  v'accottai,  scorno  e  doloro  io  n'ebl 
Chi-  l'un  d'ossi  il  tartareo  custode 
Incatcuovvi,  e,  di  sotto  anco  al  seggio 
Del  proprio  re.  tronianto  a  l'ama  il  ti  ai 
V.  gli  altri  infili  dal  maritali'  albergo 
Rapir  di  Dito  la  regina  osare 

Nulla  di  quoslu  insidie,  gli  risposo 
La  profetessa,  a  macchinar  si  viene. 
Stanne  sicuro:  e  quest'arme  a  difesa 
Si  portaa  solamente,  o  non  ad  onta.  < 
Spavcuti  il  can  trifaucc  a  suo  dilct'.o  • 
Le  pallid' ombre;  eternamente  latri 
Ne  l'antro  suo;  col  suo  marito  o  zio 
Si  stia  cnsta  Proserpinn  inai  sempre, 
Chù  di  nulla  cen  cale.  Enea  troiano 
E  questi  di  pietà  famoso  o  d'armi, 
Che  por  disio  del  padre  indilo  al  fondo 
Do  l'Èrebo  discende;  e  se  l'ossompio 
Di  tanta  carità  non  ti  commuovo, 
1889-405]  ■ 


[r,95-619]         unno  n. 

<>ucsto  alinoli  riconosci.  K  fuor  del  «ano 

li1  oro  il  tronco  traendo,  altro  non  dis^o. 

Ki  rimirando  il  vonoiabìl  dono 
\.   la  verga  fatai,  già  di  «tran  tempo 
K„n  taduto  da  Ini.  l'orgoglio  o  l'ira 
T„sto  depose,  o  la  sua  nt$ra  cimila 
,\  lor  rlTolsc,  e  no  la  ripa  stette. 
],„li  i  banchi  sgombrando  o'I  legno  lutto, 
j;  animo  che  già  dentro  orano  assiso 
Ou  sùbito  scompiglio  uscir  no  fece, 

;.-raiid'Enoàv*  ac!t>lse,AJlorben  d'altro 
pflrvc  olio  d'omlirc  enreoj  e  si  com'era 
jlal  contesto  e  scommosso,  cigolando 
Chinnssi  al  poso,  o'pi'i  d'"nR  Hss,lra 
jl  la  palude  aporso.  Alfin  pur  salvi 
vc  l'altra  ripa,  tra  lo  canno  o  1  giunchi 
gal  palustre  suo  limo  ambi  gli  espose. 

Giunti  che  furo,  il  gran  Coiboro  udirò 
Abbaiar  con  tre  gole,  e  '1  buio  regno 
Intonar  tutto;  indi  in  un  antro  immenso 
Sei  Ti<lcr  pria  giacer  disteso  avanti, 
Poi  sorger,  digrignar,  rabido  farsi. 
Con  tre  colli  arruffarsi,  o  mille  serpi 
Squassarsi  intorno.  Allor  la  saggia  maga, 
Tratta  di  mèlo  o  d' incantate  biado 
1406-1 20Ì 


B70  t'  erudì.  [020- 

Una  tal  soporifera  mistura. 
La  gìttò  dentro  a  le  bramoso  canno. 
Egli  ingordo,  fnmolico  o  rabbioso 
Tro  boccilo  aprendo,  per  tre  gole  ni  venti 
Trangugiando  maudolla,  e  con  sei  lumi  I 
Chiusi  dai  sonno,  anzi  col  corpo  tutt  i  I 
Giacque  no  l'antro  abbandonato  e  vinto 

Corbcro  addormentato,  occupa  Enea 
D' Èrebo  il  passo,  e  ratto  s'allontana 
Dal  fiume,  cui  chi  varca  unqua  non  ri 

Sentono  al  primo  entrar  voci  e  vagiti 
In  pargoletti  infanti,  che  dal  latta 
E  dn  lo  cullo  acerbamente  svelti 
Vidor  no'primi  di  l'ultima  sera. 
Varcano  appresso  i  condannati  e  morti 
Senza  lor  colpa,  e  non  sonza  compenso 
Di  giudizio  o  di  sorti.  Han  quelle  goutt 
Cosi  disposti  e  divisati  i  lochi. 

StA  Minos  no  l'ontrata,  e  l'urna  avan 
Tion  do' lor  nomi,  e  le  lor  vite  essamlna, 
E  le  lor  colpe;  e  quale  è  questa  o  quella, 
Tal  le  dà  sito,  e  le  raunn  e  parte. 

Passan  di  mano  in  mano  a  quei  cho  fa 
Incontro  a  su,  la  luco  in  odio  nveudo 
E  l'alme  a  vile,  ani  al  prescritto  giorno 
1420  435 J 


[G45-WJO]         i.ibho  Tt  271 
Si  son  ila  loro  Indegnamente  anrisi. 
Mh  quanto  ora  voriehbono  i  monchini 
l'.ssor  di  sopri»,  c  povertà.  rivendo, 

.il  ri  re  o  de  la  vita  oipii  Magio! 
Sia  '1  fato  il  niega.  o  note  Tolto  intorno 
Stigo  odiosa  gli  ristringe,  o  fascili. 

Quinci  non  lungo  si  distondo  un'ampia 
Campagna  che  del  l'imito  i  nominata; 
per  cui  fra  chiusi  colli  o  fra  soliiigho 
gel  ve  di  mirti,  occulto  so  ne  vanuo 
L'aline,  c'Ita  feramente  arso  c  consnnto 
fiamma  d'amor,  ch'ancorne' morti  ù  viva. 

Qui  vidor  Fodra  e  Proori  ed  liiifilo 
infida  moglie  e  sfortunata  madro, 
pi  cui  fu  parricida  il  propriu  Aglio; 
Yider  Laodamla.  Paslfo,  Evadno, 
li  Cenilo  con  osbc,  elio  di  donna 
jp  uoiii".  e  d'uomo  nlfln  cangiossi  in  donna. 

gri(  con  questo  la  fenissa  Dido, 
Che  di  l'i"!»  recento  il  petto  aperta 
Per  1»  FrBD  se'v*  spaziando  andava. 
Tosto  cho  lo  fn  presso.  Enea  la  scórso 
Per  entro  a  l'ombro,  (inai  chi  vodo  e  credo 
Veder  tal  volta  infra  le  nubi  o  '1  chiaro 
li  uova  luna,  allorché  i  primi  giorni 
[186-468] 


272  L'KXKroB.  JO7O.0 

Del  giovinotto  mcio  appena  spunta: 
E  di  dolcezza  intenerito  il  coro 
Dolcomonto  mirolla.  e  pianse  e  disse: 

Dunque  Dido  infelice,  e'  fu  pu;  ver» 
Queir  empi»  che  di  te  novella  udii, 
Cbo  col  ferro  finisti  i  giorni  tuoi? 
Ah  ch'io  engion  ne  fui;  Ma  per  lo  s 
Ter  gli  superni  Ilei,  per  quanta  fode 
Un  qua  giù,  se  pur  v'  ha,  donna,  ti  jf 
Che  mal  mio  grado  dal  tuo  I ito  sciol 
Fato,  fato  coleste,  imperio  espresso 
Fu  del  gran  Giove,  o  quella  stessa  fo 
Che  da  Potoria  luce  a  questi  oirori 
Do  la  profonda  notte  or  mi  conduco, 
Che  da  te  mi  divolso;  e  inai  creduto 
Ciò  di  mo  non  avrei,  che  '1  partir  mio 
Cagiou  ti  fosso  ond'a  morir  ne  gissi. . 
Ma  forma  il  passo,  e  lo  mie  luci  app 
Do  la  tua  vista.  Ah!  perchè  fuggi?  e 
Quest'è  l'ultima  volta,  oimè!  che  't  fa 
Mi  dà  ch'io  ti  favelli,  e  teco  io  sia. 

Cosi  dicondo  o  lagrimando  intanto 
Placar  tentava  o  raddolcir  quell'alma, 
Ch'  una  sol  volta  disdegnosa  o  torva 
Lo  rimirò;  poscia  o  con  gli  occhi  in  te 

Uòi-icyj 


1 095-7 19]  LIBRO  TI.  IP 

0  con  gli  omeri  volta,  ai  detti  suoi 

ptettoqna]  alpoal'aura.  o  scoglio  a  l'ondo. 

Uiin  mentre  dicea.  cjiiio  nimica 

(ili  si  tolse  davanti,  e  no  >»  selva 

^l  suo  caro  Sicbèo,  cui  fiamma  uguale 

f.  |.nr  cura  accondea,  si  ricondusse. 

jCè  però  men  dolònto  o  roen  piotoso 

lj.  -tonno  il  toucro  dnco  :  anzi  quant' olirò 

Potè  con  gli  occhi,  e  lungo  spazio  poi 

(;0I  pianto  e  eoi  .sospiri  aecompagnolla. 

r.iscia  tornando  aXsuo  fatai  viaggio 
Giunse  là  'vo  accampata  ere  in  disparto 
gente  di  ferro  o  di  valoro  armata. 
quì  -|  gran  Tidòo.  qui  'l  gran  figlio  di  Marto 
Partenopeo,  qui  del  famoso  Adrasto 
La  palli'l' ombra  incontro  gli  si  fece. 
Quinci  de' suoi  piìl  nobili  Troiani 
Un  gr»n  drappello  avanti  gli  comparo, 
pianse  a  veder  quei  glortosi  eroi, 
Tanto  di  sopra  disiati  o  pianti, 
Como  lilauco,  Tersiloco,  Medonto, 
I  tre  figli  d'Antenore,  il  sacrato 
A  Cerorc  ministro  Polirete, 
E  -l  chiaro  Idèo  con  l' armi  anco  o  col  carro. 
l?atto  gli  avean  costor  chi  da  man  destra, 
Cabo. -13.  [470-4861 


271  L'ENEIDE.  I720-T 

Chi  da  sinistra  ima  corona  Intorno. 
Nò  d'avorio  Tcduto  eran  contonti,. 
Ch6  ciascun  dosiava  essergli  appro»' 
Hngionar,  passeggiar,  far  seco  indugi- 
E  spiar  conio  o  d'onde  e. perchè  verni 
Ma  degli  Argivi  e  lo  falangi  o  i  du 
Quand'  egli  apparve,  o  elio  tra  lor  ne  Po 
I  lampi  folgorando  Panni  suo. 
Da  gran  timor  furo  assaliti  ;  e  parto 
Volser  le  terga,  corno  già  fuggendo 
Verso  lo  navi,  o  parte  alzar  lo  voci 
Clio  per  téma  sombrar  languide  c  floch 
Dcifobo,  di  Pi'Yamo  il  gran  figlio, 
Vide  ancor  qui,  elio  crudelmente  ano!  1 
In  disonesta  e  miserahil  guisa 
Avca  le  man,  gli  orecchi,  il  naso  e  '1  T 
Lacerato,  incischiato  o  monco  tutto. 
Per  temenza  il  moscliino  o  por  vergo 
D'esser  veduto,  con  lo  tronche  braccia 
Un  si  brutto  spettacolo  celando, 
Indarno  si  facca  schermo  o  riparo; 
Ch'ai  fin  lo  riconobbe,  o  con  l'usata 
Domestichezza  incontro  gli  si  fece, 
Cosi  dicendo:  Poderoso  eroe, 
tiran  germoglio  di  Teucro,  e  chi  si  ero. 
1480-501 1 


| ;|5-769|         libro  ti.  27 
Fu  mai,  clii  tanto  ostò,  cui  si  pomii.so 
Che  facesse  di  te  strazio  ri  doro? 
J.  i  notte  che  segni  l'ori ibii  caso 
li,  hi  nostra  mina,  io  di  le  sojtpi 
Ch'assaliti  I. nomici  e  di  lor  fatta 
Stinge  che  memorabile  Jla  sempre. 
Tra  le  caterve  de' lor  corpi  estinti, 
glauco  ria  più  cho  vinto,  alfln  cadesti; 
Ed  nllor  io  di  Keto  in  su  la  riva 
\  1'  ombra  tua  con  le  mie  mani  un  vóto 
Sepolcro  creasi,  o  torrida!  tro  volto; 
i;  '1  nume  c  l'armi  tue  riserbi  ancora 
Jl  loco  stesso.  Io  tg,  dolce  siguoro,  ^ 
Hi  veder  nò  coprir  di  patria  terra 
Avanti  al  mio  partir  mal  non  potoi. 
Dcffobo  rispose:  Ogni  pietoso, 
Ogni  onorato  officio,  Enea  mio  caro. 
Ha  l'amor  tuo  vèr  me  compito  a  pieno. 
Ma  l'empio  fato  mio,  l'empia  e  malvagia 
Argiva  donna  a  tal  m'ha  qui  condotto; 
E  tal  di  sù  lasciò  memoria  al  inondo. 
Ben  ti  ricorda  (e  ricordar  tcn  dèi) 
Pi  queir  ultima  uotto  elio  si  lieta 
Hostrossi  in  pria,  poi  no  si  volse  in  pianto, 
Quando  il  fatai  cavallo  il  salto  foco 
[501-515] 


270  i.'fsfidf.  l"70-7jj 

Sopra  lo  nostre  mani,  o  'I  ventre  plono 
D'armato  schiere  ne  votò  fin  dcntr,o 
A  J'nlta  ròcca.  Allora  ella  di  Racco 
Fingendo  il  coro,  e  con  le  frigio  donno 
Scorrendo  in  tresca,  una  ginn  face  in 
Si  prese,  e  diè  con  ossa  il  cenno  a'(/rc 
Io  dontro  alla  mia  camera  (infelico!) 
Mi  ritrovai  sol  quolla  notto;  o  stanco 
Di  tante  che  n'avea  con  tanti  a  (Tanni 
Vegghiate  avanti,  un  tal  prcndea  ripoto 
Che  a  morte  più  che  a  sonno  era  simile. 
Fece  la  buona  moglie  ogn'nrmo  intanto 
Sgombrar  di  casa,  e  la  mia  fida  spada 
Mi  sottrasse  dal  capo.  Indi  la  porta 
Aperso,  e  Menelao  dentro  v'accolso. 
Cosi  sperando  un  prezioso  dono 
Faro  al  marito,  e  de'suoi  falli  antichi 
Riportar  venia.  Che  più  dico?  Basta 
Ch'ontràr  la  Vlo  dormia;  o  con  essi  o 
Per  consultoro  Ulisse.  0  dii,  so  giusto 
È  'I  prlego  mio,  ricompensato  voi 
Di  quest' opero  i  Greci.  E  tu  che  vivo 
Sci  qui,  dimmi  a  rincontro,  il  caso  o  '1 11 
0  l'errore  o  'I  precotto  degli  Dei,* 
0  qual  altra  fortuna  t' ha  condotto, 
1515-Ó33| 


^[793-818]        udrò  ^•^^wi 
Ore  il  sol  mai  non  entra  e  baio  è  tempro. 

Cosi  tra  lor  parlando  e  rispondendo. 
Avi  :i  (ria  '1  so!  del  suo  cerchio  diurno 
Varcato  il  mezzo,  e  l'avfhl  forse  intero; 
gè  non  che  la  sibilla  rampognando 
Cosi  gli  Te  del  brovc  tempo  accorti: 

Enea,  già  notte  Tassi,  e  noi  piangendo 
Consumiain  l'ore.  Ecco  siam  giunti  al  loco 
povc  la  strada  in  due  sentier  si  parte. 
Questo  a  man  dritta  a  la  città  ne  porta 
pel  gran  Plutone,  eT|uindi  ai  campi  Klisi; 
Quest'altro  a  la  sinistra  a  l'empio  abisso 
Kc  guida,  ov'  hanno  i  rei  sopplizio  eterno. 

Il  Aglio  a  ciò  di  Vitame  soggiunse: 
Kon  ti  crucciare,  o  del  gran  Delio  amica, 
Ch'or  or  da  voi  mi  tolgo,  o  ini  ritiro 
y  le  tenebre  mie.  Tu.  nostro  onore, 
Yatton  felice,  già  che  scòrto  sci 
Ila  miglior  fato:  e  meglio  te  n'avvenga. 
Tanto  sol  disse,  e  sparvo.  Enea  si  volse 
Prima  a  sinistra,  e  sotto  un'alta  rupe 
Yide  un'ampia  città  che  tre  gironi 
Avi  -  di  mura,  ed  un  di  ti  .une  intorno; 
Ed  era  il  Aume  il  negro  Flcgotonto, 
Ch'ai  Tartaro  con  suono  o  con  rapina 
ÌÓ&M-551J 


878  l'emkidi.  .  [8flg 

L'onde  seco  traoa.  lo  fiamme  o  i  sassi 
Vede  nel  |irinio  incontro  una  gran  por) 
C'Irà  la  soglia,  i  pilastri  e  le  colonne 
D'un  tal  diamante,  clic  le  forze  umana 
Nò  degli  stessi  Dei,  romper  noi  ponilo. 
Quinci  si  spicca  una  gran  torre  in  allo 
Tutta  di  ferro.  A  guardia  do  l'entrata 
La  notte  e  'I  giorno  vigilando  assisa 
Sta  la  fiera  Tosifone  succinta. 
Col  braccio  Ignudo,  insanguinata  o  torr 
Quinci  di  lai,  di  pianti  e  di  percosso 
E  di  stridor  di  ferri  e  di  cutono 
Cotale  un  suono  udissi,  che  spavento 
Enea  sentinne;  e  rattonuto  il  passo, 
Dimmi,  vergine,  disse,  o  che  delitti 
Son  qui  puniti?  e  che  pianti  son  ques 
Ed  ella:  Inclito  siro,  a  nessun  loce, 
Clio  buono  o  giusto  sia,  di  portar  oltre 
Da  quella  soglia  scolorata  il  piede, 
ila  me  di  ciò  elio  dentro  vi  s'accoglie 
Ecal  j  instrusso  allor  ch'ai  sacri  boschi 
Mi  prepose  d'Averno;  e  d'ogni  pena 
E  d'ogni  colpa  e  d'ogni  loco  a  pieno, 
Quando  seco  ri  fui.  notizia  diommi.» 
Questo  6  di  Radamanto  il  tristo  regno, 
[551-560] 


[S45-869]         unno  vi.  =™ 
I.i'i  dov'  egli  ode,  essamioa,  condanna 
E  discuopro i  peccati  cho  di  sopra 
S.in  da  le  (tenti  o  vanamente  ascosi 
In  vita,  o  non  purgati  m/i  a  la  morto: 
pria  di  Kadauianto  esco  il  precetto, 
Clio  Tosifone  è  presta  ad  cssegairlo. 
Ella  con  l'una  man  la  sferza  impugna. 
Kc  l' altra  ha  serpi  ;  ed  ambo  intorno  arrosta, 
E  grida  e  fere,  o  de  le  sue  sorelle 
I,o  mostruose  ed  empio  schiere  tutto 
Al  uiinisterio  de'  tormenti  invita. 
Animisi  1'cssecrato  orrendo  porto 
Stridendo  intanto.  Tu,  che  quinci  vedi 
Che  faccia  è  quofla  cho  di  fuor  lo  guarda, 
I>e„sa  qual  a  veder  sia  dentro  un'Idra 
Ancor  più  flora  aprir  ciuquauta  ingordo 
Sabbiose  bocche.  Il  Tai  taro  viou  dopo; 
Uoa  vorago  cho  duo  volto  tonto 
Ha  di  profondo,  quanto  in  su  guardando 
j:  a„  la  terra  al  ciolo:  c  qui  ne  l'imo 
Suo  baratro  dal  fulmino  trafltti 
Son  gli  antichi  Titàni  al  ciel  rubclli. 
Qui  vidi  ambi  d' Alòo  gli  orrendi  figli. 
Chi  scinder  con  le  mani  il  ciolo  osaro, 
E  tur  lo  scettro  del  a  io  regno  u  Giovo. 
I5C7-Ó8I] 


280  L*  exridr.  [870-694] 

Vidivi  l'orgoglioso  Salmonèo 
Di  sur  temerità  pagare  il  do; 
Chu  temerario  veramente  et]  empio  *  I 
Fu  di  voler,  qunlu  il  Tonante  in  riolo,  J 
Tonar  qua  giuso  c  folgorare  a  pi  uova.  J 
Questi  su  quattro  suui  giunti  destrieri,  ■ 
I.a  man  di  fnco  armato,  alterainoute 
Per  la  Grecia  scorrendo,  e  fin  per  mezzo  ■ 
D'Elide,  ov'è  di  Giove  il  maggior  teurpiojjfl 
Di  Giove  stesso  il  nume,  e  de  gli  Dei 
S'attribuiva  i  sacrosanti  onori. 
Folle,  che  con  lo  fiaccole  o  co' bronzi, 
E  con  lo  scalpitar  de' suoi  ronzoni 
I  tuoni,  i  nembi  o  i  folgori  imitava 
Ch'imitar  non  si  ponno;  o  ben  fu  degno  J 
Ch'ei  provasse  per  man  del  padro  otorod 
D'altro  fulmine  il  colpo  e  d'altro  vampo. 
Che  di  tede  o  di  fumo,  e  degno  ancora  ' 
Che  noi  baratro  andasse.  Kravi  Tizio, 
Quei  do  la  terra  smisurato  alunno, 
Che  tion  disteso  di  campagna  quanto 
Un  giogo  in  novo  giorni  ara  di  buoi. 
Questi  ha  sopra  un  famelico  avoltoro. 
Che  con  l'adunco  rostro  al  cor  d'intornili 
Gli  picchia  e  rodo  ;  e  porr.hu  sempre  il  pasci 
I&8Ó-698J 


[395-919]         libro  tt.  291 
Non  mai  lo  scoma  ni,  elio  '1  pasto  eterno 
Kil  eterna  non  sia  la  pena  sua: 
Clio  fati  •  a  chi  lo^fempl 
liei  suo  proprio  miirtir  n*  Manza  e  cu  se 
1.  perché  sempro  langua,  unqua  non  moro. 
Ili  Liipiti  a  elio  parlo?  dJIssTónft 
pi  Piritòo,  e  di  quegli  altri  tutti, 
Cui  sopra  al  capo  un'atra  sclco  pende. 
Che  gravo  e  ramosa  ad  ora  ad  ora 
Sembra  che  caggin?  Avvi  la  mensa  d'oio 
C«n  preziosi  cibi  in  Teoria  guisa 
A]iparocchiati  o  proibiti  insiemo: 
Che  la  Fame,  infornai  furia  maggioro. 
Oli  siede  accanto  ;  è  coni'  più  'I  gusto  incende 
pi  lui,  più  dal  gustarno  indietro  il  tragga, 
E  soigc,  o  la  sua  face  estollo  e  grida. 

Quei  che  son  vissi  ai  lor  fratelli  amari; 
Quei  c'han  battuti  i  padri;  quei  che  frodo 
Hanno  ordito  a' clienti;  i  ricchi  avari. 
E  scarsi  a' suoi,  di  cui  la  turba  ò  graiido  ; 
Oli  occisi  in  adulterio;  i  Tiolenti, 
gl'Infidi,  i  traditori  ili  questo  abisso 
Dan  tutti  i  lor  ridotti  o  lo  lor  pene. 
K  che  pena  e  che  forma  o  elio  fortuna 
Di  ciascun  sia,  non  ò  d'uopo  ch'Io  dioa : 
[598-0151 


282  l'  movi.        f  920- 

Ma  olii  sassi  rivolgono,  c  chi  vòlti 
Son  da  le  ruote,  ed  altri  in  altra  imiti 
Son  tormentati.  In  ini  |>etmn  confitto 
Vi  siede  e  sederavvi  eternamente 
Tòsoo  infelice:  o  Ficaia  infelicissimo  . 
Va  tra  l'ombro  gridando  ad  alta  voce 
Imparato  da  me  voi  cho  mirato 
La  pena  mia:  non  violato  il  giusto, 
Riverite  gli  Dei.  Tra  questi  tali 
È  citi  vendo  la  patria:  ehi  la  poso 
Al  giogo  de' tiranni:  chi  per  prezzo 
Foce  leggi  o  disfece:  chi  da  stupro 
E  di  figlia  macchiato,  o  di  sirocchia; 
Tutti  che  brutto  ed  empie  sccleranzo 
limino  osato,  o  commesso;  o  cento  liti 
E  cento  bocche,  o  voci  anco  di  ferro, 
Non  basterian  per  divisare  i  nomi 
E  lo  formo  do' vizi  c  do  le  peno 
Ch'entro  vi  sono.  Poi  cho  la  sibilla 
Ebbo  ciò  dotto,  Via,  soggiunse  «(tondi 
A  l'impreso  viaggio,  o  studia  il  pasao 
Che  gin  le  mura  da'  Ciclopi  ostrutto 
Mi  veggio  avanti,  e  sotto  u  quel  grand' 
La  sacra  porta  che  'I  tuo  dono  aspotta. 
Cosi  mossi  ambidue,  lo  spazio  tutto, 
[613-G33J 


1 045-9601         unno  ti.  88 ' 

Ch'era  noi  mezzo,  por  sentiero  onjfo 
Tosto  Tarcando,  anzi  a  la  parta  furo. 
;     .ntinente  Kncn  l'intrata  occupa; 
Ili  vivo  ooqua  si  spruzzai  o  '1  sacro  lauio 
A  !»  regina  do  l'inforno  affigge. 

Ciò  fatto,  a  i  luoghi  di  letizia  pieni, 
A  l'ameno  vordiiro,  a  le  gioioso 
Coutrado  de' felici  e  do'heati 
Giunsero  alfine.  K  questa  una 'campagna 
Con  un  fior  più  largo,  e  con  la  terra 
Che  di  un  lum'o  di  pBrpura.ò  vestita, 
£,1  h»  '1  suo  solo  e  lo  suo  stello  anch'olii. 
Qui  se  ne  stali  lo  fortunate  guiiti. 
Parto  in  su' prati  o  parte  in  su  l'arena 
Scorrendo,  lottegglnndo,  o  vali  giuochi 
])i  piacotol  contesa  osscrcitaiido; 
Parlo  in  musiche,  in  foste,  in  halli,  in  suoni 
So  no  vnn  diportando,  od  limi  coli  essi 
Jl  tracio  Orfeo,  ch'in  lungo  abito  o  sacro 
Or  cmi  le  dita  ed  or  col  plettro  diurno, 
Setto  nervi  diversi  insiemo  uniti, 
Traggo  del  muto  loglio  umani  accenti. 
Qui  di  Teucro  l'antica  e  bolla  razza 
Facea  soggiorno:  quei  famosi  eroi- 
Ch'in  quei  tompi  migliori  al  mondo  furo, 

ioaaoiaj 


284  l'  f.nfiiie.  [970-994] 

Ilo,  Assàraco,  Pèrdano,  quei  primi      .  j 
Do  la  grnn  Troia  fondatori  §>rcgi. 
Veggo n  da  lungo  lo  vane  armi-  c  i  carrifl 
A  lor  d'intorno,  d'aste  in  terra  l'isso,  M 
E  gli  sciolti  dostrier  per  la  campagna,  J 
Vagar  pascendo;  che  'I  diletto  antico 
E  de  l'armi  e  de' carri  o  de' cavalli 
Gli  segue  anco  sotterra.  ludi  altri  altrove 
Scorgono,  che  da  destra  o  da  sinistra 
Convivando  o  cantando,  sopra  l'erba 
Si  stanno  assisi,  ed  lian  di  lauri  intorno 
Un  odorato  bosco,  ondo  11  Po  sorga 
Sopra  la  terra,  e  spazioso  inonda. 

E  questi  cran  color  che  combattendo 
Non  tur  di  sanguo  a  la  lor  patria  avari; 
E  quoi  elio  sacerdoti  erano  in  vita  ' 
Castamente  vissuti,  e  quei  veraci 
E  quei  pii  c'ban  di  qua  parlato  o  scritto 
Cose  degne  di  Febo,  o  gl'inventori 
So  l'arti  oud'e  gentile  il  mondo  o  bello] 
E  quei  elio,  ben  oprando,  bau  tra' mortali 
Fatto  di  Tania  e  di  inomoria  acquisto,; 
Cui  tutti,  in  segno  di  celeste  onoro, 
Candida  benda  il  Tronto  orua  o  colora. 

A  questi,  ch'ala  Tergine  sibilla 
LOiO-CGCJ 


f995-1010|        LIBRO  TI.  m 
Ycr  cerchio  intorno,  ed  a  Musco  Ira  loro, 
(  ho  dagli  omeri  in  a»  gli  altri  avauiaf», 
liiss'ella:  Alma  felici.  «  tu  buon  vate, 
pitone  in  qual  contrada' «*n  qual  magiono 
(jiii  tra  toì  si  ripara  il  grn'ndo  Anellino, 
Che  Ini  cerchiamo,  e  soljicr  lulvarcatl 
li-  Èrebo  i  numi  e  lo  caverne  avemo. 

A  cui  Musco  cosi  breve  risposo: 
fcullo  è  di  noi  eh'  in  alcun  luogo  alloggi 
Como  in  suo  proprio;  e  tutti  o  per  le  sacro 
Opache  selve,  o  por  T  amono  rivo 
I,,- chiari  numi  o  per  gli  erbosi  prati 
T,a  rivi  e  fonti  i  nostri  alberghi  avemo. 
Ha  se  di  ciò  ri  colo,  itene  meco 
Sovr'a  quel  giogo;  e  quindi  agevolmente 
i,  seutier  ne  vodrotc.  In  ciò  si  mosso 
Come  lor  guida,  o  sopra  al  collo  asceso 
Mostrò  lor  d'alto  i  luminosi  campi, 
Additò  '1  calle,  ed  iuviolli  al  piano. 

Eia  per  avvontura  in  una  vallo 
Anchisc,  che  da  poggi  era  ricinta, 
I  di  verdo  coverta.  Ivi  in  disparto 
Do- suoi  nopoti  avea  l'anime  accolto 
Ch'a  la  vita  di  sopra  orali  chiamato, 
v  facendo  di  lor  rassegna  e  mostra 
[0G0-681J 


S80  t' eskimi.  [1^20-10 

Oli  annoverava,  cssaminava  i  fntl. 
Le  fortune,  il  vnlor  di  mano  in  ninno. 
Gli  ordini  fl  i  tempi  loro.  Knca  coinparr* 
Sul  campo  intanto;  a  cui,  tosto  che  '1  ri 
Lieto  Aneliiso  avventori,  e  con  le  br»ccl 
In  atto  d'accoglienza,  0  Aglio,  disse 
Dolcemente  piangendo,  io  pur  ti  veggio, 
Tur  sei  vetiuto,  ha  pur  la  tua  pietade 
Superati  i  disagi  e  la  duiozza 
l>i  si  strano  viaggio.  Ecco  m'è  dato 
Di  veder,  figlio,  il  tuo  bramato  aspetto, 
£  sentirti  e  parlarli.  Io  di  ciò  punto 
Non  era  in  forse,  o  sol  pensava  al  quand 
Coniando  i  giorni.  Oh  dopo  quanti  alTann 
Dopo  quanti  perigli,  o  quanti  storpi! 
E  di  maro  e  di  terra  io  ti  riveggio! 
E  quanto  obbi  timor  che  di  Cartago 
Yenisso  al  corso  tuo  sinistro  intoppo! 

Ed  egli  a  lui:  La  sconsolata  imago, 
Cho  m'è,  padre,  di  to  soveuto  apparsa. 
Per  te  per  to  vodor  qua  giù  m'ha  tratto 
E  di  sopra  fin  qui  salvo  a  la  riva  , 
Del  mar  tirreno  il  min  naviln  ,  sorto. 
Or  dammi,  padro  mio,  dammi  ch'io  giunga 
La  mia  con  la  tua  destra,  o  grazia  lumini 
[G82-098J 


oh 


11045-1060]  libro  ti.  287 
Cho  di  vederti  e  di  parlarti  io  goda. 

Montre  cosi  dicea,  di  largo  pianto 
Tlipava  il  volto,  o  disteudca  le  palme: 
K  tre  volte  abbracciandole,  altrettanto 
(Come  vento  stringesse  o'fumo  o  sogno) 
Se  no  tornò  con  le  man  voto  al  petto. 

Intanto  Enea  per  entro  a  la  gmn  vallo 
Vide  scovra  da  l'altre  una  forosta, 
1  cui  rami  sonar  ò>  lungo  udiva. 
A  piò  di  questa  era  di  Lete  il  rio 
Ch'ili  dilettosi  e  forfnnati  campi 
Correa  davanti,  o  pieno  svoa  lo  ripe 
pi  genti  innumerabili  ch'intorno 
A  caterve  allandoìvaiio  in  guisa 
Che  fan  le  pecchie  a' chiari  giorni  attivi, 
QUBncb>  di  fioro  in  fior,  di  giglio  in  giglio 
Si  van  posando,  o  per  l'apricho  piagge 
polccmcuto  ronzando.  Enea,  cho  nulla 
pi  ciò  sajica.  di  sùbito  stupore 
Fa  sovraggiunto,  e  la  c-agion  spiando, 
0,  disse,  padre,  che  riviera  ò  quella? 
Ecne  gente,  e  che  mischia,  o  cho  bisbiglio? 

L'anime,  gli  risposo,  a  cui  dovuti 
Bone  altri  corpi,  a  questo  flumo  accolte 
Beon  dimenticanze  e  lunghi  oblii 
|C»a-716J 


288  l"  f.nktdf.  [Iu70-109! 

Do  l'altra  vita;  e  questi  io  desiava 
Clic  tu  vedessi,  e  che  da  me  n'udisti 
J  nomi  e  i  gesti,  onde  contezza  a  pieno 
Del  nostro  sangue  e  piena  gioia  avessi 
1)0  l'acquisto  d'Italia.  0  padre,  aduno; 
Soggiunse  Enea,  creder  si  deo  ci»  l'ai 
die  son  qui  scarchc  c  libere  e  felici, 
Cerchili  di  nuovo  a  la  terrena  salina, 
Di  nuovo  a  la  prigion  tornar  àV  corni? 
E  qual.  misero  loro!  empio  desire 
Del  lume  di  lassù  tanto  le  invoglia? 

Figlio,  rispose  Aucliiso,  acciò  sospeso 
Più  non  vacilli  in  questo  dubbio,  accolta. 
E  'n  tal  guisa  per  ordine  gli  narra: 

Primieramente  il  ciò),  la  terra  e'inuv 
L'aCr,  la  luna,  il  sol,  quanto  ù  nascosto, 
Quanto  apparo  e  qnant'è,  muove,  nudri 
E  regge  un, elio  v'ù  dentro, o  spiito  o  mi 
0  anima  che  sia  do  l'uuivorao; 
Clic  sparsa  per  lo  tutto  c  per  le  parti 
Di  si  gran  molo,  di  sò  l'empio,  e  seco 
Si  volge,  si  rimescola  o  s' unisco.  , 
Quinci  l'union  legniiggio.  i  bruti,  i  pesci, 
E  ciò  clic  vola,  o  ciò  elio  serpe,  bau  vita, 
E  dui  foco  e  dal  cicl  vigore  c  seiuo 
I715-781J 


[1095-1119]  MBBO 

Traggon.  «e  non  «a  quanto  il  pondo  e  '1  gelo 
l>e'graYÌ  corpi,  e  lo  caducho  membra 
I,o  fan  torrcne  e  tardo.  K  quinci  ancora 
Avvion  cho  tema  o  spora*  o  duolo  e  gioia 
Vivendo  lo  conturba,  e  cho  rinchiuso 
jCcl  touebroso  carcere.  •  no  l'ombra 
pd  mortai  velo,  a  lo  bellone  otorno 
ìCnn  orgon  gliocchi.Edoltreaeiò.morcndo, 
perchè  sian  fuor  do  la  torrona  vesta, 
Non  del  tutto  ai  spoglian  le  meschino 
pc  le  suo  macchio;  chè  '1  corporeo  lezzo 
<?1  l'ha  per  lungo  suo  contagio  Infette, 
Che  scovre  anco  dal  corpo,  in  uuova  guisa 
te  tlen  contaminato,  impuro  e  sozzo. 
Perciò  dì  purga  han  d'uopo,  0  per  purgarlo 
Son  do  l'antiche  colpe  in  vari  modi 
Punite  e  travagliate:  altre  no  l'aura 
Sospese  al  vento,  altre  ne  l' acqua  Immerso, 
Ed  altre  al  foco  raffinate  ed  arso: 
Che  quale  è  di  ciascuna  il  gonio  o  '1  fai!.), 
Talo  ò  '1  castigo,  ludi  a  venir  n'ò  dato 
Negli  ampi  clisii  campì:  e  poche  s.amo 
Cui  si  lieto  soggiorno  si  dostini. 
Qui  stiamo  inftncho'ltompoaciòprcscntto 
D'ogni  immondizia  ue  forbisca  o  terga, 
Ciao. -19-  1731-746] 


g90  l'enkidR-  (U2MUq 

SI  eh' a  nitida  fiamma,  a  semplice  aura, 
A  puro  cterlo  senso  ne  riduca. 
Quest'alme  tutto,  poiché  di  mill'anni 
Han  vòlto  il  giro,  Rlfln  son  qui  eliminata. 
Di  Leto  al  Dumo,  0  'n  quella  riva  fanno, 
Qua!  tu  vedi  coli,  turba  a  concorso. 
Pio  lo  vi  chiama,  acciò  ch'ivi  deposto 
Ogni  ricordo,  mcn  de' corpi  schive, 
E  più  vaghe  di  vita,  un'altra  volta 
Toruin  di  sopra  a  riveder  le  stello. 

Ciò  detto.  Anchise  a  quelle  genti  i  n  mot^ 
Condusse  il  figlio,  e  la  sibilla  insiomo;  f 
E  prese  un  colle,  ovo  lo  schiero  tutto,  . 
SI  conio  no  venian  di  mano  in  mano 
Avoa  d' incontro,  o  le  scorgea  nel  volto. 

Or  qui  ti  mostrerò,  soggiunso  Anchiad 
Quanta  sarà  no' secoli  futuri 
La  gloria  nostra;  quanti  e  quai  nopotf  ■) 
Do  la  Dardania  prole  a  nascer  hanno;  - 
E  quanto  del  mio  sangue  animo  illustri 
Sorgoranno  in  Italia.  Indi  a  te  conte 
Lo  tue  fortune  e  i  tuoi  fati  saranno. 
Vedi  colà  quel  giovinetto  ardito 
Cho  su  quell'asta  pura  il  braccio  appoggi 
Quegli  a  la  luce  ò  destinato  in  prima, 
[717-7C1] 


(1H5-1109]       L„,B0  vj.  291 

Primo  elio  di  Lavinia  in  Lniio  avrai 
1'       postumo  a  to  eia  d'anni  gravo, 
rh'alfln  da  lei  fuor  do  le  selve  addutto, 
He  sarà  d'Alba,  o  deifH  albani  regi 
Autore  e  padro:  c  Silvi  dal  suo  nome  , 
finn  tutti  i  nostri,  che  da  lui  discosi 
Ivi  poscia  gran  tempo  importo  avranno. 

Prócft  e  quel  dopo  lui, gloria  e  aplondoro, 
Pc  la  stirpe  troiana:  e  quegli  è  Capi, 
E  quegli  è  Numi  toro;  o  l'altro  appresso 
j;  Silvio  Enea,  che  '1  tuo  nome  riuova; 
E  se  fin  "ini  eh»  'I  suo  regno  ricovrì, 
Non  sarà  mcn  dj  to  pietoso  o  forte. 
Mita  che  gioventù,  mira  che  fono 
Mostran,  solo  a  vederli.  Appo  costoro 
Quei  che  son  la  di  quercia  inghirlandati 
Di  Gabii,  di  Nomento  e  di  Fidoue 
Parte  propagheranti  il  picciol  regno. 
Parto  su'  monti  il  tempio  ti  porranno 
p'Iuuo,  e  la  torra  cho  da  lui  dirassi, 
E  Collana  o  Pomezia  e  Boia  e  Cora; 
Che  questi  nomi  nllor  quei  luoghi  avranno 
Ch'or  ne  son  senza.  In  compagnia  de  l'avo 
ltomolo  se  no  vien,  di  Marte  il  figlio. 
Di  Koiuu  il  padre.  Al  mondo  Dia  darollo 
[761-77UJ 


292  i/Bjmn».      [1 170-1  mjj 

Do  1»  stirpe  d' Assàraco  un  rampollo.  '  | 
Vedll  colà,  c'ha  iu  su  Ir  tosta  un  olmo  : 
Con  due  cimiori,  e  tal,  che  il  padro  stesa»  j 
Già  par  eh'  in  cielo  e  nel  suo  seggio  il  pon 
Quosti,  figlio,  sarà  quel  grand' eroe, 
Ondo  i  suoi  primi  gloriosi  auspiciì 
Avrà  l'inclita  Roma,  quolla  Roma, 
Che,  sette  monti  entro  al  suo  cerchio  accolt 
Tanto  si  stenderà,  cho  fia  con  l'armi 
Uguale  al  mondo,  e  con  le  menti  al  cielo: 
Roma  di  cosi  prodi  e  chiari  figli 
Madro  felice.  Tal  di  tìcrecinto 
La  maggior  madro  infra  i  leoni  assisa 
E  di  torri  altamonto  incoronata 
Va  por  la  Frigia,  gloriosa  o  lieta 
Cho  tanti  ha  figli  in  ciol,  nepoti  in  boiio, 
Tutti  che  dii  già  sono  o  dii  si  fallilo. 

Or  qui,  figliuolo,  aniho  le  luci  affisa 
A  mirar  la  tua  gente  e  i  tuoi  Romani. 
Ccsaro  è  qui,  qui  la  progenie  e  tutta 
Del  grando  lulo,  a  cui  già  s'apro  il  cielo. 
Questi,  questi  ò  colui  che  tanto  tolto 
T'è  già  promesso,  il  gran  Cesare  Augn 
Di  divo  padro  figlio,  o  divo  anch' egli. 
l*or  lui  risorgerà  quel  sccol  d'oro, 
I779-7U3J 


[1195-1219]       libro  ti.  293 

Quel  dol  rocchio  Saturno  antico  regno 

Clio  fo  '1  Lazio  sì  bullo  e  '1  mondo  tutto. 

Questi  oltre  ai  Garantenti  od  oltre  agi'  Indi 

luiperorà  fin  dove  il  sole  e  l'anno 

Non  giungo, o  più  non  va  se  non  s'arretra: 

Trapasseri  di  là  daUnanro  Atlante 

Che  con  gli  omeri  suoi  folce  lo  stello. 

Al  venir  di  costui,  sol  de  la  toco 

Che  no  danno  i  profeti,  i  caspii  regni, 

La  meotica  terra,  o  quanto  inonda 

U  setto  volte  geminato  Nilo, 

Tremar  gii  veggio,  o  star  pousoso  o  mosto. 

Tanto  del  mon<]o  il  glortoso  Alcido 

Non  corse  mai,  se  bon  do'Coreniti, 

Di  Lenin  o  d'Erimanto  i  mostri  anciso; 

Né  tinto  ne  domò  chi  domò  gl'Indi, 

E  noi  trionfo  suo  di  riti  o  pampiui 

A  le  tigri  di  Nisa  il  giogo  impose. 

E  sarà  poi  cho  'I  valor  nostro  manchi 

Di  gloria,  o  tu  di  speme  e  d'ardimonto 

Di  far  d'Ausonia  il  desiato  acquisto? 

Ma  chi  fia  questi  che  da  lungi  scorgo 
SI  venerando,  il  crin  cinto  d'olivo, 
Con  quelle  bende  e  con  quei  sacri  arredi? 
A  la  chioma,  a  la  barba  irta  o  canuta 
[794-8101 


29i  L'Kntmi.  [1220-12*** 

Mi  sembra,  od  è  di  Koma  il  santo  rogo, 
Cho  dal  |iicciolo  Curi  a  grande  impero 
Suià  da  lei  cliiumatu,  o  Bara  il  primo 
Che  cerimonie  Introdurr»» ri  e  leggi, 

A  lui  Tulio  vion  dopo,  il  forte  e  saggi 
Ch'ai  dismessi  trionfi  rivocando 
Da.gento  già  per  lunga  pace  imbelle,  | 
La  tornerà,  di  neghittosa  e  mite. 
Un'altra  volta  armigera  e  guerriera. 
Anco  è  quell'altro  che  !•.  seguo  .l'i'resso, 
Clio  d'ouor  troppo  o  del  favor  del  volgo.' 
Di  già  si  mostra  ambizioso  o  vago. 
Or  vedi  là.  se  di  vederli  agogni. 
Anco  i  Tar.|iiini  regi,  e  quel  superbo 
Vondicator  do  la  superbia  loro. 
Bruto,  consol  primiero,  o  quei  suoi  Casei 
E  quollo  accetto  ond'ei,  padre  crudele, 
Do  la  patria  buon  figlio,  i  figli  suol 
Por  l'altrui  bolla  lihortado  ancide. 
Infortunato  lui!  cho  cho  dopo! 
Da  la  postorito  so  no  favoilo. 
Vince  il  publico  amore,  o  '1  gran  doslo 
D'umana  lodo  in  lui  l'affetto  interno 
Do  la  natura  e  dui  suo  sangue  stesso. 
Mira  poco  iu  disparto  i  Deci!,  i  D 
[811-825] 


[li  15-1809]       LtBHO  vi.  205 
Il  sovoro  Torquato  e  'I  buon  Camillo; 
1,'uno  cbo  tiun  già  In  secare  in  uiauo, 
).  l'altro  elio  da' Galli  ne  riporta 
1  |  .  ululi  vessilli.  I  duo,  che  vedi 
SI  risponder  no  l'armi,  o  che  rinchiusi 
jn  questa  notte,  sembrano  a  fa  rista 
Gir  di  pari  o  d'accordo,  oh  se  a  la  vita 
Yeiigou  di  sopra,  quanta  (morra  e  quale, 
Culi  elio  strago  di  genti  o  con  che  forzo, 
Jùiinti  tra  loro.'  Il  suocero  da  l'Alpi 
K  da  l'occaso,  il  g Aero  da  l'orto 
Vena  l'un  contra  l'altro.  Ah  figli,  ah  figli, 
Non  cosi  rio.  non  cosi  fiero  abuso 
D'arimir  voi  cantr'a  voi,  conlr'a  le  viscero 
Do  la  patria  vostra!  e  te  che  traggi 
Pai  ciel  legnaggio,  tu  mio  sanguo,  astienti 
Sa  tanta  lei  iti;  perdona  il  primo, 
£  gitU  l'armi  in  terra.  Ecco  chi  vinco 
Corinto  o  'I  popol  greco,  e  'a  Campidoglio 
Trionfando  ne  snglio.  Ecco  chi  d'Argo 
E  di  Nieeua  ancor  lo  torri  abbatto, 
E  ohi  Pirro  debella  o  '1  seme  estinguo 
Del  bellicoso  Achille;  alta  vondutta 
Cho  ben  degli  avi  ricouiponsa  i  danni, 
E  '1  tempio  violato  di  Minorva. 

1826-841] 


29G  l'eskid*.  [1270-lSMj 

Dove  InssMo  te.  gran  Catone,  o  Costo» 
E  i  Gracchi,  o  ì  duo  gran  folgori  di  guerra 
Ambedue  Sciptoni,  ambi  Africani. 
Strage  Tira  di  Cartago,  e  l'altro  osa 
Boto  Fabriiio  il  povero,  e  potente, 
Con  la  sua  povertà?  Dove  Serrano, 
Ch'è.di  bifolco.nl  grande  imperio  asso 
Dove  restano  i  Fabii?  Eccone  un  solo. 
Massimo  veramente,  che  con  arte 
Terrà  il  nonveo  tranquillaudo  a  bada. 
Abbinsi  gli  altri  de  l'altre  arti  il  vanto; 
Avvivino  i  colori  e  i  bronzi  e  i  marmi; 
Muovauo  con  la  lingua  i  tribunali, 
Mostrin  con  l'astrolabio  e  col  quadran 
Moglio  del  ciol  lo  stello  o  i  moti  loro: 
Che  ciò  moglio  sapran  forse  di  voi:« 
Ma  voi,  Romani  mici,  reggete  il  mondo 
Con  l'imperio  e  con  l'armi?o  1'  arti  v 
Sion  l'osser  giusti  in  paco,  invitti  in  gu 
Pordonarc  a' soggetti,  accòr  gli  umili, 
Dobellare  i  superbi.  In  questa  guisa 
Parlava  il  santo  vèglio,  ed  essi  attenti 
Stavan  con  meraviglia  ad  ascoltarlo: 
Quando  soggiunse:  Ecco  di  qua  Min  coli 
Mira  come  so  n'entra  adorno  o  carco 
I8I2-8ÓC] 


[1295-1319]      unno  ti.  207 
1  l'opime  spoglie  e  quanto  agli  altri  avanza. 
Quest'  ò  quel  generoso,  eh'  a  grand'  uopo 
Vien  dì  Roma  a  domare  i  Peni,  i  Galli, 
K  del  gallico  duco  i  frigi  e  l'armi 
I,a  terza  volta  al  gran  Quirino  appendo. 

Qui  vide  Enea  eh' un  giovinetto  a  pari 
Gli  si  traca,  ch'ora  d'arnesi  o  d'armi 
E  via  più  di  boltà  vago  e  luconta; 
Se  non  ebo  poco  Mota  avea  la  fronte, 
E  chino  il  viso.  Ondo  rivolto  al  padro, 
;  chi,  disse,  o  costui  che  l'accompagna? 
Saria  do'figli  o  do'nipoti  alcuno 
poi  gran  nostro  legnaggio?  E  cho  bisbiglio 
Echo  mischia  ha"  d'intorno?  Oqualeoquaiito 
pi  già  mi  sombra!  Ma  gli  veggio  al  capo 
D' atra  notte  girar  di  sopra  un  nembo. 

Auchiso  lagrimando  gli  risposo: 
Amaro  desiderio  il  cor  ti  tocca 
A  voler,  figlio,  un  gran  danno.un  gran  lutto 
Udir  do'tuoi.  Questi  a  la  luce  a  pena 
Vorrà,  cho  no  fi»  tolto.  0  dii  superni, 
Troppo  parravvi  la  romana  stirpo 
Possente  allor  cho  in  sul  fiorir  preciso 

fia  si  vago  e  si  gentile  arbusto. 
0  cho  duolo,  o  che  pianto,  o  che  funebre 
1856-8781 


208  l'kxkidf.  [1820-1844 

rompo  no  vedrà  Roma  o  '1  Marzio  campo! 
Qual.  'fillorino  padre,  a  !..  tua  riva 
Nuova  so  n'urgerà  funesta  mole! 
(ieimo  non  sorgerà  del  seme  d'Ilio 
Più  di  questo  gradito,  uè  elio  tanto 
Du' latini  avi  suoi  la  spemo  estolla; 
Nò  la  terra  di  Jtomolo  ara  mai 
Figlio  onde  più  si  pregi  e  più  si  vanti. 
0  pietà  non  più  vista!  o  fede  antica! 
0  vertù  senza  pari  !  E  qual  uo  l' unni 
Sani?  Obi  sostuirà  l'incontro  suo 
Pedone  o  cavalior  ch'armato  in  giostra,  ' 
0  pur  nel  campo,  il  suo  nemico  assalga? 
Wisuiabil  fanciullo!  Cosi  morto 
Tu  non  vincesse,  come  invitto  fora 
11  tuo  valore,  o  conio  tu,  Mai  cullo, 
Non  meli  de  l'altro,  eroica  vertuti 
£  più  splondoro  e  più  fortuna  avresti) 
Datemi  a  piene  maui  ond'io  di  gigli 
£  di  purpurei  fiori  uu  nembo  sparga, 
Che,  se  ben  contro  al  già  fisso  destino 
U'adopro  invano,  almeii  con  questi  don] 
L'ombra  d'un  tanto  mio  nipote  onori.'". 

llopo  ciò  detto,  per  gli  aorei  campi 
Vagando,  a  parte  a  parto  e  l'ombre  e  i  loe 
[878-888] 


[1345-1302]      unno  ti.  209 
Gli  mostrò,  l'invaghì,  tutto  d'amore 
pi'  la  futura  gloria  il  cor  gli  acceso, 
[lidi  le  guerre  0  le  fortino  suo 
|i' Italia,  di  Lniirento,  e  di  Lutimi 
La  figlia,  il  regno,  i  popoli  e  lo  stato 
Tutto  gli  rivelò.  D'ogni  suo  affanno 
(Come  a  fuggir,  come  a  soffrir  l'avesse) 
Gli  dio  lume  e  compenso.  Escono  i  Sogni 
p' inferno  por  due  portai  una  ò  di  corno, 
L'ultra  è  d'avorio.  Alauda  il  corno  i  vorL 
L'avorio  i  falsi;  o  p*or  l'oburua  Anchisa 
piede  (quando  lor  dio  comiato  Hlfiuo) 
\  In  sibilla  ed  al  suo  figlio  uscita. 

Enea  verso  lo  navi  a' suoi  compagni 
Fece  ritorno.  Indi  sciogliendo  dritto 
Lung"  la  riva  il  suo'corso  riprose; 
E  giunto  ov'oggi  è  di  Caicta  il  porto, 
L'afferrò,  gittò  l'ancore,  e  funnossi. 
188D-0JÌ] 


300 


DELL'  ENEIDE 
Libro  Settimo. 

H  ancor  tu,  d'Enea  fida  midrice 
Caieta.  ai  nostri  liti  eterna  fama 
Désti  morendo,  od  essi  anco  a  te  diero 
Sedo  onorata,  se  d'onore  a' morti 
È  d'avor  l'ossa  consccratc  e  '1  nome 
No  la  famosa  Esperia.  Ebbe  Caieta 
Dal  suo  pietoso  alunno  ossequie  o  lutto, 
E  sepoltura  alteramente  eretta. 
Indi,  già  fatto  il  mar  tranquillo  e  quoto. 
Spiegar  le  vele  a' venti,  o  i  venti  al  corto 
Erau  secondi;  e  'n  sul  calar  del  sole, 
l.a  luna  che  sorgoa  lucente  e  piena. 
Chiaro  l'onde  facea  tremule  e  crespe. 
Uscir  del  porto;  o  pria  raserò  i  liti 
Ore  Circe  del  Sol  la  ricca  figlia 
Gode  felice,  e  mai  sciupio  cantando 
Soavomento  al  periglioso  varco 
Do  le  sue  solvo  i  peregrini  invita: 
E  do  la  reggia,  ovo  tessendo  stassi 
U-13J 


[20-44]  i.idbo  tu.  801 

I,o  ricche  tele,  con  l'arguto  snano 
Che  fan  le  spuole  e  i  pottini  u  i  tclnri, 
E  co'fuochi  do' cedri  e  de' ginepri 
forge  lungo  la  notte  indici»  o  lume. 

Quinci  là  verso  il  di.  lontano  udissi 
Bug - leoni,  urlar  lupi,  adirarsi, 
j;  fremirò  o  grugnire  orsi  o  cignali, 
Ch'ernn  uomini  in  primate  'n  questo  forma 
pa  lei  con  erbe  e  con  nuiio  cangiati 
Giacenn  di  ferri  0  di  forratc  sbarro 
■ge  )c  sue  stalle  incatenati  e  chiusi, 
g  perché  ciò  non  avvenisse  ai  Teucri 
Cho  buoni  orano.0  pii,  da  cotal  porto 
I  da  spiaggi»  sl  r'a  Nettano  stesso 
Spinse  i  lor  legni,  o  diè  lor  vento  o  fuga. 
Tal  che  fuor  d'ogni  rischio  gli  condusse. 

Già  rosseggiava  d'oriento  il  balzo, 
g  nel  suo  carro  d'ostro  ornata  e  d'oro 
L'Aurora  si  trnoa  de  l'onde  fuori, 
Quando  subitamente  ogn'aura,  ogn' alito 
Cessò  del  vento,  e  no  fu  '1  maro  in  calma 
SI  ch'a  forza  ne  gian  de'  romi  a  pcua. 

Qui  la  torra  mirando  il  padro  Enea 
Vede  un'ampia  foresta,  e  dentro,  un  fiumo 
Rapido,  vorticoso  e  queto  insionio, 
113-301 


802  l'kxuid*.  [45-60] 

Clic  per  l'amena  selva,  e  per  la  biond»  \ 
Sun  molta  arena  si  devolve  al  maro. 
Questo  era  il  Tebro.  il  tanto  desiato, 
Il  tanto  cerco  suo  Tcbro  fatalo: 
A  le  cui  ripo,  a  le  cui  selve  intorno, 
£  di  sopra  volando  ivan  le  schiero 
Di  più  canori  suoi  palustri  augelli. 
Allor,  Via.  dice  a' suoi,  volgete  il  corso, 
Itone  a  riva.  K  tutti  in  un  momento 
Rivolti  e  giunti,  de  l'opaco  Dumo 
Preser  la  foco,  o  lietamente  entrar». 

Porgimi.  Erato,  aita  a  dir  quai  resA 
(juai  tempi  e  quale  stato  avesso  allora  t 
L'antico  Lazio,  quando  prima  1  Teucri 
Con  questa  armata  a'su  >i  liti  approdarti' 
Ch'io  dirò  da  principio  le  cagioni 
E  gli  accidenti,  ondo  con  ossi  a  l'arme 
Si  venne  in  pria:  dii<<  battaglie  orrende 
Dirò  stragi  d'osserciti,  e  duelli 
Di  regi  stessi,  o  la  Toscana  tutta, 
E  tutta  anco  l'Esperia  in  arme  accolta. 
Tu  d'Elicona  Doa,  tu  ciò  mi  detta, 
Ch'altr' ordino  di  cose,  altro  lavoro, 
E  maggior  opra  ordisco.  Era  signoro, 
Quando  ciò  fu,  di  Lazio  il  re  Lutino, 
[81-45] 


[70-94]  libso  Tn.  803 

Un  re  che  ròglio  o  placido  gran  t<*mpo 
Area  'I  suo  regno  amministrato  in  paca. 
Questi  nacque  di  Fnuno-c  di  Marica 
Ninfa  di  LaDronto,  e  Fanno  a  Pico 
tra  figliuolo,  e  Pico  a  to,  Saturno, 
])cl  suo  regio  leguaggio  ultimo  autore 
Non  area  questo  re  stirpo  Tirile, 
Com'era  il  suo  destino;  e  quella  ch'ebbe 
Oli  fu  noi  Bor  do' suoi  rerd'anui  ancisa. 
Sola  d'nu  sangue  tal,  d'on  tanto  rcguo 
Jlestara  una  sua  figlia  unica  crede, 
Che  già  d'anni  matura,  a  di  bellezza 
Più  d'ogni  altra, famosa,  era  da  molti 
Eroi  del  I-azio  e  de  l'Ausonia  tutta 
Desiata  e  ricorca.  Avanti  agli  altri 
Ij»  chiede»  Turno,  un  glorino,  il  più  bello, 
Il  più  possente  o  di  più  chic  ra  stirpo 
Che  gli  nitri  tutti;  e  più  ch'agli  altri.n  lui, 
Ami  a  lui  sol  la  sua  regina  madre  ' 
Con  mirabile  allotto  ora  inchinata. 
Ha  elio  sua  sposa  fosse,  arrorso  fato, 
Vari  portenti  e  spaventosi  augiiri 
Faccan  contesa.  Era  un  eortilo  in  mezzo 
A  lo  stanzo  reali  ovo  un  gran  lauro 
Gii  di  gran  tempo  consacrato  e  cólto 
[40-60] 


804  L'rsv.in».  195-110) 

Con  molta  riverenza  era  serbato. 
Si  dioca  cho  Latino  esso  re  stesso 
Nel  designare  i  suoi  primi  edifici. 
Là  'vo  trovollo,  di  sua  mano  a  Febo 
L'aveadicato;  ecb'iudi  il  nomo  dieda 
A'snoi  Lauronti.  A  questo  lauro  in  cim» 
Meravigliosamente  di  lontano 
Romoroggiando  a  la  sua  vetta  intorno 
Venne  d' api  una  nugola  a  posarsi; 
E  con  l'ali  e  co' piò  l'una  con  l'altra, 
E  tutte  insidilo  aggraticciato  e  strotta 
Ktier  d'uva  in  guisa  a  le  sue  froudl  appesa, 
Ciò  l'indovino  interpretando,  Io  veggo, 
Disse,  venir  da  lungo  un  duco  osterno, 
Ed  una  gonto  cho  d' un  loco  uscita 
In  un  loco  modosmo  si  rauna 
Ed  altamente  ivi  s'alloga  e  regna. 
Stando  un  giorno,  oltre  a  ciò, Lavinia  virgq 
Sacrificando  col  suo  padre  a  canto, 
Ed  a  l'aitar  casto  facelle  offrendo, 
l'arve  (nefanda  vista!)  che  dal  foco 
Fossero  i  lunghi  suoi  capolli  approsl, 
E  che  stridendo,  non  pur  l'oro  ardesia 
De  le  sue  trocce,  ma  il  suo  regio  arnese 
E  la  corona  stessa,  che  di  gemmo 
L00-76J 


[1 20-144 J         muro  vii.  805 
gra  fregiata.  Indi  con  roglo  vampo. 
Con  nero  fumo  o  con  voltimi  attorti 
S'avventarne  d'intorno,  e  l'alta  reggia 
Tutta  di  fiamme  empiette:  orrendo  ni"-,!  i  i, 
i  di  L'ine  meraviglia  a^ehiunque  il  vide, 
(ili  auguri  ne  dlcean  che  fama  Illustre 
j  gi  nn  fortuna  a  Io!  si  portendoa: 
y   riiina  a  lo  stato,  e  guerra  a'  [minili. 

A  questi  mostri  attonito  e  confuso 
j]  io  tosto  a  l'oracolo  di  Fauno 
Suo  genitori!»  l'alta  Albunea  selva 
pcr  consiglio  ricorso.  E  questa  selva 
Immensa,  opaca,  ove  mai  sempre  suona 
Un  sacro  fonte,  ondo  mai  sempre  essalo 
Una  tetra  vorago.  Il  Lazio  tutto 
E  tutt  i  Italia  in  ogni  dnbia  caso 
Quindi  eerlezza,  alta  e  'ndrizzo  attendo. 
%  l'oracolo  e  tale.  Il  sacerdote 
jjc|  piofondo  silenzio  do  la  notte 
Si  falle  l'immolato  pocorello 
gotto  un  covile,  ove  s'adagia  o  dormo. 
Kel  sonno  con  mirabili  apparenze 
Si  vede  Intorno  i  simolacri  e  l'ombre 
j)i  ciò  ch'Ivi  si  chiodo,  e  varie  voci 
Ne  scnte.c  con  gli  Dei  parla  o  con  gì'  Infeii. 

Caro.  -  20.  f70-9Il 


300  i/knkidi.        [140  U 

In  quosta  guisa  il  io  Lutino  -•  

Al  vaticinio  del  no  padre  intento 
Cento  pocoro  ancide,  e  1  volli  e  i  torchi 
Nel  suol  ne  stonde,  o  vi  s'involro  e  corei 
Ed  ceco  uu'nlta  repentina  roca 
Che.  do  la  selva  uscendo,  intuoiia  o  dice 
Invali.  Aglio,  procuri,  invan  t'imnginl 
Che  tua  figlia  s'ammogli  a  sposo  ausonio 
Vano  o  nulle  saran  le  sponsalizio 
Ch'or  lo  propari.  Di  lontano  un  ginoro 
Venir  ti  veggio,  per  cui  sopra  a  l'etera  . 
Salirà  il  nostro  nome:  o  i  nostri  posteri 
No  vedrau  sotto  i  piò  quanto  l' Oceano 
V'ambi  i  lati  circonda  e  'Isolo  illumina. 
Questa  risposta  e  questi  avvì  i  irnienti 
Pcrchò  di  notto  e  di  secreta  parto 
Fossor  da  Fauno  usciti,  il  re  non  tonno 
In  so  stesso  celati;  un/i  la  faina 
Per  lo  terre  d'Ausonia  gli  spargoa, 
Quando  la  frigia  armata  al  Tobro  aggina 

Enea  col  Aglio  e  co' suoi  primi  duci 
A  l'ombra  d'un  grnnd'alboro  in  dispar 
Dagli  altri  a  prender  cibo  insieme  uni 
Eran  su  l'erba  agiati:  e.  conio  avviso 
Goder  si  dee  ebo  del  gruu  liiovc  fosse, 
(92-110]         .  ' 


(170-104]        libro  ni.  807 
Avcan  poche  vivando;  o  quelle  podio 
Gran  forme  di  focacco  e  di  farrate 
jn  vece  avoan  di  tavole  e  di  quadro, 
Y     '-ria  medosma  e  !  snl.-hi  suoi 
jii  pomi  agresti  eran  Ascelle  e  nappi. 
\ltio  per  avventura  qllor  non  v*cra 
pi  che  cibarsi.  Onde.  Uniti  i  cibi.  ^ 
Volscr  per  fame  a  quei  lor  deschi  i  denti, 
E  motteggiando  alli>ra„0,  disse  litio. 
Finn  a  le  mense  ancor  no  divoriamo? 
f,  rise  o  tacque.  A*questa  voco  linea, 
pi  come  a  fin  de  lo  fatiche  loro. 
Avvertì  primamente,  «stupefatto 
Pel  suo  mistorlo,  subito  inchinando 
piste:  0  da' fati  a  me  promessa  terra, 
lo  te  devoto  adoro:  o  voi  ringrazio. 
Santi  numi  di  Troia,  amiche  e  fide 
Scorto  degli  error  miei.  Questa  ò  la  parila, 
Quest'è  l'albergo  nostro  e  questo  ò'i  segno 
Che  '1  mio  padre  lasciommi  (or  mi  ricordo 
Degli  occulti  miei  fati),  Allor,  dicendo, 
Che  sarai.  Aglio,  in  pcregriua  terra 
Pa  fame  a  n:anducnr  le  mense  astretto, 
Fia'l  tuo  riposo:  allor  fonda  gli  alberghi, 
Alter  le  mura.  Or  questa  è  quella  fame, 
IU0-128] 


aos  L'tvT.ttìk.  [ior>-2i 

Ultimo  rischio  «il  ultimnr  prescritto 
Tutti  i  nostri  altri  perigliosi  affami!. 
Or  via.  dimane  a  l'apparir  del  snle 
Ver  diversi  sontier  lungi  dal  porto 
Tutti  gioiosamente  investighiamo 
Clio  paese  sia  questo,  da  che  gente 
Sia  cólto,  o  dove  sian  le  terre  loro. 
Ora  a  Giove  si  bòa;  facclnsi  preci 
Al  padre  Anchiso:  »  sian  lo  mense  tutti 
Ili  vin  piene  e  di  tazze.  E.  ciò  dicendo, 
1U  (rondi  s'inghirlanda:  e  del  paoso 
li  gonio,  e  de  la  torra  il  primo  ninne 
Priinici amento  inchina,  e  lo  sue  ninfe, 
E  '1  fiume  ancor  non  conto.  Indi  la  Notte, 
E  do  la  Notte  lo  snrgontl  stello, 
E  Giovo  idèo,  e  d' Ida  la  gran  madro, 
E  la  madre  di  lui  An\  cielo  invoca. 
E  da  l'Èrebo  il  padre.  E  qui  di  lampi 
Cinto,  di  luce  e  d'oro,  e  di  sua  mano 
Folgorando  il  gran  Giovo  a  ciel  sereno 
Tonò  tre  volto.  In  ciò  repente  nacqui 
Tra  lo  squadro  troiane  un  lieto  grido. 
Ch'era  già  '1  tempo  di  fondar  venuto 
Le  desiato  mura.  A  tanto  annunzio 
Tutti  commossi,  a  rinovar  lo  mcn;c,  J 
(128-1401 


|-220-24  4]         libro  VII.  800 
,\d  invitarti,  a  coronarsi,  a  nero 
Lietamente  si  dicro.  Il  di  Seguenti) 
Ne!  sorger  de  l'aurora  uscir  divani 
\  spiar  dol  paese,  elift  conti  ade 
E  che  liti  unni  quelli,  o  di  che  genti. 
Trovar  rho  di  Xuniicn  ora  lo  stagno. 
E  che  '1  fiume  era  il  Tello,  o  la  citlade 
Da' feroci  Latini  era  abitata. 

Allor  d'Anchiso  il  gonoroso  figlio 
Cento  fra  tutti  i  più  scolti  oratori 
D'oliva  incoronati  al  ro  destina 
Con  doni,  con  avvisi  «con  richiesta 
D'nmici/ia,  di  commodi  a  di  pace. 

Questi  il  viaggio  lor  sollecitando 
Se  ne  van  senza  indugio.  Ed  ogli  intanto, 
Preso  nel  lito  il  primo  alloggiamento, 
Di  picciol  fosso  la  muraglia  insolca; 
E  'n  sembianza  di  campo  c  di  fortezza 
D'argini  lo  circonda  o  di  steccato. 

Seguon  gl'imbasciatori,  e  già  da  presso 
L*  città,  l'alto  torri  o  i  gran  palagi 
Scoproudo  de' Latini,  anzi  a  lo  mura 
Veggono  il  fior  de'  giovinetti  loro 
Su' cavalli  e  su' carri  essercitarsi, 
Lotteggiar,  tirar  d'arco,  avventar  pali, 
[147-1  G4|. 


810  l'ckmm.  [245-9( 

K  cotali  nitro  oprar  conteso  c  provo 
Di  corso,  d'attitudine  o  di  forza. 

Tosto  elio  compariscono,  no  messaggi 
Quindi  si  spicca  in  fiotta,  e  precorrendo 
Riporta  al  vecchio  re.  che  nuova  «onte 
Dì  gran  sembiante e  d'abito  straniero 
Vicn  dal  mare  a  sua  coite.  11  re  comandi 
Clio  siano  ammessi:  «  ne  l'antica  soffio 
Per  ascoltarli  in  maestà  si  roc». 

Era  la  corto  un  ampio,  antico,  augnai 
Di  più  di  cento  colonnati  ostrutto 
In  cima  a  la  città  sublime  albergo: 
Pico  di  Lntlronto  il  vecchio  rogo 
I/nvca  foudata.  Era  d'oscure  solvo, 
Era  do' numi  de' primi  avi  suoi 
Sovra  d'ogn'nltrn  venoinndn  e  saer\ 
Qui  do'lor  scettri,  qui  de' primi  fasci 
S'investivano  i  regi.  In  questo  tempio 
Era  la  curia,  eran  le  sacro  cono, 
Erau  do'padri  i  publici  conviti 
Do  l'occiso  arYetc.  Avca  d'antico 
Cedro,  nel  primo  entrar,  un  diotro  a  Val 
Do'suoi  grand' avi  i  simolacri  erotti. 
Italo  v'ora,  e  il  buon  padre  Sabino, 
Saturno  con  la  vite  e  con  la  falco,  'I 
[105-1S0] 


[270-294]         libro  ni.  811 

ninno  con  I;  duo  tosta,  egli  altri  regi 

Tutti  di  insito  in  man.  elio  combattendo 

Non  fur  di  uugue  n  la  lor  patria  avari. 

|',  udean  da  le  pareti  «da' pilastri 

Vii  gran  mimerò  d'armi  6  d' altro  spoglia 

Prese  in  battaglia.  Ai  portici  d'intorno 

funi,  trofei,  catene  elmi  e  cimieri 

K  seenri  e  corazze  o  scudi  e  lanco 

i;  rostri  di  rinvili  e  ferri  e  sbarre 

pi  fracassate  porte  orano  affisse. 

In  abito  auccirrto,  o  cou  la  verga 
Clio  fu  poi  di  Quirino,  e  con  l'nncile 
Kc  In  sinistra  esso  re  Pico  assiso 
V'eia.  pria  cavaliero.  e  poscin  augello: 
Ch'in  augello  il  cangiò  la  maga  Circe, 
Sdegnosa  amante;  o  gli  suoi  regi  fregi 
Gli  converso  III  colori,  e  '1  manto  in  ali. 

In  questo  tempio  sovra  ni  seggio  agiato 
po'suoi  maggiori,  a  sò  Latino  I  Teucri 
Chiamar  si  foco:  e  dolcemonto  in  prima 
Cosi  parlò:  Dite,  Troiani  amici, 
A  che  venite?  cUò  venite  in  luogo 
C'ha  di  Troia  e  di  voi  contezza  n  pieno; 
Siatevi,  o  por  orrore  o  por  tempesta 
0  per  bisogno  a  questi  liti  addotti, 
1180-1991 


312  l.'*XKTDK.  |2fló-8ll 

Como  a  gente  di  mar  sovente  avviene;  I 
Ob'a  buon  fiume,  a  buon  portoabum  o^piij 
Siete  arrivati.  Da  Saturno  secsi 
Sono  i  Latini,  ed  ospitali  o  buoni. 
Non  por  forza  o  per  leggi,  ina  per  uso  ^ 
E  por  natura;  e  del  buon  vecchio  dio  " 
Seguitiain  l'ormo  o  du'suuì  tempi  d'o'ro,. 

10  mi  ìicoido  (ancor  die  questa  rama 
Sia  per  molt'annl  ornai  debile  e  scura) 
Che  per  vanto  solcano  i  vocchi  Animici 
Dir  elio  Dàrdano  vostro  in  queste  parti 
Ebbe  il  suo  nascimento;  e  quinci  in  I 
Passò  di  Frigia,  e  no  la  tracia  Suino, 
Ch'or  Samotracia  ù  delta.  Da'TirroojJ  , 
E  da  Córito  uscio  Dardano  vostro, 
Ch'or  fatto  ò  dio,  o  tra' celesti  in  cielo 
D'oro  ha  la  sua  maglou,  di  stelle  il  segg 
E  qua  giù  tra'  murtali  altari  e  voti.  ( 
Avea  ciò  detto,  quando  a'detti  suoi 

11  snggio  llTonèo  cosi  risposo: 

Alto  signor,  di  Fauno  egregio  fi;rlio. 
Non  tempesta  di  mar,  non  venti  avve 
Non  di  stelle  o  di  liti  0  di  nocchioii 
Error  qui  u'avo.  od  ignoranza  addotti. 
Noi  di  uostro  volor,  di  nostro  avviso 
[200-2101 


I  ;-_>0-3441         libro  vii.  313 
l'i  ■.inni  venuti,  discacciati  0  privi 
|>'iin  roguo  do' maggiori  e  do' più  diiail, 
Qh'  iniqua  vedesso  d'orTonte  il  sole. 
Da  Durdnuo  e  da  tiiovt  il  suo  Icgnnggio 
ll.i  quella  gente,  e  quo!  troiano  linea 
Cli' a  to  no  manda.  La  tempesta,  i  fati, 
;  la  mina  che  ne' campi  idèi 
Venne  di  (irocia,  onde  l'Europa  e  l'Asia 
]■;  'I  mondo  tutto  sottosopra  andonuo, 
Cui  non  è  conta?  chi  al  lungo  è  posto 
l>a  noi.  che  non  Uudisse?  o  che  da  l'acque 
Ile  l'estremo  Occino.o  che  dal  foco 
De  la  torrida  zumi  sia  diriso 
Da  la  nostra  notizia?  Il  nostro  affanno 
Tal  fece  intorno  a  sé  diluvio  e  moto, 
Clic  scosse  ed  allagò  la  terra  tutta. 
Da  indi  ili  qua  dispersi  e  vagabondi 
Per  tanti  mari,  un  sol  picciol  ridotto 
Agli  Dei  nostri,  un  lito  che  n'accolga, 
Non  da  nemici,  un  poco  d'acqua  e  d'aura, 
Lassi! quel  ch'ogn'uom  ha, corcando  andiamo 
Non  disutili,  credo,  o  Don  indegni 
Sarem  del  rogno  vostro:  a  voi  non  Uovo 
Ne  verrà  fama;  o  d'uu  taL  morto  tanto 
Vi  sanili  grati,  elio  l'ausoula  terra 
[216:982] 


311  L'EXKine.  [3I5ÌW 

Non  mai  si  pontirA  d'aver  i  figli 

De  In  misoia  Troia  in  grembo  accolti.  '] 

10  ti  giuro,  signor,  per  lo  futiclie. 
Por  (eli  fati  d°  lìnea,  per  In  possente 
San  destra,  già  per  fedo  e  per  valore 
Famosa  ni  inondo,  die  da  molto  gentil 
Molte  Tinte  (o  ciò  vii  non  ti  sembri, 
Cile  dn  noi  stessi  n  te  ci  proferiamo 
E  ti  preghiamo)  siam  pregati  noi, 

E  per  compngni  desiati  e  cerchi  : 
Ha  dai  fati,  signore,  e  èrtigli  Dei 
Siam  qui  mandati.  Illudano  qui  nacque. 
Qua  Febo  ne  richiama.  Febo  stesso, 
E  quel  di  Dolo,  è  cb'ni  Tirreni,  ni  Tobr< 
Al  font*  di  Numico,  a  voi  c'invia. 
Queste,  oltre  a  ciò,  poche  reliquig  e  son 
Do  l'andata  fortuna  c  del  suo  muoio 

11  ro  nostro  vi  manda,  che  dal  foco 
Son  do  la  patria  ricovrate  a  pena. 

Con  qnosta  coppa  il  suo  buon  padre  AncM 
Sacrificava  Questo  regno  in  tosta. 
Quando  era  in  solio,  il  gran  Priamo  arai 
Questo  ò  lo  scettro,  questa  ò  la  ttara,  1 
Sacro  suo  portamento;  e  questo  vesti 
Son  do  le  donno  d'Ilio  opre  o  fatiche, 
1233-218] 


[370-894)        libro  vn.  815 

Al  dir  d'iitnnrn  stava  Latino 
Fisso  col  volto  a  tona  immoto  o  saldo 
Ccime  in  astratto,  o  solo  arca  lo  luci 
pigli  occhi  intesn  a  rimirar,  non  tanto 
Il  .lipint' ostro  o  gli  altri  regi  arnesi. 
Quanto  in  pensar  doja  diletta  figlia 
Il  maritaggio,  c  'I  vaticinio  uscito 
pai  vecchio  Fauno.  K  'n  ut  «fosso  raccolto 
Questi  è  certo,  di«n.  quei  elio  da- fati 
Si  denunzia  venir  di  «tran  pacso 
Genero  a  mo,  spo.?o  a  Lavinia  mia. 
Del  mio  regno  partecipa  e  consorte. 
Questi  è  da  cui  vorrà  l'egregia  stirpe, 
Che  col  valor  Tarassi  e  con  le  forze 
Soggetto  e  tributario  il  mondo  tutto. 
Ed  aitili  lieto,  0.  disse,  eterni  Dei, 
Secondate  voi  stessi  i  vostri  auguri 
K  i  pensier  miei.  Da  me,  Troiani,  moto 
Tutto  che  desiato;  e  i  rostri  doni 
Gradisco  e  pregio:  e  mentre  ic  Latino 
Sarà,  sarete  voi  noi  regno  suo 
Cortesemente  accolti  ;  o  '1  seggio  e  I  campi 
E  ciò  eh' è  d'uopo,  come  a  Troia  foste, 
In  copia  aretc.  Or  s'ei  tanto  desia 
L'amistà  nostra  o  'I  nostro  ospizio,  regna 
1219-205] 


SIC  l'cxiioi.  [395-4 

Egli  in  persona,  •  non  aborra  ornai 
11  nustru  amico  aspetto.  Arra  c  corte 
No  fia  di  pace  U  convenir  con  lui, 
E  dì  Ini  stesso  aver  la  fede  in  pegno. 
Da  l'altra  patto,  a  mio  nome  gli  dito 
Quol  cb'io  dirorvi.  Io  senza  più  ini  tip 
Una  mia  figlia.  A  questa  il  mio  paterno 
Oracolo,  e  del  ciel  molti  prodigi 
Vietali  cb'io  dia  marito  altro  ch'estera 
D'esterna  parte,  tal  d'Italia  'f  iato, 
Un  gcnoro  dal  ciel  mi  si  promette. 
Por  la  cui  stirpe  il  mio  nome  e'I  mio  sai 
Ergorussi  a  le  stelle.  Or  se  del  vero 
Punto  è  '1  mio  cor  presago,  egli  è  quel 
Crcd'io  elio  'I  fnto  acceuna,  e  'I  credo  o'I  bi 

Ciò  detto,  de' trecento,  clic  mai  seinpra 
A'suoi  presepi  area,  nitidi  e  pronti 
Dcstrier  di  fazione  e  di  rispetto, 
Per  gli  cento  orntor  cento  n'eleggo,  , 
Cb'avean  le  lor  covette  e  i  lor  gii  olii,  J 
Lo  potticre  e  le  briglie  iti  vario  guisa  J 
D'ostro  o  di  seta  ricamati  e  d'oro, 
E  d'àr  le  ghiere  e  d'or  lo  borchie  0  I  ( 
Al  troiau  duce  assento  uu  carro  invia 
Con  due  corsier  cb'eran  di  quei  del  Sol 
[265-2811 


[420- 444 J        libro  vii.  817 
Generosi  bastardi,  e  rampa  e  foco 
Sbruffatati  por  lo  nari.  Al  Sol  suo  padre 
Iji  razza  ne  (arò  la  acnitra  Circo 
All'""  eh' a  ricantato  rat  giumente 
j>  e  Piròo  fiirtivainpnte  impose. 
Tali  in  su  tal  cavalli  alteramente 
Tentando  i  Teucri  al  teucro  duce,  allegro 
PorUr  novelle  e  parentela  e  paco. 

Ed  ecco  che  di  Grecia  uscendo  e  d'Argo, 
t'empia  moglie  di  Giove,  alto  da  terra 
Sospesa,  infln  dal  slcolo  Pachino 
Vide  i  legni  troiani;  e  ride  Enea 
Con  tutti  i  suoi,  che  lieto  e  fuor  del  mare 
E  secur  de  la  terra,  incominciava 
D'alzar  gli  alborghi,  e  di  fondar  le  mure 
Già  d'un  altr'llio.  E,  punta  il  cordi  doglia, 
Squassando  il  capo.  Ah, disse,  a  me  pur  troppe 
Nimica  lazza!  ah  troppo  a'fati  miei 
Pati  dc'Frigi  avversi!  E  forse  estinti 
Pur  ne'campi  sigèi?  forso  potuti 
Si  sou  prondor  già  prosi,  ed  arder  arsi? 
Per  mezzo  do  le  schiere  e  de  gl'incendi 
Han  trovata  la  via.  Stanca  (la  dunque 
Questa  mia  deitA,  quando  ancor  sazia 
Non  è  de  l'odio?  E  giù  s'è  rosa,  quando 
[281-S98J 


gi8  i.'exkidf.  !r>9]| 

Ila  fin  qui  nnlla  oprato?  K  che  mi  giova  J  . 
Che  sino  del  regno  e  de  hi  pati  ia  in  Imudofl 
Che  mi  vai  eh'  io  mi  sia  con  tutto  il  maral 
A  loro  opposta?  Ah!  che  del  mar  giiituttj 
E  del  ciel  coutra  lor  le  forze  ho  logre. 
E  che  le  Siiti,  e  che  Scilla  e  Cariddi 
A  me  con  lor  non  valse?  Roso  han  del  Tebij 
La  destata  foce;  e  non  han  tóma 
Del  mar  più,  nò  di  me.  Malte  potilo 
Disfar  la  gente  de'Laplti  iinmano; 
Potè  Diana  aver  da  (liove  in  preda 
Del  buo  disegno  i  Calidòiiì  antichi, 
Quando  de'Calidóni  e  de'Laplti, 
Vèr  le  pene,  era  il  fallo  n  nullo  e  levo: 
Ed  io  consorto  del  gran  Giove  o  suora. 
Misera,  incontro  a  lor  elio  non  ho  ino»« 
Che  di  me  non  hit  fatto?  E  pur  son  ria 
Enea,  Enea  mi  vince.  Ah  se  con  lui 
11  mio  nume  non  può.  perchè  d'ognuno 
Chiunque  sia,  non  ogni  aita  imploro? 
So  mover  contra  lui  non  posso  il  ciclo. 
Moverò  l' Acheronte.  Oh  non  por  ques< 
Il  fato  si  distorna;  ed  ei  non  meno 
1)1  Latino  otterrà  la  figlia  e  '1  regno. 
Cho  più?  Lo  tratterrò:  gli  darò  uriga: 
12U9-310] 


[470-4W)        libro  ni.  81 
l'errò,  l'altro  non  posso,  in  Unto  aitai o 
li  u  uiiidugiooscon>piglio:astragc,amoi  t 
^,1  .'(riii  strazio  condurrò  lo  genti 
p,  ;'  un  rogo  e  do  l' nitro;  c  questi  nTan.'.i 
>-:iran  primieramente  i  lor  suggelli 
])o  la  'ni'  amistà.  Con  yucsto  mi  prima, 
s|  sian  suocoro  o  gonoro.  Di  sangue 
pg'Trniani  e  do'  Ruttili  dotata 
N'andrai,  regia  donzella,  al  tuo  marito; 
£  del  tuu  maritaggio  e  del  tuo  letto 
jlnsjiii'0  (in  llelloua*in  roco  mia. 
Cotal  non  partorì  di  face  pregna 
Eculia  a  Troia  incendio,  qua!  Ciprigna 
iji  con  questo  sùo  novello  Pari 
Partorito  altro  foco,  altra  ruma 
l  nuost'altr'llio.  Ciò  dicendo,  in  terra 
piscese  irata,  e  da  l' interne  grotto 
A  so  chinino  la  nequitosa  Alctto. 
Po  le  tic  dire  Furio  una  è  coatei. 
Cai  sou  l'ire,  i  dannnggi,  i  tradimenti, 
Le  guerre,  lo  discordio,  lo  ruino, 
Ogn'cmpio  officio,  ogni  mal  opra  a  coro. 
Z  tale  un  mostro  in  tanti  o  cosi  fiori 
Sembianti  si  trasmuta,  o  do' serpenti 
SI  tetra  copia  le  germoglia  intorno, 
1815-840] 


820  1,'rscwm.  [495-610 

Che         e  lo  tartaree  sorelle 
Suo  stosso  In  odio  ed  in  fastidio  l'hanno. 
Oiunon  lo  puri»,  e  via  più  co'tnol  dotti 
In  tal  guisa  l'accende:  0  do  In  Notte 
Possente  figli»,  io  por  mio  proprio  «(Tot 
Per  onor  del  mio  mime,  por  salvezza 
De  la  mia  fama  nn  tuo  servigio  agogno. 
Adnprati  per  me,  che,  mal  mi»  grado, 
Questo  troiano  Enea  del  re  Latino 
Genero  non  divenga,  e  nel  suo  regno 
Con  gran  mio  pregiudicio  non  s'annidi» 
Tu  puoi,  volendo,  armar  l'un  mntra  l'ai 
I  concordi  fratelli  :  odil  e  lizzimi* 
Seminar  tra' congiunti;  e  per  le  cns* 
Con  mill'arti  no.-endo,  in  mille  guise 
Infra  mortali  indur  morti  e  mine. 
Scuoti  il  fecondo  petto,  e  lo  sue  forzo 
Tutte  a  quest'  opra  accampa.  Infermn.ao 
Questa  lor  paco;  infiamma  i  cori  a  l'i 
Arme  ognun  brami,  ognun  le  gridi  e  pi- 
Di  serpi  e  di  gorgon*!  voncnl 
Guarnissi  Metto;  o  per  lo  Lazio  in  prl 
Scorrondo,  o  per  Lauronto,  o  por  la  co 
Ho  la  regina  Amata  entro  la  soglia 
Insidiosamente  si  nascoso. 

L327-ataj 


[:>20-544)        libro  tu.  321 

Era  allor  la  refina,  come  donna. 
f,  come  madre,  dal  materno  affetto, 
Pa  lo  scorno  do' Teucri,  dal  disturbo 
IN-  le  nozze  di  Turno  hi  molte  guise 
Afflitta  e  conturbata,  qnando  Aletta, 
l'cr  rivolgerla  in  furja.  e  co'suoi  mostri 
Sossopra  rivoltar  la  reggia  tutta, 
Jla'suoi  comici  crini  un  anguo  in  seno 
j/arvontó  8),  che  l'entri  poscia  al  core. 
Ki  primamente  infra  la  gonna  e  '1  petto 
Strisciando,  e  norfmordeudo,  a  poco  a  poco 
Col  suo  vipereo  fiato  un  non  sentito 
Furor  lo  spira.  Or  le  si  fa  monile 
Attorcigliato  al' collo,  or  lunga  benda 
j/i  penile  da  le  tempio,  or  quasi  un  nastro 
L'annoda  il  crine.  All'in  lubrico  errando, 
Per  ogni  membro  le  s'avvolge  e  serpe. 
Ha  fin  clic  prima  andò  languido  e  molle 
Soli  i  sensi  occupando  il  suo  veleno, 
Fin  elio  il  suo  foco  penetrando  a  l'ossa 
Non  avea  tutto  ancor  l'animo  acceso. 
Ella  donnescamente  lagrimando 
Sovra  la  figlia  e  sovra  lo  suo  nozze 
Con  tal  queto  rammarco  si  dolea: 
Adunque  si  darà  Lavinia  mia 
Ciao. -21.  |344-359J 


822  l*  kxeidr.  [545-561 

A  TroinnI?  a  banditi  ?  E  t»  suo  padre, 
Tu  cosi  la  collòchi  ?  E  non  t' incrusca 
Di  lei,  di  te,  di  sua  madre  infelice? 
Ch'ai  primo  vento  ch'ai  suoi  ledili  spirici 
Di  cosi  caro  pegno  orba  rimasa 
(Come  dir  si  potrà),  da  questo  infido 
Fuggitivo  ladrone  abbandonata. 
Del  mar  vediolla  e  do' corsari  in  preda?  ' 
0  non  cosi  di  Sparta  anco  rapita 
Fu  la  figlia  di  Leda?  E  chi  rapilla 
Non  fu  Troiano  anch' egli!1  Ah!  dov'è, 
Quella  tua  santa  invTolabil  fede? 
Quella  cura  dc'tuoi?  quella  promessa, 
Che  s'è  fatto,  da  te  già  tauto  volte 
Al  nostro  Turno?  Se  d'esterna  gente 
Genero  ne  si  doe:  se  fisso  e  saldo 
È  ciò  noi  tuo  ponsicro;  se  di  Fauno 
Tuo  padro  il  vaticinio  a  ciò  ti  stringe; 
Io  credo  che  ogni  terra,  ch'ai  tuo  scettri 
Non  è  soggotta,  sia  straniera  a  noi. 
Cosi  ragion  mi  detta,  e  cosi  ponsò 
Che  l'oracolo  intonda.  Oltro  che  Turno  1 
(So  la  sua  prima  origine  si  mira) 
Per  suoi  progenitori  Inncn.  Acrìsio, 
E  per  patria  ha  Micene.  A  quosto  diro 
[8ÓO-878] 


|.»70-594]        1.1BBO  ni.  323 
Stava  noi  suo  proposito  Latino 
Ou'iior  più  duro..  E  la  regina  intanto 
l'in  da)  veleno  era  del  serpe  infetta: 
t;  r-iii  tutta  compresa,  •  da  gian  mostri 
Abitata,  sospinta  e  forsennata, 
Senza  ritegno  a  correre,  a  scagliarsi, 
A  gridar  fra  le  genti  o  fuor  d'ogni  uso 
\  tempestar  per  la  città  si  diede. 
Qual  per  gli  atrii  scorrendo  e  per  le  salo 
Infra  la  turba  do' fanciulli  n  volo 
Va  sforzato  palèo  th'a  salti,  a  scosse, 
£,1  a  suen  di  guinzagli  roteando 
E  ronzando  s'aggira  e  si  tra  voi  vo. 
Quando  con  meraviglia  e  con  diletto 
gli  va  lo  stuo)  de'scmplicetti  intorno, 
Egli  dan  co'flagelli  animo  e  forza; 
Tal  por  mezzo  del  Lazio  e  du'foroci 
Suoi  popoli  vagando,  insana  andava 
La  regina  infelice.  K,  quel  clic  poscia 
fa  d'ardire  e  di  scanalalo  maggioro, 
pi  linceo  simulando  il  mimo  '1  coro 
Per  tur  la  figlia  ai  Teucri,  o  lo  suo  nozzs 
Distornare  o  'ndugiare,  a'  monti  ascesa 
Ne  le  solvo  l'ascose:  0  Bacco,  o  Libero, 
Gridundo,  Kttiie,  questa  mia  vergine 
1373-38U] 


82 1  L'  «KHIDI.  [59.>-( 

Sola  a  te  si  coiiTicn.  sola  a  te  serbasi. 
Ecco  per  te  noi  tuo  coro  s' esserci  to, 
Perteprcndoi  tuoi  tirsi,  a  te  s'impaniai 
A  te  la  chioma  sua  nodriscc  e  dedica. 

Involgasi  di  ciò  la  fnma  intanto 
Fra  le  donno  di  Lazio,  e  tutto  insiom* 
Da  furor  tratte,  e  d'uno  ardore  accese 
Saltan  fuor  degli  alberghi  a  la  foresta. 
Ed  altre  ignudc  i  colli  e  sciolte  i  crini. 
D'irsuto  polli  involto,  e  d'aste  armate, 
Di  tralci  avviticchiate  e  di  corimbi, 
Orronde  voci  e  tremuli  ululati 
Mandano  a  l'aura.  E  la  regina  in  mezzo 
A  tutte  l'altre  una  facolla  in  mano 
Prende  di  pino  ardonto,  e  l'imeneo 
De  la  figlia  e  di  Turno  imita  e  canta, 
E  con  gli  occhi  di  sangue  e  d'ira  infetti 
Al  cielo  ad  or  ad  or  la  voce  alzando, 
Uditemi,  dicoa,  madri  di  Lazio, 
Quante  no  siete  iu  ogni  loco,  uditemi. 
So  può  piotato  in  voi,  so  può  la  grazia 
Do  la  misera  Amata,  e  la  miseria 
Di  loi,  ch'ad  ogni  madre  è  d' infortunio 
Disvelatevi  tutto  e  scapigliatevi; 
EQOé;  a  questo  sacrificio 
13U0-103J 


(020-044 1  unno  vii.  82 
No  renilo  con  me.  meco  ululitene-. 

Cosi  ila  Bacco  e  da  le  furio  spinto 
Ni-  gin  per  selve  e  por  desorti  alpostii 
l.a  regina  infelice,  quando  Alctto, 
Ch'issai  già  disturbato  aven,  il  consiglio 
Di  ro  Latino  o  li  sua-reggia  tutta, 
Batto  su  le  fosc'ili  i  l'aura  alzossi; 
E  là  've  già  d' Acrisio  il  seggio  poso 
I/avara  figlia,  ivi  dal  vento  esposta, 
A  l'orgoglioso  Turuo  si  rivolse. 
Ardóa  Tu  quella  terra  allor  nomata, 
E  d'Ai  dèa  il  nome  iusino  id  or  lo  resta, 
Ma  non  già  li  fcytuua.  In  questo  loco 
Entro  al  suo  gran  palagio  a  mezza  notte 
Prende!  Turno  riposo.  Allor  eh' Aletto 
Vi  giunse,  e  '1  torvo  sno  maligno  aspetto 
Con  ciò  ch'uvea  di  Furia,  in  sonil  forma 
Cangiando,  raggrnppossi,  incanutissi, 
E  di  hende  e  d'olivo  il  crin  volossi: 
Calibe  in  tutto  fessi,  una  vecchiotta 
Ch'era  sacerdotessa  e  guardrail.-! 
Pel  tempio  di  Giunono:  o  'n  cotal  guisa 
Si  pose  a  lui  davanti,  e  cosi  disse: 

Turno,  adunque  avrai  tu  sofferte  indarno 
Tanto  fatiche,  e  questi  Frigi  avranno 
[408-488] 


S2fl  i/  knkidk.  [04ó-g*mb 

La  tua  sposa  o  'I  tua  regno?  11  re.  la  figlia 
E  la  «loto,  eh' a  to  per  gli  tuor  mortK  . 
Per  lo  sparso  tuo  sangue,  era  dovuto, 
K  già  da  lui  promessa,  or  ti  ritoglie; 
E  ile  l'uria  e  de  l'altro  crede  e  sposo 
Fossi  un  ostcrno.  0  va' cosi  deluso, 
E  por  ingrati  la  porgono  e  l'alma 
Inutilmente  a  tanti  rischi  esponi. 
Va',  fa'strngo  do'Toschi.  Va',  difendi 

I  tuoi  Latini  e  in  pace  li  mantieni. 
Questo  mi  manda  apertamente  a  dirti  j 

La  gran  saturnia  Giulio.  A  i.  mina  i  tuoi; 

Preparati  n  In  guerra:  i-m-ì  in  '-ampagii»;  I 
Assogli  i  Frigi,  o  snidagli  dal  fiume 
C'han  di  già  preso,  e  i  I  r  uavili  incendi.  I 
Dal  cicl  ti  si  comanda.  E  se  Latino 

A  le  promissynn  non  corrispondo. 
Se  Turno  non  accetta  e  non  gradisce  jH 
Nè  per  suo  difensor  né  per  suo  genero,  I 
Pruovi  qual  sia  ne  l':u  mi..-  .jh.-I  <  ViuipurtJ 
Averlo  per  nimico.  Al  cui  parlaro 

II  giovine  con  beffe  e  con  rampogno 

Cosi  rispose:  Io  non  son,  vi  :cliia,  ancor*,! 
Come  te,  fuor  di' sensi:  e  ben  semita 
Ilo  la  nuova  de'Teucri,  o  ino  ue  culo 
[422-430) 


| 670-694 J        unno  tu.  827 

Più  che  non  credi.  Non  però  no  tomo 
•  :  ri  clic  tu  ne  inneggi;  e  non  m'ha  ni  no 
l  l'unno)  in  tonto  dispregio  o  'u  tale  oblio. 
Mn  tu  dagli  anni  rimbambita  o  scema 
Kntri,  follo,  in  pousior  d'anni  e  di  alati, 
Ch'a  te  non  tocca.  Quel  nh'ò>tuo  mesi  toro, 
Governa  i  templi,  attèndi  ai  aimolocri, 
K  di  pace  pensar  lascia  o  di  guerra 
A  chi  di  guerreggiar  la  cura  è  data. 

Furia  a  la  Furia  questo  diro  accrohbe, 
SI  elio  d'ita  avvampando,  ella  il  suo  volto 
]ii|ttuse  e  rincagnossi:  ed  ei  itegli  occhi 
Stupido  ne  rimase,  o  tremò  tutto: 
Con  tanti  serpi*»'  arruffò  l'Krittne, 
Con  tanti  ne  fischiò,  tale  una  Tacci» 
Le  si  scoverse.  Indi  le  bieche  luci 
pi  foco  accesa,  la  viperea  sferza 
(ìli  girò  sopra,  e  si  com'era  immuto 
Per  lo  stupore,  ed  a  piti  dite  inteso, 
Lo  risospinse;  o  i  suoi  dotti  e  i  suoi  scherni 
Cosi  rabbiosamento  improverògli: 

Or  vedrai  ben  so  rimbambita  e  scema 
Sono  entrata  in  pensicr  d'armi  e  di  stati, 
Ch'a  me  non  tocchi;  ose  son  vecchia  e  folle; 
Guardami,  o  riconoscimi;  ch'a  questo 
|I37-454| 


82S  i.'ixeidk.  [R9Ó-7M 

Son  dal  Tartaro  uscita,  e  guorra  e  rnnrM^ 
Meco  no  porto.  E,  ciò  dotto,  avvcntogll  1 
Talo  una  face  e  con  tal  fumo  un  foco. 
l'In'  Te  tenebro  agli  occhi  e  flamine  ni  eoa 

Lo  spavento  del  giovine  fu  tale, 
Cho  rotto  il  sonno,  di  sudor  bagnato 
Si  trovò  per  angoscia  il  corpo  tutto: 
E  stordito  sorgendo,  arme  d'intorno 
Cercossi,  armi  gridò,  d'ira  s'accese. 
D'empio  disio,  di  scolorata  insania 
Di  scompigli  e  di  guerra:  in  quella  guisa 
Cho  con  alto  bollor  risuona  e  gonfia 
Un  gran  cablar,  quand'  ha  di  verghe  a'fiane 
Chi  gli  ministra  ognor  foco  maggioro, 
Quando  l'onda  più  ferve,  o  gorgogliando 
Più  rompo,  più  si  volvo  e  spuma  e  versa, 
E  '1  suo  negro  vapore  a  l'aura  essala:  i 
Cosi  Turno  commosso  a  inuovor  gli  albi 
Si  volgo  incontinente;  e  de'stioi  primi, 
Altri  al  re  manda  con  la  rotta  pace. 
Ad  altri  l'apparecchio  inipon  de  l'armo, 
Onde  Italia  difenda,  onde  i  Troiani 
Sian  d'Italia  cacciati:  ed  ci  si  vanta 
Contra  de'Toucri  e  contra  de' Latini 
Aver  forze  a  bastanza.  E  ciò  commesso, 
1454-471] 


(720-744)  libro  Tit.  329 
E  ne'suoi  roti  i  jnoi  numi  invocati, 

I  Kutuli  infra  loro  a  gara  armando 
S'ossortavnn  l'un  l'altro;  o  tutti  insiemo 
Kran  tratti  da  lui,  chi  por  lui  stosso 
(Che  giovin  era  amabile  e  gontilo). 

Chi  per  la  nobiltà  de' suoi  maggiori, 
E  chi  per  la  virtute,  e  per  le  pmove 
Di  lui  risto  altre  Tolte  in  altro  guerre. 

Mcntro  cosi  de' suoi  Torno  dispone 
Gli  animi  e  l'armi,  in  altra  parte  Alctto 
Sin  vola  a'Teueri,  e  con  naov'nrto  appusU 
In  su  la  riva  un  loco,  ore  in  campagna 
Correndo  e  'nsidtando,  il  bello  luto 
Scguia  le  foro  fuggitire  in  caccia. 
Qui  di  sùbita  rabbia  i  cani  accese 
La  virgo  di  Cocito.  e  por  la  traccia 
Gli  mise  tutti;  onde  scoprirò  un  corro 
Cho  fu  poi  di  tumulto,  di  rottura 
pi  guerra,  e  d'ogni  nini  prima  cagione. 

Quosto  era  un  cerro  mnusueto  e  rngo. 
Già  grande  e  di  gran  coma,  che  divelto 
])a  la  sua  madro,  era  noi  gregge  addotto 
Di  Tino  e  de'suoi  figli:  ed  era  Tirro 

II  custode  maggior  do' regi  armenti 
E  de'  regi  poderi  ;  od  egli  stesso 

[471-480] 


830  t'nrniD».       [745- 7<W 

L'nvea  midrito  o  l'alto  umile  e  mnnse,  % 
Silvia,  una  giovinola  sua  figliuola, 
L'avea  por  suo  trastullo:  o  con  gran  OHM 
Di  fior  l' inghirlandava,  il  pettinava, 
Lo  lavava  sovente.  Era  a  la  mensa 
A  lor  d'intorno;  e  da  lor  tutti  amava. 
Esser  pasciuto  e  vezzeggiato  e  tocco. 
Errava  per  le  selve  a  suo  diletto, 
E  da  sè  stesso  poi  la  sera  a  casa, 
Como  a  proprio  covil,  se  ne  tornava. 
Quel  di  per  avventura  di  lontano 
Lungo  il  fiume  venia -tra  l'ombic  o  l'o» 
Da  la  seto  schermendoti  e  dal  enido, 
Quando  d'Ascanio  l' arrabbiate  cagno 
Gli  s'avvontaro,  ed  esso  a  farsi  iuteso 
D'un  tale  onoro  o  di  tal  preda  acquisto, 
Diede  a  l'arco  di  piglio,  e  saettollo. 
La  Furia  sfossa  gli  drizzò  la  mano, 
E  spinse  il  dardo  s\  oh' a  pieno  il  colse 
No  Puu  do' «anelli,  e  pcuctrógli  a  l'opa^ 
Ferito,  insanguinato,  e  con  lo  strale 
Il  mescliinello  no  lo  coste  infisso, 
Al  consueto  albergo  entro  ai  pro&apjj 
Mugghiando  e  lamentando  si  ritrasse; 
Ch'uu  lamentarsi,  un  dimandar  aita 
[ 187-50! | 


1770-794]         libro  VII.  331 

D'uomo  in  guisa  più  tolto  che  di  fera. 
Krnno  i  mugghi  ondo  la  casa  empiei. 
Silvia  lo  vide  iu  prima,  e  cui  suo  pianto, 
Col  batter  de  lo  mani,  o  con  le  stiiila 
Mosso  i  villani  a  far  turbo  o  tumulto. 
Sta  questa  posto  por  le  macchio  ascosa. 
Ili  topi  in  guisa,  a  razzolar  la  terra 
In  ogni  tempo,  s)  elio  d'ogni  lato 
V uscirò»  d'improvviso;  altri  con  pali 
E  con  forche  e  cou  bronchi  aguzzi  al  foco; 
Altri  con  mazze  uodorose  e  gravi, 
E  tutti  con  quell'armi  eh' a  ciascuno 
Feri  r  l'ira  e  la  fretta.  Era  per  sorto 
l'irro  in  quel  punto  ad  una  querciu  intorno, 
E  per  forza  di  cogni  o  di  bipenne 
Jj'avea  tronca o  squarciata:  onde  affannoso, 
Di  gudiir  piono,  fieraincuto  ansando 
Con  la  stessa  ch'arca  securc  in  mano 
Orse  a  le  grida,  e  le  masnade  accolse 
L' infornili  Dea.  eh' a  la  veletta  stava 
Di  tutto  elio  seguia,  veduto  il  tcuipo 
Acconimodato  al  suo  pcnsier  malvagio, 
Tosto  nel  maggior  colmo  se  ne  salso 
De  la  capanna,  e  con  uu  corno  a  bocca 
Sonò  ile  l'unni  il  pastorale  acconto. 
[502-5 13) 


832  1,'F.xriDK.  [Tfló-8191 

I,n  spaventosa  voco  elio  n'usefo 


Dal  Tartaro  spiccossi.  E  pria  le  solve 

No  tremar  tutte;  indi  di  mano  in  mano  ' 

Si  Nemo  udilla  e  di  Diana  il  lago, 

Udilla  de  la  Nera  il  bianco  fiume, 

E  di  Velino  1  fonti,  e  tal  l'udirò, 

Che  no  stringer  lo  madri  i  figli  in  sena.  1 

A  quella  voce,  e  verso  quella  parte 
Onde  sentissi,  i  contadini  armati. 
Comunque  ebbor  tra  via  d'armi  rincontro, 
Subitamente  insieme  s'adunaro. 
Da  l'altro  lato  i  giovani  Troiani 
Al  soccorso  d'Ascanio  in  campo  uscirò, 
SpiegAr  lo  schiero,  miserai  in  battaglia, 
Vennéro  a  l'armi;  si  che  non  più  zuffa 
Sembrava  di  villani,  e  non  più  pali 
Avean  per  armi,  ma  forbiti  ferri 
Serrati  insieme,  che  dal  sol  percossi, 
Per  le  campagne  e  fin  sotto  a  lo  nubi 
No  mandavano  i  lampi;  in  quella  guisa 
Che  Movo  al  primo  vi  nto  il  m:ir  s' iiu-rospi, 
Poscia  biancheggia,  ondeggia  o  g.  ni  fin  fi  anjt 
E  cresce  in  tanto,  che  da  l' imo  fondo 
Sorge  fino  a  lo  stelle.  Aimone,  il  primo 
Figlio  di  Tino,  primamente  cadde 
[514-533] 


^20-844]        unno  TU.  333 
ii  quosta  pugna.  Ebbe  di  strale  un  colpo 
n  su  la  strozza,  che  la  ria  col  sangue 
ili  chiuso  e  de  la  voce  e  de  la  vita, 
'.iddero  intorno  a  lui  mulCaltri  corpi 
li  bona  gente.  Cadde  tra'  migliori, 
llentre  l'armi  detesta,  e  por  la  paco 
ir  con  questi  or  con  quelli  si  travaglia, 
lalòso  il  vecchio,  il  più  giusto  e  'I  più  ricco 
[lo  la  contrada.  Ciuque  gretti  area 
L'oti  cinque  armonti;  e  con  ben  conto  aratri 
Coltivava  e  pascca  l'ausonia  terra. 

Mentre  cosi  no'  campi  si  batto 

fan  ogn»!  Marte,  Metto  gii  compita 
j,a  sua  promessa,  poi  eh' a  l' armi. ni  sangue 
jjd  n  lo  stragi  era  la  guerra  addotta, 
l'scl  del  Lazio,  e  baldanzosa  a  l'aura 
verossi.  ed  a  Giunon  superbi  disse: 
Jccoti  l'armo  e  la  discordia  in  campo, 
j  1»  guerra  già  rotta.  Or  di'  ch'amici, 
n|'  che  confederati,  e  che  parenti 
gj  sieno  ornai,  poichò  d'ausonio  sangue 
gii  sono  i  Teucri  aspersi.  Io,  se  più  vuoi, 
pia  farò.  Di  rumori  e  di  sospetti 
Empierò  questi  popoli  vicini; 
Qonuurrógli  in  aiuto;  andrò  per  tutto 
L533-51UJ 


83»  l'eskimi.  |S4ó-86^i 

Destando  amord!  guerra:  nndr*  spargeir" 
Per  le  campagno  orror,  furore  cil  armi. 

Assai,  (ìiiino  rispose,  hai  «li  Errore 
E  ili  frode  commesso:  ha  già  la  guerra 
Le  suo  cagioni:  hanno  (comunque  in  p- 
La  sorte  le  si  regga)  ambo  le  parti 
Le  genti  in  campo.el'armiinmann.crft 
Son  già  di  sangue  tinte,  e  'I  sangue  è  frot; 
Or  quostc  sponsalizio  e  queste  nozze 
Comincino  a  godersi  il  re  Latino, 
E  questo  di  Ciprigna  egregio  figlio. 
Tu,  porche  non  consontc  il  padre  etorno* 
Ch'in  questa  otcrea  luco  o  aopra  terra 
Cosi  licenziosa  to  no  vada. 
Torna  a'tuoi  chiostri  :  ed  io. s'altro  in  ciò 
Da  finir,  finirò.  Ciò  disse  a  pena 
La  figlia  di  Saturno,  che  d' Aletto 
Fischiar  le  serpi,  e  dispieghisi  l'ali 
In  vòr  Cocito.  È  do  l'Italia  in  mozzo 
E  do' suoi  monti  una  famosa  vallo. 
Che  d' Amsanto  si  dico.  Ha  quinci  o  qo 
Oscuro  solvo,  e  tra  le  selve  un  duino 
Che  per  gran  sassi  rumoreggia  e  cado, 
E  si  rode  lo  ripo  o  lo  scoscendo, 
Clio  fa  spolonca  orribile  o  vorago,  •( 
ló&O- 5G8J 


-S70-894]        libro  tu.  335 
ndc  spire  Acheronte  c  Pite  essai», 
ii  questa  bue»  l'odiano  mime 
i.'  la  crudele  e  sjiavcntonJprlnno 
littossi,  e  dismorbò  l'aura  di  «opra. 

Non  però  Giono  di  condor  la  guerra 
;;mansl  iutauto.  ed  oceo  dal  conflitto 
fenir  ne  la  città  la  rozza  turba  • 
i,  'contadini,  e  riportare  i  corpi 
[lil  giovinetto  Aimone  e  AiCtltto, 
;0si  com'oran  sanguìnjsi  e  sozzi. 
Sii  mostrano,  ne  gridano,  n'implorano 
psgli  Poi.  d»  Latino  e  da  la  genti 
testimonio,  pietA,  sdegno  e  vondetta. 
■ivi  Turno  presente,  che  con  essi 
Tumultuando  esclama,  o  '1  fatto  agsrava, 
j  detesta  o  rimprovera  e  spaventa. 
Questi,  questi,  dicendo,  aon  chiamati 
A  regnar  ne  l'Ausonia:  ai  Frigi,  ai  Frigi 
pi  Latino  il  suo  sangue,  e  Turno  esclude. 

Sopravvengono  intanto  i  furiosi. 
Che,  con  le  donne  attonito  scorrendo, 
Gian  con  Amata  por  lo  solvo  In  tresca: 
Chò  grando  era  d' Amata  in  tutto  il  regno 
1»  stima  0  '1  nome;  e  d'ogni  parte  accolti 
Tutti  contra  gli  annunzi,  coutra  i  Kati 
1560-5841 


3.16  i/kxkiue.  tsy;.-9n| 

L'armi  chiedendo  e  la  non  giusta  guerra, 
Van  di  latino  a  la  magione  intorno. 

Egli  di  rupe  in  guisa  immoto  stasai, 
Di  rupe  che,  nel  mar  fondata  o  salda 
Ne  per  venti  si  crolla,  né  por  ondo 
Clio  le  fremano  intorno,  e  gli  suoi  scogli 
Son  di  spuma  covorti  c  d'alga  invano. 
Ma  poiché  suporar  nou  puott-  il  cieco 
Lor  malvagio  consiglio,  e  che  lo  coso 
Givan  di  Turno  e  di  Giunone  a  vóto. 
Molto  pria  con  gli  Poi,  con  lo  van' aura 
Si  protestò;  poscia.  Dal  fato,  disso, 
Son  vinto,  0  la  tempesta  mi  trasporta. 
Ma  voi  per  questo  sacrilegio  vostro 
li  (lo  no  pagherete.  E  tu  fra  gli  altri. 
Turno,  tu  pria  n'avrai  supplizio  e  morte; 
E  preci  e  voti  a  tempo  no  farai, 
Ch'a  tempo  non  saranno.  Io,  quanto  a 
Già  de' mici  giorni  e  de  la  mia  quieto 
Son  quasi  in  porto:  o  da  voi  sol  m'è  tol 
Morir  felicemente.  E  qui  si  tacque, 
E  '1  governo  depose,  e  ritirossi. 

Era  in  Lazio  un  costume,  che  venuto 
E  poi  di  mano  in  man  di  Lazio  in  Alba, 
E  d' Alba  in  Roma,  eh"  or  del  mondo  è  CA 
IÓ84-60U] 


[020-9141         i.]mto  vii.  337 
Clic  nel  mnoTor  de  l'armi  ni  Ueti,  afri'  Indi, 
Agli  Arabi,  ngl'Ireani,  n  qunl  sin  franto 
(Ch'elle  siati  masse,  si  coui'orit  a' Parti 
l'or  rlcovrar  le  nini  perduto  insegne, 
S'npron  le  pqrto  do  In  guerra  in  primn. 

Queste  son  due.  che  iier  la  riverenza, 
l'or  la  religione  e  por  In  téma 
Poi  fiere  Mnrtc.  orribili  o  tremende  . 
S,iiio  alle  genti:  o  con  ben  cento  sbarro 
Ili  rovere,  di  ferro  e  di  metallo 
St  \n  sempre  chiusore  lorcustodoèOinno. 
jlii  quando  por  consiglio  e  per  decreto. 
De' Padri  si  determina  e  s'appruova 
Clu.'  si  guerreggi.  Il  consolo  egli  stesso. 
Si  mino  è  l'uso,  in  abito  e  con  pompa 
C'hn  dn'Gabini  origine  e  da' regi. 
Solennemente  le  disferra  e  l'apre: 
Ed  egli  stosso,  al  suon  de  le  catone 
£  de  In  ruginosa  orrida  soglia, 
La  guerra  intuona:  guerra,  dopo  Ini 
Grida  la  gioventù:  guorra  o  battaglia 
Suolimi  lo  trombe;  ed  ò  la  guerra  inditta. 

In  questa  guisa  ora  Latino  astratto 
D'annunztarla  ai  Teucri;  a  lui  quest'atto 
D'aprir  le  triste  e  spaventoso  porto 

Caro. -22.  [604-0171 


838  L*  KXE1DH.  [0I5-989B 

Si  dorea  come  a  rcgc.  Ma  '1  buon  padre,  S 
Schivo  di  si  nefando  ministoro, 
S'asteuno  di  toccarlo,  c  gli  occhi  indietro 
Volse  per  non  roderlo,  o  si  nascose. 

Ma  por  torre  ogni  indugio,  un'altra  volt* 
Ella  stossa  Regina  de' Celesti 
Dal  ciel  discese,  e  di  sua  propria  mano 
rinso,  disganghorò,  rnppo  e  sconfisse 
De  lo  sbarrato  porto  ogni  ritegno, 
SI  che  l'aperse.  Allor  l'Ausonia  tutta, 
Ch'ora  dianzi  pacifica  e  qulota. 
S'acceso  In  ogni  parte.  E  qua  pedoni. 
Là  cavalieri;  a  la  campagna  ognuno, 
Ognuno  a  l'armo,  a  maneggiar  desti  ioli, 
A  fornirsi  di  scudi,  a  provar  elmi, 
A  far,  chi  con  la  cote,  e  chi  con  l'unto, 
Ciascuno  i  ferri  suoi  lucidi  o  tersi. 
Altri  s'addestra  a  sventolili-  l'insegne, 
Altri  a  spiegar  lo  schiere,  e  con  dilotto 
S'ode  annitrir  cavalli  o  sonar  tubo. 

Cinque  grosse  citta  con  mille  inculi 
A  fabricare,  a  risarcir  si  danno 
D'ogni  sorto  armi.  La  possente  Atina, 
Ardèa  l'antica,  Tivoli  il  superbo, 
E  Crustumeiio,  e  la  torrita  Antenna. 
IG17-C31J 


(070-804)        libro  ni.  889 
Qui  si  Tede  cavar  olmi  e  colato; 
Jj\  torcere  o  covrir  targhe  e  pavosi; 
lYr  tutto  riforbire,  aOzzar  ferri, 
Annestar  maglie,  rint»r*ar  corano, 
K  per  fregiar  più  nobili  anuatnro. 
Tirar  lamé  d'acciaio,  fila  d'argento, 
c/ni  bosco  fa  lance,  ógni  fucina 
Jiisfà  vomeri  e  marre,  e  spiedi  o  spade 
Si  !  'i  man  dai  bidenti  e  da  lo  falci. 
Suonali  le  trombo,  (lassi  il  contrassegno,  ' 
di  illusi  a  l'armi:  a  chi  cavalli  accoppia, 
K  chi  prende  elmo,  e  chi  picca,  e  chi  scudo 
Questi  ha  la  piastra,  o  quei  la  maglin  indosso 
E  la  sua  fida  spada  ognuno  a  cauto. 

Or  m'aprito  Elicona,  e  di  consorto 
Meco  il  canto  moveto,  alme  sorello, 
A  dir  qua!  regi  o  qua!  genti  e  qual'  armi 
Militassero  allora,  e  di  cho  forze, 
E  di  quanto  valoro  era  in  quei  tempi 
I_i  milizia  d'Italia.  A  voi  con  violisi 
Di  raccontarlo,  n  cui  conto  o  ricoido 
De  le  cose  e  do' tempi  ò  dato  ctonio: 
A  noi  per  tanti  secoli  ilmasa 
y  .'■  di  picciolo  fama  un'aura  a  pena. 

Il  primo,  elio  lo  genti  a  questa  guerra 
[632-C17J 


340  l'  ES'KIDf .  [90".-ini( 

Toncsso  in  cnnipo.  fu  Mozcnzio,  il  fiero  I 
Poi  ciò)  dispregiatore  e  degli  Dei. 
D' Etrui  la  ora  «ignora,  o  di  Tirreni 
Condncea  molto  squadro.  Aron  suo  figlio! 
I.auso  con  esso,  un  giovino  11  più  bello. 
Da  Turno  in  fuori,  cito  l'Ausonia  avesse. 
Gran  cavalloro,  egregio  cacciatore-" 
Fino  allor  si  mostrava;  e  mille  armati 
Avoa  la  schiera  sua,  elio  seco  uscita 
Fuor  d'Agillina,  ne  l'esslglio  ancora 
Indarno  lo  segnia;  degno  die  fosso 
No  r imporlo  del  padre.  A  questi  dopo 
Seguo  Aventino,  de  l'invitto  Alcldo 
Leggiadro  figlio.  Questi  col  suo  carro 
Di  palme  adorno,  o  «'vittoriosi 
Suoi  corridori  in  campo  npprescntossl. 
Avea  nel  suo  cimiero  u  nel  sin  scudo, 
In  memoria  del  padre,  un'idra  cinta 
Da  cento  serpi.  D'Ercole  e  di  Rea 
Sacerdotessa  ascosamente  nato 
Nel  bosco  d'Aventino  era  costui; 
Che-  con  la  madre  H  poderoso  iddio 
Quivi  si  mescolo  quando  di  Spagna, 
Da  Gerirono  estinto,  ai  campi  venne 
Di  Lullrento,  e  nel  Tirreno  fiume 
[G47-t>uaj 


[1020-10-14]     libro  vu.  841 

Lavò  d'Ibero  II  conquistato  Brillanto. 

y.rnn  di  mazzafrusti,  di  spuntoni, 

1    .liiavniino.  e  ili  satolli  spiedi 

A  linaio  lo  suo  schiero.  Ed  egli,  a  piedi, 

D'un  cuoio  di  loon  velluto  od  irto 

\Y.tin  gli  omeri  e  "I  dorso,  o  dui  suo  ceffo, 

Clio  quasi  digrignando  ignudi  e  bianchi 

Al  strava  i  denti  e  l'ima  e  l'altra  got». 

Si  coprio  '1  capo.  E  con  tal  fiera  mostra, 

,  Krcolo  in  guisa^  a  corto  si  condusse. 

Vennero  appresso  i  .In.  fratelli  argivi 
f afillo  o  Coro,  o  di  Tiburte  il  terzo 
Guidar  lo  gonfi,  elio  da  lui  nomato 
Fur  tilinrtine.  Dai  lor  colli  entranti)! 
Calando  avanti  a  l'ordinate  schiere, 
Duo  contanri  sembravano  a  vedergli, 
Che  giù  correndo  da' nevosi  gioghi 
D'Ómolo  o  d'Otri,  risonando  fansi 
Dar  la  via  da' virgulti  o  da  lo  selvo. 

Còcolo,  di  Prenesto  il  fondatore, 
Comparvo  anch' egli:  un  ro  che  da  bambini) 
Fu  tra  l'agrostl  bolvo  appo  d'un  foco 
Trovato  esposto;  onde  di  foco  nato 
Si  credè  po«cia,  o  di  Vnlcauo  figlio. 
Area  costui  di  rustici  d'intorno 
I6G3-6811 


U-ì  L'KXF.inr.  fl04r)10(Wj 

Unn  gran  compagnia,  eli' ermi  de  l'alt»  V 
Prenesto.  de' sassosi  ùmici  monti. 
Do  la  Gnbitia  Ghino  c  d'Amano, 
K  il'  Amasèno  o  de  la  ricca  Aliatili 
Aliitnnti  c*  cultori:  e  corno  gli  altri. 
Non  orano  in  su'carri.o  d'asto  armati 
0  di  scudi  coverti.  Una  gran  natte 
Ermi  frombolatori,  o  spargean  gliimido 
Hi  grave  piombo,  o  parto  avena  due  da 
Ne  la  sinistra,  e  cappelletti  in  testa 
D'orridi  lupi:  il  manco  più  discalzo, 
Il  destro  o  d'uosa  o  di  corteccia  involto, 

Mcssi'ipo  venne  poscia,  de' cavalli 
Il  domature  e  di  Nettuno  il  Aglio, 
Contro  al  ferro  fatato  e  contro  al  foco. 
Questi  subitamente  armando  spinso 
Lo  genti  sue  per  lunga  pace  imbelli; 
Deviò  dallo  nnzzo  i  Fescennini, 
Da  lo  leggi  i  Fulisci  :  armò  Soratto, 
Armò  Flnvinio,  e  tutti  elio  dintorno 
Ha  di  Ciminl  e  In  montagna  o  '1  lago,  ■ 
E  di  Capèna  i  boschi.  Ivan  del  pari 
In  ordinanza,  e  del  suo  ro  cantando; 
Come  soglhm  talor  da  la  pastura 
Tornarsi  in  vòr  lo  rivo  ni  ciel  sorcno  , 
|CS 1-700] 


[1<170-1094]     libro  tu.  3,i 
1  Manchi  cigni,  e  lo  disteso  gola 
liisnodnr  gorgheggiando,  c  far  ili  tutti 
'pilo  una  nicludia,  che  di  Caistro 
>'o  snona  il  flume  o  d' Atta  la  palude. 

pur  un  si  movea  di  tanta  schiera 
pa  la  sua  fila,  in  oiè  ig  stuol  sembrando 
po'  rochi  augelli  allor  che  di  passaggio 
Vicn  d'alto  mare,  o  corno  intera  nubo 
A  terra  unitamente  se  ne  cala. 

Ecco  di  poi  venir  Olauso  il  sabino, 
pi  quel  Tero  sabini»  antico  sanguo: 
Ch'avoa  gran  gente,  «la  sua  gente  tntU 
pareggiava  sol  egli.  Il  nomo  suo 
Ecco  Claudia  nòmaro  e  la  famiglia 
E  la  tribù  romana  allor  che  Koina 
picssi  a' Sabini  in  parte.  Kra  con  Ini 
La  schiora  d'Amitorno  o  dc'Quiriti 
Vi  quegli  antichi.  Eravi  il  popnl  tutta 
p'Erito,  di  Mutisca.  di  Nomento 
E  di  Volino,  e  quei  cho  da  l'nlpostra 
Tetrica,  da  Sevèro,  da  Caspòria, 
pa  Forali  o  d'Imolla  orau  vomiti: 
Quei  che  bovcan  del  Fibari  e  dol  Tcbro; 
Cho  da  la  fredda  Norcia  eran  mandati; 
Le  squadre  degli  Ortini,  il  Lazio  tutto, 
I700-71G1 


84+  l'kxkipr.  •[1095-Hì 

E  tutti  all'ili  elio  in  i  calarsi  al  mure 
Bugna  d'ambo  lo  sponde  Alila  iufolic*.  i 
Tanti  flutti  jioii  fa  di  Libia  il  golfo 
Qiinnilo  cado  Oiton  ne  Pende,  il  verno; 
Kò  tanto  spiclic  limino  dal  sole  aduste,  I 
La  state,  o  d'Ermo  o  de  la  Licia  i  camp 
Quante  cran  genti.  Arme  sonare  e  scudi 
S'udian  per  tutto,  e  tutta  al  suoli  ile'pi 
Trepidar  si  vedoa  1*  Ausonia  terra, 

Quindi  no  vion  l' Agaiiiennoiiio  auriga 
Aleso,  del  troiai]  uomo  nimico; 
Che  di  mille  feroci  nazioni, 
In  aita  di  Turno,  un  gran  miscuglio 
Dietro  al  suo  carro  avea  di  montanari. 
Parte  de' pampinosi  a  Bacco  amici 
Màssici  colli,  o  parte  degli  Aaron  ci 
De'Sidicini  liti,  di  Volturno, 
Di  Calo,  do'SaticoIi  o  degli  Osci. 
Questi  per  arme  uveali  mazzo  o  Innclj 
Irti  di  molte  punte,  o  di  soatto 
Scudisci  al  braccio,  onde  erano  i  lor  co 
Traendo  e  ritraendo,  in  molti  modi 
Continuati  o  doppi.  E  pur  con  essi 
Avcano  o  por  ferire  o  per  coprirsi 
Targhe  no  la  sinistra,  e  storto  al  fian 
[717-73JJ 


[ll-O-UjM]      LIBRO  VII.  .  845 

Nò  tu  senza  il  tuo  nome  a  questa  ini  pi  eòo, 
fclialo.  te  n'andrai  dal  gran  Telone 
1    ■  la  bella  ninfa  di  Sobeto 
figlio  onorato.  DI  costjbi  dico 
Che,  non  coutonto  del  paterno  regno. 
Capii  al  Toccbio  lasciando  c  ?  Tele-boi, 
Fe  d'ostorni  pai-ai  ampio  conquisto, 
£  fu  re  dc'Sarrasti  e  de  lo  senti 
Che  Sarno  irriga.  Insignorissi  appresso 
yii_It.it ulo,  di  Kufia,  di  Cotenne 
j;  de'cnmpi  fruttiferi  d"  Avella. 
Mezze  picche  nvean  questi  a  la  tedesca 
Per  avventarlo,  e  por  colate  in  capo 
Surcri  scortecciati,  o  di  motallo 
Brocchieri  a  la  sinistra,  «  stocchi  a  lato. 

Calò  di  Nursa  e  de' suoi  monti  alpestri 
.fonte,  un  condottiur  ch'era  iu  quei  tempi 
pi  molta  faina  a  fortunato  in  armo. 
Kquicoli  avea  soco,  la  più  parto, 
Orrida  gente,  por  lo  selve  avvezza 
Cacciar  lo  fero,  adoperar  la  marra, 
Arar  non  l'armi  in  dosso,  e  tulli  insieme 
Vivor  di  cacciagioni  e  di  rnpiuo. 

De  la  gente  marrubi»  un  sacordnto 
Yonnc  fra  gli  altri:  sacerdote  iusieuio 
1783- 750 J 


316  i.' «rama.       Il  -Ufio,] 

K  capitan  di  gontc  nrdito  0  forte, 
l'mbrone  ora  il  suo  uomo;  Arcliippo  il  rojj 
Che.  lo  mandava.  Di  folico  oliva 
Avea  il  cimiero  e  l'olmo  intorno  avroltifl 
Kra  gran  ciurmatore,  c  con  gl'incanti  i 
E  col  tetto  ogni  sprpe  addormentava:  | 
Dcgl'idri.  de  lo  vipere,  0  digli  aspi 
Placava  l'ira,  raddolciva  il  tosco, 
E  risanava  i  morsi.  E  non  por  tanto 
Potè,  nò  con  incanti  nò  con  orbo 
De'marsi  monti,  risanalo  il  colpo 
Do  la  dardania  spada:  onde  il  mesi: 
Ne  fu  da  lo  foresto  do  l' Angizia, 
Dal  cristallino  Fucino  e  dagli  altri 
Laghi  d'intorno  disiato  e  pianto. 

Mandò  In  madre  Aricin  a  questa  gnorri 
Virbio,  del  casto  Ippolito  un  figliuolo, 
Gentile  c  bollo:  e  da  le  selve  il  ti  asso 
D'Egòria,  ovo  d' Imito  in  su  la  riva 
Piìi  cólta  e  più  placabilo  ò  DTana; 
Chi,  per  fama,  d'Ippolito  si  dice, 
Poscia  elio  fu  per  froda  0  per  disdegno 
Do  l'iniqua  madrigna  al  padre  in  iia, 
E  che  gli  spaventati  suoi  cavalli 
Strazio  e  scoinpio  no  fóro,  egli  di  nuovo, 
[751-7G7] 


[1170-11941     libro  vii.  347 

Per  virtù  d'orbe  e  per  pioti  elio  n'ebbe 

casta  Don.  fu  rlvocnto  in  vita. 
Sib'irnossi  il  padre  eterno  eh' un  mortale 
y,  -se  a  morto  ritolto;  e  l'inveutoio 
pi  cotal  arte,  che  d'Apollo  nacque, 
Fulminando  mandò  noVcgni  bui. 
Ippolito  da  Trìvia  in  parte  occulta, 
Scevro  da  tntti,  a  cura  Tu  mnndato 
1 1  i     i  i:i  ninfa,  o  ne  la  selva  ascoso, 
là  'vo  solingo,  e  col  cangiato  nomo 
Pi  Virbio,  sconosciuto  i  giorni  mena 
p'un' altra  vita.  E  quinci  &  che  dal  tempio 
E  da  lo  solvo  a  Trjvia  consociato 
I  cavalli  han  divieto:  chè,  lor  colpa, 
fu  '1  suo  carro  e  'I  suo  corpo  al  mai  in  mostro, 
g  poscia  a  morte  indegnamente  esposto, 
n  figlio-  cn8  Pur  Virbio  ora  nomato, 
}{on  mon  di  Ini  feroco,  i  suoi  destriori 
Esercitava. ,.  'n  su  '1  paterno  carro 
Arditnmonto  a  questa  guerra  uscio. 
ì    Turno  infra'  primi,  di  persona  e  d' anni 
Riguardi-volo  e  fioro,  o  sopra  tutti 
Con  tutto  'I  capo,  in  campo  approscntossi. 
Un  elmo  avea  con  tre  cimieri  in  tosta 
E  torti  una  Chimoni,  che  con  tanto 
[7G8-786] 


348  l'knfide.  [1J93-18 

Bocche  foco  anelava,  quante  a  pena 
Non  nprio  Mongibolln;  e  con  più  fremii 
Sparge*  le  flamine,  come  più  crudelo 
Km  la  zuffa,  e  piii.di  sangue  nvon. 
Lo  scudo  eia  ù"  acciaio,  e  d'oro  intorno 
Tutto  commesso,  e  d'or  nel  mez/.n  un" 
Era  scolpita,  cho  già  '1  manto  o  'I  cctW 
Lo  setolo  e  lo  conia  avea  di  bue; 
Mcntorobil  soggetto!  Erari  appresso 
Argo  elio  lo  guardava;  oravi  il  padre 
fuoco,  elio  cliiomandola.  versava. 
Non  inen  dogli  occhi  elicilo  l'urna, un 
Dopo  Turno  vouia  di  fanti  un  noni!:" 
Un'ordinanza,  una  campagna  piena. 
Tutta  di  scudi.  Eran  lo  genti  suo 
Argivi,  Aurunci.  Botali,  Sicani 
E  Sacrinl  o  Labici.  che  dipinti 
Tortan  gli  scudi.  Avea  del  Tiborin 
Avea  del  sacro  lito  di  Nuiuico 
I  do'  ruttili  colli  o  del  Circeo. 
D'Ansino  a  Giove  sacro,  di  FeronUW 
Dilottn  a  Giono,  do  lo  paludosa 
Sàtura,  o  dol  gelato  e  scemo  Ufcnto 
Gran  turba  di  villani  e  d'aratori. 
L'ultima  a  la  rass.gna  vion  Cannila 
[786-803J 


1 1020-12-11  ]     unno  vii.  5140 
Ch'era  «li  votaci  genia  min  donzella. 
£nii  ili  conocchia  o  di  ricami  espeita. 
Ma  il'armì  c  ili  cavalli,  a  benchò  virgo, 
pi  '.irnlivri  e  di  caterve  innato 
gran  condotticra,  o  no  lo  guerre  avvezza. 
j5ra  fiera  in  battaglia,  cjiovo  al  corso 
Tanto,  che,  ritinsi  un  volito  sopra  l'orba" 
Correndo,  non  arrobho  anco  dc'fìorl 
Tocco  né  de  l'ariste  II  soiiiino  a  pena; 
jjon  avrolibo  per  l'onde  e  per  gli  flutti 
pel  umilio  mar',  non  t he  lo  pianto  immerse, 
jla  né  pur  tinto.  Per  veder  costei 
Usciali  do' tetti,  empiemi  le  strade  e  I  campi 
le  genti  tutto;  i  gìovini  o  le  donno 
Stavau  con  meraviglia  e  con  diletto 
Mirando  e  vagheggiando  quale  nudava, 
gqiial  sembrava;  come  regiamente 
D'ostro  ornato  avoa'l  tergo,  o'I  capo  d'oro; 
E  con  che  disprezzata  leggiadria 
Portava  un  pastoral  nudano  mirto 
Con  picciol  ferro  in  punta;  e  conchograzia 
Se  no  già  d'arco  o  di  faretrn  armata. 
[803-81 7J 


DELL'  EN-EI DE 


Libro  Ottavo. 

Poscia  clic  ili  Lamento  iu  su  Li  rocev' 
Fo  Turno  inalberar  di  guorra  il  seguo,  | 
K  chi'  guerra  sonili'  le  loclie  trombo, 
Spinti  i  carri  o  i  destrieri,  o  l'armi  scoti 
Di  Marte  al  tempio,  incontinente  i  cuori 
Si  turbar  tutti,  o  tutto  il  Lazio  insieme. 
Con  sùbito  tumulto  si  ristrinse. 
Fremessi,  congiurassi,  rassettassi 
Ognun  ne  ranno.  I  tre  gran  condottieri 
Messapo,  Ufcnte,  o  l'empio  do' celesti 
Disprogiator  Mczcnzin,  uscirò  in  prima. 
Accolsero  i  sussidi  ;  ni  nnìr  gli  agretti;  1 
Spogliar  d'agricoltor  lo  villo  o  i  campi. 

In  Alpi  a  Diomede  si  destina 
Vernilo  imbasciatoro:  o  gli  s'impono 
Cho  soccorso  gli  cbiegga,  e  elio  gli  espongi 
Quanto  ciò  de  l'Italia  e  del  stio  stato 
Torni  a  grand' uopo;  con  ebegeute  Knea, 
Con  qualo  armata  v'ba  giù  posto  il  piede, 
[1-111 


[80  44 1  libro  vm.  851 

K  formo  il  seggio,  e  riutegrato  il  culto 
A' suoi  vinti  Fenati;  come  aspira 
\  questo  regno,  e  come  anco  per  fato, 
■  por  rotnggio  dcl  darilsnio  seme. 
\jd  si  promotto.  Clic  perciò  da  molti 
£  già  seguito,  e  ch'ogni  gioì  no -avanza 
£  di  forze  e  di  nome.  Indi  soggiunga: 
Quel  che  '1  duce  de' Teucri  in  ciò  disegni 
E  elio  miri  e  cho  tenti  (se  fortuna 
Gli  va  seconda)  a  te  via  più  eh' a  Turno 
Esser  può  manifesti*  o  ch'a  Latino. 
Questi  andamenti  o  queste  tramo  allora 
Corrcan  per  Lazio,  o  lo  scaltrito  cruo 
Le  sapea  tutte,  oiMo  in  un  maro  mitrata 
Di  gran  pensieri,  or  la  sua  mento  a  questo, 
Or  a  quel  rivolgendo  in  vario  parti. 
D'agni  cosa  avoa  téma  o  speme  o  cura. 
Cosi  di  chiaro  umor  pieno  un  gran  vaso. 
Dal  sol  percosso,  un  tremulo  splendoro 
Vibra  ondeggiando,  e  rifrangendo  a  volo 
Manda  i  suoi  raggi,  o  Io  pareti  e  i  palchi 
E  l'aura  d'ogn'intomo  empie  di  luce. 

Era  la  natte,  o  già  por  ogni  parte 
Dei  inondo  ogni  animai  d'aria  e  di  tetra 
Altamente  gincea  nel  smino  immerso, 
[12-27J 


8Ó2  I.'  ENEIDE.  [15 

Allor  cho  '1  padre  ETioa,  coal  com'era* 
Dal  ponsior  do  In  guerra  in  ripn  ni  Té 
Gin  stanco  n  travagliato,  addormcnt' 
Ed  ceco  Tiborino,  il  dio  del  loco 
Veder  gli  pnrrc,  un  cho  già  T occhio  al 
Sembrava.  A  vca  di  pioppe  ombra  d' ititi 
Di  sotti!  volo  e  trasparente  indosso 
Ccrulcoammanto. o i  rrini o 'I  fronte ar 
D'ombrosa  canna.  E  de  l'ameno  Homo 
l'Iacidn  useeiid».  a  consolar  lo  preso 
In  cotal  guisa:  Enea,  stirpe  divina, 
Cho  Troia  da'nemici  ne  riporti 
E  la  ravvivi  o  la  conservi  eterna; 
0  da  me,  da' Laurent!  e  da' Latini 
Uia  tanto  tompo  a  tanta  speme  atteso, 
Questa  è  la  casa  tua,  questo  è  «  .•lira, 
mento,  non  t'arrestare,  il  fatai  seggi 
Cho  t'e  promosso.  Lo  minacce  o  '1  ( 
Non  temer  do  la  guerra.  Ogn'odio,  o 
Cessa  già  de'cclosti.  E  perchè  'I  soni 
Credenza  non  ti  scemi,  ecco  a  la  riva 
Sci  già  del  (lume,  u'  sotto  a  l'eleo  ae~ 
Sta  la  candida  troia  con  quel  trenta 
Candidi  Agli  a  le  sue  poppe  intorno. 
Questo  Ha  dunque  11  segnoe'l  tcmpoo'HjH 
[88-40| 


I  (0-M4J  libro  MB.  853 

Ila  formar  la  tua  aedo.  E  questo  ò  '1  lino 
]>.' tuoi  travagli;  oudo  il  tuo  figlio  Ascauio, 
Ji.qio  tront'anni.  H  inouiorabii  voglio 
l'.mdorà  J'AMia.  che  coti  nomata 
fi  a  dal  caudoro  o  dal  fotlco  imbonirò 
Ili  questa  fera.  K  tutto  adempirai»!. 
Ch'io  ti  predico  e  t'è  predetto  avanti. 
Or  brevemente  quel  ch'oprar  couvienti, 
l'er  mcir  glorioso  e  vincitore 
Ili  questa  guerra,  ascolta.  K  di  qui  lungi 
{Cui  molto  Kraudro»un  re  che  de  l'Arcadia 
£  qua  vonnto:  e  sopra  a  quosti  monti 
Ha  degli  Arcadi  suoi  locato  il  seggio. 

II  loco,  da  PallanYo  suo  bisavo, 
È  stato  Pallantóo  da  lui  nomato; 

Ed  essi  perchè  son  nel  Lazio  esterni,- 
Son  nemici  a' Latini  ed  han  con  loro 
Perpetua  guerra.  A  te  fa  di  mestiero 
Con  lor  confederarti,  o  por  compagni 
A  questa  impresa  avergli.  Io  fra  le  ripo 
Ilio  stesse  incontro  a  l'acqua  a  la  magiouo 
jj-  Evandro  agevolmente  condurrotti. 
Destati  do  la  Dea  pregiato  figlio; 
£  come  piia  vedrai  cader  le  stelle, 
l'orgi  suleuucmeute  a  la  gian  Uiuno 
Caro. -23.  |«-60] 


854  l'k.nkìdf.  P5-lflJ 

Preghiere  o  voti  ;  o  su|ip)icnni1o  vinci 
T)o  l'inimica  Dea  l'ira  e  l' orgoglio; 
Ed  a  me.  poi  che  viticitor  sarai. 
Paga  il  dovuto  onore.  Io  sono  il  Tebro  I 
Corco  da  to,  che  qual  tu  vedi,  ondoso 
Rado  questo  mio  rive,  o  fendo  i  campi 
De  la  fertile  Ausonia,  al  cielo  amico 
Sovr'ogni  fiume.  Quel  che  qui  m'ò  dato,  < 
È  '1  mio  seggio  maggioro;  e  fin  elio  poschl 
Sovr'ogni  altra  cittudu  il  capo  estolla. 

Cosi  disse,  e  tufTossi.  Enea  dal  sonno 
Si  scosse;  il  giorno  aprissi,  od  ei  col  sole 
Sorgendo  insieme,  al  suo  nascente  raggio 
Si  volse  umile:  e  con  lo  cavo  palme 
Do  l'onda  si  spruzzò  del  dumo,  e  disse: 
Ninfo  laurenti,  ninfe  ond'  hanno  i  Dumi 
L'umoro  e  '1  corso;  e  tu  con  l'ondo  tue 
Padre  Tebro  sacrato,  al  rostro  Enea 
Dato  ricotto,  o  da' perigli  ornai 
Lo  liberate.  E  io  da  qual  sia  fonte, 
Cho  sgorghi, in  qual  sii  riva,  in  qual  sii  fi 
(Poiché  tanta  di  mo  piota  ti  stringo) 
Sempre  t'onorerò,  sempre  di  doni 
'l'i  sarò  largo.  0  do  l'cspcrid'oudo 
Superbo  regnatore,  amico  e  mito 
L60-78J 


[120-1*4]       i.niRO  rat  855 
Xu  sin  il  tuo  niuiio,  a  1  tuoi  detti  non  vani. 
Cosi  dicendo,  de' suoi  legni  elegge 

I  .lue  migliori,  u  gii  correda  o  gli  arma 
].i  tutto  punto.  Ed  occo  fimproviso 
(jlirabil  mostro!)  do  In  idra  uscita 
l!u.i  candida  scrofa,  col_suo  parto 

Ili  candor  pari,  sopra  l'orba  verde 
£o  la  riva  accosciata  gli  si  mostra. 
Tosto  il  pietoso  Eroe  col  gregge  tutto 
A  l'aitar  la  condusse;  e  poiché  sacra  ■ 
j;  elilie  al  gran  noni»  tuo,  massima  Giuno, 
^  te  l'ucciso.  Il  Tcbro  quella  notte  » 
Quanto  fu  lunga,  di  turbato  o  gonfio 
Ch'egli  era,  si  renai)  trauquillo  e  quieto 
Si,  che  senza  rumore  e  quasi  in  dietro 
Tornando,  conio  stagno  o  come  piena 
Palude  adeguò  l'onde,  e  tolso  a' remi 
Ogni  contesa.  Accelerando  ndunquo 

II  caini"  preso,  i  ben  unti  e  spalmati 
;...r  legni  so  ne  vanno  incontro  al  fiume 
Com'a  seconda;  si  che  l'ondo  stesso 
Stavan  meravigliose  o  i  boschi  intorno, 
Non  soliti  a  veder  l'armi  e  gli  scudi, 

E  i  dipinti  navili,  che  da  lungo 
Facean  novella  e  peregrina  mostra. 
[78  93] 


856  L'EXEibK.  (1I5-1« 

8c  no  tran  notto  o  giorno  remigando  »  i 
Di  tutta  forza,  e  i  soni  o  le  rivolte 
Varcali  ili  ninno  in  mano,  or  a  l' nportojj 
Or  tra  lo  macchie,  occulti,  o  via  vnlnnd 
Sogno  l'ondo  o  le  selre.  Era  il  sol  ginn 
A  meno  il  giorno,  quando  incomincia 
Pa  lunge  a  discovrir  la  ròcca  e  'I  ceri 
E  i  rari  allor  del  povorollo  Evandro 
Umili  alborgbi,  ch'ora  al  cielo  adegua 
La  romana  potenza.  Immantinente 
Volsor  le  prore  a  terra  ed  appresstntd 
Là  'vo  por  avventura  il  ro  quel  giorno 
Solennemente  in  un  sacrato  bosco 
Avanti  a  la  città  stava  onorando 
11  grande  Alcide.  Avea  l'allnnte  seco 
Suo  figlio,  e  del  suo  povoro  senato, 
E  de' suoi  primi  gioviui  un  drappello, 
Clio  d'inconsi,  di  vittimo  e  di  fumo 
DI  calibi  sangue  empiean  l'are  e  gli  altari. 

Tosto  che  di  lontnn  vider  lo  gregge, 
E  per  entro  do' boschi  occulte  e  cheto 
Gir  navi  esterno,  insospettiti  in  prima 
Si  levar  da  lo  mense.  Ma  l'allnnte 
Arditamente,  Non  movete,  disse, 
Seguite  il  sacrilici".  E  tosto  a  l'armi 
194-1111 


[!  70-101]        Muso  viti.  357 
I>:ito  di  piglio,  incontro  a  lor  si  spinsi». 
Oinuto.  gridò  dn  l'argine:  0  compagni, 
(jual  fin  v'adduco,  o  qua]  v'intrica  errore 
IVr  cosi  torta  e  disusata  via? 
Gv' andate?  chi  siete?  onàc  venite? 
Che  no  rocatc  voi?  la  pace,  o  l'anni? 
jjuea  di  sii  la  poppa  un  ramo  alzando 
pi  pacifera  oliva.  Amiri,  disso, 
Vi  siamo,  e  siam  Troiani,  e  Coi  Latini 
Vostri  nimici  inimicizia  avemo. 
Quoti  superhamento  il  nostro  essiglio 
Porsepiitanflo  no  fan  guerra  ed  onta. 
Bicorremo  ad  Kvajidm.  A  lui  porgete 
Da  nostra  parte,  che  do'Tcucri  alcuni 
Son  (|tii  venuti  condottieri  il  itti 
per  sossidi  impetrarne  o  lega  d'arme. 

Stupì  primicran  ente  a  si  gran  nomo 
fallante,  indi  vèr  lui  rivolto  limilo. 
Signor,  qual  cho  tu  sii.  scendi  e  tu  stesso 
Paria,  disse,  al  mio  padro,  e  nosco  alloggia, 
£  lo  preso  per  mano  od  abbracciollo. 
Lasciato  il  fiume  e  ne  la  selva  entrati. 
Enea  dinanzi  al  re  comparve  o  disse: 

Signor,  che  di  bontà  sovr'ogni  Greco, 
E  di  fortuua  sovr'a  me  teu  vai 
[111-127J 


■ 

uto 
Ito. 


85S  i.'  r.sr.iw.  [l')5-21i 

Tanto  che  supplichevole  o  co' rami  •  -a 
Vi  l'elida  avvolti  a  tua  inngion  II»  vengo; 
Io,  porchò  sia  Troiano  e  tu  ili  Troia 
l'er  nazTou  nimico  e  per  lcgnuggio 
Agli  Atriili  cougiunto,  or  non  paveub 
Venirti  avanti,  che  'I  mio  puro  affetto,  j 
Gli  oracoli  divini,  il  sangue  antico 
Pe'ninggior  nostri,  il  tuo  famoso  grido, 
£  'I  falò  e  M  mio  voler  ni'  hau  teco  uniti 
Dardano  de'  Troiani  il  primo  autor» 
Nacque  d'Elettra,  come  i  Ureci  han  do 
E  d'Elottra  fu  padre  il  grando  Aliante, 
Cho  con  gli  omori  suoi  folce  le  stello. 
Vostro  progenitor  Mercurio  fuo, 
Che  nel  gelido  monte  di  Cilleno 
De  la  candida  Maia  al  ui  odo  nacquo; 
£  Maia  ancor,  se  questa  fama  è  vera, 
Vcnno  d'Atlante,  o  da  lo  stesso  Atlanta 
Che  fa  con  lo  suo  spalle  al  ciol  sostegni 
Cosi  d'un  fonte  In  tuo  sangue  o  'I  mio 
Traggon  principio.  E  quinci  e  elio  secar» 
Sema  opra  di  messaggi  e  senza  seritti, 
Pria  ch'io  ti  tenti,  e  pria  che  tu  m'affidi 
Posto  ho  me  stesso  o  la  mia  vita  a  rise' 
E  supplichcvolmeute  a  la  tua  casa 


[ '.>■_'<)- 244 1        unno  Tin.  3>r'9 
N*c  son  venuto.  I  Ruttili  eh'  iufoati 
Sono  anco  n  te.  se  do  l'Italia  fuori 
Caccornn  noi.  già  de  l'Italia  tutta 
1,' imperio  si  pronictton,  e  di  quanto 
!   .-iia  l'un  mare  e  l'altro.  Or  la  tua  fede 
ili  porgi,  e  la  mia  prandi;  ch'ancor  noi 
Siamo  usi  a  guerra,  e  cor  ne'petti  avemo. 

Il  re,  mentre  eh'  Knca  parlando  stolto. 
Il  volto  e  gli  occhi  e  la  persona  tutta 
(ili  andò  squadrando:  e  brevemouto  al  fino 
Cosi  risposo:  Valoroso  oioe, 
Come  lieto  io  t'accolgo,  e  conio  certo 
Batngurar  mi  sembra  il  volto  e  1  gesti 
K  la  favi  lla  di  quel  grande  Anchiso 
Tuo  genitore!  Io  mi  ricordo  quando 
Priamo  por  riveder  la  sua  sorella 
paiono  e  'I  sno  regno,  in  nn  passaggio 
Che  perciò  fo  da  Troia  a  Salamina, 
Toccò  d'Arcadia  i  golidi  confini. 
Do  lo  prime  lanugini  fiorito 
Era  il  mio  monto  a  pena  allor  ch'io  vidi 
Quei  gran  duci  di  Troia,  o  do' Troiani 
Lo  stesso  re.  Con  molto  mio  diletto 
01!  mirai,  gli  ammirai,  notai  di  tutti 
Oli  abiti  o  le  fattezio,  c  sopra  tutti 
[UÓ-162] 


860  •   l'un-kidr.  [245-28 

Leggiadro,  riguardevole  ed  «Itero        '  1 
Sembromnii  Anchise  Un  desiderio  nrdon 
Mi  preso  nllor  d'olTriiini.  <■  d'esser  conti 
A  quel  signore.  Il  riaitai,  gli  pomi 
La  destra,  ospito  il  fci.  nel  uno  l'eneo 
Meco  l'addussi.  Oud'ei  poscia  parteudaj 
Un  arco,  una  faretra  e,  molti  strali 
Ili  Ideili  piesentninnii.  e  d'oro  appresso 
Una  ricca  iutcssiita  sopravesta 
Con  due  freni  indorati  eh' ancor  oggi 
Son  di  l'aliante  mio:  sì  elio  già  forma 
f".  tra  noi  quolla  fede  e  quella  lega 
Ch'or  ne  chiedete.  K  non  li.i  il  sol  diiu.mo 
Dal  balenìi  d'oriente  uscito  n  pena, 
Che  le  mio  genti  e  i  miei  sossidi  aroto. 
Intuii to  a  questa  festa,  elio  solenne 
Facciamo  ogni  anno,  o  tralasciar  non  lece 
(Già  elio  sielo  venuti  amici  nostri). 
Nosco  restato,  o  come  di  compngni 
Quosto  monso  onorato.  Arca  ciò  detto, 
Allor  che  nuovi  cibi  e  nuore  tazzo 
Kipnr  vi  fece,  o  lor  tutti  nel  prato 
A  seder  pose;  o  sopra  tutti  Knea, 
Di  villoso  leou  disteso  un  tergo. 
Seco  ai  suo  desco  ed  al  suo  seggio  accolse. 
1162-1781 


|  -270- 294) 


mbbo  vm. 


881 


l'or  man  de'sat-ordoti  c  do'mlnistii 

liei  sacrificio,  d'arrostite,  carni 

I    '  dui.  lìi  vili  puro,  ili  fo.M.v 

«  ;  i  mi  piatti,  gran  canestri  o  gran  li// 

*s  '  .itulur»  a  ionio;  o  co'tooi  Teucri  tutti 

fnca  Cu  do  le  riscoro  pasciuto 

ivi  satinato  a  Dio  devoto  bue.  - 

Tolte  le  mense,  e  'i  desideri»  estinto 
po  le  vivande,  a  ragiouar  rivolti, 
Evandro  incomincio:  Troiano  amico, 
(jik  sto  conrito  o  questo  sacrili  io 


&.  .   ■  ■  ] .  -  :  1 1 1  .  e  questo  a  tanto  ninno 
Sacrato  altare,  istituiti  o  posti 
Kou  sono  a  caso;  oliò  del  vero  culto 
E  degli  antichi  Dei  notizia  avoino. 
Per  memoria,  per  merito  o  per  voto 
D'un  gran  periglio  sua  mercè  scampnto, 
Sou  questi  onori  a  questo  dio  dovuti. 
Jlira  colà  quella  scoscosa  rupe, 
E  quei  rotti  macigni,  e  di  quol  collo 
Quell'alpestri  mina,  e  quel  deserto. 
Ivi  ora  già  remota  o  dentro  al  monte 
Carata  una  spelonca,  or'unqua  il  sole 
Kou  penetrava.  Abitatore  un  ladro 
K'oia,  Caco  chiamato,  un  mostro  orrendo 


1170  101] 


862  L'iveidb.  [205-a| 

Mezzo  fora  e  mezz'uomo,  c  d' 11111:111  sai» 
Avido  si,  clic  "I  suol  n'avoa  mai  scuipifl 
Tiepido.  Ne  grommatali  lo  pareti. 
Ne  pendevano  i  teschi  intorno  aflisal. 
Di  pallor,  di  sqnallor  luridi  e  marci. 
Volcano  ora  suo  padre;  e  de'suoi  fock 
Per  la  bocca  spirando  atri  vapori, 
Già  d'un  colosso  0  d'una  torro  in  giilj 
Contra  si  diro  mostro,  dopo  molti 
Daunnggi  0  molte  morti,  il  tempo  al  L 
No  diede  e  questo  dio  soccorso  0  scanni 
Egli  di  Spagnn  vincitor  ne  venno 
Iu  questo  parti,  do  lo  spoglie  altero 
Di  Gorlonc.  in  cui  tre  volto  estinsc 
In  tro  corpi  una  vita,  e  ne  condusse 
Tal  qui  d'Inoro  un  copioso  annonto, 
Ch'  avea.  pion  quosto  fluino  e  quest*  va 

Caco  Indrou  feroce  0  furioso, 
D'os»i  misfatto  e  d'ogni  scoleranza 
Ardito  0  frodolente  essocutoro, 
Quattro  tori  involouno  e  quattro  tace— 
Ch'eran  fior  de  l'anm'iit...  K  perchè  l'orai 
Iudlcio  non  ne  dessero,  a  rovescio 
Per  la  coda  gli  trasso;  e  ne  la  grotta 
Gli  condusse,  e  cológli.  Kran  l'impronto 

frjj-2ii| 


[320-344]        libro  nn.  863 
Po'lor  piò  volte  al  camp»,  e  verso  l'antro 
Sop>o  non  si  Tcdqa  eh' a  la  spelonca 
11  cercator  drizzaste.  Atta  gin  molti 
<  i  tomi  d'Aulitrlon  tornito  il  figlio 
Qui  le  suo  mandre,  e  ben  pasciuto  o  grasso 
Era  il  suo  armento;  si  che  nel  paitiie 
'l  utto  questo  foreste  e  questi  colli 
pi  querimonia  o  di  muggiti  euipioro. 
Mugghiò  da  l'altro  canto,  o  'I  vasto  speco 
l>a  lungc  rintonar  fece  una  vacca 
De  lo  rinchiuso:  ondo  schernita  e  vana 
Jìestò  di  Caco  la  custodia  0  'I  furto, 
Ch'udilla  Alcidq,  o  d'ira  e  di  furore 
In  un  subito  acceso,  a  la  sua  mazza. 
Ch'era  di  quercia  nodorosa  o  gravo, 
più  dì  piglio,  o  correndo  al  monto  ascose. 
Quel  di  da' nostri  primamente  Caco 
Temer  fu  visto.  Si  smarri  negli  occhi. 
Si  miso  in  fuga  e  fu  la  fuga  un  volo: 
Tal  gli  aggiunse  un  timor  lo  penne  a' piedi. 

Tosto  elio  no  la  grotta  si  riuchiuse. 
Allentò  lo  catene,  o  di  quel  monte 
Una  gran  falda  a  lu  sua  bopea  oppose; 
Ch'a  la  bocca  do  l'autro  un  sasso  ini  in  .un 
ATea  coli  ferri  e  con  paterni  ordigni 
1212~;S!CJ 


l'  eskipr.  [345-8^M 

Di  cataratta  accommodato  In  guisa 
Con  puntelli  per  entro  e  rtangho  o  sbarf^H 
Ecco  Tirinzio  arriva,  e  conio  è  spinto,  jj 
Da  la  sua  furia,  va  por  tutto  in  volta 
Fremendo,  ora  ni  vestigi,  ora  ai  muggitivi 
Ora  a  l'entrata  de  la  grotta  intento. 
E  portato  da  V  impeto,  tro  volte 
Scorso  de  l' Aventino  ogni  pendice: 
Tre  volto  al  sasso  do  la  soglia  int  imo 
Si  mise  indarno:  o  tre  volto  alTaniiato 
Ritornò  ne  la  valle  a  riposarsi. 

Era  do  la  spelonca  al  dorso  in  cima 
Di  solco  d'ogu' intorno  dirupata 
Un  cocuzzolo  altissimo  od  alpestre-. 
Ch'ai  nidi  d'avvoltoi  e  di  tali  altil 
Augelli  di  rapina  e  di  carogna 
Era  opportuno  albergo.  A  questo  intoni 
Alfln  si  mise:  e  siccoin'cra  al  dumo 
Da  sinistra  inchinato,  egli  a  rincontro 
Lo  spinse  da  la  dostra.  lo  divelae. 
Col  calce  do  la  mazza  a  lova  il  poso, 
E  gli  dio  volta.  A  quel  fracasso  il  ciolo 
Rintonò  tutto,  si  crollar  lo  ripo, 
E'I  fiume  impaurito  si  ritrasso. 

Allor  di  Caco  fu  lo  speco  aporto: 
[227-!UlJ 


[370-894]        libro  rni.  865 
Scoprissi  la  sua  regi  i.  e  le  suo  dontro 
Ombroso  e  formidabili  caverne, 
i  chic  chi  de  la  terra  il  globo  aprisse 
A  viva  forza,  e  de  !' infarti-  il  centro 
pi.seovrissc.ln  un  tempo,  o  clic  di  sopra 
[)c  l'abisso  vedesse  qujille  oscuro 
l>al  ciclo  abbominato  orride  bolge: 
Vedesse  Fiuto  a  l'improviso  lnmo 
lìistai  del  sole  attonito  e  confuso; 
fottìi  Caco  da.  subito  splendore 
Ji'e  la  sua  tomba  alita  rbagliato  e  chiuso 
pigi  ignar  qual  mastino  Ercole  vido; 
K  noli  più  tosto  il  vldo,  che  di  sopra 
gassi,  travi,  tronconi,  ogn'armo  addosso 
Fulminando  aTTentògli.  Ei  cho  uè  fuga 
Arca  né  schermo  al  suo  periglio  alti  ondo, 
X)a  le  suo  fauci  (meraviglia  a  dirlo!) 
Vapori  e  nubi  a  vomitar  si  diedo 
Pi  fumo,  di  caligine  e  di  rampa, 
Tal  che  miste  le  tonobro  col  foco 
Toglican  la  ristaagli  occhi  e'1  lume  a  l'antro. 
Non  però  si  contenuo  il  forto  Alcide, 
Che  d'un  salto  in  quel  baratro  gii  tossi 
Per  lo  spiraglio,  e  là  'v'ora  del  fumo 
La  nebbia  e  l'ondeggiar  più  denso,  e  '1  foco 
[241-2J8J 


8(Ì8  l'enfio*.         [  "0r>- 1 19] 

Più  rogio,  a  lui  che  '1  vaporava  indarno, 
S'addusse,  o  lo  ghermì;  gli  fece  un  nodo 
Do  lo  suo  braccia,  e  si  la  gola  e  'I  fianco  \ 
Oli  strinse,  che  scoppiar  gli  fece  il  petto 
E  schizzar  gli  occhi  :  o  '1  foco  e  'I  finto  e  .  'alni» 
In  un  tempo  gli  estinse.  Indi  la  bocca 
Apri  de  l'antro,  o  la  frodata  preda, 
E  del  suo  frodatore  il  sozzo  corpo 
Fuor  per  un  pie  ne  trasse,  a  cui  dintorno 
Corsoi-  le  genti  a  meraviglia,  ingordo 
1>Ì  veder  gli  occhi  biechi,  il  volto  atroce, 
L'ispido  petto,  o  l'ammorzato  foco. 

Da  indi  in  qua  questo  di  santo  ogn'anno 
Da'  nostri  è  lietamente  celebrato, 
E  ne  sono  i  Potizii  i  primi  autori, 
E  i  Pinaiii  ministri.  Allor  quest'ara, 
Che  massima  si  disse,  e  che  mai  sempre 
Massima  ne  sarà,  fu  consecrata, 
In  questo  bosco.  Or  via  dunque,  figliuoli 
Per  celebrar  tant' onorata  festa. 
Coi  rami  in  fronto  e  con  lo  tazze  in  mano 
Il  commun  dio  chiamate,  e  lietamento 
I>' un  con  l'altro  invitatevi,  o  beote. 

Ciò  dotto,  il  divisato  erculoo  pioppo 
Tessero  altri  in  ghirlande,  altri  in  festoni 
IW-277J 


[tso-mj      uano  mi.  367 

Altri  i  unii  no  piantaro.  E  di  già  fieno 
Di  sacrato  liquore  il  gran  catino, 
Tutti  a  mensa  gioiosi  s'adagiaro, 
]•:  spargendo  e  bcondo.  ai  Muti  numi 
Toner  preghiere  %  roti.  Espcro  intanto 
Kra  a  l'occidental  lito  Ticino 
Già  per  tuffarsi,  quando  i  sacerdoti 
l'n'altra  rotta,  e  'I  buon  Poti/.io  aranti 
Con  pelli  Indosso  o  con  faoello  in  mano, 
Coui'i  costume,  a  conrirar  tornnro, 
K  le  seconde  mense  e  l'are  sante 
Di  grati  doni  o  di  gran  piatti  empierò. 
1  Siili  intorno  ai  liyuinosi  altari 
Qirano  in  tresca,  e  di  populea  fronde 
Ciugean  lo  tempio.  I  rocchi  da  l'ini  curo 

prodezze  Cantarano  o  lo  lodo 
pel  granilo  Alcide;  i  giorini  da  l'altro 
N'atteggiavano  i  fatti:  come  prima 
Pancini  da  la  matrigna  insidiato 
I  due  sei  ponti  strangolasse  in  culla: 
Conio  al  suolo  adeguasse  Ecalia  e  Troia, 
Città  famose;  corno  superasso 
Hill' altre  insuperabili  faticho 
Sotto  al  duro  tiranno,  o  contr'ai  fati 
De  l'empia  Iva.  Tu  sci,  diceau  cautando, 
1277-293J 


869  •  Vfxkidk-.        1 1 1 ó - 4 60' 

Invitto  iddio,  elio  de  la  nubi  i  figli  . 
Nilco  e  Folo  uccidi;  tu  che  'I  mostro 
Domi  di  Cietn;  tu  che  vinci  il  fiero 
Nomèe  leone;  te  gl'infumi  laghi, 
Te  l'inferno  custode  ebbe  in  onore 
Ne  l'orrendo  suo  stesso  o  diro  speco, 
l.ii  'vo  tre  'I  sanguo  e  le  corroso  menili 
Un  de  la  morta  gente  il  suo-covilc. 
Cosa  non  è  si  spaventosa  al  mondo, 
Che  te  spaventi,  non  lo  stesso  armato 
lucontr'al  ciel  Tiféo,  nò  quel  di  L 
Con  tati  ti  o  tanti  capi  orribil  angue 
Senza  avviso  ti  vide  o  senza  ardire. 
A  to  vera  di  Giovo  inclita  prole, 
Vinilmento  inchinamo.  a  te  de  l  cielo 
Nuovo  aggiunto  ornamento.  E  tu  benigne 
Mira  i  cor  nostri  o  i  sacrifici  tuoi. 

Cosi  pregando  e  celebrando  in  versi 
Cantavan  lo  suo  pruovc.  K  sopra  tutto  -t 
Piccali  di  Caco  e  de  In  sua  spelonca 
K  de' suoi  fo'  bi;  e  i  buschi  e  i  colli  intorno 
Kispondeau  riutonando.  Eran  finiti 
I  sacrifici,  quando  il  vecchio  Kvandro 
Mosso  vèr  la  cittade:  e  seco  a  pari 
Da  l'uu  de'lati  Enea,  da  l'altro  il  figlio 
I2U3-308) 


[470-494]       libro  rat,  »»» 
Aron,  col  s'appoggiava:  c  ragionando 
Di  Tsrie  coso,  agevolava  il  callo. 

Enea,  meravigliando,  In  ogni  patio 
Vnlgca  le  luci,  desioso  e  lieto 
Ili  veder  qncl  paese,  e  4E»»perno 
1  siti,  i  luoghi  e  lo  molitorie  antiche 
Di  cho  spiando,  il  primo  fondatore 
)>c  la  romana  ròcca  in  cotal  guisa 
A  dir  gii  cominciò:  Questi  contorni 
Kran  pria  selve;  e  gli  abitanti  loro 
Eran  qui  nati,  ed  orjin  fauni  o  ninfo, 
E  fonti  clic  di  roveri  e  di  tronchi 
fcute.  nè  di  costumi,  nò  di  culto, 
SJ  di  tori  accoppiar,  nò  di  por  viti, 
\e  d'altr'arti  o  d'acquisto  o'di  risparmo 
Avean  notizia  o  cura:  e  '1  vitto  loio 
Era  di  cacciagion,  d'erbe  e  di  pomi: 
E  la  lor  vita,  aspra,  innocente  e  pura. 
Saturno  il  primo  fu  ch'in  queste  parti 
Venne,  dal  ciel  cacciato,  e  vi  s'ascose. 
E  micllo  rozzo  gonti,  che  disporeo 
Eran  per  questi  monti,  insiemo  accolso, 
E  dio  lor  leggi;  ondo  il  pacso  poi 
p'a  le  latebre  sue  Lazio  nomossi. 
Dicon  che  sotto  il  suo  placido  impero 
Cibo. -24.  [308-3241 


870  L'UMIDI.  [l05-51f 

Con  giustizia,  con  paco  o  con  amore 
Si  visso  un  socol  d'oro,  in  fin  elio  pose!» 
L'età  degenerando,  a  poco  a  poco 
Si  fu  d'altro  coloro  c  d'altra  Ioga. 
Quinci  di  guerreggiar  Tenne  il  furore, 
L'ingordigia  d'avere,  e  lo  mischianzo 
Do  l'altre  gonti.  L'assalir  gli  Ausoni; 
L'inondar  i  Statai;  ondo  più  volte 
Quosta,  elio  pria  Saturnia  era  nomata, 
Ha  con  la  signoria  cangiato  il  nome, 
E  co'signori.  E  quinci  è  che  da  Tcbro, 
Che  uc  fu  ro  terribile  ed  immane, 
Tcbro  fu  detto  questo  (lume  ancora, 
Cb'Albula  si  ilicoa  ne' tempi  antichi. 
Ed  ancor  ino  de  la  mia  patria  in  bando 
Dopo  multi  perigli  o  molti  affanni 
Del  mar  sofferti,  ha  qui  l'onnipotento 
Fortuna,  0  1  '  i  n  v  i  uc  ibi  1  mio  dostino 
Portato  alfine:  e  qui  posar  mi  fóro 
Gli  oracoli  tromendi  e  spaventosi 
Di  Carmentn  mia  madre,  e  Fobo  stosso 
Che  mia  madro  inspirava.  E  fin  qui  detto 
Si  pinso  avanti,  e  quell'ara  mostrògli, 
E  quella  purta,  che  fu  poi  di  Itoma 
Carmeutal  delta,  onoro  e  ricordanza 
[824-339J 


[520-5«]        libro  rm.  | 
Do  1»  ninfa  Indonna,  ch'anzi  a  tutti 
Del  rallantoo  prodisse  o  do'  Banani 
I.n  futura  grandezza^Indi  seguendo 
IH  fri  .in  bosco  gli  mostra;  ore  l'Asilo 
Romolo  contrafece:  o  1  Luporcale, 
Che  quale  era  in  Arcadia  a  I*an  Liceo, 
Sotto  una  fredda  rupe  era  dicato. 
Poscia  de  l'Argileto  gli  dimostra 
La  sacra  selva;  o  d' Argo  ospito  il  caso 
Oli  conta,  e  so  no  purga  a  so  ne  scusa. 
A  In  Tarpeia  RupeTal  Campidoglio 
Poscia  l'addusso;  al  Campidoglio  or  d'oi 
die  di  spini  in  quel  tompo  era  coverto, 
Va  ermo  colle  dai  vicini  agresti 
Tor  la  rcligTon  dol  loco  stesso 
Inaino  allor  temuto  e  riverito: 
Ch'a  veder  sol  quel  sasso  e  quolla  selva 
Si  paventava.  E  qui  soggiunse  Evandro: 
In  questo  bosco,  e  li  're  questo  monta 
È  più  frondoso,  un  dio,  non  si  sa  qualo. 
Ha  certo  abita  un  dio.  Queste  mie  genti 
D'Arcadia  han  ferma  fedo  aver  veduto 
Qui  Giovo  stesso  balenar  sovente, 
£  far  di  nembi  accolta.  Oltro  a  ciò  rodi, 
Qui  su,  quelle  ruiue  e  quei  vestigi 
[339-S55J 


572  i,'f.néii>t.  [r>l.">-58( 

Pi  quei  due  cerchi  antichi.  Una  di  qnosM 
Città  fondò  Saturno,  c  l' altra  Ofano,  ' 
Che  Saturnia  e  Olanicolo  fnr  dette. 

In  cotal  guisa  ragionando  Evandro,  J 
Se  ne  glan  vorso  il  ano  picciolo  ostello» 
E  no  l' andar,  là  'v'  or  di  Koma  è  il  Fòroa 
Ot'6  quella  piCi  florida  contrada 
I)o  le  Calino,  ad  ugni  passo  intorno 
Udian  greggi  belar,  mugghiare  arniontl. 
Giunti  che  furo:  In  questo  umile  albergo 
Alloggiò,  disse,  il  vincitore  Alcide, 
Questa  fu  la  sua  reggia.  E  tu  v'alleggia, 
E  tu  '1  gradisci,  o  lo  delizio  e  gli  agi 
Spregiando,  imita  in  ciò  Tlrimio  e  dio, 
E  del  tugurio  mio  meco  t' appaga. 
Cosi  dicendo,  il  grand' ospite  accolse 
No  l'angusta  magione,  o  collocollo 
Là  dove  era  di  frondl  e  d'irta  pelle 
Dì  libic'  orsa  «tappezzato  un  seggio. 

Venne  la  notte,  o  lo  fosc'ali  stese 
Ave»  di  già  sovra  la  terra,  quando 
Tenere  corno  madre,  o  non  in  vano 
Dol  suo  figlio  gelosa,  il  gran  tumulto 
Vcggendo  e  le  minacce  de'  Lauroutl, 
Con  Volcan  suo  marito  si  ristrinse 
[355-872] 


J[570-5941        uno  Tilt.  878 

Con  gran  dolcezza;  e-  ne)  suo  lòtto  d'oro, 
Autor  spirando,  in  tal  guisa  gli  disse: 
Ciro  consorte,  infintili  i  regi  argivi 
fui"  h' danni  di  Troice  cho  pur  fato 
Cader  dovoa,  nullo  date  soccorso 
Volsi,  o  da  l'arte  tua,;  nè  ti  'richiesi 
p'nrml  allnr,  nè  di  macchine,  nè  d'altro 
per  iscampo  de' miseri  Troiani. 
[,e  man,  l' ingegno  tuo,  lo  tue  fatlcho 
Oprar  non  volli  indarno,  aucor  elio  molto 
Con  l'rVamò  c  coUgli.obligo  «Tossi, 
i  ni  ilto  mi  promesse  il  duro  affanno 
P' Euoa  mio  figlio.  Or  por  imperio  espressa 
E  de' fati  e  di  Giove  egli  nel  Lazio 
I  tra'Kutuli  è  fermo.  A  te,  mio  sposo, 
Ricorro,  a  te,  mio  venerando  nume  : 
E,  madre,  por  un  figlio  anno  ti  chioggio; 
Qui  i  che  da  te  di  Nèrfio  la  figlia, 
E  di  Tit<m  la  moglie  hanno  impetrato. 
Mira  inquaiit'uopololoti  chicggio.o  quanti 
E  che  popoli  sono,  a  mia  ruina 
E  do' miei,  congregati;  o  qunl  fan  d'nimi 
A  porto  chiuse  orribile  appaiecchio. 

Stava  a  questa  richiesta  in  sé  Vulcano 
Ritroso  anzi  elio  no;  quando  Ciprigna 
1372-387] 


874  i.'knkide.         ['''.).'.. (5jm 

Con  la  tiepida  novo  o  col  viv'ostro  • 
Ile  le  suo  braccia  al  collo  gli  si  avvinitjfl 
E  striaselo  e  baciollo.  In  un  momento  4 
La  consueta  fiamma  gli  s'appreso, 
E  per  l'ossa  gli  corse  e  le  midollo, 
£  per  lo  Tene  al  coro;  in  quella  iruisa 
Che  di  corusca  nube  esce  repento 
Una  lucida  lista,  e  lampeggiando 
E  serpendo,  il  ciel  tutto  empie  di  foco. 
Senti  la  scaltra,  che  sapea  la  forza 
DI  sua  beltà,  che  l'avoa  preso  e  vinto: 
£  de  l'inganno  si  compiacque  o  rise. 
E  '1  buon  marito,  che  d'eterno  amore 
Arca  il  cor  punto,  le  si  volse,  e  disse: 
A  che  si  lungo  cssordio?  Ov'ò,  consorto 
Vèrmo  la  tua  fidanza?  Io  fin  d'allora, 
Se  t'era  grado,  avrei  d'armo  provisti 
I  Teucri  tuoi:  nò  'I  padre  onnipotente, 
Nò  i  fati  ci  vietavano  che  Troia 
Non  si  tenesse,  o  Priamo  non  fosso 
Restato  ancor  pur  diete  ulti 'anni  in  vita. 
Ed  or  s'a  guerra  t'apparecchi,  o  questo 
È  tuo  consiglio,  quel  che  l'arte  puoto 
0  di  ferro  o  di  liquido  metallo, 
Quanto  i  mantici  limi  liuto,  o  forza  il  fuoco, 
[388-40:iJ 


[020-644)        libro  vm.  875 

10  ti  promotto.  E  tu  con  questi  preghi 
Cessa  di  rivocar  In  possa  in  Torse 

Pel  tuo  volere,  o  '1  ftip  desir  eh' è  sempre 
]ii  l  i r  le  voglio  tue  paghe  e  eontuute. 
Cosi  dicoudo,  disToso  in  braccio 
La  si  recò;  gioinno,  e  poscia  in  grembo 
Di  lei  placidamente  addormente- i. 

Finito  il  primo  sonno,  e  do  la  notte 
Già  corso  il  mezzo,  come  feminella 
Che  col  fusa,  coni'  ago  e  con  la  spuola 

sua  vita  sostcTita  v  do' suoi  Agli; 
Clio  la  notte  aggiungendo  al  suo  lavoro, 
£  dal  suo  focolar  pria  che  dal  solo 
Procacciandosi  'I  lume,  a  la  conocchia, 
A  l'aspa,  a  l'arcolaio  essercitando 
Sta  le  povere  ancelle  ondo  mantenga 

11  casto  lotto  e  i  pargoletti  suol; 

Talo  in  tal  tempo,  e  con  tal  cura  a  l'opra 
Sorse  il  gran  fabro,  o  la  fucina  aperse. 

Giace  tra  la  Sicania  da  l'uu  cauto 
E  Lipari  da  l'altro  un' isoletta 
Ch'alpestra  ed  alta  oscc  do  l'ondo,  e  fuma. 
Ha  sotto  una  spolonca,  e  grotte  intorno, 
Clio  di  feri  ciclopi  antri  o  fucino 
Son.  da'  lor  fochi  affumicati  e  rosi. 
[403-418] 


870  t'KNKing.        ,  [645-81 

Il  picchiar  de  l'inolili  e  de' martelli.  - 
Ch'  entro  si  sente,  lo  stridor  de' ferii,  , 
11  fremerò  e  '1  bollir  do  lo  sue  fiuiiitn»  1 
E  do  lo  suo  fornaci,  d' Etna  in  guisa 
Intonar  s'odo  od  anelar  si  vede. 
Questa  è  la  casa,  ove  qua  giù  s'ndopra* 
Volcano,  onde  da  lui  Volcania  e  dotta: 
E  qui  per  l'armi  fabricar  disceso 
Del  grand' Enoa.  Slavati  no  l'antro  allo] 
Stòrope  o  Brouto  o  Piracmóne  ignudi 
A  rinfrescar  l'aspro  saetto  a  Giove. 
Ed  una  allor  n'  avean  parte  polita,  , 
Parto  abbozzata,  con  tro  raggi  attorti 
Pi  grandinoso  nembo,  tro  di  nubo 
Pregna  di  pioggia,  tro  d'acceso  fuco, 
E  tre  di  vento  Impetuoso  o  fiero. 
I  tuoni  v'aggiungevano  o  i  baleni, 
E  di  fiamme  o  di  furia  e  di  spavento 
Un  cotal  misto.  Altrovo  erano  iut.iino 
Di  Marte  al  carro,  o  le  veloci  ruote 
Accozzavano  insieme,  ond'egli  aimato 
I.o  genti  e  lo  città  6cunte  o  cnniinovo. 
Lo  scudo,  la  corazza  e  l'elmo  e  l'asta  . 
Aveau  da  l'altra  parte  incominciati  ■ 
De  l'armigera  l'alia,  o  di  commesso 
[410-435] 


[C70-094]        unito  vm.  877 
Lo  frodavano  a  pira.  Erano  i  (regi 
jCel  petto  do  la  Don  groppi  di  serpi 
Che  d'oro  aveau  le  scafile,  o  conto  intrichi 
faciali  guizzando  di  Medusa  intorno 
Al  fiero  teschio,  cho  cosi  com'era 
Disanimato  o  tronco,,  lo  suo  luci 
Volgea  dintorno  minacciose  e  torve» 

Tosto  cho  giunsi  .  Via,  disso  a' ciclopi, 
Sgombratevi  davanti  ogni  lavoro, 
E  qui  meco  a.  guarnir  d'arme  attendete 
tu  gi  nn  campione*.  E  s' unqua  fu  mostluro 
D'arte,  di  sperlcuza  o  di  prestezza, 
%  que      volta.  Or  v'accingete  a  l'opra 
Senz'  altro  indugio.  E  fu  ciò  detto  a  pena, 
Che  divise  lo  veci  e  i  magisteri, 
jt  fondere,  a  bollirò,  a  martellare 
Chi  qua  chi  Ih  si  diede.  Il  bronzo  o  l'oro 
Corrono  a  rivi:  s'ammassiccia  il  ferro, 
Si  raflina  l'acciaio;  o  tempro  o  legho 
In  più  guiso  si  fan  d'ogni  metallo. 
Pi  sette  falde  in  sotto  doppi  unito, 
Bicottc  ni  foco  e  ribattuto  o  snida. 
Si  forma  un  saldo  e  smisurato  scudo. 
Da  poter  solo  incontro  a  l'armi  tutto 
Star  de' Latini.  Il  fremito  del  vento 


878  fc'MntiDK.  .[<>t>5-7isj' 

Cho  spira  dn'gran  muntici,  e  le  strida 
Cho,  no' laghi  attutTati  o  ne  l'inculi 
Battuti,  fanno  i  ferri,  in  un  sol  tuono  I 
Ne  l'antro  nuiti,  ili  tenore  in  sai*» 
Corrispondono  a' colpi  do' ciclopi-, 
Ch'ai  moto  de  le  braccia  or  alto  or  basso 
Con  le  tonaglio  e  co' martelli  a  tempo 
Fan  conserto,  armonia,  numero  e  metro; 

Mentre  in  Kolia  era  a  quest'opra  intento 
1)1  Lenno  il  padre,  ecco,  sorgendo  il  solo, 
Surso  al  cantar  dei  mattutini  augelli 
11  vecchio  Evandro;  e  fuori  uscio  vestito 
Di  giubba  con  lo  guigge  a' piedi  avvolto, 
Com'è  tirrena  usanza.  Avca  dui  destro 
Omero  a  la  Tegoa  nel  manco  lato 
Una  sua  greca  scimitarra  appesa. 
Avca  da  la  sinistra  di  pantera 
Una  picchiata  pelle,  che  d'un  tergo 
Gli  si  volgoa  su  l'altro;  e  da  la  ròcca 
Scendendo,  gli  vcnian  due  cani  avanti,  ] 
Como  custodi  i  suoi  passi  osservando. 
In  questa  guisa  il  generoso  oroe, 
Conio  quei  che  tcnca  memoria  e  cura 
Pi  compir  quanto  avca  la  sora  aranti 
Ragionato  e  promesso,  a  lo  scerete 
[4HMCI] 


[720-74-4]        mb8o  viti.  373 
Stanze  del  padre  Knoii  si  ricondusse. 
Elie»  da  l'altra  parto  assai  per  tempo 
S'era  lorato;  e  solu  in  compagnia 
L'nn  aeeo  area  PaUujK*  )•  altro  Aeatn. 
l'ostia  che  rincontrati  e  'usiouio  uccolti 
Si  saluterò,  alflu,  tra  loro  ass'isi, 
A  ragionar  si  diero.  E  prima  Evandro 
Cosi  parlò:  Signor,  cui  Tiro,  in  vita 
Dir  si  può  che  sia  Troia,  e  che  del  tutto 
Kon  sia  caduta  o  vinta;  in  questa  guerra 
Quel  che  poss'io  por  tuo  sossidio  è  poca 
A  tanto  affare.  Il  mio  paese  è  chiuso 
Quinci  dal  tosco  Jiiniic.  e  quindi  ha  l'armi 
Clio  gli  suonan  cìo'Rutuli  dintorno 
Fin  sulle  porte.  Avviso  e  pensior  mio 
È  per  confederati  o  per  compagni 
Parti  una  gento  numerosa  o  grande 
Con  molti  regni.  In  tal  qui  tempo  a  punto 
Sei  capitato,  e  tal  felico  incontro 
Ti  porge  amica  e  non  ponsata  sorte. 

È  non  lungo  di  qui,  su  questi  monti 
D'Ktruria,  una  famosa  e  nobil  terra 
Ch'i  sopra  un  sasso  anticamente  estrulta, 
Agillina  si  dice,  oro  lor  seggio 
Posero  (ò  già  gran  tempo)  i  bellicosi 
[404-479] 


S80  l'rsEiDfc:    _  |74$-7G9| 

£  ciliari  Lidi  ;  c  floridi  o  fi  lici 

Vi  Tur  (rriui  tempo  ancora.  Hr  sotto  il  rio  ro 

Sou  di  Mozenzio  capitati  ni  duo. 

A  cho  di  lui  contar  lo  scelerauzo? 

A  elio  la  ferita?  Dio  lo  riservi . 

Per  suo  castigo  o  de' sognaci  suoi. 

Questo  crudele  iusitio  a'  corpi  morti 

Mescolava  co' vivi  (odi  tormento) 

Cho  giunto  mani  a  mani,  e  bocca  a  bocca, 

In  cosi  miserando  abracciamonto 

Gli  Tacca  di  putredine  o  di  lezzo. 

Vivi,  di  lunga  morte  nlfin  moiiro. 

I  cittadini  afflitti,  disperati^ 
E  fatti  per  paura  alfin  seenri. 
Tesoro  insidie  a  lui.  fecero  strngo 
Do' suoi,  posoro  assedio,  avventar  foco 
A  le  suo  caso.  Ei  do  Io  mani  uscito 
Dogli  uccisoti,  ebbe  rifugio  a  'i  ni no 
Ch'or  l' accoglie  e'I  difendo.  Oiidocoinn 
E  por  giusta  cagiono  in  furia  volta 
L'Etruria  tutta  in  contro  al  suo  tirao« 

(irida  clic  muoia,  e  '_-ià   i  l'armi  in  ninno 

A  morto  lo  persegue.  A  questa  gouto  j 
Di  molte  mila  condottiero  o  capo 
Aggiungcrotti.  E  già  d'nrnmte  uuvi 
[480-4973 


[770-791]        Limo  vin.  881 
p.iii  pieni  i  liti:  ognun  freme,  ognun  chioda 
Cho  si  spieghiti  l'Insogno.  Un  voc-hlo  solo 
^ruspi'f  "  'pilotino  o>  elio  aospoal 
gli  tiene  infine  il  qui:  dente  meonia, 
gioendo,  fior  di  gonto  antica  o  nobile. 
Boni' hò  giusto  dolor  cantra  a'Mozenzio, 
E  d'  gn'lr»  v'incenda,  incontro  a  Lazio 
Voti  nioroto  voi  già:  ch'o  nessun  Itolo 
Domar  d'Italia  una  tal  gente  è  lecito, 
S'esterno  duce  a  tant'uopo  non  prendesi. 
Com  parato,  o  perllmor  «onfuso 
pcl  vaticinio  stassi  il  campo  etrusco! 
g  ciii  Torcente  {tesso  a  questa  improsa 
ir  invita,  e  già  mandato  a  presentarmi 
Ha  la  sedia  e  lo  scettro  e  l'altro  insegno 
pel  tosco  rogno,  porcli'io  re  ne  sia, 
Ed  a  P  oste  no  vada.  Ma  la  tarda 
E  fredda  mia  vecchiezza,  e  le  mio  forzo 
Debili,  smunte  0  disoguali  al  poso 
Fan  eh'  io  rifiuti.  Eesortoroì  Pollante 
Mio  figlio  «  questo  imporo,  so  non  fosse 
Che  noto  di  Sabelln,  italo  anch'  egli 
È  per  materna  razza.  Or  quosto  incarco 
Dogli  anni,  da  la  gente,  dal  destino, 
Dal  tuo  stesso  valore  a  to  si  dove. 
[497-5121 


382  '  t'wBiD».*  [795-8 

E  tu  il  prendi,  Signor,  ch'Abile  e  Torto 
Sci  più  d'ogni  Troian,  d'ogni  Latino 
A  sostenerlo.  Ed  io  Fallante  mio, 
La  mia  speranza  e  'I  mio  sominoeontut 
Manderò  teco;  cho  'I  mestier  de  l'armo, 
Che  le  faticho  del  gravoso  Marto 
Ne  la  tua  scuola  a  tollerare  impari: 
E  to  da'suoi  prim'anni,  c  i  pesti  tuoi 
Meravigliando  ad  imitar  s'avvezzo, 
Dugonto  cavalieri,  il  nervo  e  '1  noia 
be' mici  d'Arcadia,  spedilo  con  lui, 
£  dugento  altri  il  mio  l'aliante  stesso 
In  suo  nome  daratti.  Avea  ciò  detto 
Evandro  a  pona,  che  d' Anchiso  il  figlio 
E  'I  fido  Acato  stcr  co'  volti  a  terra 
Chinati.  E  da  ponsier  gravi  e  molesti 
Fòran  oppressi,  se  dal  cicl  serono 
La  madro  Citcrca  seguo  non  dava. 
Si  come  diò.  Chi  tal  per  l'aria  un  lume 

\  il  i  d'improviso  e  con  tal  suono. 

Che  parvo  di  ropento  il  mondo  tutto 
Come  scoppiando  e  minando  ardesse; 
Ed  in  un  tempo  di  terreno  tubo 
Squillar  ne  l'aura  Alto  concento  ndissi. 
Alznroii  gli  occhi;  o  la  seconda  \ulta, 
1513-5271 


[S20-S44J        libbo  no.  883 
£  lo  terza  iterar  sentirò  il  tuono; 
E  vidor  là  're  il  cielo  era  più  searco 

I  j;  più  tranquillo,  una  dorata  nubo 

jr  d'armi  un  nembo  che  tra  lor  percosse 
Scintillando  facesti  Imititi  c  lampi. 
SUipiion  gli  altri.  Ma  il  troiano  eroe 
Cno  'I  cenno  riconobbe  e  la  promessa 
p0  la  diva  sua  madre.  Ospite,  disse, 
pi  saver  non  ti  caglia  quel  ch'importi 
Questo  prodigio;  basta  ch'ammonito 
goo  in  dal  cielo,  e  questo  è  'I  segno  e  '1  tempo, 
Cnc  la  mia  gonitrice  mi  predisso; 
Che  quandunque  di  guerra  incontro  avessi, 
allora  ella  dal  cicl*prc8ta  sarebbe 
Con  l'armi  di  Volcano  a  darmi  aita. 
Ox  quanta  di  voi  strago  mi  prometto,  ■ 
Infelici  Laurent!  !  e  qual  castigo,  » 
Torno,  da  me  n'avrai!  quant'armi,  quanti 
Corpi  volgere  al  mar,  Tebro,  ti  veggio! 
Tla,  patto  e  guerra  mi  si  rompa  ornai. 

Cosi  detto,  dal  soglio  alto  levossi,; 
E  con  Evandro  e  co' suoi  Toucri  in  prima 
D" Ercole  visitando  i  santi  altari, 

II  sopito  carbon  del  giorno  avanti 
Jjoto  desta  o  raccendo;  i  Lari  inchina; 

1527-643J 


ggl  '  l'kskidk.  [845-81 

I  pargoletti  suoi  Tonati  adora, 

|  di  più  scelte  agnello  il  sangue  offiiac* 

Indi  torna  a  le  navi,  e  do' compagni 
Fatte  duo  parti,  la  più  forte  elegge 
Per  seco  addurre  a  preparar  la  guerra; 
V altra  a  seconda  per  lo  fiume  invia,  . 
Che  pianamente  e  seni*  alcun  contrasto. 
Si  rivolga  ad  Ascanio  odia  novello 
Do  le  cose  e  dol  padre.  A  quei  che  soeoj 
In  Etrui  ia  adducea  tosto  provìsti 
Furo  i  cavalli.  A  lui  velino  in  disparta 
Iti  tutti  gli  altri  un  palafreno  ciotto,  : 
pi  pelle  di  loou  tutto  covorto 
Ch'i  velli  nvea  di  seta  o  l'ugna  d'Oro. 

Per  la  piccola  terra  iu  un  momento' 
Si  sparge  il  grido  ch'ai  tirreni  liti 
No  va  lo  stuol  do' cavalieri  in  fretta. 
Lo  madri  paventoso  ai  temp  i  intorno 
Innovellano  i  voti:  o  già  por  tóma 
Piii  vicino  il  periglio,  e  più  l'aspetto 
Sembra  di  Mario  atroce.  Evandro  il  fi 
Nel  dipartir  tenorauicnto  abbraccia; 
Ni  divolto  da  lui  né  sazio  ancora 
Di  lagriinar  gli  dice:  0  so  da  Ciove 
Mi  fosso,  figlio,  di  tornar  concesso 
1543-560] 


[S70-S9I]        libiio  viti.  885 
firn  in  quegli  unni  o  'n  qiiollc  forze,  orni' io 
?otto  Preneste  II  primo  incontro  fui 
l'i l' miei  nemici,  e  vincitore  i  monti 
,\ isi  do'sciidi;  nlltir  ch'Etile  stesso, 
|,o  stesso  re  con  queste  mani  nncisì, 
,\  cui  nascendo  ave»  Foronia  madre 
I>:tto  tre  vite  e  tre  corpi,  e  tro  volte 
(Meraviglia  a  contarlo!)  era  mostioro 
Combatterlo  e  domarlo;  ed  io  tro  volto 
l.o  combattei,  lo  vinai  e  lo  spogliai 
| l'armi  e  di  vi-  *     tei, dico,  io  fossi, 
Mai  non  saroi  da  te.  Aglio,  diviso; 
Mai  non  fora  Itfezcnzio  oso  d' opporsi 
\  questa  barba;  nò  per  tal  vicino 
Vedova  resterebbe  or  la  min  terra 
pi  tanti  cittadini.  0  dii  superni, 
0  ile'supeiui  dii  mimo  maggioro, 
pjeti  d'un  re  servo  o  devoto  a  voi, 
E  d'un  padre  che  podio ò  sol  d'un  figlio 
Unicamente  amato.  E  se  da'  fati, 
Se  da  voi  m'è  l'aliante  preservato, 
E  s'io  vivo  or  per  riredeilo  mai, 
Questa  mia  vita  preservate  ancora 
Con  quanti  unqna  soffrir  potessi  affanni 
Va  se  fortuna  ad  infortunio  il  tra .-.•»•, 
Caso. -85.   1 580-578 1 


88C  l'  ritkidk.  [895-! 

Ch'io  dir  non  oso.  or,  or,  prego,  rompe! 
Questi»,  misera  vita,  or  eh' è  la  téma. 
Or  ch'è  la  speme  del  futuro  incerta; 
E  che  te,  Aglio  mio.  mio  sol  diletto 
E  da  me  desiato  in  braccio  io  tengo, 
Anzi  ch'altra  novella  me  ne  venga 
Cho  '1  cor  pria  che  gli  orecchi  mi  porco 
Cosi  '1  padre  ne  l'ultima  partita 
Disse  al  suo  Aglio:  e  da  l'ambascia  vln 
Fu  da' sergenti  riportato  a  braccio. 
A  la  campagna  i  cavalieri  intanto 
Erano  usciti.  Enea  col  Ado  Acato, 
E  co'suoi  primi  era  nel  primo  stuolo, 
rullante  in  mezzo  rispleudca  ne  l'armi. 
Commosse  d'oro,  risplendca  no  l'ostro 
Cho  l'armo  avean  por  sopravesta  intorno; 
Ma  via  più  risplendca  ne' suoi  sembianti 
Ch'ornu  di  Aero  e  di  leggiadro  insiemo. 
Talo  ò  quando  Lucifero,  il  più  caro 
Lume  di  Citcrea,  da  l'Oceano, 
Quasi  da  l'onde  riforbito,  estollo 
Il  sacro  volto,  o  l'aura  fosca  inalba. 

Stan  lo  timide  madri  in  su  lo  mura 
Fallidc  attentamente  rimirando 
Quanto  puou  lungo  il  polveroso  nembo 
[578-593] 


[920-944)        libho  no,  •  887 
Po  l'armate  caterve:  e  I  lustri  o  i  lampi 
Che  facean  l'armi,  tra  1  virgulti  e  i  dumi 
Lungo  le  vie.  Va  per  la  achiera  il  grido 
Che  si  cavalchi:  e  lo  «juadron  giù  mosso, 
Al  calpltar  do  la  ferrata  torma. 
Fa  'I  campo  risonar  tremante  e  trito. 
K  di  Core  vicino,  appo  il  gelato 
Suo  Dumo  un  sacro  busco  aulico  e  grande 
li' ombrosi  aboti,  ebo  da  cavi  colli 
Intorno  e  cinto,  vcnerabil  molto 
K  di  gran  lungc.%  fama  elio  i  Folasgi, 
l'i  imi  del  Lazio  occupatori  esterni, 
A  Silvan,  dio  dj)' campi  e  degli  armenti, 
CousecrAr  quosta  solva,  e  con  solcnno 
Rito  gli  dedicar  la  festa  o  '1  giorno. 
Quinci  poco  lontano  era  Tareonto 
Co'Tincni  accampato;  o  qui  del  campo 
Giunti  a  la  vista,  là  've  un  alto  collo 
Lo  scopri»  tutto,  Enea,  co' primi  suo? 
Fermossi,  ovo  i  cavalli  o  i  corpi  loro 
Già  stanchi  ebbero  all'in  posa  e  ristoro. 

Era  Yonore  ili  Cicl  candida  o  bella 
•Sovr'un  etereo  nembo  apparsa  intanto 
Con  l'armi  di  Volcano;  o  visto  il  Aglio 
Coltre  al  gelido  rio  per  erma  valle  • 
[ÓU3-610J 


888  '] 
S'H  già  dagli  altri  solitario  e  scevro, 
Apertamente  gli  s'offerse,  o  disse: 
Eccoti  '1  don  che  da  me.  Aglio,  attendi  I 
Di  man  del  mio  consorte.  Or  francamentafl 
Gli  orgogliosi  Lanrcnti  e  'I  fiero  Turno  1 
Sfida  a  battaglia,  e  gli  combatti  e  vinci. 
E.  ciò  dotto,  l'abbraccia.  Indi  gli  addita  I 
D'armi  quasi  un  tmfi  ■•.  «- li* i> pi" ■  un.i  querela  1 
Iiinuzi  da  lei  disposti',  incoutr"  agli  occhi  1 
Faccan  barbagli",  e  contro  n  1  v  i.  più  soli,  j 
D'un  tanto  dnin  Eiu-a.  d'un  tale  onore  J 
Lieto,  e  non  sazio  di  vederlo,  il  mira, 
L'ammira  e '1  t  rat  ta.  Or  l'elmo  in  man  si  prenda 
E  '1  orribil  cimier  contempla  o  '1  foeo  .  I 
Che  d'ogni  parteavventn-.orvibrai!  branda  I 
Fatalo;  or  ponsi  la  corazza  avanti 
Di  fino  acciaio  e  di  gravoso  pondo, 
Che  di  sanguigna  luco  o  di  colori 
Diversamente  accesi  ora  splendente, 
Qual  sembra  di  lontan  cerulea  nubo 
Arder  col  solo  o  variar  col  moto. 
Brandisce  l'asta;  gli  stlnior  Yaghoggia 
"Nitidi  e  lievi,  cho  fregiati  e  fusi 
8on  di  (In  oro  e  di  forbito  elettro. 
Meravigliando  aitili  sopra  lo  scudo 
IC10-625J 


[070-994]        libro  vm.  839 

Si  forma,  c  !'  ir.  t ■  ■! il.il. ■  artificio 

Orni'  era  intesto,  e  l'argomento  esplora. 

In  questo  di  cnni  meato  e  di  rilievo 
,\\  ri  fatto  de' fochi  il  gran  maestro 
(Como  de'  vaticini  e  del  futuro 
Presago  anch'ogli)  fon  mirabil  arto 
te  lrattaglie,  i  trioni!  o  i  fatti  egregi 
D'Italia,  de' Romani  e  de  la  stirpo 
Che  poi  scese  dn  lui;  dal  Aglio  Axcanio 
Incominciando,  i ^discendenti  tutti 
K  ir  jf.ierrc  che  fer  di  mano  in  mano. 
V'avea  del  Tebro  in  in  la  venie  riva 
fiuta  la  marztal  uudrice  lupa 
Ih  uh  antro  accosciata,  e  i  due  gemelli 
Clio  da  le  poppe  di  si  fiera  madre 
lascivctti  pendean,  senza  paura 
Seco  scherzando.  Ed  olla  umile  e  blanda 
Stava  col  collo  in  giro,  or  l' uno'or  l'altro 
Con  la  lingua  forbendo  a  con  la  coda. 
V'ora  poco  lontan  Koma  novella 
Con  una  pompa,  e  con  un  circo  aranti 
Pien  di  tumulto  ov'era  un'insolento 
Rapina  di  donzelle,  un  darsi  a  l'armo 
Infra  Romolo  e  Tazio,  e  Roma  o  Curi. 
E  poscia  infra  gli  stessi  regi  armati, 
IC25-639I 


890  l' ìtxitTni.  [995-101 

Pi  (ììoto  Anzi  a  l'altare  un  tener  tazza 
Invece  d'armi  in  ninno,  un  ferir  d'ambo 
Le  parti  un  porco,  e  far  counubi  e  paco. 

Né  di  qui  lungo,  eranoaquattroaquata' 
Giunti  a  due  carri  otto  destrier  feroci. 
Clic,  qual  Tulio  imponea  (stato  non  fo~ 
Tu  si  mendace  e  traditore,  Alliatin!), 
In  duo  parti  traeu  di  Mozio  il  corpo; 
£  si  com'era  tratto,  i  brani  e  'I  sangue 
No  mostratali  le  siepi,  i  carri  e  'I  suolo. 
V'era,  oltro  a  ciò,  PoraanoA,  il  tosco 
Ch' impcriosauiento  da  l'essiglio 
Rivocava  i  Tarquini.  e  'n  duro  assedio 
No  tcnea  Koina,  cho  del  giogo  schiva  . 
S'avventava  nel  ferro.  Avea  nel  volto 
Scolpito  questo  re  sdegno  e  niiiiacco, 
K  meraviglia,  che  sol  Code  osasse 
Tener  il  pulite;  e  Clelia,  una  donzella, 
Varcar  il  Tebro  e  scior  la  patria  e  lei. 

In  cima  dello  scudo  il  Campidoglio 
Era  formato  e  la  Tnrpuia  rupe, 
E  Manlio  che  del  tempio  e  de  la  ròcca 
Stava  a  difesa:  e  la  romulea  reggia 
Che  '1  comignolo  avea  di  stoppia  ancori. 
Tra'  portici  dorati  iva  d'argento 
I640-65Ó) 


|1020-1044]     libro  Tiri.  891 
I  "  ili  sbattendo  o  schiamnx*ando  un'oca, 
Cli'apria  de'GaHl  il  periglioso  agnato: 
i;  i  Usili  per  lu  maschie  c  por  lo  balzo 
jie  l'erta  ripa,  da  la  baia  notto 
l-if.-si.  quatti  quatti  orano  in  cima 
Già  do  la  ròcca  ascosi.  Airoon  lo  chiome, 
Aveao  le  barbe  d'oro:  aveano  i  «ai 
Pi  liicid' ostri  divisati  a  liste, 
Y.  d'or  monili  ai  bianchi  culli  avvolti. 
])i  forti  alpini  dardi  area  ciascuuo 
Da  la  destra  una  coppia,  e  ne' pavesi 
Stavan  coi  corpi  rannicchiati  e  chiusi. 

(juinci  de'Salii  e  dc'Luporci  ignudi, 
E  de' greggi  do' Flamini  scolpito 
Y'avea  le  tresche  e  i  cantici  e  i  tripudi. 
Ed  essi  tutti  o  coi  lor  fiocchi  in  lesta, 
0  con  gli  .incili  o  con  lo  tibie  in  mano: 
Cui  lo  sacre  carrette  irono  appresso 
Coi  santi  simulaci  i  e  con  gli  arredi,  ■ 
Che  tracan  per  lo  vie  le  madri  in  pompa. 
E  più  lungo  nel  Tondo  era  la  bocca 
De  la  tartarea  tomba,  o  del  gran  Dite 
La  reggia  aporta:  ov'anco  eran  le  pone 
E  i  castighi  degli  empi.  E  quivi  approdo 
Stavi  tu,  scolorato  Catilino, 
IG55-GUSJ 


802  l'eskio*.  flOJÓ-lOèfl 

Soprn  d'un  minoso  acuta  scoglio 
Agli  sparenti  ilo  lo  furio  esposto. 
K  scevri  oran  da  questi  i  fortunati 
Luoghi  do' buoni,  a  cui  °1  buon  Cato  è  dlWfl 

Gonfiava  in  mezzo  una.inariHa  d'oro  1 
Con  la  spuma  d'argento,  o  con  delfini 
D'argontino  color,  clic  con  le  code 
Givan  guizzando,  e  con  le  schiene  in  aroM 
Gli  aurati  flutti  a  loco  a  loco  aprendo,  1 
E  i  liti  e  '1  mare  o  '1  promontorio  lutto  a 
Si  vedea  di  Leuciito  a  l' Azia  pugna 
Star  proparati;  o  d'una  parto  Augusto  I 
Sovra  d'un'nlla  poppa  aver  d' intorno 
Europa.  Italia,  Roma  e  i  suoi  Quiriti,  •  ti 
E  '1  sonato  e  i  Penati  e  i  prandi  iddìi. 
Pi  tre  stollo  il  suo  volto  ora  Inconte. 
Due  no  facca  con  gli  ncchi,  ed  un.",  sempre 
Del  divo  padro  no  portava  in  Tronto. 
Ne  l'altro  corno  Agrippa  ora  con  lui 
Del  maritimo  stuolo  invitto  duco, 
Ch'altero,  o  'I  capo  alteramente  adorno  ■ 
De  la  rostrata  sua  naval  corona, 
I  venti  o  i  numi  avon  fausti  e  socondi. 

Da  l'altra  parte  vincitore  Antonio 
Di  ver  l'aurora  e  di  vèr  l'oude  rubre 
ICOU-WUJ 


[1070-1094J     libbo  nn.  393 
Jlnrbari  aiuti,  esterno  nazToni 
K  diverso  armi  dal  Cataio  al  N il  « 
Tutto  arca  seco  l'Oriento  addotto: 
i:  hi  zingara  moglie  <  ra  con  lui, 
Milizia  infame.  Ambo  le  parti  mosse 
Se  ne  gian  per  urtarsi,  e  d' ambe  il  maro 
Scisso  da'romi  e  da' stridenti  rostii 
parerò  si  vedea.  spumoso  e  gonfio. 
Prcndean  de  l'alto  i  legni  in  tanta  altezza, 
Clio  Cicladi  con  Cicbidi  divelto 
Palili"  nel  mar  gTr  a'iicoutrnrni.o'u  terra 
{lenti  con  monti:  di  al  fa,ttc  inoli 
Arvontavan  lo  ({enti  c  foco  e  ferro. 
Onde  il  mar  tutto  era  sanguigno  e  rogio. 

Stava  qual  Isi  la  regina  in  mezzo 
Col  patrio  sistro,  o  co' suoi  cenni  il  moto 
Dava  nlla  pugna;  o  non  videa  (meschina!) 
Quai  duo  collibri  lo  veninn  da  tergo. 
L'abbaiatoro  Anobi  e  i  mostri  tutti, 
Cb'cran  suoi  dii,  contra  Nettuno  c  coutra 
Tenere  e  l'alia  armati  cran  con  loi, 
E  Minte  in  mezzo,  che  nel  campo  d'oro 
Pi  ferro  era  scolpito,  or  questi  or  quelli 
A  la  zuffa  infiammava:  o  l'empie  Furio 
Co'Ior  serpeuti,  la  Discordia  pazza 
LG67-702J 


391  l'exiidi!.  [1095-M 

Col  suo  squarciata  ammanto,  con  la  sft 
Di  sanano  (iuta  la  crudcl  Bellona 
Sgominaran  le  genti;  o  l'auto  Apollo 
Saettava  di  sopra:  agli  cui  strali 
L'Egitto  o  gl'ludi  e  gli  Arabi  o  i  Siboi 
Davan  lo  spalle.  E  giù  chiamare  I  veli'' 
Scioglier  le  funi,  inalberar  lo  velo 
Si  vcilcu  la  regina  a  fuggir  volta. 
Già  del  pallor  do  la  futura  morto, 
Ond'cra  dal  gran  fabro  il  volta  aspersa, 
In  abbandono  a  l'onde,  e  de  la  l'uglia 
No  giva  al  vento.  Avea  d'incontro  11  N 
Un  vasto  corpo,  che,  smarrito  e  ini  sto, 
A* vini i  aperto  il  seno  e  stoso  il  manto, 
I  latebrosi  suoi  ridotti  offriva. 

Cesare  v'era  alfin  cho  trionfando 
Tre  volte  in  Roma  mira  va:  e  per  I  riconta 
Gran  tempii  n'nostii  ilii  voti  immortali 
Si  vedean  consccrati.  Krau  !  strado 
Piene  tutto  di  plauso,  di  letizia, 
E  di  festo  o  di  giuochi.  Ad  ogni  tempio  4 
Concorso  di  matrone:  ad  ogni  altare 
Vittimo,  incensi  c  fiori.  Egli  di  Febo 
Anzi  al  delubro  in  maestade  assiso 
Ricouoscva  do' popoli  i  tributi, 
[702  7211 


[1120-1138]     LtBBn  viti.  805 

E  In  candida  soglia  e  le  superbe 

gue  porto  no  fi  chiava.  Iva  la  pompa 

fio  N-  ponti  da  lui  •(••mate  intanto 

Vario  ili  gonne,  d'idiomi  c  d'armi. 

Qui  di  Nomadi  o  d'Afri  era  una  scliiora 

]n  aliito  discinta;  ivi  uti  drappello 

Hi  I.tlegi,  di  Cari  e  di  Geloni  .  , 

Con  archi  o  strali  Iiifln  dai  liti  estremi 

I  )(">>"'  condotti  erano  al  giogo, 

y,  gì' indomiti  Dai.  fon  meno  orgoglio 

Giva  l'Eufrate:  ambe  lo  corna  flarchc 

Portava  il  Kono:  disdegnoso  il  ponto 

jfel  dorso  si  scote»  farmenio  Arasse. 

X  tal.  da  tanta  madre  avuto  dono, 
j;  d'un  tanto  maestro.  Enea  mirando, 
];,..,  -li.'  il  velame  del  futuro  occulte 
CU  tenesse  le  coso,  ardire  e  spomo 
frese  e  gioia  a  vederlo:  e  dc'nepoti 
La  gloria  e  i  fati  agli  omeri  s'impose. 
|721-731] 


3!>C 


[1  l&J 


DELL'  ENEIDE 


Libilo  Nono. 


Mentre  cosi  da' suoi  scovro  o  lontano,™ 
Enea  fu  d'armi  o  di  sossidi  ncquisto,    1  1 
Giuno  di  concitar  la  furia  e  l'ira 
|ii  i  arno  unq  i  i  non  resta.  Erasi  Turni  1 
Col  pensicr  du  la  guerra  al  sacro  bosedS 
Pi-Pilunno  suo  padre  allor  ridotto, 
Clic  maudata  da  lei  di  Tailinantc 
Gli  fu  1»  figlia  in  eotal  guisa  n  dire: 

Ecco.  quel  die  fu  mai  cliiedom  a  lingua, 
O'mpetrar  dagli  Dei,  Turno,  potessi,  j 
Porsò  l'occaston  ti  porgo  o'I  tempo.  | 
Enea,  mentre  dagli  altri  implora  aita,  1 
Lo  suo  mura,  i  suoi  legni  e  lo  suo  genti  1 

Lascia  ora  a  to,  se  tu  "i   i.  w  pveda. 

Ei  coi  migliori  ni  palatino  Evandro 
So  n'é  passato,  0  quindi  è  ne  l'estremo"* 
Penetrato  d' Etruria.  Ora  e  nel  campo  I 
lle"l'os.-lii.  e  lavvi  indugi»  ed  arma  agrosffl 
E  tu  qui  badi  or  che  di  carri  e  d'armi 


11-18] 


[jiM-tl  unno  ix.  897 

K  ili  prestezza  è  d'uopo?  E  che  non  prendi 

]  suoi  stoccati  che  son  or  di  tanto 

I'.  i-  l'assenza  di  lui  turbati  c  scemi? 

poscia  che  cosi  disse,  aito  su  l'ali 

j,a  Dea  levoesi;  e  tra  l'opaclio  nubi 

per  entro  al  suo  grand' arcoascesc  e  sparve. 

Turno  elio  la  conobbe,  ambo  a  lo  stello 
Alza  lo  palmo:  e  noi  fuggir  con  gli  occhi 
fv.-nilla  o  con  la  voce.  Iri,  dicendo, 
filino  0  fregio- del  ciclo,  o  chi  ti  spiega 
Or  da  le  nubi?  E  chi  quaggiù  ti  manda? 
Oiid'i  l'aDr  s)  chiaro  o  si  tranquillo 
Cosi  reponte?  lojroggìo  aprhsi  il  ciolo, 
Vagar  le  stelle.  0  qual  tu  do' colesti 

i  li' n.  l'armi  m'inviti,  io  lieto  accetto 
Un  tanto  augurio,  o  lo  gradisco  e  'I  seguo. 
Cosi  dicendo  al  fiume  si  rivolse: 
N'attinse:  se  ne  sparso:  o  proci  e  votj 
jloltc  ffate  al  del  porse  e  ripone. 

gran  già  le  suo  gonti  a  la  campagna, 
E  do'cavalli  il  condottier  MossApo 
ni  ricca  sopravesta  ornato  e  d' oro 
Movea  d'avanti.  I  giovini  di  Tirro 
Tcncan  l' ultimo  squadro,  e  Turno  in  mozzo 
Con  tutto  II  capo  a  tutta  la  battaglia 
lls!-i!9J 


893  l'embid». 
Snpravanzando,  armato  cavalcava 
Per  l'ordinanza.  In  cotal  guisa  i  campi  I 
Primieramente  inonda  il  Oaugo  o'I  Nilo  ■ 
Con  setto  (lumi;  indi  ristretto  e  quoto  J 
Correndo,  outro  al  suo  letto  si  raccogllaM 

Qui  d' improviso  d' uu  oscuro  nembo  1 
Pi  polve  il  ciel  ravvilupparsi  i  Teucri  J 
Scorgon  da  lungo,  o'ntorbidarsi  i  campi. 
Calco  il  primo  da  l'avversa  mole 
Gridando.  0,  disse,  cittadini,  un  gruppo  I 
Vèr  noi  'li  polverio  no  l'aura  ondeggi»,  I 
Ognuno  a  l'armi;  ognuno  a  la  muraglia,}! 
Ecco  i  nomici.  Di  ciò  cono  il  grido 
Ter  tutta  1»  città;  chiuggon  lo  porto; 
Empion  lo  mura.  Tale  ovea,  partendo,  i 
Dato  il  sagace  Enea  precotto  e  norma,  1 
Ch'in  caso  di  rottura,  a  campo  aperto  j 
Senza  lui  non  s"  indisi-  o  .-pi-gar  ~  -Meri 
0  far  conflitto;  o  solo  a  la  difeso 
S'attendesse  del  cerchio.  Ira  o  vorgngo»  f 
fili  animava  a  la  zuffa;  oditto  e  téma 
Gli  ritonoa  del  duce.  Ond' entro  armati  .1 
No  lo  torri,  in  su' morii  e  no' ripari 
Aspettaro  i  nemici.  A  lento  passo 
Trocedca  l' ordinanza;  e  Turno  a  volo 
129-471 


1 70-94 J  libro  ix.  899 

Con  Tenti  ciotti  cavalieri  aranti 

Si  spinso  c  d'improviso  appreaontossi. 

Cavalcava  di  Tracia  un  gran  corsiero, 

|n  Manche  macchio  il  vario  tergo  asperso, 

g'I  suo  dorato  o  luminoso  elmetto 

p°r>lto  eimior  copria  cresta  vermiglia. 

Qui  fermo:  Chi  di  voi,  giovini.  disse, 
jloco  sarà  contr'  a'niniici  il  prjmo?' 
I  quel  ch'era  di  pugna  indizio  o  segno, 
t/asta  a  l'aura  avventando,  alteramente 
fra-'orso  il  campo,  ed  ingaggiò  battaglia.  » 
Con  olle  grida  e  con  orribil  voci 
fremendo  lo  seguirò  i  suoi  compagni, 
jion  senza  meraviglia  che  al  vili 
Fosforo  i  Toucri  a  non  osar  dol  pari 
IVim'Ii  a  fronte,  non  mostrarsi  in  campo, 
Ferir  da  Iiingc.  o  di  muraglia  armarsi. 
Turno  di  qua  di  là  turbato  o  fioro 
Si  spinge, o  scorre  il  piano, o  corchili  il  muro, 
E  d'entrar  s'argomenta  ov'ancho  è  chiuso. 

Come  rabbioso  ed  affamato  lupo 
Al  pieno  ovile  insidiando,  fremo 
jja  notte,  al  vento  ed  a  la  pioggia  esposto; 
Quando  sotto  lo  madri  i  puri  agnelli 
Bclau  sccuri,  ed  ci  la  fame  e  l'ira 
L17-C2J 


400  L'r.NKiu*.  [95- 

Incontro  a  lor  che  gli  son  lungo,  ao' 
Cosi  gli  occhi  di  fuco  o'I  cor  di  sdegna 
Il  Ruttilo  infiammato,  «nulo  e  fiero  _  J 
Ya  du'nimici  agli  stoccati  intorno, 
Ogni  loco,  ugni  astuzia,  ogni  sentiero 
Investigando,  onde  o  co' suoi  vi  salga, 
0  lor  ne  sbuchi,  e  ne  gli  tiri  al  piauo. 

Alfin  rannata  assaglio,  ch'a'riparl 
Ila  l'un  canto  congiunta,  entro  un  ca»" 
D'ondo  e  d'argini  cinta,  era  nascosta,  1 
Qui  foco  esclama,  o  foco  di  sua  man» 
Con  nn  ardente  piuo  n'suoi  seguaci 
liispoosa,  o  lor  con  la  presenza  acccn 
Onde  tosto,  e  le  faci  o  i  legni  appresi, 
Fumo,  fiamme,  favillo  o  vampi  innubi 
K  volumi  di  pece  al  cicl  u'andaro. 

Muso,  ditono  or  voi  qual  nume  ali 
Scampò  do' Teucri  i  legni,  e  corno  un  tMt 
Do  la  novella  Troia  incendio  cslinso.  J 
Fama  di  tempo  in  tempo  e  prisca  fede  j 
N'avvera  il  fatto,  e  voi  conto  nc'l  fate.; 

Dlcon  che  quando  a  navigar  costretto 
Ivo  i  primicramento  i  suoi  nnvili 
A  formar  cominciò  nel  bosco  ideo; 
I)'  Ida  di  Berocinto  e  degli  Dei 
IG8-82J 


| 120-144]         uuuo  ix.  401 
l,n  madro,  al  sommo  Uiovo  orando,  disse 
Figlio,  che  sei  per  me  de  l'uuivorso 
jl.m.irca  etorno,  a  me  tua  cara  madre 
j.V<(«i'l  ch'io  chieggio, o  tu  mi  devi,  onoro, 
j;  nel  gargaco  giogo  uu  bosco  in  cima 
i)n  i»o  diletto,  ed  al  mio  numo'additto 
gii  di  gran  tempo.  Kra  d'abeti  e  d'acori 
v  i\  pini  o  di  poci  ombroso  e  denso; 

,|  umido  de  l'armata  ebbo  uopo  in  pi  ima 
jl  gioviuo  Troiano,  al  magistero 
Ynleiitler  do'siioi  légni  U  oonccdel. 
Quinci  uscir  le  sue  navi;  o  come  figlia 

])j  quella  solra,  »  son  sacro  o  caro 

Si  eh'  ur  no  tomo  ;  o  del  timor  che  n'  aggio 
Fricgo  elio  m'assicuri;  o'I  priego  mio 
Questo  possa  appo  a  to,  che  tanto  puoi, 
Che  uè  da  corsu  mai,  nò  da  fortuna 
Sian  di  venti,  o  di  flutti,  o  di  tempesto 
Squassate  o  vinte:  o  lor  vaglia  elio  nato 
Son  ne' mici  m  inti.  A  cui  Giovo  risposo: 

Mailie.acho stringi!  fati?E  qual.pcrcui, 
Cerchi  tu  privilegio?  A  mortai  cosa 
Farò  dono  immortale?  K  mortai  uomo 
Soli  sarA  sottoposto  a' rischi  umani? 
Ed  a  qual  degli  Poi  tanto  è  permesso? 

Cibo.  -  26.  182-97] 


tuo 
lineo 

■ 


408  l'kkkide.  |H5-lg 

Pifi  tosto  allor  elio  snran  giunto  ni  finali 
E  clic  In  porto  saranno,  a  quello  tutta 
Che,  scampate  da  l'ondo,  il  teucro  duco 
Avran  ne'campi  di  Lauronto  esposto, 
Tonò  la  mortai  forma,  e  Dee  filmilo- 
Che  qual  di  Nereo  e  l>ntò  o  GalatcsF 
Fendan  coi  potti  o  con  lo  braccia  il  ) 
Cosi  dotto,  il  torrente  e  la  vmago 
£  la  squallida  ripa  o  l'atra  pcco 
D'Ach«iontc  giurando,  uhi  ass''  '1  cigliai 
E  fc  tutto  tremar  eoi  ccniin  il  mondo, 
Or  qnesto  ora  quol  di.  quest'era  il  fino 
Da  lu  Parelio  dovuto  ai  teucri  legni: 
Onde  la  madre  Idea  contra  l'oltraggio 
Si  fo  di  Turno,  o  gli  sottrasse  al.foco. 
rrlniieratnente  inusitata  luco 
Balenando  rifulse:  indi  un  gran  nembo 
Di  Coribauti  per  lo  ciel  trascorso 
Di  vèr  l'aurora;  ed  una  voce  udissi 
Ch'empiè  di  meraviglia  e  di  spaventi! 
L'un  osorcito  e  l'altro:  0  mici  Troiani, 
Dicendo,  non  vi  caglia  a' mici  navili 
Porger  soccorso:  rè  perciò  nel  campo 
Uscite  a  rischio.  Arderà  Turno  il  maro 
Pria  che  lo  sacro  a  mo  diletto  navi. 
[9S-U6j 


[  1 70-104]         unno  ix.  403 

E  voi.  mie  nari,  Itene  «Molte;  e  Poe 

Shtte  dol  miro;  Io  genitrice  vostra 

j,m  vi  comando.  A  questa  voce,  in  quanto 

I    --i  a  pena.  s'allintArio  rimi 

p/  lor  ritegni  :  o  di  delfini  fn  guisa, 

Coi  rostri  ai  tnffaro.'Iirti  sorgendo 

(Jlirnliil  mostro!),  quante  a  riva  in  prima 

Ernn  le  navi,  tanti  di  donzelle 

gi  rider  per  lo  mar  ? croni  aspetti. 

mciitaronsl  i  Ku^uli;  e  Messina 
O'suni  cavalli  attonito  formossi. 
]|  padre  Tibcrin  roco  mugghiando 
pai  mar  fuggissi.  A'è  perciò  di  Turno 
(Y>v>  l'audacia,  anzi  via  più  feroce, 
fili  altri  cssortowdo  e  riprendendo,  Ah,  disso 
pi  che  temete?  Incontro  ni  Teucri  stessi 
Yiiigon  questi  prodigi  ;  e  loro  ha  Giuro 
po  le  lor  forzo  cssaustl.  Il  ferro  e  '1  fuoco 
Non  nspettan  do'Kutuli:  han  del  maro 
perduta  e  de  la  fuga  ogni  sporanza. 
Essi  del  mare  inflno  a  qui  son  privi; 
E  la  terra  è  por  noi,  tante  son  genti 
p"Italia  in  arme.  Nò  tem' io  de' vanti 
Che  de'lor  vaticini)  e  de' lor  luti 
Pa  lor  si  dnuuo.  Assai  de' fati,  assai 
1110-185] 


404  i.'  KNKius.  |19o.~Ìfl 

E  l'intento  di  Tonerò  adempito, 
Clio  son  nel  Lizio.  K  'ncontro  ni  fati  loroJ 
Sod  anco  i  miei,  elio  tor  del  [.tizio  io  degn 
Anzi  del  mondo,  questi  s  vi.  r  iti  g 
De  l'altrui  donno  usurpatoli  e  drudi: 
Cliè  non  soli  irli  Atridi,  o  nou  sola  Argo  1 
N'hau  duolo  e  sdegno. Oh .'  basta  eh'  uua  voli 
Ne  son  periti.  Si,  so  lor  bastasse 
D'aver.in  ciò  sol  una  volta  errato. 
Nuovo  fruir:  nuova  pena.  Or  non  tiranno. 
Otuai  quest'infelici  iu  odio  affatto 
I,o  donno  tutto,  a  tal  di  già  condotti, 
Che  non  Itati  de  la  vita  altra  fidanza, 
Clio  questo  poco  e  debile  steccato 
Che  da  lor  no  divide?  e  tanto  a  (iena 
Son  lungo  dal  morir,  quanto  s'indu-rio 
A  varcar  questa  fossa.  In  ciò  i Sposto  d 
IIuu  la  spento  e  l'ardire.  0  non  hall  listo 
Le  mura  anco  di  Troia,  elio  costrutto 
Fur  per  man  di  Nettuno,  a  terra  sparse 
E  'n  cenerò  converse  V  Ma  chi  meco 
Di  voi,  guorriori  eletti,  è  elio  s'accingo  1 
D'assalir  queste  mura  e  queste  gemi 
Giù  di  paura  offese?  A  me  lor  contro 
D'uopo  uou  son  né  l' urini  di  Vulcano, 
1135-148J 


[i20-244|         libro  ix.  ,  *03 

f;;.  mille  navi.  E  vengano  pur  tutta 
J,'  Etruria  insieme.  E  non  furtivameuto 

I  nnn  di  notte,  comò  fauno  i  vili, 

II  Palladio  involando,  e  do  la  rócca 
I  i-ustodi  occidendo.  assalirògli; 
■gii  del  cavallo  no  l'oscjirn  von'tro 
V'appiatterò.  Di  giorno  «portamento 
It'aintrO  di  fuoco  cingcrògli  in  guisa. 
Ch'altro  lor  sembri  elio  garzóni  o  cerno 
Aver  di  Greci  jo  di  Pelnsgi  intorno. 

pi  cui  l'assedio  indilo  al  decim'anno 
fctt  .r  sostenne  Or  poscl»  clic  del  giorno 
S'è  buona  parte  Risiilo  a  qui  passata 
felicemente,  il  resto  che  n'avanza 
Attendete  a  posarvi,  a  ristorarvi, 
A  disporvi  a  l'assalto;  o  no  sperato 
Lieto  successo.  Indi  a  Mcssapo  incarco 
Si  dà,  che  sontinello  e  guardie  o  fochi 
•  Disponga  anzi  a  lo  porte  o  'nlorno  al  muro, 
fi  sette  o  setto  capitani  egregi, 
Kutnli  tutti  a  quest'impresa  elesse. 
Con  cento  ebe  n'avoa  ciascuno  appresso 
Di  purpuroi  cimieri  ornati  e  d'oro. 
Questi,  lo  muto  varTando  c  l'ore, 
Scorrevano  a  vicenda:  e  'ntorno  a' fochi 
114S-1C5I 


408  l'exit».  |245-! 

Pesti  in  su  l'orba,  infra  le  tazze  e  lumi 
Trovali  la  notte  in  gozzoviglie  o  'n  ginoe] 

Starano  i  Teneri  il  campo  rimirando 
Da  la  muraglia;  e  per  timore, «ruiatj^ 
Yisitavan  lo  porte,  e  'n  su* ripari 
Eacoan  bortescho  o  sferratoio  o  ponti. 
Era  Mommo  lor  sopra  c  '1  buon  Sergostoi 
Clio  fur  dal  padre  Kuea  nel  suo  partire 
A  guerreggiar,  se  guerra  si  romposao,  \ 
Ter  condottieri  e  per  maestri  elet  ti. 
Già  su  le  mura,  ovunque  o  da  periglio  ] 
0  da  la  vece  orati  disposti,  ognuno 
Tonca  il  suo  luogo.  Un  de- più  lì'  ri  in  arine. 
Niso  d' Irtaco  il  figlio,  ad  una  porta 
Era  proposto.  Da  lo  eacce  d' Ma 
Volino  costui  mandato  al  troian  duco, 
Grau  foritor  di  dardo  e  di  saetto, 
EurTalo  ora  seco,  un  giovinetto 
Il  più  bello,  il  più  gaio  e  '1  più  leggiadlttj 
Clio  noi  campo  troiano  arme  vestisse; 
Cb'a  pena  avoa  la  rugiadosa  guuiicia 
Del  primo  fior  di  gioveutute  aspersa. 
Era  tra  questi  duo  solo  un  amore 
Ed  un  volerò;  e  nel  mestier  do  l'armi 
V  un  sempre  ero  con  l'altro,  od  ambi  insieme 
[IG0-183J 


|-.'70-294]         udrò  ix.  ,<07 
Stavano  nllor  voggliiaudo  a  la  difesa 
Ili  quella  porta.  liissc  Nino  in  prima: 

Kurtalo,  io  non  so  se  Dio  mi  sforza 
:  /uir  quel  di' io  pt-mo,  o  se  *)  pensiero 
.Stesso  di  noi  fassi  a  noi  forza  e  dio. 
I  n  desidorio  ardente  il  cor  m'invoglia 
p'nsciro  a  campo,  o  far  contr' ft' nemici 
IH  qualcho  degno  e  inemorabil  fatto: 
Sì  di  star  pigro  o  neghittoso  aborro, 
fu  vedi  là  conio  securi  od  etri 
ì  sonnacchiosi  i  K«tuli  si  stanno 
Cui  rari  fochi  e  gran  silenzio  intorno. 
],'  ut-castone  è  bella,  ed  lo  soli  fermo 
Pi  noria  in  uso:  or  in  qual  modo  ascolta. 

Asc.mio,  i  consiglieri  e  '1  popol  tutto, 
Per  richiamare  Enea,  per  avvisarlo, 
f  per  avvisi  riportar  da  lui, 
Ccrcan  messaggi.  Io,  quando  a  te  promesso 
Premio  ne  sia  (eh' a  mo  la  fama  sola 
Basta  del  fatto),  di  potor  m'affido 
Lungo  a  quol  colle  investigar  sentiero. 
Onde  a  l'allanto  a  ritrovarlo  io  vada 
Securamcnte.  Eurlalo  a  tal  dire 
Stupissi  in  prima:  indi  d'amore  acceso 
Pi  tanta  lodo,  al  suo  diletto  amico 
1183-1USJ 


40?  t' marra.  |29ó-8M 

Cosi  risposo:  Adunque  ne  riiqpiosoV 
Pi  momento  e  d'unorc  io  da  to,  Niso,  ] 
Son  cosi  rifiutato?  E  te  posso  io 
Lassar  si  solo  «  sì  ginn  rischio  andare? 
A  ino  non  dio  questa  creanza  Ol'clto 
Mio  ponitore,  i!  cui  valor  mostrassi 
Negli  affanni  di  Troia,  c  nel  terroni  i  J 
De  l'argulica  guerra.  Ed  io  tal  saggio  . 
Non  t'ho  dato  di  me,  teco  seguendo 
Il  duro  fato  o  In  fortuna  avversa 
Poi  magnanimo  Enea.  Questo  mio  coro 
È  spregiatore,  è  spregiatolo  aneli' egli 
Di  questa  vita,  o  degnamente  spesa 
La  tiene  allor  clic  glorin  so  ne  merchi 
E  quol  cho  cerchi,  ed  a  me  nieghi,  onoro.  1 
Soggiungo  Niso:  Altro  di  te  coifcctto  i 
Non  ebbi  io  mai,  né  l.il  s.  i  l  i  eh'  io  ùVggi» 
Averlo  in  altra  guisa.  C'usi  liiuvo 
Vittorioso  mi  ti  renda  e  lieto 
Da  questa  impresa,  o  qnal  altio  sia  nume 
Clic  propizio  e  benigno  no  si  mostri. 
Ma  so  per  caso  o  per  destino  avvoiso 
(Come  sovente  in  questi  rischi  avvéiie)  i 
lo  vi  perissi,  il  mio  contonto  in  questo  | 
È  cho  tu  viva,  si  perché  di  vita 
11US  212] 


(520-3-MJ        LiBiio  ix.    ,  *09 

più  degni  1  tuoi  giorni.  0  si  perch'io 
.\     i  chi  dopo  me,  so  non  con  l'anno, 
Aliuon  con  l'oro  il  niio  corpo  ricovro, 
y,  |,i  ilcuoprn.  E  s'anciirTMò  m'ó  tolto, 
Aitili  si»  cbi.d'esseqaio  •  di  sepolcro 
I,„ntaii  m' onori.  Oltre  jdi  ciò  cagiono 
Esser  non  deggio  a  tua  madre  infelice 
D'un  dolor  tanto:  a  tua  madre  che  sola 
pi  tanto  douno  ha  di  seguirli  osato, 
■  colimi  I  spregiando  o  la  quiete 
pe  la  città  d' Accstò.  A  ci»  di  nuovo 
Emulo  risposo:  Indarno  adduci 
gl  vano  scuso;  c<\  io  già  formo  o  saldo 
Ilei  proposito  mio  peusier  non  muto. 
Affrottianci  a  l'impresa.  E.  cosi  dotto, 
postò  lo  sentinelle,  e  lo  riposo 
In  vece  loro;  o  l'uno  o  l'altro  insiemo 
So  ne  partirò,  o  no  la  roggia  andaro. 

Tutti  gli  altri  animali  avoan,  dormondo, 
Sovra  lo  torra  oblio,  tregua  o  riposo 
Da  le  faticho  o  dagli  affanni  loro. 
I  teucri  condottieri  e  gli  altri  ciotti. 
Che  do  la  guerra  avean  l'imperio  o  M  carco. 
S'orano  e  de  la  guerra  e  de  la  somma 
Di  tutto  'I  rcguo  a  consigliar  ristretti: 
1212-22C] 


410  I.*  RNKIDE. 

E  uri  mozzo  del  cnmpo  nitri  agli  scudi,  f 
Altri  a  l'asto  appoggiati,  avi-an  rnusult(( 
Di  cho  far  si  dovesse,  e  chi  per  musso 
Ad  Enea  si  mandasse.  I  duo  compagni  • 
I)' ossero  ammessi  e  'ncoutinentc  uditi 
Fccor  gran  ressa  o  di  portar  sembiante 
Cosa  di  gran  momento  o  di  gran  danno 
Se  s'fndugiasse.  A  qaosta  fretta,  il  pi  imo 
Si  feco  Ascariio  avanti:  e  vòlto  a  Niso  j 
Comandò  elio  dicesse.  Egli  altamente 
fallando  incominciò:  Troiani,  udite 
DÌ8cretaiiioutc  :  e  quel  che  si  propone 
E  si  dico  da  noi,  non  misurato 
Dagli  anni  nostri.  I  Kutuli  sepolti 
So  no  stan  da  la  crapula  c  dal  sonno; 
E  noi  stossi  appostato  avemo  un  loco 
Da  quella  porta  cho  riguarda  al  maro. 
Atto  a  le  nostre  insidie  ove  la  strada 
Più  larga  in  duo  :-i  pinti-.  Intuì  no  al  canna 
Sono  i  fochi  interrotti:  il  fumo  oscuro 
Sorgo  a  le  stelle.  Se  da  voi  n'ò  date 
D'usar  questa  fortuna,  e  quest'onore 
No  si  fa  di  mandarne  al  nostre  duco, 
Al  Pallautòo  n'andremo,  e  no  vedreto 
Assai  toste  tornar  carchi  di  spoglie 
[227-213J 


,:;70-894j        libro  ix.  'Al 
Vegli  avversari  nostri,  c  tutti  aspet  i 
Ilei  sangue  loro.  E  non  fui  cho  In  strada 
Ne  gabbi:  che  più  Tolto  qui  d' intorno 
tacciando,  avemo  e  tutte  questo  vnllo 
j;  tutto  il  Dumo  attraversato  e  scorso. 

Qui  d'anni  gravo  e  ili  ponsiór  maturo 
Al.  ro  al  eie]  rivolto,  0  patri!  Dli, 
Tiisso  esclamando,  il  cui  nome  fu  sempro 
Propizio  a  Troia,  pur  del  tutto  spenta 
flou  volete  c  je  sia  morcè  di  voi. 
Poscia  cho  questo  ardire  e  questi  coli 
fcV  petti  a' nostri  gloriai  ponete. 
E  stringendo  le  man',  gli  omeri  e  'I  coìto 
Or  de  l'uno  or  de  l'altro,  ambi  onorava, 
pi  dolcozza  piangendo.  K  qn.nl,  dicco, 
Qual,  generosi  figli,  a  roi  durassi 
pi  roi  degna  mercede?  Iddio,  eh' è  primo 
Pegli  uomini  o  supremo  guiderdone, 
E  la  rostra  virtù  premio  a  se  stessa 
Sin  primamente  Knea  poscia  useravvi 
Sua  largitato.  e  questo  giovinetto 
Clio  d' un  tal  vostro  morto  avrà  mai  sompre 
Polce  ricordo.  Anzi  io,  soggiunse  lido, 
Che  senza  il  padre  mio  la  mia  saluto 
Veggio  in  periglio,  per  gli  dei  Penati, 
1213  253| 


412  lenkidi.  [395 

l'or  In  casa  d' Assarnro.  per  quanto 
Dovete  al  snero  e  venerabil  nume 
De  In  gran  Vesta,  ogni  fortuna  mia 
Ponendo,  ogni  mio  affare,  in  grembo  & 
Vi  prego  avvocare  il  patire  mio. 
Fato  eh'  io  lo  riveggia:  o  nulla  poi 
Sarà  di  ch'io  più  tema.  E  già  vi  dono 
Due  «-ini  rasi  d'argento,  elio  scolpiti 
Sono  a  ligure;  un  do' più  ricchi  arnesi 
Che  del  sacco  d'Arislia  in  preda  avesse 
Il  padre  mio;  duo  tripodi;  duo  d'oro 
Maggior  talenti,  ed  un  tazzonc  mitico 
Do  la  sidotiia  Dido.  E  se  n'ù  dato 
Tenor  d'Italia  il  desiato  regno, 
E  che  preda  sortirno  unqua  mi  tocchi. 
Quello  stesso  destrier,  quello  stesse  armi 
Guarnite  d'oro,  onde  va  Turno  altero, 
E  quel  suo  snudo,  e  quel  ciinier  sanguigno 
Sottrarrò  dalla  sorto:  e  di  gii  Niso, 
Gli  ti  consegno;  e  ti  pi  ometto  in  nomo 
Del  padre  mio,  che  largir  ulti  ancora 
Dodici  Tra  mill'altri  eletti  corpi 
Di  bollissime  douno,  e  dodici  nitri 
Di  giovini  prigioni,  o  l'armi  loro 
Con  essi  insieme,  e  di  Latino  stesso 
(2Ì9-27-1] 


[lCO-444]         libro  ix. 

l.  i  regia  villa.  Or  te.  mio  vonoraudo  ' 

fanciullo,  abbraccio,  agli  cui  giorni  i  mio! 

Vati  più  vicini.  Io  te  con  tutto  il  coro 

Accetto  per  compagno  o  per  fratello 

li,  ogni  caso;  e  nulla  o  gloria  o  gioia 

procurorommi  iu  pace  injqiia  où*  in  guerra, 

Che  non  sii  inoco  d'ogni  mio  pousiero 

g,r ogni  ben  partecipo  0  consorte; 

K  no  lo  tuo  parole  e  no'  tuoi  fatti 

j„uima  spemo  avrò  sempre  o  soiaum  fede.  . 

Kurialo  risposo:  CTfoia  ornilo 
Clic  fortuna  mi  sia.  non  RbtA  mai 
Ch'io  discordi  da  nte:  mai  non  ugnalo 
Lo  mio  cor  non  vodrassi  a  questa  implosa: 
ys  sopra  agli  altri  tuoi  promessi  doui 
Questo  solo  brani' io:  la  madro  mia, 
Ch  ■  dal  ceppo  di  Priamo  ò  discosa, 
E  elio  por  me  seguire  ba,  la  moseliina. 
Non  pur  di  Troia  abbandonato  il  nido, 
Ma  '1  ricovro  d' A  ceste,  o  la  sua  vita 
Stessa  (a  tanti  per  me  l' ha  rischi  esposta), 
pi  questo  mio  periglio,  qual  che  e' sia, 
Nulla  ha  notizia:  od  io  da  lei  mi  parto 
Senza  che  la  saluti,  e  che  la  reggia. 
Per  questa  man,  per  questa  uotle  io  giuro, 

lsì74-i:saj 


414  l'cvkidr.         |1 15-4691 

Siirnor,  clic  ne  vederi»,  né  1»  pietà 
Soffrir  de  le  sue  Inerirne  non  posso. 
Tu  questa  derelitta  poverella 
Consola,  te  no  priego,  e  la  sovvieni 
In  vece  mia.  So  tu  ìli  ciò  m'affidi. 
Andrò,  con  questa  «pomo,  ad  ogni  rischtjfl 
Con  più  baldanza.  Si  commosse!'  tutti  \ 
A  tai  parole,  o  lagrimaro  I  Teucri; 
E  più  di  tutti  Ascanio.  a  cui  sovvenne  \ 
Po  la  pietà  ch'ebbe  suo  padre  al  pndrojfl 
K  disse  al  giovinetto:  Io  mi  ti  lego 
Per  fedo  a  tutto  ciò  che  la  grandezza 
Di  questa  impresa  <•  'I  tu  •  \ :\!or  1  i.-hiedo. 
E  perchè  mia  sia  la  tua  madre,  il  nomo  I 
Sol  di  Creusa.  c  nuli* altro,  le  manca. 
Né  di  picciolo  morto  è  di' un  t:il  n>l|« 
N'aggia  prodotto,  segua  che  cho  sia 
Di  questo  fatto.  Kd  io  per  lo  mio  capo 
Ti  giuro,  per  lo  qual  solca  pur  dianzi 
Giurar  mio  padre,  ch'a  la  madr«  tua, 
A  tutta  la  tua  stirpo  si  daranno 
I  doni  stessi  cho  serbar  mi  giova 
Pur  a  te  nel  felice  tuo  ritorno. 

Cosi  disse  piangendo;  •  la  sua  spada, 
Che  di  man  di  Licione  guarnito 
[28U-3U1J 


[170-4941         libro  ix.  415 
Arca  d'avorio  il  fodro,  e  l'olso  d'oro, 
pistaccossi  dal  fianco,  c  lui  no  cinse 

nini"  al  tolgo  di  Niso  Un  tergo  impose 
I    villoso  luoue;  u'1  fido  Ali-te 
Gii  scambiò  L'olmo.  Cosi  tosto  armati 
gè  n'uscir  da  la  reggiane  i  primi  tutti, 
Giovili!  e  vecchi,  iu  vece  d'onoranza 
(ino  a  la  porta  con  preconi!  e  roti 
Gli  accompagnalo.  11  giovinetto  lulo 
tVn  viril  cura  a  con  pensior  maturi 
Innanzi  agli  nulli,  ragionando  in  mezzo 
Giva  d'entrambi:  ed  or.l'uno  ed  or  l'altro 
jlulto  avvertendo,  molto  coso  a  diro 
jlaudava  al  padre:  lo  qunrtutte.nl  vento 
('uion  commesso,  e  dissipato  a  l'aura. 

Escono  alfluc.  E  giù  varcato  il  Tosso, 
pa  le  notturno  tenebre  covorti 
gi  ine ttou  por  la  via  elio  gli  conduco  . 
^1  campo  do' nemici,  anzi  a  la  morte, 
jkln  non  morranno,  che  macello  e  strago 

faran  di  molti  in  prima.  Ovunque  u  

Veggio»  corpi  di  genti,  cho  sepolti 
Soli  dal  sonno  e  dal  vino.  I  carri  vóti 
Con  ruote  o  briglie  intorno,  uomini  ed  otri 
E  tazze  e  scudi  in  un  miscuglio  avvolti. 
1305-819J 


•110  l'knkiiik.  |IW-5ta| 

Diate  d'Irtaco  il  figlio:  Or  qui  InsogmjS 
Eurlalo,  aver  core,  oprar  le  mani, 
E  conoscere  il  tempo.  Il  cammin  nastrivi 
È  per  di  qua.  Tu  qui  ti  fijl  ma,  e  !'»■  chinM 
Gira  por  tutto,  cho  non  sin  da  tergo 
Chi  u'iuipodisca;  ed  io  tosto  col  ferro  ■ 
Sgombrerò  '1  pus**,,  c  t'aprirò  il  scntled 
Ciò  cheto  disse.  Indi  Kannète  assalgo, 
Il  superbo  Burnite,  cho  per  sorte 
Entro  una  sua  trabacca  avanti  a  lui 
In  ni' tappeti  a  graud'agio  dorala, 
E  russava  altainonte.  Era  costui 
A  ro  Turno  iratissimo,  ed  anch' egli 
liege  o'ndovino;  ma  non  seppe  il  Collo 
Indovinar  quel  eh' a  lui  stosso  avvenne. 
Tl«  suoi  famigli,  chu  dormendo  appresso 
Giaceau  fra  l'armi  rovesciati  a  caso. 
Tutti  in  un  mucchio  uccise,  od  un  valletto 
Ch'era  di  Komo,  e  sotto  i  suoi  cavalli 
Lo  stesso  auriga.  A  costui  (russo  un  colpe 
Cho  gli  mandò  giù  ciondoloni  il  collo:  ' 
Indi  al  padron  di  netto  lo  rociso 
Sì,  che'l  sangue  spicciando  d'ogni  vena. 
La  terra,  lo  stramazzo  c'I  desco  intrise.  - 
T .-unirò  estinse  dopo  questi  e  Unno, 
10048*1 


;.v->0-r.ii|   '    libro  u.  417 

K  'I  giovino  SArrano.  Uo  bel  garzono 
Kra  costui  gran  giocatore,  o  'n  gioco 
I  usino  allora  avoii  sempre  vegliato.  • 

I  elico  lai  per  lo  suo  villo  stesso 
Si'  giocato  o  perduto  ancora  avossu 
Tutta  la  notte!  KrA  a  yoder  tra  loro 

II  fioro  Niso,  qual  <la  fame  spinto 
Non  pasciuto  loone,  un  pieno  orilo 
imbotto  o  per  timor  già  muto  nssaglie, 
L'ho  d'ungliio  armato,  e  sanguinoso  Urinilo 
Ti  aouao  e  divorando  ancide  o  ruggo. 

Nò  fé  strago  minor  dall'altro  cauto 
Eurlaln,  eh' acceso  o  furioso 
Tra  molta  plcbo  molti  gonza  nomo 
y. , piasi  senza  vita  a  morto  trasse  ; 
Si  rial  sonno  crnn  vinti;  o  de'  nomati 
Occiso  Ebeso,  Fado,  Abari  e  Reto. 
Questo  Roto  era  desto:  ondo  vcggcmlo 
Con  la  morte  degli  altri  il  suo  periglio, 
Per  la  panra  appo  d'un' urna  ascoso 
Quatto  e  quoto  si  stava.  Indi  sorgondo 
Oli  fu  '1  giovine  sopra,  e  'I  ferro  tutto 
Entro  al  petto  gl' immorso,  e  con  gran  parto 
De  In  sua  vita  indietro  lo  ritrasse; 
Siche  tra '1  vino  o'I  sangue  end' era  involta, 

Caso. -87.  [885-SW] 


413  l'kkfim;.  [5I5-6M 

Gli  asci  l'alma  di  purpura  vestita. 

Con  questa  occiston  di  buia  notto 
E  di  lui-tiro  agguato  il  buon  garzano 
Fcrridamento  instar».  E  già  rivolto 
S'era  contro  a  la  schiera  di  Mcssiipo 
I.à  're  '1  foco  redea  del  tutto  estinto, 
E  là  're  i  suoi  camalli  a  la  campagna 
Paseean  legati  ;  allor  che  Niso  il  rido 
Che  da  l'occislono  e  da  l'ardore 
Trasportar  si  lasciava.  E  breremonte:  i 
Non  più.  gli  disse,  chò  'I  nimico  sole 
No  sorge  incontra.  Assai  di  sangue  ostile' 
Fin  qui  s'è  sparso:  assai  di  largo  avemn> 
Molt'armi,  molt'argenti  o  niolfamosi 
Lasciare  indiotro.  1  giiarnimeiiti  soli 
Del  cavai  di  Kunuùte  e  le  sue  burchio 
Burlalo  si  proso  con  un  cinto 
Bollato  d'oro,  un  prezioso  dono 
Che  Còdico,  uu  ricchissimo  tiranno, 
A  Remolo  tibui  te  ospite  assouto 
Feco  in  quel  tompo.  Keniota  al  uipoto 
Lo  lasciò  per  retaggio  o  questi  in  euorrfc 
Ne  fu  poscia  da'  Ruttili  spogliato: 
Quinci  gli  ebbe  Itauui-to,  o  quinci  preda.  i< 
Fur  d' Eurlalo  al  fine.  Egli  giarouno 
r850-3«-tl 


|  .'.70-594 ]         libro  ix.  419 
J  forti  omeri  in.br no.  Appresso  ili  cupo 
S'adattò  di  Mcssiipo  un  luei.1' elmo 
li' alto  cimiero  adorno:  e  'u  questa  fruiva 
ik>  ne  partiau  vittoiYosf  e  salvi. 

Intanto  di  liaurento  ermi  le  schiero 
Uscite  a  campo,  o  i  tur  cavalli  avanti 
l'rccorrcan  l'ordinanza,  ed  a  re  Turno 
Ko  portavano  avviso.  Eran  trecento 
Tutti  di  scudi  armati;  e  capo  e  guida 
'N'era  Volsccjite.  Gii  ricini  al  campo 
Scorgean  le  mura 'quando  fuor  di  strada 
Videro  da  man  manca  i  duo  compagni 
Tener  sentiero  obliquo.  Era  un  liarlinno 
I,à  'v'era  l'ombra,  o  li  'v'era  la  luna, 
Agli  avversi  suoi  raggi  la  celata 
p(  |  malo  accorai  EurTalo  rifulso, 
pi  cotal  vista  insospettì  Volscento, 
E  gridò  da  la  squadra  :  0  là  fermate. 
Chi  viva?  A  dio  vonitoS  Ove  n'andate? 
Chi  siotc  voi?  La  lor  risposta  incontro 
fu  sol  di  porsi  in  fuga  cprcvnlorsi 
p«  la  selva  e  del  buio.  I  cavalieri 
Batto  chi  qua  chi  là  corsero  a'  passi. 
Circondarono  il  bosco;  ad  ogni  uscita 
Posero  assedio.  Era  la  seira  un' ani]. in 
[364-381J 


420  L*  mfeiSI.  [")!>5 

Macchia  d'elei  o  di  primi  ori  Ida  o  foH 
l'h'avca  rari  i  sentieri,  occulti  o  atro 
E  gì' intrichi  de'  rami  e  de  In  prozia 
Ch'eia  pur  grave,  o  '1  dubbio  de  la  str 
Tencan  sovente  Fintalo  impedito. 
Kiso  disciolto  o  lieve,  o  Ad  compagno 
Nou  s'accorgendo  ch'ora  indietro  ar 
Oltro  si  spinse.  E  già  fuor  do'  nemici 
Era  no'  campi  che  dal  nome  d'Alba 
Si  son  poi  detti  albani.  Allor  le  razzo 
E  le  stallo  v'avoa  de'  suoi  cavalli 
11  re  Latino.  E  qui  poscia  ch'ini  poco 
Ebbe  il  suo  caro  amico  indarno  atteso, 
Gridando,  ah  disso.  EurYalo  infelice, 
U'sei  rimaso?  U'  più  (lasso)  ti  trovo 
Per  questo  labirinto?  E  tosto  indie  tro 
Rivolto,  per  le  vie,  por  l'ormo  stesso 
Di  tornar  ricercando,  si  i  imbosca. 
Ei  ra  pria  lungamente,  e  nulla  sento: 
Poscia  sonto  di  trombo  e  di  cavitili 
E  di  voci  un  tumulto:  o  vedo  appresso 
Eurlalo  fra  mezzo  a  quello  genti, 
Quii)  cacciato  leone.  E  già  dal  loco 
E  du  In  notte  oppresso  si  travagli» 
E  si  difeudo  il  poverello  invano. 

[381-3931 


|i',-20-Gll]         libro  ix.  481 
Clio  fari?  Con  che  forze,  o  con  qnal'arml 
Ha  che  lo»cani|ii?  Avronterassi  in  mezzo 
Po'  nim:<-i  a  morir  morte  onorata? 
C  .sì  risolve,  c  prestamente  un  dardo 
S'adatta  in  mauo;  e  vòlto  in  vèr  la  Luna, 
Cli' allora  alio  splondea,  cosi  1»  prega  : 

Tu,  llca,  tu  de  la  notò*  eterno  lume, 
Tu  regi  uà  de'  boschi,  in  tauto  rischio 
}Cc  porgi  aita.  E  s'ìrtaco  mio  padre 
Per  nio  de  le  sue  cacce,  io  de  le  mie 
Il  dritto  uuquaf  offrimmo;  o  so  t'apposi, 
E  se  t'affissi  mai  teschio  nò  spoglia 
pi  fera  belva,  or  mi  concedi  ch'io 
Questa  gente  scolpigli,  o  la  mia  mano 
Roggi  c  i  mici  colpi.  E  ciò  diceudo,  il  dardo 
Vibrò  di  tutta  forza.  Egli  volando  . 
Fetide  In  notte  e  giunse  ovo  a  rincontro 
Era  Sulmona,  o  l'investi  nel  tergo 
IÀ  've  pendea  la  targa;  e  '1  forro  o  l'astn 
Possògli  al  petto,  o  gli  traflsso  il  coro. 
Cadde  freddo  il  meschino;  e  con  un  caldo 
piume  di  sangue,  che  gli  uscio  davanti. 
Fini  la  vita  o  col  singozzo  il  flato. 

Guardansi  l'uno  al' nitro; e  tutti  Ingioino 
Jliiaii  d'intorno  di  stupor  confusi 
I3UU-415] 


422  L' KXK10K.  1'  !  '.  l'ili!) 

E  di  timor  d'insidie.  E  Niso  intanto 
Vis  l'iii  si  studia;  ed  ceco  un  nitro  flora 
Colpo,  ch'nven  di  già  librato,  e  dtitto 
Di  sopra  gli  si  spicca  da  l' orecchio, 
E  per  l'aura  ronzando  in  una  tempia 
Si  conficca  di  Tngo,  e  passa  a  l'altra. 
Volscente  acceso  d' ira,  non  reggendo 
Con  chi  sfogarla,  al  giovine  rivolto, 
Tu  me  no  pagherai  per  Ambi  il  fio. 
Disse,  o  strinse  la  spada,  e  vèr  lui  corte, 
Niso  a  tal  vista  spaventato,  e  fuori 
Uscito  do  l'agguato  e  di  sé  stosso 
(Che  soffrir  non  poteo  tanto  doloro) 
Me,  me,  gridò,  me,  Rutuli.  occideto. 
Io  son  che  '1  foci:  io  son  che  questa  froda 
Ho  prima  ordito,  in  me  l'armi  volgete;  ] 
Che  nulla  ha  contrn  a  voi  questo  ineschi' 
Osato,  nò  potuto.  Io  lo  vi  giuro 
Por  lo  ciel  che  u'ò  conscio  o  per  lè  stolta) 
Questo  tanto  di  mal  solo  ha  commesso, 
Clio  troppo  amato  ha  l'infelice  amico. 

Mentro  cosi  diccn,  Volscente  il  colpo 
Già  con  gran  forza  spinto,  il  bianco  pot 
Del  giovine  trafìsso.  E  già  moreudo 
Burlalo  cndea,  di  sanguo  asperso 
[415-1331 


(«70-09»]  LIBRO  IX.  *V» 

1...  bolle  membra,  «  rovescialo  il  collo, 
(Jual  reciso  dal  vomero  languisco 
l'urpurco  flore,  o  di  rugiada  pregno 
l'uiiavcro  ch'a  terra  il  >apo  inchina. 

In  mozzo  do  lo  stuol  Nlso  si  scaglia 
Solo  a  Volsconto,  solo  cantra  Ini 
l'on  la  sua  mira.  I  cavalier  ohe  intorno 
Stavano  a  sna  difesa,  or  quinci  or  quindi 
Lo  tenevano  a  dietro.  Ed  ci  pur  sempre 
Addosso  a  lui  la  sua  fulminea  spada 
Kotava  a  corco.  E**fc  largo  intanto 
Ch'ai  Un  lo  giunse:  o  mentre  che  gridava, 
Cacciagli  il  ferro  no  la  strozza,  o  spinse. 
Cosi  non  morso,  che  si  rido  avanti 
Morto  il  nemico.  Indi  da  cento  lance 
Trafitto  addosso  a  lui,  per  cui  moriva, 
Gittossl:  o  sopra  lui  contento  giacquo. 
Fortunati  ambidue!  So  i  Tersi  mici 
Tanto  han  di  forza,  nò  per  morte  mai 
Nò  por  tempo  sarà  elio  'I  valor  vostro 
Glorioso  non  sia,  finché  la  stirpo 
D'Enea  possedorft  dol  Campidoglio 
T/i,nmobil  sasso,  finche  impero  o  lingua 
ivi»  l'invitta  e  fortunata  Roma. 
1  Kutoll  con  l'armi  o  cou  lo  spoglio 
US3-4f»nl 


424  i.'  HXKIDK.  [035-;| 

Doi  duo  compagni  uccisi  il  morto  «orpo 
Al  campo  no  poi lùr  del  duco  loro: 
Lacrimosa  vittoria!  E  non  mono  anco 
Fu  nel  campo  di  lagrime  u\ì\  lutto, 
Allnr  che  di  lìnnuctc  e  di  Sai  inno 
E  di  Xuma  la  strage  si  scoverso, 
E  di  tant'altri  eh' orna  morti  in  prima»,] 
Corso  ognuno  a  veder:  chè  parte  spenti] 
Parto  crau  mezzi  vivi;  e  caldo  e  pieno 
E  spumante  di  sangue  ora  anco  il  suolo 
Ovo  giacean  quogl' infelici  estinti. 
Ricouobbor  tra  lor  le  spoglie  o  l'elmo 
E  'I  cimici-  di  Messàpo,  o  i  gunriiiuicuti 
Che  con  tanto  sudor  ricoverati 
S'erano  a  pena.  Era  vermiglio  e  rancio 
Fatto  già  de  la  notte  il  nero  ammanta 
Lasciando  di  Titou  l'Aurora  il  letto; 
E  comparso  ora  il  sole,  o  discoverto 
Già  'I  mundi)  tuli",  allur  che  'l  ui  un  ai  muto 
A  l'urino,  a  l'ordinanza,  a  la  battaglia 
Concitò  '1  campo;  o  diede  ordine  o  loco 
Ciascun  a'  suoi.  Vendetta,  ira  o  disio 
D'assalir,  di  combatter,  di  far  sangi 
Vodennsi  in  tutti.  A  due  grnud'  aste  in 
Oouficcaron  le  testo  (orribil  mostra!) 
[•151-407)] 


I 


eia»! 


[TiO-744]         libbo  ix.  M» 
li'  Eurtalo  o  di  Ni-",  o  culi  lu  giida 
Ne  foro  oh tn  o  spettacolo  n' nomici. 
1  Taacri  arditamente  In  su  lo  nutra 
la  sinistra  incontra  si-mosti  uro; 
Clié  la  destra  dal  nume  ora  difesa. 
E  chi  da  lo  trincee,  chi  da  le  torri' 
Staran  dolonti  rimirando  i  toschi 
Ne  Pasto  affissi  polverosi  c  lordi, 
Cir  ancor  sanguo  gocciando  oran  pur  troppo 
Cosi  lungc  da'  miseri  compagni 
Rnfligurati  a  lo  fattezze  conte. 
Spiegò  la  fama  le  sue  potino  intanto, 
C  |,i  trista  novella  in  ogni  parto 
Sparse  por  la  citta,  si  ch'agli  orecchi 
pf  la  madre  d' Eurtalo  pervenne. 
Corse  subitamente  un  gioì  por  l'ossa 
A  la  meschina:  o  do  lo  man  lo  uscirò 
jx  sue  telo  o  i  suoi  fili.  Indi,  rapita 
pai  duolo  o  da  la  furia,  forsennata 
E  scapigliata  no  la  strada  uscio.; 
E  per  mezzo  do  V  armi  o  do  lo  genti 
Correndo,  o  mugolando,  senza  téma 
DI  periglio  e  di  biasmo,  andò  gridando, 
E  di  .ìucsti  lamenti  il  ciolo  empiendo: 
Ahi  cosi  concio,  Eurlalo,  mi  torni? 
[466-481] 


42C  vnutm.  (745-7 

Eurlalo  sci  tn?  Tu  sci  '1  mio  figlio,  , 
Ch'eri  la  mia  sperimi!»  c  '1  mio  tiposo 
Ne  l'estreme  giornate  di  min  vita? 
Ahi  corno  cosi  sola  mi  lasciasti,' 
Crudele?  K  come  a  cosi  gran  periglio 
N'andasti,  an?i  a  la  molte,  che  tua  m« 
Non  ti  parlasse  ohimè!  l'ultima  volta, 
Nè  che  pur  ti  vedosse?  Ah!  ch'or  ti  ve 
In  peregrina  terra  esca  di  cani, 
D'avoltoi  o  di  corvi.  Ed  io  tua  madre. 
Io  cui  l'esseqnlc  orati  dovute  o  '1  duolo 
D'un  cotjil  figlio,  non  t'ho  chiusi  gli  o«4 
Nè  lavate  le  piaglie,  nè  coporto 
Con  quella  veste  cho  con  tanto  studio 
T' ho  per  trastullo  do  la  mia  veechiczz» 
Tessuta  io  stessa  e  ricamata  invano. 
Figlio,  dove  ti  cerco?  ove  ti  trovo 
Sì  diviso  da  te?  corno  raccozzo 
Le  tuo  cosi  sbranato  e  sparso  memhr 
Sol  questa  parte  del  tuo  corpo  rendi 
A  la  tua  madre,  che  por  esser  teco 
T'ha  per  terra  e  per  mar  tanto  segui 
E  seguiratti  dopo  morto  ancor»? 
In  ino,  Rutuli,  in  mo  tutti  volgeto 
I  vostri  ferri,  so  pur  regna  in  voi 
1481-493| 


T  70-794 J         mbbo  IX.  iSl 
istallo  alcuna.  A  ino  Ja  mori*  dato 
Piìa  oh' a  nuli' altro.  0  tu.  padre  celeste, 
lliserero  di  ni*.  Tu  rol  tuo  tùia 
Mi  trabocca  nel  tartaro  ■  ra' incidi, 
p.iichò  romper  non  posso  in  alti  a  guisa 
Questa  crudele  e  disperata  vita.  ' 

Pa  questo  pianto  una  mostizia.  un  tatto* 
li'acqna  ne'  Teucri  o  tale  anco  ne  l'anni 
Un  laugnoro,  un  timore,  una  dosidia. 
Che  grami,  addolorati  e  di  gii  vinti 
ftinbravan  tutti.  Ondc*Àttorp  ed  Idèo, 
Con  quel  di  lei  togliendo  il  pianto  altrui, 
per  consiglio  dol  saggio  Dioneo 
K  per  eompassTon  de*!  buono  luto 
Clio  molto  amaramente  ne  pinugea, 
iWo  a  braccio  prendendola,  nmliediio 
I,a  portaro  a  l'albergo.  Ed  ecco  intanto 
Squillar  s'ode  dn  lungo  un  suoli  di  trombo, 
Cu  dure  a  l'armo  ed  un  gridar  di  genti 
Tal.  ebo  ne  tuona  e  no  rimugghia  il  ciclo. 
£  veggonsi  in  un  tempo  i  Volaci  tutti, 
Sotto  pavesi  consertati  e  stretti 
la  guisa  di  testuggine,  appressarsi, 
Empier  lo  fosso,  dirupare  il  vallo, 
E  tentar  la  salita,  e  por  lo  scalo 
[193-6071 


423  l'  kxiide.  [795-8 

Là  doro  la  muraglia  era  ili  sopra 
Con  minor  guardia,  o  là  've  raro  il  core 
Tralucca  do  la  gente.  Iucoutro  a  loro  j 

I  Teucri  i  sassi,  i  travi  od  ogni  tèlo  , 
Avrontarou  dui  muro;  c  con  le  j .:<-.- 1 1 o  j 
Kisos|iingoudo,  corno  iHungn  assedio 
Insegnò  lor*tli  Troia,  a  la  difesa 

Si  fcrmàr  do'  ripari  ;  o  lo  pareti 
E  i  pilastri  o  le  torri  addosso  a  loro 
E  sepia  a  la  testuggino  gittando, 
Gli  scudi  dissiparono  o  le  genti, 
SI  elio  più  di  combatterò  al  coverto 
Non  si  curaro.  Ma  d'ogni  arme  un 
Lanciando  a  la  scoperta,  i  bastioni 
fìfiendenn  de'  Troiani.  E  d'una  parto 
Mozonzio.  formidabile  a  rodere, 
Sòn  già  con  un  gran  pino  accoso  in  man 
Lo  steccato  infocando.  Ira  da  l'altro 

II  fior  Messàpo  di  Nettuno  il  figlio, 
Pomator  do' corsieri:  e  scisso  il  vallo, 
Scalo,  scale,  gridava,  o  por  lo  muro 
Kampicando  saliva.  Or  qui  in' è  d'uopo. 
Calliope,  il  tuo  canto  a  dir  le  pruovo, 

A  dir  l'occislon  die  di  sua  mano 
Foco  Turno  in  quel  di  ;  chi,  quali  o  quan 
1508-527] 


[-20-841]         "ano  ne  42" 
,\  l'Orco  no  mandasse.  Ogni  successo 
Spiega  di  questa  (ruerro  in  queste  carto. 
Tutto  a  voi.  Muse,  ò  contoj  o  voi  ln»pos:;a 
r;  l'arto  mute  ili  elitari»  altrui. 

Kra  una  torre  di  sublime  altezza 
Con  uertoscho  o  con  ponti  un  sopra  r  altro, 
I,, ,  o  opportuno.  A  questa  cran  d'intorno 
pi  fuor  gl'ItalTnnl.  o  dontro  i  Toucri; 
r;  quei  faccan  per  espugnarla  ogni  opra, 
r;  qiiosti  por  tenerla.  Avanti  a  tutti 
Si  spinso  Turno:  od  una  face  ardente 
j,a„ciovTl  da  l'un  fianco,  oro  s'appreso 
Con  molta  fiamma  ;.cosl  fiero  il  vento. 
Cosi  secchi  o  disposti  erano  i  legni. 

Ardea  la  torro  da  quel  canto,  e  dontro 
J*  gente  por  timor  corcava  Indarno 
Di  litrarsi  dal  foco:  onde  a  la  parto 
P»  l'incendio  remota  in  un  sol  mucchio 
Si  ristrinsero  insieme:  o  da  quel  peso 
p»  quel  lato  in  nn  subito  la  torre 
nu(l,i  spìnta  inchinossl,  aprissi  o  caddo. 
,]  del  ne  rintonò;  la  gente  infranta, 
Storpiata,  sfracellata,  infra  i  suoi  legni 
p»  Vanni  proprie  infissa,  o  fin  ne  l'aura 
MoiU  e  sepolta  a  terra  so  ne  »«me. 
[527  544] 


<80  1/ r.vmng. 

Soli  due  Tiri  e  per  rotiturA  intatti  | 
Dal  nembo  de  la  polvere  o  dal  fumo  .j 
Uscir  nel  campo:  Elènoro  fu  l'uno, 
lieo  fu  l'altro.  Elènore.  uu  parzeuo  , 
Di  prima  barba,  di  Licinia  serra 
E  di  Mojnio  re  nato  di  furto, 
E  sotto  Troia  a  militar  mandato 
Furtivamente.  E'  si  trovò  com'era 
tri»  ne  la  torra  lievemente  armato 
Col  brando  ignudo  e  con  la  tanto  ni  col 
Bianca  del  tutto,  come  uon  dipinta 
D'alcun  suo  fatto  {riottoso  ancora. 
Questi,  vistosi  in  mozzo  a  tonte  ponti 
Di  Turno  e  do'  Latini,  come  fora 
Ch'augia  di  cacciatori  un  cerchio  intorno. 
Muove  contro  agli  spiedi,  incontra  l'armM 
Mosso  là  'vo  più  follo  eran  lo  schiero, 
E  certo  di  morire  a  morte  corse. 

Ma  Lieo  in  su  |„  g„mu(.  .issai  più  .lestr. 
Infra  l'armi  o  i  nemici  a  fuggir  vòlto, 
Giunso  a  lo  mura  ed  aggrappasi  iu 
•Che  stendea  già  le  mani     suoi  ■•"inpngql 
Quando  Turno  e  co'  piedi  e  con  la  spada 
Lo  sopraggiunsc,  e  come  vincitore 
Kampognnndo  gli  disse:  E  che?  pensarti 
1011-500J 


Ilo 
no, 


<a 

■ 


[170-894]         libro  IX.    .  431 
l'elle,  uscirmi  di  mano?  E  le  man  tosto 
illi  pose  addosso,  e  si  corno  dal  muro 
[vndos,  col  muro  iusienic  «  terra  il  tiasso. 
In  <|Uclln  guisa  die  gli  aduii.lii  ugnimi 
Ontm  una  lepro,  o  contro  un  bianco  cigno 
Stende  l'augel  di  Giovo,  o  'I  marzio  lupo 
p»  le  reti  rapisco  un  agnelletto, 
Clicda.la  madre  sia  belato  invano. 

Si  rinovàr  le  grida,  o  tutti  insiome 
0  le  faci  avventando,  o  '1  fosso  empiendo, 
jtinforzavan  l'assaHo.  Illouòo 
Con  un  pozzo  di  monte,  a  cui  In  pinta 
pi,  L'iti  da'  morii,  sopra  al  ponte  infranse 
Lutezio  oh' a  la  porta  ora  col  foce. 
Ugero  occiso  Kmaziono;  Asila 
Ucciso  Corinto,  buon  feritori 
L'uno  di  dardo  o  l'altro  di  saetto. 
Ortigio  da  Ceuèo  trafitto  giacquo; 
Ccneo  da  Turno;  ammazzò  Turno  ancora 
Iti  e  l'ròmolo  o  Clònio  a  Dlosippo, 
E  Sigari  con  Idn:  Ida  che  in  alto 
Stava  d'un  toriKono  a  la  difesa. 
Capi  ancise  Prlvcruo.  Avca  costui 
Pria  nel  fianco  una  picciola  ferita. 
Anzi  una  graffiatura,  elio  passando 
[500-5701 


432  !•'  rsmnr.  1SD5-9É 

Fa  l'asta  ili  Tomilla:  e  il  male  accorto J 
Pur  su  porvi  la  mano,  abbandonato 
Area  lo  scudo;  quando  «eco  volando 
Ycuno  una  freccia  clic  la  mano  e  'I  fianca 
Insieme  gli  confisse;  o  via  passando  | 
Ponotrògll  al  pulimmo.  Il  mortai  colpo  J 
SI  lo  spirar  do  l'anima  gli  tolse, 
Clio  non  mai  più  sj[ir6.  Stavasi  ArcoiitaJ 
D'Arconte  il  Aglio,  in  su;  ripari  ardito 
Egiegiamento  armato,  e  sopra  l' arnie 
D'una  purpurea  cotta  ora  ndohhato 
Di  ferrigno  color,  di  drappo  ilicro; 
Un  giovino  leggiadro,  che  dal  padre 
Fn  noi  bosco  di  Marte  a  l'urini  avv 
Lungo  al  Siinùto,  u'  l'ara  di  l'alico 
Tinta  non  come  pria  di  sangue  limali 
Più  pinguo  c  più  placabile  si  mostra. 
Mezonzio  il  vide:  c  l'altre  armi  dopo 
Preso  la  f romba,  e  con  tro  giri  into™ 
So  l'avvolgo  a  la  testa.  ludi  scoppii 
Allentò  '1  piombo,  che  dal  moto  ac 
Squagliossi.o  con  gran  rombo  in  nnatem 
Il  gnrzon  porcotondo,  no  l'nrona 
Morto,  quanto  era  lungo,  lo  disteso.  . 
Ascanio  che  fin  qui  solo  a  la  caccia 
l577-6'Ji»J 


[920-944]         libro  :x.  433 
Avca  l'arco  adoprato,  or  primamente 
Oprollo  in  guerra,  o  col  primiero  colpo 
]1  feroco  Numàno  a  terra  stese, 
lieinolo  era  oostui  per  aaprannomo 
Chiamato  ;  e  poco  avanti  avoa  per  moglio 
Vrcsa  di  Turno  una  minor  sorèlla. 
Ki  di  questo  favor,  di  qncsto  nuovo 
può  regno  insuperbito,  altero  e  gonfio 
gtava  ne  l'antigunrdia,  e  con  le  grida 
gi  ringraudiva:  e  di  lontano  i  Teucri 
Soliomendo,  in  corni  guisa  alto  dicca: 
Quieto  ò  l'onor  cho  voi.  Frigi,  vi  fato 
D'un  altro  assedio?  un'altra  volta  in  gabbia 
Vi  riponete?  e  pur  col  vostro  muro, 
E  coi  vostri  ripari  or  da  la  morte 
Vi  riparate?  e  voi,  voi  fate  guerra 
Ter  usurpare  a  noi  lo  donno  nostro? 
Qual  dio,  qual  infortunio,  qual  follia 
V'ha  condotti  in  Italia?  e  chi  ponsasto 
Di  trovar  qui?  quoi  profumati  Atridi, 

0  '1  ben  parlanto  Ulisso?  In  una  gente 
Avete  dato  elio  da  stirpo  6  dura. 

1  nostri  figli  non  son  nati  n  pena. 

Che  si  tuffan  no'  fiumi.  A  l'ondo,  al  glelo 
Eoi  gl'iuduriamo  e  gl'incallimo  in  prima; 
Caeo.-28.  (&U0-C04J 


*84  t' «terna.     .  [945. 

Poscia  per  lo  montagne  e  per  lo  solva 
Fanciulli  se  ne  van  la  notte  e  '1  giorn 
li  lor  studio  è  la  caccia:  e  '1  |0r  dilet 
E  '1  cavalcai*,  e  '1  trar  di  Tromba  c  d' 
La  gioventù  no  le  fatiche  avvezza, 
E  contonta  del  poco,  o  col  bidente 
Doma  la  torra,  o  con  l'aratro  i  buoi, 
0  col  ferro  i  nomici.  Il  ferro  sempro 
Avcmo  per  lo  maui.  Una  sol1  asta 
No  fa  picca  e  pnngctto.  A  noi  vecchiezza 
Non  toglio  ardirò,  e  do  le  forze  ancora 
Non  ci  fa,  come  voi,  debili  e  scomi, 
l'er  canuto  che  sian  lo  nostre  teste, 
Vcston  celate,  e  nuove  predo  ognora. 
Quando  da' boschi  e  quando  da' nemici 
Addur  ne  giova,  e  vivor  di  rapina. 
Voi  con  l'ostro  e  co'frogi  e  co' ricami, 
Con  lo  cotte  a  divisa  e  con  le  giubbe 
la  manicate  e  coi  (locchotti  in  tosta 
A  cho  valete  ?  A  gir  cosi  dipinti 
E  cosi  neghittosi?  A  far  ballotti 
Da  donnicciuolo?  0  Frigi,  o  Krigtosso 
Più  tosto!  in  questa  guisa  si  guerreggia 
Via  no'Dindimi  monti,  ove  la  piva 
Vi  chiama  e  '1  tamburino  o  'I  zufoletto 
ICU-l-Ciaj 


[070-99*]        miro  u.  135 
E  con  quei  rostri  galli  anzi  gallino 
l'i  Dorecinto,  ite  saltando  in  tresca; 
E  l'armi  e  'I  ferro,  che  non  fan  por  voi, 
I  :  -iste  a  quei  che  son  prodi  o  guerrieri. 

Non  polo  tanto  orgoglioetanto oltraggio 
Soffrir  d'un  follo  il  generoso  lulo, 
E  teso  l'arco  con  la  cocca  al  nervo, 
Rimirò  'I  cielo  o  disse:  Onnipotente 
Giove,  tu  l'ardir  mio,  tu  la  mia  mano 
fomenta  e  reggi,  ed  io  sacri  e  solonni 
Ti  farò  doni:  io  conuìirrotU  a  l'ara 
I  n  candido  giuvenco  che  la  fronte 
Appi»  indorata,  e  de  la  madre  al  pari 
Erga  la  testa,  e  giù  scherzi  e  gii  cozzi 
Cuti  le  corna,  o  co' più  sparga  l'arena. 

Giove,  mentre  dicca.  tonò  dal  malico 
Sereno  lato:  e  col  suo  tuono  iusieiuo 
Scoccò  l'arco  mortifero  d'Iulo. 
Volò  l'orribil  telo,  e  per  le  tempio 
pi  Itemelo  passando,  le  trafisse. 
Or  va',  t'insuporbisci;  or  va',  deridi, 
Scempio,  l'altrui  virtù.  Questo  risposta 
Mandano  i  Frigi  cho  son  chiusi  in  gabbia 
Ai  Rutuli  signor  de  la  campagna. 
Questo  sol  disso  Ascanio;  od  al  suo  colpo 
IC19liao| 


486  i.'rxr.itir.  |'.''.'.'-I01«| 

Lo  l-i  i  lo  i  Teucri  e  gli  .'mimi  in  un  tofl^H 
Al  ciclo  alzare-.  Era  il  criuito  Apollo,  j 
Quando  ciò  fu,  ne  la  celeste  piaggia 
Sovra  una  nube  assiso;  o  d'alto  il  curaptfl 
Scorgendo  de' Troiani  e  degli  Ausoni,  T 
Come  fede  ogni  cosa,  visto  il  colpo 
Del  vincitore  arcioro,  In  vèr  lui  disto:  J 
Alii  buon  fanciullo,  in  cui  vcrtù  s' avani 
Cosi  vassi  a  le  stollo.  Or  ben  tu  mostri 
Che  dagli  dii  sei  mito,  e  ch'altri  dii 
Nasceranno  da  te.  Tu  sei  ben  degno 
Ch'ogni  guerra,  che  '1  fato  ancor  uiinao 
A  la  casa  d'Assiraco,  s'acqueti 
Ter  tua  grandezza,  :i  cui  Tmia  è  minore, 
SI  che  già  non  ti  rape.  E,  cosi  detto, 
Si  fendè  l'aura  avanti  e  vèr  la  terra 
Calossi,  trasmutassi,  e  come  fusss 
Il  rocchio  liuto,  al  giovino  accosto»» 
Fu  liuto  in  prima  del  dardanio  Anchise 
Valletto  d'arme  o  camericro  e  paggio, 
E  poscia  per  custode  e  per  compagno 
L'ebbe  Ascanio  dal  padre.  A  questo  rocchio 
Mosti-ossi  Apollo  di  color,  di  voco, 
D'andar,  di  canutezza  o  d'armatura 
Situilo  in  tutto;  ed  u  l'ardente  Itilo 
1630-052] 


I1020-10M1      libho  ix.  437 
Patto  vicino,  in  tal  guisa  gli  disse: 
Bastiti  aver,  d'Eneo  iirccinro  figlio, 
>>nza  nlcini  rischio  tuo  Numiinn  ucciso, 
li.  innesta  prima  lode  il  ferendo  Ap  11" 
Ti  privilegio,  o  non  t'invidio  il  colpo. 
Nò  'I  pareggio  do  l'aiao.  Or  do  In  pugna 
Iti' raggili.  E.  ci"  detto,  da  la  vista 
Po' circostanti  si  ritrasse  anch'egli, 
E  sormontando  dissipossl  e  sparve, 
^assembrarono  in  liuto  i  Teucri  Apollo 
E  riconobbor  la  faretra  «  l'arco, 
Clic  fuggendo  sonar  anco  s'udirò. 
E  fur  si.  con  lo  preci  e  col  precetto 
p'  un  tanto  iddio,  ch'Ascaiii.».  ancor  che  vaga 
Fosse  di  pugna,  se  ne  tolse  alfine; 
Ed  essi  apertamente  a  ripentnglio 
Misero  in  vece  sua  le  vite  loro. 
Spnrgesi  un  grido  per  lo  mura  intanto, 
Per  tutto  lo  difese;  e  tutti  agli  archi, 
Tutti  a  tirar,  tutti  a  lanciar  si  dioro 
p'ogui  sorte  arme,  o  d'ogni  parto  il  suolo 
N'era  coverto;  quando  altro  conflitto 
Coniinciossi  di  scudi  e  di  celato; 
Una  mischia  di  picche  nna  battaglia 
Cho  crescea,  tuttavoltn.  l'inforzando 
[652-068] 


433  L*  ENEIDE.  [ÌO'IÓ-IOM 

Con  queliti  fui  in  che  di  pioggia  un  neub|| 
Yicn  da  l'occaso,  allor  clic  d'oriento 
Fnn  sorgeudo  i  Capretti  a  noi  tempestai 
0  quando  orrido  o  torno  e  d'air* tri  ciul 
E  'n  grandine  converso  irato  (jiovo. 
D'alto  precipitando,  si  devolvo 
Sopra  la  tona,  e  'I  ciel  r.unp.-udo  iti  tuonai 

Piindaro  o  Itizìa  d'Akaniro  Ideo, 
E  d'ICrn  selvatica  sua  moglie 
Figli,  in  Ida  acquistati,  e  d'Ida  usciti 
I/uuo  a  l'altro  simile,  ed  ninbiduo 
A  quegli  abeti  ed  a  quel  monti  uguali 
Ond'eran  nati,  aveau  dal  teucro  d.uce 
Una  porta  in  custodia.  E  confidati 
Ne  le  forzo  e  no  l'armi,  a  bollo  studio 
I,a  lasciarono  apoita,  ed  a' nemici 
Fer  da  le  mura  mutili*  invito: 
Essi  armati  di  ferro,  un  da  la  destra, 
L'altro  da  la  sinistra,  a  duo  pilastri 
Sembianti,  anzi  a  due  torri  che  nel  meato 
Tengan  la  porta,  con  lo  teste  in  alto 
E  co' raggi  degli  elmi  i  campi  intorno 
Folgorando,  squassavano  i  cimieri 
Fin  sovr'n' merli.  In  cotnl  guisa  nato 
No  lo  ripe  si  veggon  di  I.iquczio, 
[UC3  GT'JJ 


[1070-1094]      unto  IX.  43<J 
Ilo  l'Adico,  o  del  Po  duo  querce  altiero 
.Sorgere  al  cielo  e  sventolarsi  a  l'aura. 

Visto  l'adito  aperto,  incontinento 
Vi  si  spinsero  i  Kutuli.E  Qnercentc 
Kd  Equlcolo  i  primi  armati  o  Beri, 
I,- ardito  Omùro  o  '1  be.llicò'so  Uniono 
Tutti  co'lor  compagni  impeto  fóro; 
E  tutti  o  fur  dn' Teucri  in  fuga  tòlti, 
0  ne  l'entrar  di  quella  porta,  anelai. 
Giunto  agli  animi  infesti  il  sangue  sparso, 
S'accrcbberfire-'o  de'lroiani  intanto 
Tale  un  numero  altronde  tì  concorso. 
Clic  prender  zuffa  e  tener  campo  osaro. 

Turno  sfogava  il  suo  furoro  altrovo 
Conti' a' nemici  ;  quando  un  messo  avanti 
Gli  comparve  dicendo,  che  di  Troia 
Erano  usciti,  o  stavan  cou  lo  porto. 
Quanto  eran  larghe,  a  far  strago  e  macello 
Do  le  suo  genti.  Ei  tosto  da  quel  canto 
Lascio  l'impresa;  e  contro  i  due  fratelli 
A  la  dardiinia  porta  irato  accorso. 
E  primamente  AntifoU,  che  primo 
Gli  venne  avanti,  un  giovine  bastardo 
Pi  Sarpedonte  o  di  tcbnnn  madro. 
Con  un  colpo  di  dardo  a  terra  steso. 
|.1SU  tip*1! 


4M  .     l'kxeidk.  riOPj-Uli 

Colpillo  no  lo  stomaco,  e  passolli 
Oltre  al  polmone,  ondo  di  caldo  sangue,  I 
Quasi  d'un  antro,  dilagossi  un  fonte. 
Mòropo,  Addilo  ed  Erimaiito  appresso  *] 
Uccise  con  la  spada,  un  dopo  l'altro 
Come  a  caso  incontrògli.  Atterrò  Bitte '1 
Dopo  costoro,  ma  non  già  col  dardo, 
E  mon  col  brando;  cli'altio  cólpo  rr'nopo 
A  si  gran  corpo.  A  cosini,  mentre  infuria^ 
Mentre  stizza  pernii  occhi  avventa  o  fuc<t| 
Infuocato,  impiombato  e  gravo  un  tèlo 
Scaricò  di  falarica,  cho  in  guisa 
Di  fulmino  stridendo  e  porcotondo,. 
I/O  giunso  si  elio  nò  lo  scudo  avvolto 
Di  due  bovino  terga,  nò  la  fida 
Lorica  di  duo  squamo  o  d'òr  contesta 
Non  lo  sostenne.  Barcollando  caddo 
La  smisurata  molo,  o  tal  diò  crollo 
Cho'l  torron  se  no  scosso,  e '1  gran  suo  tendi 
Gli  tonò  sopra.  In  tal  guisa  di  Baia 
Su  l'otlboica  riva  il  gravo  sasso, 
Ch'ò  sopra  l'ondo  a  formar  l'opro  cretto 
Da  l'alto  ordigno,  ov'era  dianzi  appreso 
Si  spicca  o  piomba,  e  fin  ne  l'imo  fondo  ' 
Ruinando  si  tuffa,  o  fraugo  il  maro, 
(C98-7H| 


[1 120-1144]      orbo  u.  «1 
K  dispergo  l'arem:  ondo  ne  trema 
Crocida  ed  Ischia,  e  il  grau  Tifèo  so  n'  «Ugo, 
Cui  si  duro  covile  lui  Gìotc  imposto. 

l^ui  Marte  il  sui  potare  e  'i  suo  favolo 
Volse  verso  i  Latini.  Animi  e  forzo 
Aggiunto  loro,  gì' incito,  gli  acceso; 
E  di  tóma  e  di  fuga  o  di  scompiglio 
l>iò  cagiono  a' Troiani.  E  già  eli' a  pugna 
S'era  Tenuto,  o  de  lu  pugna  il  nume 
Eia  con  loro;.accolti  d'ogni  porto 
Si  ristringono  i  (intuii.  «  fan  testa. 
IYmdaro,  poi  che  *1  suo  fratello  estinto 
Si  rido  avanti,  eja  fortuna  avversa. 
A  la  porta  con  gli  omeri  appuntossi: 
E  si  com'  ora  poderoso  e  grande. 
Con  molla  forza  la  rispiriseo  chiuso. 
Molti  esclusi  do' suoi,  elio  per  la  fretta 
Kimascr  ne  lo  peste,  e  multi  inclusi 
Ch'oran  niniici;  e  noti  s'avvide  il  folle, 
Che  de' minici  in  quella  calca  ancora 
Era  Io  stosso  re  da  lui  raccolto 
?.  far  du'8iioi  qual  tra  le  greggi  imbelli 
Iicunn  tigro  immane.  Ei  non  più  tosto 
Fu  dentro,  che  raggiò  dagli  occhi  un  turno 
Spaventevoli  e  fiero;  o  l'armi  suo 
[714-731] 


412  L'iHStVI.  |1>15-11m| 

Fieramente  sonaro.  Il  suo  ciniiorp 
Ne  l'aura  ondeggiò  sangue,  e  dal  suo  sarda 
Uscir  folgori  e  lampi.  Incontinente 
La  sua  faccia  odiata  e  'I  suo  gran  fusto  M 
Raffigurando,  i  Teucri  si  turbare 
IVmdaro  allor  de  la  fraterna  morto 
Fervidamente  irato,  aranti  a  tutti 
Gli  si  fe  'ncontro  o  disse:  K'  non  è.  Tori 
Questa  la  reggia  elio  t'assegna  in  dota  i 
La  tua  regina:  e  non  hai  d'Arde*  intoci 
Le  patrio  mura.  Ne  lo  forze  entrato 
Sci  de' nomici  ondo  scampar  non  puoi. 

Or  via,  Turno  ghignando  gli  risposo 
Placidamente,  ria,  se  tanto  ardisci. 
Meco  ti  prova:  che  ben  tostamente 
A  Priamo  dirai  ch'in  questa  Troia, 
Como  ancor  no  la  sua,  trovossi  Achille. 
Ciò  dotto,  gli  avvi  nti!  Pànd.ir»  un  dardo 
Di  tutta  forza  nodoroso  o  gravo, 
Kdi  ruvida  ancor  corteccia  involto. 
L'aura  lo  prese,  o  la  Saturnia  Giuno 
Deviò  'I  colpo  si  che  da  la  mira 
Si  torse  e  ne  la  porta  si  confisse. 

Non  si  cadrà  questa  mia  spaila  in  falle, 
Disse  allor  Turno:  tale  è  chi  la  vibra, 
TO2-747] 


[1170-1198)      nino  ir.  443 
K  tiil  fa  colpo.  E<1  n  foriro  Alzato 
L'investi  ne  la  fronte,  e  gli  divise 
I.c  tempie,  le  mascelle  e  '1  mento  ignudo 
Ancor  di  barba,  infili  là'vo  s'appicca 
Il  collo  al  petto.  Al  suon  de  la  percossa, 
Al  fracasso  de  l'unni. -a  la  mina, 
Clio  fer  cadendo  quello  membra  hai  iani, 
Tremo  la  terra  e  ne  fu  d'atro  snugue 
K  di  cervella  aspersa.  Egli  morendo 
(iiaeqne  rovoscio,  o  dechinò  la  tc*ta 
l'arto  a  l'omero  destro  o  parte  al  manco. 

Al  cader  di  costui  tal  prese  i  Teneri 
Tema  o  spavento,,  ebo  disperai  in  fuga 
Si'U  giro.  E  s'era  il  vincitore  accorto 
D'aprir  la  porta  e  di  por  dentro  i  suoi, 
Fora  stato  quel  giorno  e  de  la  guerra 
E  de'Troiani  il  fine.  Ma  la  furia 
E  l'ardordi  combatterò  e  l'insana 
Ingordigia  di  sanguo  ne  'I  distolse. 
Ondo  seguendo,  in  l'alari  ed  in  (ìigo 
S'abbatto  prima.  A  l'uno  il  petto  aperse; 
Sgbcrrctto  l'altro.  A  quei  ch'orano  in  fuga 
Con  Tasto  di  color  ch'oran  caduti 
Feria  le  terga;  e  nuova  occislouo 
[748-7G4] 


4 14  t'Knctnr.  [1191-121 

Gli  |.  iì.m  tuttavia  nunv'armi  in  ninno; 
SI  conio  ancor  Giunon  nuovo  ardimento 
Gli  dar»  o  nuove  forze.  Ali  trn  ipi osti  i 
Mando  per  terra,  e  Fègea  coulisse 
Con  lo  suo  scudo.  Occise  in  su  le  mura. 
Mentre  a' nemici  cran  di  fuori  intenti, 
Alio  ed  Alcandro  o  Pritaua  e  Nomono. 
A  Lincèo,  eh' osò  di  starli  a  frouto 
K  chiamare  i  compagni,  con  un  colpo, 
Clio  di  rovoscio  con  piali  forza  dielli. 
Recise  il  capo,  e  l' avvento  con  l'elmo 
Lunge  dal  busto.  Dopo  questi  auciso 
Amico,  un  caccintor  ch'era  in  campa- 
Gran  distruttor  di  fere,  c  gran  maestro 
D'armar  di  tosco  lo  saette  o  'I  ferro: 
E  Clizio  anciso  d' Eolo  il  buon  figlio, 
E  Crotéo  de  le  Muso  il  enro  amico 
E  'I  diletto  compagno,  elio  di  versi 
E  di  .-otre  e  di  numeri  e  di  cordo 
Era  sul  vago,  o  di  cantar  mai  sempro 
0  d'armi  o  di  cavalli  o  di  battaglio. 

I  eondottior  de' Teucri  udita  nllino 
De'suoi  la  strage,  insieme  s'ndunaro. 
Mommo  e  Scrosto.  E  visti  i  lor  couip 
1701-780] 


[15218-1841]      libro  tx.  4-45 
Dispersi,  o  pria  '1  nemico  in  salvo  addnrsi. 
Gridando,  Oli.  disse  V..  inni»,  ove  fuggite? 
Ove  n'andate?  c  qn.-il  ridbtto  avete 
(i  ili  mura  o  di  sito  altro'ehe  questo? 
Iiuuquo  un  sol  uomo,  e  d'ogni  patte  chiuso 
In  poter  rostro,  avrà,  nioi -cittadini, 
S-nza  alcun  danno  suo  fatto  di  noi 
JCc  la  nostra  citta  si  gran  macello? 
Tanti  de' nostri. giovini  sotterra 
Avrà  mandati?  I  noi,  noi  non  avremo 
(SI  codardi  saromo)  o  de  la  nostra 
Infortunata  patria,  o  dogli  antichi 
Kostrl  Penati,  o  (]e)  gran  nostro  Enea 
Kò  pietà,  ne  rispetto,  uè  vorgogna? 

Ila  questo  diro  accesi  e  rincorati 
Pi  ristrinsero  insieme.  E  Turno  intanto 
Da  la  pugna  allentando  in  vèr  la  parte 
Che  dal  fiumo  ora  cinta,  a  poco  a  poco 
Apprcssossl  a  la  riva:  ondo  1  Troiani 
Con  impeto  maggior,  con  maggior  grida 
Gli  furon  sopra.  E  qnal  doro  leone 
Che  da  la  moltitudine  e  da  l'armi 
Si  vedo  oppresso,  tra  fierezza  e  téma 
Torvamente  mirando  si  ritira; 

[780-704] 


44C  L'unttra.  [12-12-12 

Cbò  nò  '1  valor,  nò  l'Ili  gli  consente 
Volperò  il  tergo.  116  do' cacciatori. 
Nòdi  spiedi  spuntar  punte  il  rincontro}- 
Cosi  Turno  dubbioso  0  di  ritrarsi 
0  di  spingersi  aranti,  irato  0  lento, 
Guardingo  e  minaccioso  se  n'andava: 
E  due  volte  avventandosi  nel  mozzo 
Si  cacciò  do' nemici;  ed  altrettanto 
Oli  ruppo  0  salvo  indietro  si  ritrasse. 
Alfine  in  1111  drappello  insieme  accolte 
Lo  toucro  genti  incontro  gli  si  fóro, 
E  di  Saturno  non  osò  la  figlia 
Pi  più  forza  prestarli;  elio  dal  ciolo 
Giove  a  la  sua  sorella  avea  mandato 
Ili  a  farne  richiamo,  0  minacciarle. 
So  Turno  immantinente  da  le  mura 
Non  uscia  do' Troiani.  Or  non  potendo 
Più  '1  giovine  supplirò  0  con  la  destra, 
Cb'cra  a  ferir  già  stanca,  0  con  lo  t~' 
Clio  di  dardi  e  di  frocco  era  covorto; 
L'elmo  già  spennacchiato,  0  l'armi  tu 
Smagliato  e  fesse,  con  un  nembo  addou 
Pi  sassi  por  lo  tempio  e  d'aste  a° fianchi 
Già  da  llcinuio  incalzato,  nlfin  cedutte. 

[794-812J         .»  j 


[  1 2*>C-1272]      Mimo  IX.  HI 
,  come  di  sudor  colata,  ansava, 
ì;  .pmsi  rifiatar  più  uon  potca. 
Con  tutto  l'armi  indosso  un  saHo  preso, 
i:  ui'l  Tobro  avventossi.  Il  biondo  Tobro 
('lucido  lo  raccolse  e  salvo  e  lieto, 
C  dall'  occisTon  purgato  e  mondo, 
gu  l'altra  riva  a' suoi  lo  ricondusse. 
[812-818J 


4JS 


DELL'  ENEIDE 

Liubo  Decimo. 

Aprissi  la  mngion  celeste  intnnto, 
E  dui  ciclo  il  gran  pnilre  in  cima  ascesa  1 
Pel  suo  corchio  stellato.  ludi  mirando 
I.a  terra,  e  dc'Troiaui  c  de' Latini 
Visto  il  conflitto,  a  sé  degli  altri  Del 
Chiamò  'I  consiglio.  E  com'era  da  l'o 
K  da  l'occaso  la  sua  reggia  aperta. 
Ratto  tutti  adunati,  assisi  o  cheti, 
l'isso  egli  in  prima:  Cittadini  eterni, 
Qual  v'  ha  cagione  a  distornar  rivolti 
Quel  ch'o  già  stabilito?  A  che  tra  voi 
Con  tanta  iniquità  tanto  contrasto? 
Kon  s'ò  da  tno  già  proibito  e  Termo 

Chenondcgg"»-'!'  Ausimi  incontro a'Teuetl 
Sorgerò  a  l'ai  mi?  l'In-  discuoia  è  questa 
Contro  al  divieto  mio?  Qual  ha  timore 
A  la  guerra  incitati  0  questi  o  quelli? 
Tempo  vi  si  darà  ben  degno  allora 
Di  guerreggiar  (non  raffrettate  or  voi) 
L1-11J 


[20-44]  libro  x.  449 

Cho  la  foro  Cartago  aprirà  l'Alpi. 
Grave  a  Roma  portando  aasiiio  c  strage. 
Allora  agli  odii.  al  sangue,  a  le  rapino 
l,.irga  vi  si  darà  licenzi*  a  campo. 
Or  lietamente  la  tenzone  e  l'armi 
t'ormate;  e  aia  tra  voi  concordia  o  paco. 

Tal  foce  ragionando  il  gran  monarca 
Breve  proposta.  Ma  non  brevemente 
Venere  in  questa  guisa  gli  rispose: 

l'udrò  e  ro  do' celesti.  •  do' mortali 
Etema  possa  (e  qual  altra  maggiore 
S'implora  altronde?),  «eoo  tu  stesso  vedi 
1,'itrroganza  de'Rutuli,  e  quel  Tasto 
Conche  Turno  cavalca:  e  vedi  il  vampo 
E  In  mina  elio  si  mena  avanti, 
Jia  la  sua  tracotanza  e  dal  successo 
Di  questa  pngnn  insuperbito  e  gonfio. 
Vedi  i  Teucri  infelici,  ch'ancor  chiusi 
Non  son  sccuri;  e  'ufin  dentro  a  le  porte 
E  'n  su' ripari  o  'n  su  le  lor  difese 
Son  combattuti;  e  la  lor  propria  fossa 
È  di  lor  sangue  un  lago.  Di  ciò  nulla 
11  mio  Aglio  non  sa;  tanto' n' è  lunge. 
Or  non  Ha  ch'una  volta  esca  d'assedio 
Questa  misera  gente?  Ecco  bau  le  mura 

Ciao. -29.  [12-201 


450  ì?  KSF1PE.  (45-01 

]<o  l'ultra  Troia  nitri  nimici  n  torno; 

Altro  M-.  in  campo:  un'altra  volt* 

I ''Ai l'i  vion  Diomede  a' danni  suoi, 
licsta  rrcd'io  ch'un'altra  volta  ancor» 
lo  sia  da  lui  ferita,  e  che  di  nuovo 
Sia  la  tua  figlia  a  mortai  ferro  esposto.  . 
Signor,  se  contr»  la  tua  voglia  i  Teneri 
Son  venuti  in  Italia,  e  ben  ragiono 
Clio  sian  puniti,  e  dol  tuo  aiuto  ind 
Ma  so  tratti  vi  sono,  o  s'è  lor  dato 
Dagli  oracoli  tutti  e  de' celesti 
K  degl'inferni,  qual  può  senno  o  forza 
A  Giove  opporsi,  o  far  nuovo  destino? 
Ch'io  non  vo'dir  de  le  combuste  navi 
Su  la  spiaggia  ericina.  né  do' venti 
Clio  '1  io  spinse  d'Eolia  a  tempestarlo, 
Nò  d'Iri  che  di  qui  fu  già  mandata 
Ter  darlo  ni  foco.  Indù  da  l' Acheronte 
Tratto  ha  le  furie  (questa  sol  mancava 
l'arto  de  l'universo  non  tentata 
A  loro  offesa);  d'Acheronte,  dico, 
Ila  tratto  Alctto  a  suscitar  l' Italia 
Iucontr'a  loro.  Or,  signor  mio,  non  enro 
l'in  d'altro  imperio,  lo  lo  sperava  allora 
Ch'urn  più  fortunata.  Imperi  e  viuca 
[27-iaj 


I    [70-01]  unno  x.  451 

Or  chi  t' aggradii.  E  s'anco  non  è  loco 
Nel  mondo,  ore  n  la  tua  dura  consorte 
l'incoia  cho  sinn  quest'infelici  accolti, 
IVr  l'incendio,  signor,  par  la  mina, 
;  per  la  solitudine  ti  progo 
]>i<  la  mia  Troia,  clic  rjtrar  mi  lasci 
Salvo  da  questa  guerra  Ascanio  nlmoDO. 
Lasciami,  padre  mio,  questo  nipote 
Mantener  viro;  e  so  ne  vada  Enea 
Ramingo  ovunque  il  mare  o  la  fortuna 
I.o  si  tramandi.  Iolo  terrò  da  l'armi 
Immoto  no'miei  lucili  o  d'Amatunta 
U  d' Idillio  o  di  l'afa  o  di  Citerà 
A  menar  vita  ignobile  o  privata, 
Pur  elio  sicura.  E  tu.  come  >  te  piace. 
Comanda  cli'a  l'Ausonia  il  giogo  imposto 
Sia  da  Caitago,  si  che  più  non  l'osti 
]u  alcun  tempo.  Or  die,  padio.  ne  giova 
Clic  da  l'occistoni  o  dagl'incendi 
Do  la  lor  patria  c  da  tant'nltri  rischi 
Siau  già  del  maro  o  de  la  terra  usciti? 
E  che  vai  cho  da  to  sia  lor  promessa, 
Pa  lor  tanto  ricerca,  e  già  trovata 
Questa  Troia  novella,  se  di  nuovo 
Convion  che  caggia?  Assai  meglio  saiebbo 
143-59] 


459  l'fxudk.  [!>')-119J 

Clic  fosser  tra  lo  ceneri  o  nel  guasto, 
Itove  fu  l'altra.  A  Xanto.  a  Simoonta 
Fa',  ti  prego,  signor,  che  si  radilnca 
Questa  gente  inrelicc.  e  che  ritorni 
A  passar  d'Ilio  i  guai.  Giunone  allora 
Infuriata,  A  che,  disse,  mi  tenti, 
Tcrcli'io  rompa  il  silenzi".  <•  in  stii  il  duolo 
Cho  portato  nel  cor  gran  tompo  ascoso? 
Qual  è  mai  per  tua  fè  stato  uomo  o  dio 
Ch'Enea  sforzasse  a  cercar  briga,  e  farsi 
Nemico  il  re  Latino?  Oh  *1  fato  addotto 
I/ha  no  l'Italia!  SI,  ma  da  le  furie 
C'ù  spinto  di  Cassandra,  E  chi  gli  ha  dnto 
Consiglio?  io  forse?  ch'abbandoni  i  suoi? 
Io,  elio  dia  la  sua  vita  in  preda  a' venti? 
Io,  che  la  cura  c  '1  carco  do  la  guerra 
Lasci  ili  man  d'un  fanciullo?  e  cho  sollevi 
I  popoli  d'Etruria.  o  l'altre  genti 
Che  si  stavano  in  pace?  E  quale  dio, 
Qual  mia  durezza  de'lor  danni  è  roa? 
Qui  cho  rileva  o  di  Giulio  lo  sdegno, 
0  d'iri  il  ministero?  Indegna  cosa 
È  certo  cho  dagl'  Itali  s'infesti 
Questa  tua  nuova  Troia;  e  degno  e  giusto 
Sarà  che  Turilo  non  si  stia  sicuro  - 
[59-751 


ri 


[120-144J         libro  x.  453 
Ne  In  sua  patria  terra  ?  un  tal  nipote 
11:  Pilunnn  ch'é.  divo,  un  tanto  figlio 
Iti  Venilia  eh' è  ninfa?  E  degna  cosa 
Ti  i  ir  elio  muova  Kn.  a  la  guerrn  a  Lazio? 
Oh'  assalga,  che  soggioghi,  che  depredo 
I,o  torre  altrui?  cho  l'altrui  donne  usurpi? 
Ch'in  man  porti  la  paco,  o  ohe  per  maro 
K  per  torra  armi?  Tu  potrai  tuo  Affilo 
Scampar  da'Ureci:  tu  riporro  in  veeo 
Di  lui  la  nebbia  e  '1  vento:  tu  la  fonila 
Cangiar  de  le  suo  navi  in  altrettanto 
Ninfe  di  mare:  ed  io  cosa  nefanda 
Farò,  se  porgo  a'  Itutuli  un  aiuto. 
Per  minimo  cho  sia?  Non  v'ò  tuo  figlio 
Presente:  non  vi  sia:  non  sa:  non  sappia. 
Sei  regina  di  Pafo,  d'Amatunta, 
pi  Citerà  e  d'Idillio:  e  cho  vai  duuquo 
Provocando  con  l'armi  una  contrada 
Non  tua.  pregna  di  guerre?  o  stuzzicando 
SI  bellicosa  gontc?  Ed  io  son  quella, 
lo.  che  l'afflitto  lor  fortune  agogno 
pi  porre  al  fondo?  0  poiché  non  pio.  tosto 
Chi  dc'Groci  a  lo  man  gli  poso  in  prima? 
Chi  prima  fu  cagion  ch'a  guerra  addusse 
L'Europa  e  l'Asia?  chi  commise  il  furto 
f76-91| 


454  i.' ustrinà.  (H5-18W 

Che  fu  de  In  roilura  il  primo  scmo? 
Io  condussi  l'adultero  .pastore 
A  l'impresa  di  Spartii?  Io  fui  eli' a  l' armili 

10  eh' a  l'amor  l'accesi!'  Allora  il  tempii 
Fu  d'avor  tóma  o  gelosia  de' tuoi. 
Non  or  elio  le  querelo  e  le  rampogno 
Che  no  fai,  séno  inviliste  o  tarde  e  vane. 

Cosi  Giuno  dicen;  quniidq  fremendo 
Gli  Dei  tutti  mostrar,  elio  chi  con  questa 
Consentian,  chi  con  quella.  In  guisa  tale 
S'odono  i  primi  venti  entro  una  solva 
Mormorar  lungo,  e  non  veduti  ancora  1 
Porgere  a' marinari  iudicio  o  Urna 
Di  propinqua  tempesta.  Allor  del  cielo 

11  sommo,  eterno,  onnipotente  padre 
Riprese  a  dire.  Al  suo  parlar  chotossl 
La  celesta  magioni  chetarsi  i  venti, 
E  l'aria  e  l'onde:  e  sola  iiiflno  al  centro 
Tremò  la  terra.  Ki  disse:  Or  che  gli  Ausoni 
Confederar  co'Teucri  ne  si  toglie, 
E  voi  tra  voi  non  v'  accordate,  udito 
Quel  eh' io  vi  dico,  e  i  miri  detti  avvertito. 

Quella  stessa  fortuna  e  quella  spemo 
Qual  ch'ella  sia.  ch'i  Kutuli  o  i  Troiani 
Oggi  da  lor  farausi,  io  vi  prometto  ' 
[91-108] 


1170-194]  unno  x.  455 

Aver  por  rata,  e  non  punto  inchinarmi 
Più  da  quei  che  da  questi:  e  sia  l'assedio 
Ile'  Teneri  o  por  destino,  o  per  erroro, 
e  imt  falso  risposte.  E  aio  dico  anco 
Du'ltutuli.  ]l  successo  e  buono  e  rio 
Fia  d'una  parto  o  d'altra  qua]  ciascuna 
lYrsè  lo  s'ordirà.  Giovo  con  ambi 
Si  starà  perimento,  o  '1  fato  in  mozzo. 
Così  detto,  il  torrente  a  la  rorago 
E  la  squallida  ripa  o  l'atra  pece 
1)' Acboronto  giurando^abbassò  'I  ciglio, 
E  t  remar  fe  col  cenno  0  mondo  tutto. 
Finito  il  ragionar,  suso  lovossi 
Del  seggio  d'oro;  o  gli  fer  tutti  intorno 
Corona  e  compagnia  lino  a  l'albergo. 

L'cssercito  de'Rutuli  stringendo 
L'assedio  intanto,  in  su  lo  porto  e  'ntorno 
Fncea  do  la  muraglia  incendi  o  strngi; 
E  i  Teucri  assediati,  entro  ai  ripari 
E  sopra  ni  torrioni  a  la  difesa 
Stavan,  misori!  indarno;  e  sonza  spomo 
Si  fuga  un  raro  cerchio  arcali  distoso 
Su  por  le  mura.  Era  do' primi  Iaso 
D'I.'nbrasio  il  figlio,  o  '1  figlio  d'Icotono 
Detto  Timeto,  o  'I  buon  Castore  ingioino 
| 108-1241 


450  l'  eniidi.  1195-214 

Col  Tccchio  Timbri,  od  arabi  dopo  qno*tl\ 
Di  Sarpodonto  i  frati:  >  Chiaro,  ed  Kmo 
Onor  di  Licia,  o  di  Lirncsso  Aminone. 
Questi  con  mi  gran  sasso  ora  venato 
Su  la  muraglia,  che  '1  maggior  catello 
Era  d'un  monte;  od  egli  era  non  punto 
Minor  del  padre  Clizio  o  di  Menosto 
Suo  famoso  fratello.  Altri  con  sussi. 
Altri  con  dardi,  e  chi  con  lo  saette, 
E  chi  col  foco  a  guardia  eran  del  muro. 

In  mozzo  do  lo  schiero  il  vago  Inlo, 
Gran  nipote  di  bardano  o  grau  curn 
Do  la  bolla  Ciprigna,  il  volto  e  '1  capo 
Ignudo,  rispleudea  qual  chiara  gemma 
Cho  in  òr  legata  altrui  raggi  dal  pel  lo 
0  da  la  fronte  ;  o  qual  da  dotta  mano 
In  ebano  commesso,  o  in  terebinto 
Candido  avorio  agli  occhi  s'upprcseiita, 
Sovra  al  collo  di  latto  il  biondo  crino 
Avea  disteso,  e  d'oro  un  lento  nastro 
Gli  facca  sotto  c  fregio  insieme  e  nodo. 

Ismaro,  o  tu  fra  si  famosa  gonte 
Cou  l'arco  saettar  ferito  e  tosco 
Fosti  veduto,  generosa  pianta 
Del  rncouio  paese,  ovo  fecondi 
[124-141J 


[220-2141  f.iBBo  x.  451 
Sono  i  campi  di  biade,  e  i  fiumi  d'oro. 

Meinmo  v'ora  ancor  egli,  a  col  la  fuga 
Dianzi  di  Tuino  uvea  gloria  acquietata, 
(.imi' ora  liuo  ni  ciol  sublimo  c  chiaro. 
Erari  Capi,  ondo  poi  Capila  il  ninne 
E  l'origino  ha  prosa.  Aroan  costino 
Tra  lor  diriso  il  carico  e  'I  poriglio 
Ili  si  darà  battaglia.  E  'n  questo  nicntro 
Soli-ara  Enea  di  mezza  notto  II  maro. 

Egli,  poi  che  d' Evandro  ebbe  lascialo 
L'amico  albergo  o  che  noi  campii  giunse 
Do' Toschi,  al  tosco  n-ge  approscntossi. 
E  coti  lui  ristringendosi,  il  suo  nomo, 
Il  suo  legnaggio,  la  sua  patria,  in  somma 
Chi  Tosse,  che  chiodesse,  che  portasse. 
Gli  espose  ;  equa!  Mczenzio  appoggio  avesse, 
E  l'orgoglio  di  Turno,  e  l'apparecchio 
E  l'incostanza  do  l'umane  coso 
Gli  poso  avanti.  A  lo  ragioni  nggiunso 
Essempi  e  preci  si,  eh' immantincnto 
Tarconto  acconsenti.  Strinsor  la  lega 
Unir  le  forzo  ed  apprestar  le  genti 
In  un  momonto.  Di  straniero  duro 
Provvisti  i  Lidi,  e  già  dal  fato  sciolti 
Salir  sovra  l'armata.  E  pria  di  tutti 
[H2-1Ó0| 


458  l'  EXEiDBt  [2IÓ-269| 

Uscio  d'Enea  la  capitana  aranti. 

Questa  area  Botto  al  suo  rostri  diphj 
Qciaì  sotto  al  rarro  do  la  madre  Idi'», 
Duo  cùe  '1  legno  traoan  frigi  leoni, 
K  d'Ida  gli  pendea  di  sopra  il  munto, 
Amaro  suo  disio,  dolco  ricordo 
Del  patrio  nido.  In  su  la  poppa  assise 
Stava  il  duce  troiano:  e  da  sinistra 
Avoa  d'Kvandro  il  figlio,  che  tra  via 
1/  interrogava  or  del  viaggio  stesso 
E  de  le  stello,  ed  or  degli  altri  suoi 
0  per  terra  o  per  mar  passati  affanni; 

Apritemi  Elicona,  almo  sorcllo, 
E  cantate  con  me  elio  geuto  e  quanta 
iJ'Etruria  Enea  seguisse,  e  di  che  parte 
E  con  qual' ai  mi.  e  come  il  mar  solcasse. 

Massii  o  il  primo  in  su  la  Tigre  imposto 
Avoa  di  mille  giovini  un  drappello, 
Che  di  Chiusi  e  di  Cosa  cran  vomiti 
Con  l'arco  in  mano  e  con  saetto  a' fianchi. 
Appresso  a  lui,  seguendo,  il  torvo  Abanto 
Sotto  I'iuscgna  dol  dorato  Apollo 
Seicento  n'imbarcò  di  l'opulonia. 
Trecento  d'Elba,  iu  cui  forrigna  vena 
Abbonda  s),  che  n'erano  ancor  ossi  ' 
1157- 174J 


[270-294]  libro  x.  459 

Pai  capo  ai  piò  tutti  di  forrn  armati. 
Astia  il  terzo,  sacerdote  e  mago 
(  In  ili  fillio  e  ili  fulmini  e  d'iuvoirli 
K  iìi  sitilo  ora  interpreto  o  'ndorino, 
Millo  ne  conduce»,  ch'un'ordinanza 
Pncean  tutta  di  picche;  c  tutti  a  Pisa 
Tran  soggetti,  a  la  novella  Pisa. 
Che,  già  figli»  d'Alleo,  d'Arno  ora  è  sposa. 
Asture,  ardito  cavaliere  e  bollo, 
K  con  bell'armi  di  color  diverse, 
Vicn  dopo  questi  con  trecento  appresso 
Hi  vari  lochi,  ma  d'un  solo  amore 
Accesi  a  seguita/lo.  Eran  mandati 
J)a  Ceròto  o  dai  campi  di  Mignono, 
Dai  Pirgi  antichi  e  da  l'aperte  spiagge 
]>c  la  non  salutifera  fìravisca. 
Pi  te  non  tacerò.  Cigno  gentile, 
pi  Cupiivo  dicendo,  ancor  elio  podio 
Fosscr  lo  gonti  sue.  Questi  di  Cigno 
Era  flgliuol,  ondo  no  l'elmo  avea 
Po  le  suo  penno  un  candido  cimiero 
In  memoria  dol  padre,  o  do  la  nuova 
Porma  in  ch'oi  si  cangiò,  tua  colpa.  Amore, 
t  he  de  l'amor  di  Faotonte  acceso, 
Como  si  dice,  mentre  elio  piangendo 
1174-189J 


400  L'r.XFinE.  [295-810] 

Stava  In  morte  stia,  mentre  eh' a  l'ombra 
De  le  pioppe,  che  pria  gli  eran  sorelle. 
Sfogava  con  la  musa  il  suo  cloruro; 
Fatto  cantando  giù  canuto  e  vèglio. 
In  augol  si  converse,  e  con  In  voce 
E  con  l'ali  da  terra  al  cielo  al/ossi. 
Il  suo  Tiglio  co' suoi  poitava  un  logno 
A  cui  sotto  la  prora  e  sopra  l'onde 
Stnvn  un  centauro  minnecioso  e  torvo, 
Che  con  le  braccin  c  con  un  sasso  in  alto 
Sembrava  di  ferirle,  e  via  correndo 
Col  petto  lo  facea  spumoso  e  bianche. 
Ocno  poscia  venia,  del  tosco  fiume 
E  di  Manto  indovina  il  chiaro  figlio. 
Che  te,  mia  pntria,  eresse  e  che  del  nome 
Tic  la  gran  madre  sua  Mantua  ti  disse; 
Mnntua  d'alto  legnnggio  illustro  e  ricca, 
E  non  d'un  sangue  Tre  le  genti  sono, 
E  do  le  tro  ciascuna  n  quattro  impera, 
Si  cui  tutto  ella  ù  capo,  e  tutte  insieme  - 
Son  con  lo  forzo  de  PEtrnria  unite. 

Quinci  ne  fur  contra  Me/en/i  ■  armati 
Cinquecento  altri  :  e  Mincio,  un  figlio  altero 
Ilei  gran  Bellico,  fu  che  gli  condusse 
Di  verdi  canno  inghirlandato  il  fronte. 
1180-206] 


[820-344]         libro  x.  461 
Gira  il  superbo  Aulète  con  un  legno 
Pi  conto  travi  il  mar  solcando  in  guisa 
Che  spumante  il  face»,  sonoro  o  crespo, 
l'remea  lo  spallo  d'un  Trìtouo  iiiunauo 
Cbe  con  la  cava  sua  comica  conca 
Tremar  si  facea  l'acqua  e  i  liti  intorno. 
]iftl  mezzo  in  su,  la  fronte  ispido  e  '1  mento 
S  iiibra d'umana  rorma;  e  'I  ventre  iti  pesce 
Gli  si  ristringo,  o  col  ferino  petto 
finii.-  il  mar  si  che  rumoreggia  e  spuma. 

Da  questi  elettferoi,  con  queste  gcuti 
Ermi  l'ondo  tirrene  allor  solcate 
In  sossidio  di  Troia.  E  gin  dal  ciolo 
Guluto  il  giorno,  era  do  l'erta  in  cima 
La  vaga  luna,  quando  il  frigio  duce, 
Or  al  timone  or  a  la  vela  intonto, 
Co'suoi  pcnsicr  vegliava.  Ed  ecco  avanti 
Rotando  gli  si  fa  di  ninfo  un  coro. 
Di  lui  prima  compagne,  c  quelle  stesse 
Che,  già  suo  navi,  da  Cibclle  in  ninfo 
Euron  converse,  e  Dee  fatto  dol  maro. 
Tante  in  frotta  ne  gian  per  l'onde  a  noto 
Quante  cran  navi  in  prima.  E  di  lontano 
Riconosciuto  il  re,  danzando  in  cerchio 
Gli  si  strinsero  intorno.  Una  fra  l'altre, 
1207-225] 


4C2  l'kxeidi.  [845-8N| 

l.a  più  di  tutte  accorta  parlatrico, 
Ciuiodocùa,  la  sua  nave  seguendo, 
Con  la  dostra  a  la  poppa,  e  con  la  manca 
Tacita  remigando,  il  capo  o  '1  dorso 
Solo  a  galla  tenendo,  d'improvviso 
Cosi  gli  disso:  Enea,  stirpo  divina. 
Vegli  tu?  Veglia:  il  fune  allenta,  e  '1  seno 
Apri  a  lo  vele  tue.  De  la  tua  classo 
Noi  fummo  1  legni  o  de  la  selva  Mua, 
K  siamo  or  ninfe.  1  Kululi  col  foco 
N'hanno  o  col  ferro  dipartito  e  spinto 
Ila' tuoi  nostro  mal  grado.  Or  te  cercando 
Siam  ■ini  venute.  Per  pietà  ili  noi 
I,a  borecinzia  madre  in  questa  forma 
N'iia  del  mar  fatte  abitatrici  o  Ileo, 

Ma  '1  tuo  fanciullo  Itilo  in  mezzo  a  l'armi 
Si  sta  cinto  di  fossa  o  di  muraglia 
Iia'foroci  Latini  assediato. 
I  tuoi  cavalli  e  gli  Arcadi  e  gli  Etrnsci 
Unitamente  hau  di  già  preso  il  loco 
Comandato  da  to.  Turno  disegna 
Co'suoi  d'attraversarli,  o  porsi  in  mezzo 
Tra  '1  campo  o  loro.  Or  via  naviga,  approda: 
Sorgi  tu  pria  clic  '1  sole,  e  sii  tu  '1  primo 
Ad  ordiuar  lo  tue  geuti  n  battaglia. 
1225-242J 


[370-394J         tu«o  i.  4G3 
Prendi  l'invitto  e  luminoso  scudo 
Da  Volean  fabbricato  e  d'ór  commesso: 
Che  diman,  se  mi  credj,  alta  e  famosa 
l'arni  tu  strage  de'ucndci  tua). 

d'odissee  come  esportaci  legno  in  poppa 
Tal  die  piuta  al  partii;,  che  più  veloce 
Corso  cho  dardo  o  strai  che  *l  vento  adegui. 
Dietro  gli  altii  affrettar  si  che  stupore 
N'ebbe  d'Anchise  il  figlio.  E  rincorato 
Pa  i  felice  annunzio,  al  cielo  orando 
Divotameute  si  rivalso,  adisse: 
Alma  Dea  do  gli  Dei  gitn  genitrice, 
Di  Diudimo  regina,  che  di  torri 
Vai  coronata  o  'n  su  leoni  assisa, 
Te  per  mia  duce  a  questa  pugna  invoco. 
Tu  rendi  qnosto  augurio  e  questo  giorno. 
Ti  priego,  ai  Frigi  tuoi  propizio  o  lieto. 

Questo  sol  disse:  e  luminoso  intanto 
Si  fece  il  mondo.  Ei  primamente  impose 
Che  ratto  al  segno  suo  ciascun  no  gisso, 
Ch'ognun  s'nrmasso,  ognuno  a  la  battaglia 
Si  disponesse.  E  già  venuto  n  vista 
Do'Rutuli  e  de' Teneri,  alto  lovossi 
In  su  la  poppa:  s'imbracciò  lo  scudo, 
E  lo  vibrò  ai  cb'umbedue  raggiaudo 
1242-261| 


4C4  u'mEiD*.  [305-419] 

Empii  di  luco  o  di  bnloni  i  rampi. 
l)i  su  le  mura  la  dardania  ponte 
Gioiosa  iiifiuo  al  cicl  lo  grida  al/aro: 
Z  sopraggiunta  la  speranza  a  l'ira 
A  tiar  di  nuovo  e  saettar  si  diero 
Con  un  rumor,  qua!  sotto  l'atre  nubi 
Noi  dar  segno  di  nembi  e  nel  fuggirli 
Fan  lo  strimoiiie  gru  schiamazzo  o  rombo. 

Mentre  ciò  Turno  e  gli  altri  ausoni  duci 
Stavan  maravigliando,  occo  a  la  riva 
Si  fa  pien  d'armi  e  di  rinvili  il  maro. 
Enea  ni  cima  al  capo  e  do  la  cresta 
Pel  fin  elmo  spargea  lampi  o  scintille 
D'ardoute  fiamma:  e  gran  lustri  e  gran  fochi 
Raggiava  de  lo  scudo  il  colmo  e  l'oro, 
Come  ne  la  serena  umida  notte 
La  lugubre  e  mortifera  cometa 
Sembra  clic  sangue  avventi  ;  e  '1  siilo  cane, 
Quando  nascendo  a' miseri  mortali 
Ardore  e  sete  e  postilouza  apporta, 
E  col  funesto  lumo  il  cicl  contrista. 

Non  mon  per  questo  Ini  Turno  ardirò  e  spora» 
D'occupar  prima  il  lito.  e  da  la  terra 
Ributtare  i  nemici.  Kgli,  aiiimindo 
E  ripreudvudo  la  sua  gente,  avanti 
1202-278] 


|420-444|         libro  x.  4(55 
Si  spingo  a  tutti,  o  grida:  Ecco  Adempito 
Vostro  maggior  disio.  Più  non  ri  sono 
I.c  muia  in  mozzo,  (u  Toi,  uo  lo  mini  vostre 

pugna  o  Maite  o  la  vittoria  è  posta. 
Or  qui  do. la  sua  donna,  dc'suoi  Agli, 
De  la  sua  casa  si  rammenti  ognuno: 
Ognun  davanti  si  proponga  i  (atti 
K  le  lodi  do'  padri.  Audiam  noi  prima 
A  rincontrargli,  in  lì  n  che  l'onda  u'I  moto 
Ce  gli  rende,  del  mar  non  renili  ancora. 
Via,  ch'agli  arditi  ò  la  fortuna  amica. 

Detto  cosi,  va  divisando  come 
l'aito  lor  contra  ne  conduca,  e  paite 
A  l'assedio  ne  lasci.  Intanto  Kuoa 
Ter  disbarcare  i  suoi,  lo  scafo  e  i  ponti 
Arca  già  presti.  E  di  lor  molti  attenti 
Al  ritorno  de'fluttLcon  uu  salto 
Si  lanciarono  in  secco;  e  chi  co' remi, 
Chi  con  lo  travi  no  l'arena  uscirò. 

Tarconte,  poi  ch'obbo  la  riva  tutta 
Ben  adocchiata,  non  là  dovo  il  vado 
Disperava  del  tutto,  0  dovo  l'onda 
Mormorando  frangea,  ma  dovo  chota 
f.  gonza  intoppo  avea  corso  e  licorso. 
Voltò  lo  proro;  e,  Via,  disse,  compagui. 

Cibo.  -  30.  I878-294Ì 


4CG  l'kxfidi.  •      [44.' -469] 

Via.  gente  elotta,  ite  con  tutti  i  remi, 
Di  tutta  forza,  e  si  pingote  i  legni 
Che  si  faccian  da  lor  canaio  e  stazzo. 
Dividete  co' rostri  e  con  le  prore 
Questa  nemica  terra;  in  questa  terra 
Mi  gittate  una  Tolta,  e  che  che  sia 
Segua  poi  del  narilo.  A  questo  pregio 
Non  curo  del  suo  danno:  afferri,  e  per». 

Al  detto  di  Tarconte  alto  in  su' remi 
Levarsi:  e  si  co' rostri  a'Iili  urtaro, 
Ch'empier  di  spuma  il  mar,  di  sabina  i  campi- 
E  i  legni  tutti  no  l'asciutto  infissi 
Fermarsi  interi.  Ma  non  già,  Tarconto, 
il  legno  tuo,  elio  d'una  ascosa  falda 
Ebbe  di  sasso  in  approdando  intoppo; 
Dal  cui  dorso  inchinato,  e  dal  mareggio 
Lungamente  battuto,  alfin  del  tutto 
Aperto  e  sconquassato,  in  mezzo  a  l'ondo 
Le  genti  espose;  o'I  peso  e  l'imbarazzo.  1 
Do  l'armi, o  gli  armamenti  infranti  e  sparsi 
Del  rotto  legno,  e'I  flutto  cho  rediva 
Lo  tennero  impedito  e  rìsospintc. 

Turno  lo  schiero  suo  rapidamente 
Al  mar  condusse,  e  tutte  in  ordinanza 
Su'l  litu  incontra  a' Teneri  lo  disposo. 
|2'Jia09| 


[470-494]         libro  x.  4C7 
Ilieron  le  trombo  il  segno.  II  trolan  duce 
Ya  che  prima  assali  le  torme  agresti, 
K  si  fa  con  la  strage  da' Latini 
i:  .-.,n  la  morti'  di  Tcro«o  in  prima 
Augurio  a. la  vittoria.  Era  Terone 
In  di  corpo  maggior  dogli  altri  tutti: 
E  tanto  elbo  d'ardir  che  da  sè  stesso 
Incontr'Euoa  si  mosso.  Enea  col  braudo 
Tal  no  colpo  gji  trasse,  che  lo  scudo, 
Heiicho  ferrato,  e  la  corazza  o'I  fianco 
Forògli  insieme  Indi  avrentossi  a  Lica 
Che  da  l'aperte  viscere  fu  tratto 
Do  la  già  morta  .madre,  e  pargoletto, 
Preservato  dal  ferro,  a  te  fu  sacro, 
Febo,  padre  di  luce;  od  or  morendo 
Vittima  cadde  a  Marte.  Occise  appressa 
Cisso  foroco,  o  Già  di  corpo  imniano. 
Ch'ambi  di  mazzo  armati  ivan  le  schiero 
De' suoi  Teucri  atterrando.  E  lor  non  valse 
Ni  d'Ercole  aror  l'armi  nò  lo  braccia 
D'erculea  forza,  ni  che  già  Melampo 
Lor  padro  in  compagnia  d'Ercole  fosse 
Allor  che  de  la  terra  a  soffrir  obbo 
I  duri  affanni.  A  Faro  un  dardo  trasse, 
ikutio  gridando  o  millantando  incontra 
[310-32!»| 


4GS  l'  knfipe.         (  10.",  ólflH 

Gli  si  facon.  Colpillo  in  bone»  a  punto,  i 
SI  elio  la  chiuse  o  l'acchetò  per  sempre.  I 

K  tu,  Cidon,  per  le  suo  mani  estinto 
Misero!  giaceresti  a  Clizio  appresso 
Tuo  novo  amore,  a  cui  de' primi  fl<.,ri 
Eian  lo  guance  colorito  appena; 
Nò  più  stato  saresti  esca  agli  amori 
Dc'suoì  simili,  onde  mai  sempre  ardevi* 
Se  non  che  de'  fratelli  ebbe  una  schiera 
Subitamente  a  dosso.  Eran  costoro 
Setto  figli  di  Forco,  e  setto  dardi 
Gli  avventar"  in  un  tempo.  A  Iti  i  ùVquali 
Da  l'olmo  e  da  lo  scudo  rÌ3osplnti, 
Altri  furon  da  Venere  sbattuti 
SI,  elfo  vani,  o  leggieri  il  ojrpo  a  pena 
Leccar  passando.  In  questa.  Enea  rivolto, 
Dammi,  disse  ad  Acato,  degl'intrisi 
Noi  sanguo  greco-,  e  sotto  Ilio  provati;  v. 
E  non  fin  colpo  in  fallo,  l'na  grand' asta 
Gli  porso  Acate  in  prima,  ed  ei  la  trnsso  ■ 
SI,  che  volando  ne  lo  scudo  aggiunse 
Di  Moonc,  e  la  piastra  ond'ora  cinto 
E  la  corazza  o'I  petto  gli  trafisse, 
Alcanor  suo  fratello  nel  Cadore, 
Mentre  le  braccia  al  tergo  gli  puntella,  à 
1323-8381 


1520-544]         inno  x.  4G0 
L'aste  nel  trapassare,  fi  suo  tcnoro 
l'.intinuaudo.  insanguinata  e  calda 
I  i  distra  gli  rouflsso;  e  da  le  spallo 
1'.  mie  del  finte,  iufln  che  l'un  già  molto, 
K  l'altro  moribondo  a  torra  stesi 
(i  i  icquoro  entrambi.  Kutnit  irò  il  tono 
Ila  questo  sconflccaudola  o  da  quollo, 
I.  inciolla  incontro  Knea.  DI  fcrirìui 
Kon  gli  successe,  ma  del  granilo  Acato 
Grufilo  la  coscia  lievemente,  o  scorse. 

Clauso.  il  Sabino,  ardito  c  poderoso 
Qui  si  ti"  '     culi  una  picca  in  mano, 
K  Drlopo  investine!  primo  incontro. 
Glie  n'appuntò  nel  gorgozzule,  e  pinso 
Tanto,  che  la  parola  e  'I  flato  o  l'alma 
]n  un  gli  tolse.  Kd  ei  caddo  boccone, 
E  per  bocca  gittò  di  sangue  un  fiume. 
Cacciossi  avanti,  e  tre  di  Tracia  appresso 
Pc  la  gente  di  Borea,  o  tro  de' figli 
D' Manto,  alunni  d' Ismnra  e  di  Troia, 
In  vnrTato  guise  a  terra  stese. 
Venne  a  rincontro  Alògo,  e  degli  Anruncl 
Un'ordinanza.  Di  Nettuno  il  figlio 
Mcssópo  i  suoi  cavalli  avanti  spinse. 
Ed  or  questi  sforzandosi,  ed  or  quelli 
1UU'J-3ÓÓ| 


<"0  l'kmkide.  [5tó- 

Di  cacciare  i  nomici,  in  su  l' filtrata 
Si  combnttoa  d'Italia.  Equai  tra  loro 
S'azzuffano  a  le  volte  avversi,  o  pari 
Di  contesa  o  ili  forza  in  aria  i  venti. 
Che  né  lor,  né  le  nugole,  né'l  maro 
Ceder  si  vede,  e  lungamente  incerta 
SI  la  mischia  travaglia,  ch'ogni  cosa 
D'ogni  parto  tumultua  e  contrasta; 
Talo  appunto  du'  L'ululi  e  do' Teucri 
*ra  la  pugna,  e  si  fiera  e  si  stretta, 
Cho  giunto  si  vedenn  l'armi  con  l'armi, 
E  le  man  con  le  inani,  e  i  più  co' piedi. 

D'altra  parto  ovo  rapido  o  torrente 
Avca  '1  fiume  travolti  arbori  o  sassi, 
Da  loco  malagovolo  impediti 
Gli  arcadi  cavalieri  a  più  smontaro. 
E  no' pedestri  assalti  ancor  non  usi, 
Da'  Latini  incalzati,  avean  lo  terga 
Già  volte  a  Lazio,  quando  (quel  che  s'us» 
In  si  duri  partiti)  a  lor  rivolto 
Fallante, orcon  preghiere,  or  con  rampogna, 
Ah  compagni,  ah  fratelli,  iva  giidaudo, 
Dove  fuggito?  Per  onor  di  voi. 
Per  la  momoria  di  tant'altii  vostri 
Egregi  fatti,  per  l'egregia  fama,  ' 
1855-370J 


[570-594]  libro  x.  471 

Ter  le  Vittorio  dol  gran  duco  Evandro, . 
K  )>cr  la  spemo  ubo  di  dio  concetta 
A  In  paterna  lode  «mula  avete. 
Nuli  ponete  ne' pié  vnrtrn  fidanza. 
Col  ferro  aprir  In  strada  oc  condono 
Ter  mozzo  di  color  elio  In  vedete, 
Clio  più  folti  n°  incalzano  o  più  feri. 
Ter  là  comanda  l'alta  patria  nostra 
Clio  voi  moco  n'andiate.  E  di  lor  nullo 
E  elio  sin  dio:  son  uomini  ancor  essi 
Como  siam  noi;  qIioì  com'essi  avemo 
11  cor,  le  mani  e  l'armi.  E  dove,  dova 
Vi  salverete?  Non  vedete  il  mare 
Clio  v'ò  davanti,  o  che  la  terra  malica 
Al  fuggir  vostro?  E  so  per  l'ondo  ancora 
l'uggiste,  alfln  dove  n'andrete?  a  Troia? 

K.  cosi  detto,  in  mezzo  de' più  densi 
E  de' più  formidabili  nomici 
Anzi  a  tutti  nvventossi.  E  Lago  il  primo 
Per  sua  disavventura  gli  s'oppose. 
Stava  costui  chinato,  o  per  ferirlo 
Divelto  avea  di  terra  un  gran  macigno. 
Quando  lo  sopraggiunse,  e  nella  schiena 
Tra  costa  e  costa  il  suo  dardo  piantogli  ; 
Si  chu  tirando  e  dimenando  a  pena 
1370-8841 


472  i/ksv:  [59Ó-C19t 

No  lo  ritrasse.  Isbon,  di  Lago  umico, 
Mentr' «.-gli  in  ciò  s'occupa,  oblio  spettiate 
Ili  rcndicsrlo,  o'ncoutra  gli  si  mosse. 
Ha  non  gli  riuscii  che  nienti  e  incauto,  , 
Dal  dolor  trasportato  e  da  lo  sdegno 
Del  suo  morto  compagno,  infuriava. 
No  la  spada  del  giovimi  iufllzossi 
Ba  l'nn  de'fianchi:  ondo  trafitto  e  smunto 
Ne  fu  di  sangue  il  cor,  d'ira  il  polmone. 
Poscia  Stèndo  occise:  occisc  appresso 
Anchèmolo.  Costui  fu  do  l'antica 
Stirpe  di  Reto,  incestuoso  amante 
Di  sua  matrigna.  E. voi,  Lande  e  Timbro, 
Figli  di  Dauco,  ambi  d'un  parto  nati, 
Per  lo  sue  man  cadeste.  Eran  costoro 
SI  l'un  de.1  tutto  a  l'altro  somigliante, 
Che  dal  padre  indistinti  e  da  la  madre 
Fncoan  lor  grato  crroro  e  dolco  inguini 
Sol  or  l'aliante  (ahi!  troppo  durameli  to' 
Vi  fo  divorsi:  ch'a  te  '1  capo  notto, 
Timbro,  reciso;  a  te.  Lande,  in  terra 
Mandò  In  destra.  E  qnosta  anche  irui/zan 
To  por  suo  riconobbe,  e  con  le  dita 
Strinse  il  tuo  ferro,  e  I  brancicò  più  volto. 
Gli  Arcadi  da'  conforti  e  da  lo  provo    '  j 
I884-397J 


[620-644]         libro  x.  473 

A  >  di  Pallanto,  c  per  dolore 

E  por  vergogna  di  furor  s'nrmaro 
('•.ntr'a'nimici.  Seguitò  l'aliante: 
Ed  a  Kcteu  ch'ora  fuggendo  in  \u!ta 
S..pra  una  biga,  nel  passargli  a  canto, 
'Crasso  d' un'asta:  c  tanto  Ilo'  d' indugio 
Ebbe  a  la  morte  sua.  cb'ad  Ilo  Indritto 
Eia  quel  colpo  in  prima.  Ha  Retòo 
Velino  di  mezzo,  o  ricevello  in  reco 
D'altri  colpi  die  dietro  minacciando 
Gli  venian  Tenero  o  Tira,  i  duo  buon  frati, 
Clio  gli  oran  sopra.  Traboccò  dal  carro 
Mezzo  tra  vivo  ejnorto,  e  calcitrando 
Do'Rutali  battè  l'amica  terra. 

Come  il  pastor  ne' dolo!  estivi  giorni 
A  lo  spirar  do' venti  il  foco  accoude 
In  qualche  selva:  elio  diversamento 
I.o  spargo  in  prima;  o  con  divorsi  incendi 
Subito  di  Volcan  no  va  la  schiera. 
Ciò  ch'è  di  mezzo  divorando  in  guisa 
Cu'nn  sol  diventa;  ed  ci  stassi  in  dispalto 
Pel  fatto  altero,  o  di  vedor  gioioso 
La  vincitrice  fiumnia,  e  l'arso  bosco: 
Cosi'l  valor  degli  Arcadi  ristretto 
Ter  soccorrer  Fallante  insieme  unissi. 
■  |3'J3 


4"4  L'IXKIDE.  [CI3-C69J 

Ma'l  bellicoso  Alèso  incontro  n  loro  « 
Si  ristrinse  ancor  ei  con  l'armi  sue, 
E  Lattóne  e  Doiuódoco  e  Feroto 

Occiso  in  prima.  Indi  a  Strili  iu  un  colposi 

Trasse  di  spada  che  la  destra  mano,  9 
Mentre  con  un  pugnai  gli  era  a  la  gola,  I 
Gli  reciso  di  netto.  E  si  d'un  sasso 
Feri  Toante  in  volto,  che  gì' infranse) 
Il  teschio  tutto,  e  no  schizzàr  col  sangue 
L'ossa  c'I  cervello.  Era  d'Aleso  il  padre- 
Mago  •'sdorino;  o  del  suo  figlio  il  fato 
Avea  previsto;  ondo  gran  tempo  ascoso  < 
la  una  selva  il  teline.  E  non  per  quosto  ( 
Franse  il  destino;  che  già  vèglio  a  pena 
Chiusi  ebbe  gli  occhi, che  le  Parche  addosso 
Gli  dierdi  mano:  ondo  a  morir  devoto 
Fu  per  l'armi  d'Evandro.  Incontro  a  lui 
Mosso  Pallanto  in  cotal  guisa  orando: 
Dà',  padre  Tcbro,  a  onesto  dardo  intirizzo 
Fortuna  estrada:  ond'io  mi  petto  il  piantf 
Dol  duro  Alèso:  0  'I  (lardo  e  le  sue  spoglie, 
A  te  finn  poscia  in  ipiesta  quercia  appeso. 
Udillo  il  Tebro:  e  mentre  Alèso,  aita 
Porgendo  ad  Imaon,  lo  scudo  stendo 
Per  coprir  lui,  sè  stesso  discovorse 
1411-4851 


[070-6941  unno  x.  475 
Al  colpo  di  Fallante,  e  morto  cadile. 

Lauso  che  de  la  pugna  era  gran  parto, 
Visto  al  eador  d'un  ai  dogno  cainpiuno 
raduta  la  .-onte»*  e  Perdimento 
He  le  schiero  latino,  egli  in  slla  Toco 
Tosto  aTanti  si  piuse  e  rinfrnncollo. 
E  prima  di  sua  mano  Abanto  ancise, 
Ch'era  di  quella  zuffa  un  duro  intoppo, 
K  de' nemici  il  più  saldo  sostegno. 

Or  qui  strago  s|fa  d'Arcadi  insieme, 
E  do'Tuschi  o  di  voi.  Troiani,  intatti 
Ancor  da'Oroci.  E  qui  d'ambe  le  parti 
Tutti  con  tutti  jd  affrontar  si  vanno. 
Pari  lo  forzo  o  pari  i  capitani 
Son d'ambi  i  lati:  e  quinci  o  quindi  ardenti 
Si  ristringono  in  guisa  che  gli  estremi 
fanno  ancor  calca  e  'inpedimento  a' primi. 

Da  questa  parte  sta  Pallanto,  o  Lauso 
Pa  quella,  i  suoi  ciascuno  inanimando, 
Spingendo  o  combattendo.  E  l'nn  direno 
Non  ó  molto  da  l'altro  nè  d' ctato  » 
Nòdi  bcllozza:  o  parimente  il  fato 
A  ciascuno  ha  di  lor  tolto  il  ritorno 
Ne  la  sua  patria.  E  non  però  tra  loro 
S'affroutar  mai:  chò'l  regnator  celesto 
1425-437J 


•178  L'  EXKIDK.  |G95'-7] 

Riserbava  la  morto  d'ambcduo 
A  nemici  maggiori.  In  questo  merco 
}.a  ninfn  die  di  Turno  orn  sorella. 
II  suo  frato  avvertisco,  elio  soccorso 
Procuri  a  Laiiso.  Ond'ei  tosto  col  enrro 
Lo  sellici  e  attravorsando,  a' suoi  campa 
Giunto  che  fu.  Via,  disse,  or  non  è  toni 
Che  voi  più  combattiate.  Io  sol  no  vado 
Contra  Pollante;  a  me  solo  è  dovuta 
La  morte  sua;  cosi  'I  suo  padre  stosso 
V intervenisse  e  spettator  no  fosso. 

Petto  ch'egli  oblio,  incontinente  i  suol 
Siccome  imposto  ovea,  dal  campò  uscirò. 
Pallantc,  visti  i  Ruttili  ritrarsi, 
E  lui  sentendo  elio  con  tanto  orgoglio 
Lor  comandava;  poscia  che'l  conobbe, 
Lo  squadrò  tutto,  e  stupido  fenuossi 
A  veder  si  gran  corpo.  Indi  foroco 
Gli  occhi  intorno  girando,  ai  detti  su 
Cosi  risposo:  Oggi,  o  d'opimo  spoglie 
0  di  morto  onorata  il  pregici  a'-qnist 
K'I  padre  mio  (tal  ò  d'animo  iinitto 
Incontr'ogni  fortuna,  o  buona  o  rea 
Che  sia  la  min)  no  porrà '1  coro  in  paco. 
Via,  che  d'altro  ò  mestier  che  di  unir 
Ma8-451J 


[720-744)  libro  x.  477 

E,  ciò  dotto,  si  mosse  e  (loro  in  mozzo 
l'rosontossi  del  campo.  Vu  gioì  |ier  l'ose» 
K  per  le  rene  agli  Arcadi  no  corse, 
i:  Telino  dalla  biga  con  un  sulto 
I..inciossi«  terra:  ch'assalilo  a  piodi 
l'reso  consiglio.  K  qirnl  fioro  loone 
Clic,  veduto  nel  pian  da  Inni.-.-  un  toro 
Con  lo  corna  a  battaglia  ossorcitnrsi. 
Pai  monte  si  dirupa  e  rugge  e  vola, 
Tal  fu  di  Turno  la  sembianza  a  punto 
Noi  girli  incontro.  Il  giovine  elio  mono 
Avea  di  forze,  s'avvisò  di  tempo 
l'iendcr  vantaggio,  e  di  provare  osando, 
S'aver  potesso  in  alcun  mudo  amica 
Alnicu  fortuna:  e  già  ch'a  tiro  d'asta 
S'eran  vicini,  al  ciel  rivolto  disse: 
Ercole,  se  ti  fu  dol  padre  mio 
1/  ospizio  accetto,  e  la  sua  mensa  a  grado, 
Allor  clic  peiogrin  seco  albergasti. 
Dammi,  ti  priego,  n  tanta  improsa  aita, 
Slcho  Turno  egli  stesso  in  chiudergli  occhi 
Yeggia  e  sonta,  morendo,  ch'a  me  tocca 
Vincere  e  spogliar  lui  d'armi  e  di  vita. 

Udillo  Alcide,  e  per  pietà  che  n'ebbo 
Nel  suo  cor  se  ne  dolse  e  lacrimouiie, 
[451-4(ió] 


47S  l'incide,        li  I5-T80f 

Quantunque  indarno.  E  (ìiovo  por  conforti 
Del  figlio  sino  cosi  seco  ne  disse: 
Destinato  a  ciascuno  o  *1  giorno  suo; 
E  breve  in  tutti  o  lubrica  e  fugaco 
E  non  mai  riparabile  sèu  vola 
L'umana  vita.  Sol  per  fama  è  dato 
Agli  uomini,  che  sian  viraci*  o  ciliari 
l'i ù  lungamente.  Ma  virtuto  è  quella 
Clio  gli  fa  tali.  E  non  por  questo  alcuno 
£  che  non  muoia.  E  quanti  ne  morirò 
Sotto  il  grand'llio,  cb'eran  nati  in  terra 
Pi  voi  colesti '/  E  Sarpcdonte  è  morto 
Ch'ora  mio  Aglio,  e  Turno  anco  moiri; 
E  già  de  la  sua  vita  ò  giunto  al  fine. 

Cosi  disse,  o  da'rutuli  confini 
Torso  la  visto.  Allor  l'allaute  trasse 
Con  gran  forza  il  suo  dardo,  e  'I  brando  strinse 
incontro  a  Turno.  Investi'!  dardo  a  punto 
Là'vo'l  braccial  su  l'omero  s'affibbia, 
E  tra'l  suo  groppo  o  l'orlo  de  lo  scudo 
Come  strisciando,  di  si  vasto  corpo 
Lievemente  afferrò  la  pelle  a  pena. 

Turno,  poi  rhe'l  n"d"«o  e  ben  ferrato 
Suo  frassino  brandito  e  bilanciato 
Ebbe  più  volto,  Or  prova  tu.  gli  disse, 
UCó-181] 


[770-794]  libro  X.  479 

So  'I  mio  va  dritto,  e  so  colpi*™  o  fin 
riìi  dol  tuo  forro:  o  tnuto.  Andò  ronzando 
Ver  l'aurii,  o  con  In  punta  a  punto  in  mezzo 
m  piantò  do  lo  scudo.  K  tante  piastra 
]ii  metallo  o  d' acciaio,  8  tanta  cuoia 
Ond'era  cinto,  e  la  corazza  o'I  patto 
>    •  -irti  insieme.  Il  giovine  ferito 
Tosto  fuor  si  cavò  di  corpo  il  tèlo; 
ila  non  gli  valse,  che  con  osso  il  sangue 
K  la  vita  u' uscio.  Cadde  boccone 
[n  su  la  piaga,  e  t«f*diò  d'armi  un  crollo, 
Clio,  ancor  morendo,  la  nomica  terra 
Trepida  ne  divenne  e  sanguinosa. 

Turno  sopra  il  cadarcro  formassi 
Alteramente,  o  disse:  Arcadi,  udito, 
E  per  ino  riportato  al  vostro  Evandro, 
Che  qual  di  rivedero  ha  meritato 
]I  suo  l'allanto,  tal  glie  no  rimando; 
E  gli  fo  grazia,  che  d'ossequio  ancora 
E  di  sepolcro  0  di  qual  altro  fregio 
Che  conforto  gli  sia,  l'orni  o  l'onori; 
Ch'assai  ben  caro  infino  a  qui  gli  costa 
L'amicizia  d'Enea.  Cosi  dicendo, 
Col  manco  piò  calcò  l'estinto  corpo; 
E  d'oro  un  ciuto  ne  rapi  di  pondo, 
1481-4'JU) 


480  l'  fneipk.  ["9Ó-8191 

D'artificio  e  di  pregio,  ove  per  ninno 
Era  del  buon  Eurizio  istorlnta 
"la.  dora  notte  e  i  sanguinosi  letti 
Di  quoll' orapio  fanciullo,  in  grembo  a  cofl 
Fui  già  t  inti  in  un  tempo  e  frati  e  sposti 
Sotto  fi  d' li::       giovini  amisi. 

Di  questa  spoglia  altero  e  bnldanzoaafl 
Vasseno  or  Turno.  0  ciecho  umane  mentii 
Come  siete  de'fati  e  del  futuro 
Poco  avveduto!  E  come  oltra  ogni  modo  J 
Ne'felici  succossi  insuperbito! 
Tempo  a  Turno  verrà  eli' ogni  gran  con  fl 
Ricomproria  di  non  aver  pur  tocco 
l'aliante;  e  le  sue  spoglio  e'1  ili  elle  l'ebbo 
In  odio  gli  cadranno  11  morto  corpo 
Nel  suo  scialli  composto,  i  suoi  compagni 
Levar  dal  campo,  o  con  solenne  pompa 
E  con  molti  lamenti  e  molto  pianto 
I,o  riportaro  al  padre.  (Hi  qual  l'aliante, 
Tornasti  al  padre  tuo  gloria  o  doloro! 
Ch'una  stessa  giornata,  eh' a  la  guerra 
Ti  diodo,  a  lui  ti  tolse.  Oli  pur  gran  monti 
Lasciasti  pria  di  tuoi  nomici  estinti! 

Corse  la  fama,  anzi  il  voraca  avvito.  I 
A  l'orecchio  d'Enea  d'un  danno  talo 
U'JU-óllJ 


|820-844]  Mimo  x.  nl 

Y.  d'un  tanto  perìglio,  che  già  Tòlto 
Era  il  suo  campo  in  fuga.  Incontincnto 
Si  fa  col  f"rro  una  spianati  intoni»: 
Vascìb  s'apro  mia  via,  91 1»  corcando. 
Turno,  o  '1  tuo  rintuxzar  cresciuto  orgoglio 
per  la  vittoria  di  I'allanto  oc'eiso. 
rullante,  Evandro,  o  l' aceoglionio  loro 
E  le  lor  mense  ove  cou  tanto  amoro 
I'orostior  fu  raccolto,  e  la  contratta 
i;iù  tra  loro  amistà  datanti  agli  occhi 
Si  vedoa  sompro.  fi  por  onoro  a  l'ombra 
pe  l'amico,  o  por  vittima  al  grand' Orco, 
Molti  giovini  av>a  già  destinati 
Vivi  sacrificar  sopra  al  suo  rogo: 
E  di  gii  no  facca  quattro  d' Ufcnto 
Addur  legati,  e  quattro  di  Sulmona. 

E  tra  via  combattendo,  incontr'  a  Mago 
Tirò  d'un' asta,  a  cui  sotto  chinossi 
T/astuto  a  tempo  si  che  sopra  al  capo 
Gli  trapassò  divincolando  il  colpo; 
E  ratto  risorgendo,  nmilemonto 
fili  abbracciò  lo  ginocchia,  e  cosi  disse: 
Ter  tao  padro  e  tuo.  figlio,  Enea,  ti  prego, 
A  mio  padre,  a  mio  figlio  mi  conserra. 
Di  gran.lognaggio  io  sono;  e  gran  tesori 
CAttO.-31.  [511-626] 


482  i.'kxeide.  [S15-86jl 

Tengo  d'argento  sotterrati  o  d'oro 
Jn  massa  o  'n  conio.  La  vittorin  vostra  I 
Solo  in  mo  non  consiste.  Una  sol* alma  I 
In  cosi  gravo  e  grande  affar  elio  munta iB 
Rispose  Enea:  Le  tue  conserve  d'oro 
E  d'argento  conserva  a' Agii  tuoi. 
Questi  morcati  ha  Turno  primato. nto 
Tolti  fra  noi,  poi  e' ha  1'nllantc  occiso:  1 
Ed  ni  mio  padre  ed  al  mio  figlio  iu  gradai 
Eia  la  tua  morte.  Ciò  dicendo,  a  l'elmo  J 
La  man  gli  stese:  e  poirhè  gli  ,1,1,,..  il  ,„U0j 
Chinato  al  colpo,  inaino  a  l'else  il  ferro  | 
Ko  la  gola  gl'immerso.  Indi  non  lungo 
Emònido  incontrando,  nn  sneordoto 
Di  Febo  o  di  Diana,  il  fronte  adorno 
Di  sacra  benda,  e  tutto  riluecnto 
Di  vesti  o  d'armi,  addosso  irli  si  sbagli». 
Fuggo  Emònide,  o  cade.  En.n  irli  è  sopra. 
Lo  sacrifica  a  l' ombra  e  d' moina  il  empirò, 
Poscia  ilo  l'unni,  dm  '1  meschino  a  pompa 
Portò  più  eli* a  difesa,  il  buon  Screato 
Lo  spoglia, e  por  trofeo  Icnppeudo  iu  campo 
A  to,  gran  Matto.  Ecco  di  nuovo  intanto 
Cècolo.  di  Vulcan  l'ardente  figlio, 
E'1  niarso  Ombron  im  Li  b  it  taglia  entrando 
1526-544] 


1 870-894]         ubbo  x.  483 
E  rimettendo  lo  lor  genti  insieme, 
Spingonsi  avanti.  Enon  da  1" nitr  i  parte 
Infuriava.  Ad  Ansino  avventossi, 
i;  'I  manco  braccio  con  U  spada  in  terra 
fittogli  o  do  lo  scudo  il  cerchio  intera. 
Gran  cose  avea  costui  cianciato  in  prima 
K  coneeputo;  e  d'adempirlo  ancora 
S' era  promesso.  Avea  forao  anco  in  cielo 
biposti  1  suoi  pensieri,  e  «'augurava 
Lunga  vita  o  felice.  E  pur  qui  caddo. 

Poscia  Tàrq'uito  «piente,  o  d' armi  cinto 
Fulgenti  o  ricclio.  incontro  gli  si  foco. 
Era  costui  di  Fauno  montanaro 
E  de  la  ninfa  Drfbpe  creato. 
Giovine  fiero.  Enea  parossi  avanti 
A  la  sua  furia,  e  spinse  l'asta  in  guisa 
Clic  lo  scudo  impelligli  e  la  corazza. 
Allora  indarno  il  minoro  a  pregarlo 
Si  diede.  E  mentre  a  dir  molto  s'affanna 
l'or  lo  suo  scampo,  ei  con  un  colpo  a  terra 
Glttògli  il  capo;  e  travolgendo  il  tronco 
Tiepido  ancor,  sopra  gli  stetto  e  disse: 
Qui  con  la  tua  bravura  te  ne  stai. 
Tremendo  e  formidabile  guerriero: 
Ne  di  terra  tua  madre  ti  ricuopra, 
[515-558) 


484  I."  KVKtOK.  [^.'i-Otji 

Nò  di  tomba  t'onori.  Ai  lupi,  bì  corvi 
3'i  lascio,  o  che  la  piena  in  alcun  fosso  1 
Ti  tragga,  o  che  Del  (Inni»,  n  e  tu;  nel  mari 
Ai  famelici  pesci  esca  ti  mandi. 

Indi  muove  in  un  t .  ni ]■■ .  i  •..»•■•.  a  Lieo, 
E  segue  Autèo,  che  ne  lo  prime  schiere 
Eran  di  Turno.  Assaglio  il  forto  Ninna, 
Fero  il  biondo  Camorto.  Era  Camerte 
Figlio  a  Volsconto,  generoso  germe 
Del  magnanimo  padro,  e  do'piii  ricchi 
D'Ausonia  tutta:  in  qnol  tempo  reggo» 
La  taciturna  Amlcla.  In  quolla  guisa 
Che  si  dico  Egeon  con  conto  braccia 
E  cento  mani,  da  cinquanta  bocche 
Fiamme  spirando  e  da  cinquanta  pottj, 
Esser  già  stato  col  gran  Oiovo  a  front*,  -m 
({umido  centra  i  suoi  folgori    i  mioì  tuoni 
Con  altrettanto  spade  ed  altrettanti 
Scudi  tonava  o  folgorava  anch' egli; 
In  quella  stessa  Enea  p.-r  tutto  '1  campo, 
Poi  ch'una  volta  il  suo  ferro  fu  caldo,  ] 
Contra  tutti  vincendo  Infuriassi, 
Ecco  Niféo  su  quattro  corridori 
Si  vedo  avanti:  e  contra  gli  si  spinge 
SI  ruluoso,  e  tal  fa  lor  fromoudo  . 
1558-5721 


[920-944]         libro  X.  435. 
T<:ina  o  sparente,  cho  i  destrier  rivolti 
l.ui  dal  carro  traboccano,  o  disciolti 
Su  ranno  c  voti  imperversando  al  mare. 
J.i.cago  intanto  o  Ligeri,  due  frati 
O.n  due  giunti  cavalli  ambi  in  un  tempo 
Gli  si  fan  sopra.  Mgeri  *  le  briglie 
Sedo»  por  guida,  Lilcago  rotava 
La  spada  a  corco.  Enea,  non  annerendo 
La  tracotanza,  a  la  già  mossa  biga 
l'iantossi  avanti:  e  Algeri  gli  disse: 
Enea,  tu  non  sci  giù  con  Diomede, 
Ni',  con  Achille  a  questa  volta  a  fronte; 
}ié  son  questi  i  cavalli  e  'I  carro  loro: 
Di  Lazio  ò  questo  e  non  de' Frigi  il  campo: 
Qui  finir  ti  convion  la  guerra  e  i  giorni. 
Queste  vano  minaccio  e  questo  vento 
Soffiava  il  folle.  Enea  d'altro  risposta 
Non  gli  diè  che  de  l'asta.  E  mentre  avanti 
Spinge  1'  uuo  i  destrieri,  e  l' altro  al  colpo 
Si  sta  chinato  e  col  piò  manco  in  atto 
Di  ferir  lui,  la  sua  lancia  a  lo  scudo 
Entrò  sotto  di  Ldcngo,  e  nel  manco 
Lato  no  l'anguinaia  il  colse  a  punto, 
E  giù  dal  carro  moribondo  il  trasse. 
Indi  aucor  egli  motteggiollo  e  disse: 
1073  591] 


480  l'kxfidk.  ('-115-9891 

A  le  ni  paventosi  nò  restii 
San  gin,  Lticago,  stati  i  tuoi  cavalli. 
Tu  da  te  stesso  un  si  bel  salto  lini  preafl 
Fuor  del  turi  carro.  K.  <•!••  detto.  :n  >I-  strierl 
Piò  di  piglio.  Il  suo  finte  uscit  i  intantafl 
Pai  carro  stesso  umile  e  disarmato 
Stendea  le  pillino  In  tnl  gui>a  pregando: 
Deh,  per  lo  tuo  valore  e  por  coloro 
Che  ti  Ter  tale,  alibi  di  me.  signoro, 
l'iota,  clic  supplicando  in  (boi  ti  dileggio 
Quosta  misera  vita,  r  seguitando 
La  sua  preghiera,  a  lui  ìispose  Knea: 
Tu  non  hai  già  cosi  dianzi  abbuiato. 

Muori:  e  morendo  il  tuo  fiati-  a  nnpagna, 

E  con  queste  parolo  il  ferro  spinse, 

E  gli  apri  'I  petto,  e  l'alma  ne  di  sciolte. 

Mentre  cosi  per  la  campagna  Kuca 
Strage  facendo,  e  di  torrente  in  guisa 
E  di  tempesta  infuriando  scorre, 
Ascanio  e  la  troiana  gioveututo. 
Indarno  entro  a  le  mura  assediata. 
Saltano  iu  campo.  Ed  u  (iiunone  intanto 
Cosi  Giove  favella:  0  mia  diletta 
Sorella  o  sposa,  ecco  testé  si  vedo 
Coni' ha  la  tua  credenza  o  '1  tuo  pensiero 
[592-008] 


1970-994)         unito  x.  *°> 
Verace  incontro,  e  rnmo  Citcren 
SostontA  i  Teneri  suoi.  Vedi  coni'  essi 
N  ,11  soli  né  valorosi  nò  guerrieri, 
i:  i  eoi  non  hanno  ni  lor  potigli  eguali. 
A  cui  Giunem  tutta  rimessa,  Ah.  disso, 
Caro  consorto,  n  che  mi  strazi  c  pugni, 
Quando  è  pur  troppo  il  mio  dolor  pungeuto 
E  pur  troppo  tcm'io  lo  tuo  punture V 
Ila  so  qual  era  o  qual  esser  potrebbe, 
Kosso  or  tocQ-il  poter  do  l'amor  mio, 
Teco  elio  tanto  puoi.  d«  te  negato 
Non  mi  fora.  Signor,  ch'oggi  il  mio  Turno 
Fosso  da  la  battaglia  o  da  la  morto 
Per  ino  sottratto  o  conservato  al  vecchio 
Panno  suo  padro.  Or  péra,  e  col  suo  sangue, 
Che  pure  è  pio,  la  cupidigia  estingua 
Do' suoi  nemici.  E  pur  anch'  egli  è  nato 
Pai  nostro  sangue;  o  pur  Pilunno  è  quarto 
l  i, he  ili  lui;  da  lui  pur  largamonto 
Gli  aitar  molto  ftate  o  i  tempii  tuoi 
Son  do' suoi  molti  doni  ornati  o  carchi. 

Cui  dol  ciel  bi eveniente  il  gran  motoro 
Cosi  rispose:  So  indugiar  la  morto. 
Ch'i  già  presento,  o  prolungare  i  giorni 
Al  già  caduco  giovino  t'aggrada 
[G08-622| 


488  L*  RKRIDR.  [995-101 

l'or  alcun  tempo,  o  tn  con  questo  in  toso 
L'accetti,  tu' tu  stessa,  e  da  la  pugna 
Sottrailo  e  dal  destino.  A  tuo  contento 
Fin  qui  mi  lece.  Ma  so  in  ciò  presumi 
Ancor  più  di  sua  vita,  o  do  la  guerra, 
Clic  del  tutto  si  mute  o  si  distomi, 
Invau  lo  spori.  A  cui  tìiuno  piangolili 
Soggiunse:  E  che  saria,  so  quel  ch'iu  y- 
Ti  gravi  a  darmi,  alinea  nel  tuo  sccrotoi 
Mi  concedessi?  e  questa  vita  a  Turno 
Si  stabilisse?  già  ch'indegna  e  cruda 
Morte  gli  s'avvicina,  o  ch'io  del  vero 
Mi  gabbo.  Tu  elio  puoi,  Signor,  rivolgi 
La  mia  paura  e  i  tuoi  pcusicri  in  meglio. 

Poscia  che  cosi  disse,  incontinente 
Dal  ciel  disceso,  e  con  un  nembo  avanti 
E  nubi  intorno,  occulta  infra  j  due  campi 
Sopra  terra  calossi.  Ivi  di  nebbia, 
Di  colori  e  di  vento  una  figura 
Formò  (cosa  mirabile  a  vedoru!) 
In  sembianza  d'Enea;  d'Enea  lo  scudo, 
La  corazza,  il  cimiero  e  l'armi  tutte 
(Ili  finso  Intonici,  i  [.-li  di,'  '1  suono  e  'I  moto 
Propri  di  lui,  ma  vani,  e  senza  forze 
E  senza  mente;  in  quella  stessa  guisa 
[623-61 1J  ■ 


1 1020-1044J       libro  x.  488 
Clio  si  dico  ili  notte  ir  vagabondo 
L'ombre  do' molti,  o  cho  i  sopiti  «essi 
>  il  da' sogni  «il  lusi  e  «la  fantasmo. 

Questa  mentita  imago  »uii  a  le  schiero 
Lieta  insultando,  a  Turno  s'approscnta. 
Lo  provoca  e  lo  sfida.  E  Turno' incontra 
Lo  si  spinge  e  l'affronta:  e  pria  da  lungo 
11  suo  dardo  le  avventa,  al  cui  stridore 
Volg'ella  il  tergo  o  fugga.  Ed  ci  sospinto 
Ila  la  vaua  credenza  e  da  la  follo 
Sua  speme  insuperbito,  la-  perseguo 
Con  la  spada  impugnata,  E  dove,  o  dove. 
Dicendo,  Enoa,  te,u  fuggi?  ovo  abbandoni 
La  tua  sposa  novollaV  Io  di  mia  mauo 
pe  la  terra  fatale  or  or  t'investo. 
Che  tanto  per  lo  mar  cercando  andavi. 
E  gridando  l'incalza,  e  non  s'avvedo 
Clic  quel  elio  segue  e  di  ferir  agogna, 
Non  è  cho  nobbia  elio  dal  vento  è  spinta. 

Era  por  sorto  in  su  la  riva  un  snsso 
Di  molo  in  guisa;  ed  un  navilo  a  canto 
Gli  ora  legato,  che  la  scala  e  'I  ponto 
Avea  su  '1  lito,  ondo  no  fu  pur  diauzi 
Osinio,  il  re  di  Chiusi,  in  terra  esposto. 
In  questo  legno,  di  fuggir  mostraudo, 
[611-650] 


*00  I.'  KNEIDB.  [1045-1 

Kicovrossi  d'Enea  la  finta  Imago, 
E  vi  8' ascoso.  A  cui  dietro  correndo 
Turno  senza  dimora  infuriato' 
11  ponto  ascose.  Era  a  la  prora  a  pena 
Clio  Giunon  ruppo  il  fune,  e  diede  al  1 
Perlo  travolto  maro  impeto  c  fuga. 

Intanto  Enea,  di  Turno  ricercando, 
A  battaglia  il  chiamava.  Ed  or  di  qu- 
Ed  or  di  quello  e  di  molti  anco  insieme 
Facca  strage  e  scompiglio;  e  la  sua  larva. 
Poiché  di  più  colarsi  uopo  non  ebbe. 
Fuor  de  la  nave  uscendo,  alto  levossi, 
E  con  l'atra  sua  nube  unissi  e  sparve. 

Turno,  cosi  schernito,  e  già  nel  mozzo 
Pel  mar  sospinto,  indietro  rimirando, 
Como  del  fatto  ignaro,  o  del  suo  scampo 
Sconoscente  e  superb  i,  al  cicl  gridando 
Alzò  le  palmo,  o  disso:  Ah  dunque  io  snuo 
D'un  tanto  scorno,  onnipotente  pndie, 
Da  te  degno  tenuto  ?  a  tanta  pena 
M'hai  riservato?  ovo  soli  in  rapito? 
Onde  mi  parto?  chi  cosi  mi  caccia? 
Chi  mi  rimena?  o  fia  eh' un' alti  a  volta 
Io  ritorni  a  Lamento?  e  ch'io  riveggia  'I 
L'oste  più  con  quest'occhi?  o  che  diranno 
[B50-C7II 


[1070-10941      ubeo  x.  "l 
I  mici  seguaci,  e  qooi  cho  m'han  per  «pò 
l>i  questa  guerra,  cho  da  me  son  tutti 
i  ,\hi  vitup.ro)  abbandonati  a  morto  ? 
V.  già  r»"i  gli  roggio,  o  gi»  gli  sunto 
(iridar  cadondo.  0  me  lasso  1  che  faccio? 
yiial  h  de!  mar  la  più  proronda  torra 
Che  mi  »'  apra  e  m' ingoi  ?  A  voi  piuttosto, 
Venti,  moresca  di  me.  Voi  questo  legno 
Fiaccate  In  qualchcscoglio.iuqualche  rupe, 
Ch'io  stesso  Jt>  vi  cjiiogfio;  o  ne  le  Sirti 
Mi  seppellite.  ovo  mai  più  non  giunga 
Untolo  che  mi  veggia,  o  mi  rinfacci 
Questo  vcrgogna»e  quosf  infamia,  ond'io 
Sono  a  me  consapovolo  e  nimico. 

Cosi  dicendo,  un  tanto  disonoro 
In  se  sdegnando,  e  di  sè  stosso  fuori, 
Strani,  diversi  e  torbidi  pensieri 
Si  volgca  per  la  mento,  o  cou  la  spada 
Tassarsi  il  petto,  o  traboccarsi  in  mozzo, 
Sì  com'era,  del  maro,  o  far,  notando, 
l'ruova  o  di  ricondursi  ond'ora  tolto, 
0  d'affogarsi.  E  l'uni  e  l'altra  via 
Tentò  tro  volte:  e  tro  volto  la  Dea, 
Di  lui  mossa  a  piota,  ne  lo  distolse. 
Dal  turbiue  o  dal  mar  cacciato  intanto 
1072-087] 


402  L'FN-Kin».      [1095  HI 

Si  scorso  il  legno,  clic  del  padre  limino 
A  l'antica  magio»  per  forza  il  trasse. 

Mczenzio  in  quotato  mentre  che  da  I* 
Kra  spinto  di  Giove,  ardente  e  fiero 
Entrò  no  la  battaglia;  e  i  Toucri  nssalse 
Clic  già  'I  campo  tcnean  superili  v  lieti. 
Da  l'altro  canto  le  tirrene  schiere 
Mossero  incontro  a  lui.  Contra  lui  solo 
S'unir  tutti  dc'Tosclii  e  idi  udii  c  l'ar 
Ed  egli,  a  tutti  opposto,  alpcstro  scogl 
Sembrava,  che  nel  mar  si  sporga,  u  i  Ha 
E  i  venti  minacciar  si  senta  intorno, 
E  noli  punto  si  crolli.  Ognun  ch'avanti 
0  l'ardir  gli  mandava  o  la  fortuna, 
A' piò  si  distoudoa.  Nel  primo  incoutro 
Ebro  di  Dolicao,  Lùtago  o  Palmo 
Tolse  di  mezzo,  Khro  passò  fuor  fuori 
Con  un  colpo  di  lancia:  il  volto  e  'I  teschio, 
Un  gran  macigno  a  Làtago  avventando, 
Infranse  tutto,  ambi  i  garretti  a  Palino 
Ch'avanti  gli  fuggia,  tronchi  ili  netto. 
Lasciò  clic  rampicando  a  morir  lungo 
A  suo  bell'agio  nndasso;  ma  de  l'armi 
Spogliollo  in  prima,  e  la  corazza  in  collo 
E  l'elmo  in  testa  al  suo  I,auso  ne  poso. 
[688-701] 


11120-1144]       usuo  x.  «93 
Oceisc  dopo  questi  11  frigio  Franta: 
l'osci»  Mimante  eh'ora  pari  a  l'ari 
pi  nascimento,  e  d'amor  «eco  unito, 
ir  Amico  nacque,  o  ne  Ivstossa  notto 
Teana  la  stia  madro  in  lnee  il  diede, 
Clio  dio  Paride  al  mondo  Emilia  pregna 
Pi  fatai  fiamma.  E  pur  l'nn  d' essi  occiso 
I  n  no  la  patria  o  l'altro  sconosciuto 
l)nl  cadde.  Era  a  veder  Meionzio  in  campo 
yual  brrido.  sanniito,  irto  cignale 
In  mcwioa'cani  allor  chedVpinetl 
pi  Vesolo,  o  da'  boschi  o  da' pantani 
pi  Laurcnto  è  cacciato,  oto  molt'anni 
Si  sia  difeso;  eh' a  le  reti  aggiunto 
Si  ferma,  arruffa  gli  omeri  e  fremisco 
Co' denti  in  guisa  cho  non  è  chi  presso 
Osi  affrontarlo,  ina  co"  dardi  solo, 
E  con  le  grida  a  man  salva  d'intorno 
Oli  fan  tempesta.  Cosi  eontra  a  lui 
Kon  s'arrischiando  lo  nomicho  squadro" 
Stringerò  i  ferri,  lo  minacce  o  l'armi 
Oli  avvontavan  da  lungo;  ed  ei  fremendo 
Stava  intrepido  o  saldo,  e  con  lo  scudo 
Sbattea  de  Tasto  il  tempestoso  nombo. 
Di  Còrito  venuto  a  quosta  guerra 
|702-7iai 


494  l'  Binili.      [1 115-11' 

Era"  un  greco  bandito,  Acron  chiamato, 
Novello  sposo  cho,  non  giunto  ancora 
Con  la  sua  donna,  a  lo  suo  nozzo  il  folla 
Avoa  l'armi  anteposte.  E  in  quella  mise 
D'ostro  o  d'or  riguar.lcvolo  e  di  penna. 
Sponsali  arnesi  o  doni,  ovunque  andava. 
Per  le  schiero  facea  strago  e  baruffa. 
Mezcnzio  il  vido;  e  qual  digiuno  e  fiere 
Leon  da  fame  stimolato,  errando 
Si  sta  talor  sotto  la  mandra,  e  rugge; 
Se  poi  fugace  damma,  o  di  ramosa 
Corna  gli  sì  discopro  un  cervo  avanti, 
S'allegra,  apro  lo  canne,  arruffa  il  do- 
si scaglia,  ancide  e  sbrana,  e  '1  coffo  e  Va 
D'atro  sangue  s'intride:  in  tal  sombiao 
Per  mezzo  de  lo  stimi  Mezcnzio  altero 
S'avvonta  Acron  per  terra  al  primo  incon 
No  va  rovescio;  e  l'armi  o'I  petto  infralì 
Sangue  versando,  e  calcitrando,  spira,  i 

Morto  Acrono.  ceco  Oròde.  cho  davanti 
fili  si  tulle.  F.i  lo  si'irue:  e  non  degnando 
Ferirlo  in  fuga,  o  che  fuggendo  ocod^H 
Gli  fosso  il  fcritor,  lo  giungo  o  'I  passa, 
L'incontra,  lo  provoca,  a  corpo  a  corpo 
Con  lui  s'azzuffa,  elio  di  forze  e  d'armi 
lll'J-iilól 


[1170-1104]      Limo  x.  495 
Più  mica  che  ili  furto.  Alfin  l'atterra, 
E  l'asta  o  'I  piò  sopra  gì' imprimo  o  dico: 
K'°co,  Oròdo  6  caduto;  link  gran  parto 
Giace  de  la  battaglia.  A  questa  voce 
Lieti  al/aro  i  compagni  al  elei  lo  grida: 
Ed  oi  mentre  spirava.  Oh,  disse  a  lui, 
(Miai  cho  tu  sii,  non  fin  senza  vendetta 
La  morte  mia:  nò  lungamente  altorp 
N'andrai:  chèdiotro  amene)  campo 
t'ndor  convientL  A  cui  Mezenzio  un  riso 
Tratto  con  ira,  Or  sii  tu  morto  intanto, 
Kisposo.  o  quel  che  può  Giovo  disponga 
Poscia  di  me.  Cosl^dicendo  il  tèlo 
fili  divclse  dal  corpo,  ed  oi  lo  luci 
Chiuso  al  gran  buio  ed  al  porpetno  sonno. 

Còdieoocciso  Alcato:  SSocratóre 
Occi'O  Idaspo;  a  duo  la  vita  tolto 
ltupo,  a  Partenio  ed  al  gagliardo  Orsono; 
j[,«apo  anch' egli  a  duo  la  morto  diodo; 
A  Ctònio  da  cavallo,  ad  Ericato 
Ch'ora  pedone,  a  piede.  Agi  di  Licia 
Movendo  incontro  a  lui,  fu  da  Valero 
Valoroso,  e  do' suoi  doguo  campione, 
A  toira  steso;  Atron  da  Salto  anciso; 
E  Salio  da  Nealco,  che  di  dardo 
1700-7531 


49G  i.'kvt.ide.      [1195-1819]  ! 


Era  ginn  feritore  e  granile  arderò,  p 

D'ambe  le  parti  i  rnno  Morie  e  Marto 
Pel  pari;  o  parimente  i  vincitori  i 
E  i  vinti  ora  cartonilo,  ora  incalzando,  l 
Soguian  la  zuffa;  nò  viltà,  nò  foga 
Nò  di  qua  nò  <ll  là  vedeasi  ancor».  i 
L'ira,  la  pertinacia  o  lo  faticho  1 
Erano  o  quinci  e  quindi  àrdenti  e  vano. 
E  di  questi  c  di  quelli  avoan  gli  Doi,  : 
Clio  dal  cid  irli  vedono,  pietà  e  cordoglio. 
Stava  di  qua  Ciprigna  e  di  là  Gilmo  ] 
A  rimirarli;  e  pallida  framozzo  t 
Di  molto  mila  infuriando  andava  1 


I,n  noquitosa  Erinni.  Una  grand' asta 
l'roso  Mezeuzio  un'altra  volta  in  mano 
E  turbato  squassandola,  del  campo 
Piantassi  in  mezzo,  ad  Orlon  simile 
Quando  co'  piò  calca  di  Nòroo  i  flutti, 
E  sega  l'onde,  con  lo  spallo  sopra 
A  l'onde  tutte;  o  qnal  da' monti  a  l'anr» 
Si  spicca  annoso  corro,  o  'I  capo  ascondo  < 
Infra  lo  nubi.  In  tal  sembianza  armato 
Stava  Mczcnzio.  Knoa  tosto  clic  '1  vedo 
Batto  incontro  gli  muove.  Ed  egli  immoto 
Di  coraggio  o  di  corpo  nd  aspettarlo 
[754-7711 


.107 

Ii20-1944|       U0BO  z.  ~ 
t«  qual  pilastro  in  e»  fondato  o  saldo, 
otcìa  ch'a  tiro  d' asta  avvicinato 

fu  d'avanti.  O  mia  destra, o  ini»  dardo, 
iì-so,  chodii  mi  Moto,  il  veltro  mimo 

q.iosto  colpo  imploro:  od  a  te,  Uuso, 
li  !  di  questo  ladron  lo  spoglie  o  1  armi 
vr  mio  trofoo  consacro.  E,  cosi  dotto. 

risse.  Stridendo  andò  por  l'aura  il  Udo; 
,la  giunto,  o  da  lo  scudo  in  altra  parto 
battuto,  di  lontan  percosse  Antoro 
•Va  le  costole  o  'I  fianco.  AnUrd'Alcido 
morato  compagno-  Era  vomito 
H  Argo  ad  Evandro;  equi  cadde  il  meschino 
D'altrui  ferita.  Noi  cader,  lo  luci 
,\1  cicl  rivolso  e,  d'Argo  il  dolce  nomo 
<  ,5pirnndo,le  chniso.  Euoa  con  l'asta 
ìien  tosto  a  lui  rispose.  E  lo  suo  scudo 
ivreosso  anch' egli,  o  l'iiitcr/atc  piastre 
Di  ferro  e  le  tre  cuoia  e  le  tre  faldo 
Hi  tela,  ond'  era  ciuto.  inflno  al  vivo 
(ili  passò  de  la  coscia.  Ivi  formossl, 
Che  più  forza  non  ebbe.  Ma  ben  tosto 
Kicovrò  con  la  spada,  c  fioro  o  lieto. 
Visto  già  del  nemico  il  sangue  In  terra 

E  '1  terror  no  la  fronte,  a  lui  si  strini.";. 
0*bo.-32.  1771-788] 


49$  b' nettimi.  [1215-12 

Lmuo,  elio  In  tanto  rischio  II  rum  pai 
Si  rido  nrnntl,  amor,  téma  c  doloro  1 
Se  ne  senti,  no  sospirò,  ne  pianse. 
E  qui,  giovino  illustro,  il  caso  indegno 
D«  la  tna  morte,  o  '1  tuo  zelo  e  'I  tuo  CaS 
Non  tacciò:  so  pur  tanta  piotato 
Fia  chi  eroda  do'posteri.  e  d'un  Usilo 
TI' un  empio  padre.  Il  padre  a  si  gran  col|M 
Si  trasse  indietro,  elio  di  giù  (ol  ito, 
Hcnehó  non  gravemente,  c  da  l' ititi iei>  W 
Ilo  l'asta  imbarazzato,  ora  a  là  pugna  i 
Fatto  Imitile  o  tardo.  Or  mentre  code,  \ 
Menti  o  clic  do  lo  sonilo  il  dardo  ostilo 
Pi  sferrar  s'argomenta,  il  buon  gar/ono 
Succede  no  la  pugna,  o  del  già  mosso 
Braccio  0  del  brando  clic  stridente  o  gn 
Calava  per  ferirlo,  il  mortai  colpo 
Ricovò  con  lo  scudo  e  lo  sostenne. 
E  perch'agio  a  ritrarsi  il  padre  avesse 
Riparato  dal  figlio,  i  suoi  compagni 
Secondar  con  le  grida;  e  con  un  nembo 
H'armi,  olio  gli  avventar  tutti  in  un  tellina, 
Lo  ributtare  Enea  via  più  feroco 
Infuriando  sotto  al  gran  paveso 
Si  touea  rìcovorto.  E  ansi,  cadendo 
[789-80SJ 


1 1270-1294]      mimo  x.  *90 
brunitilo  a  nonilii.il  vtator  talora. 
Ch'in  sicuro  ti  l'albergo  6  già  ridotto, 
i  'ani  njrrioola  vede,  ogni  aratore 
i  .  i  !_r  ve  *  »  da  I"  ■■iini|iagna:  oxjual  d'un  groppo, 
I l'ima  ripa, od' un  nutro  il  zappatori;, 
Piovendo,  si  fa  sellerina,  e  'I  sole  aspetta 
l'or  compir  l'opia;  in  quella  stessa  guisa, 
ii'inpc&tnto  dn  l'armi  Kuea  la  nubo 
S  'stoica  de  la  pugna:  o  Lauso  iutnnto 
Minacciando  gnrria:  Doto  no  vai, 
Mi  scliincllo,  a  la  morto?  a  elio  pur  osi 
l'iù  elio  non  puoi?  I,a  tua  pietà  t'inganna 
K  sci  giovine  e  suro.  Ki  non  per  questo, 
1'.. Ilo, mono  insultava:  ondo  più  crubbo 
1,'irn  del  teucro  duco.  KgiA  la  l'nrcn, 
Vota  la  rócca  e  non  pieno  anco  il  fuso, 
Il  suo  nitido  filo  nvea  reciso. 
Trasse  Knoa  de  la  spada,  o  no  Io  scudo, 
Che  liev'ern  o  non  pari  a  tinta  forza, 
1/)  colpi,  lo  passò,  pnssògli  insieme 
I.a  vesto  che  di  seta  e  d'òr  contesta 
Gli  avea  la  stessa  madre;  o  lui  per  ni"  vo 
Transso,  o  moribondo  a  terra  il  trasse 
Ma  poscia  olio  di  sangno  e  di  pallerò 
I,o  vido  asperso  e  della  morte  in  preda, 
[803-822] 


600  l' RUMOR.  [I29r>-181| 

No  gl'incrobbo  e  no  pianse;  o  di  patera* , 
Pioti  quasi  un'  imago  aranti  agli  occhi  J 
Veder  gli  parrc,  o  'ntonerito  il  coro. 
Stose  la  destra  e  sollevoll»,  o  disse: 
Miserabil  fanciullo!  o  qualo  aita,  J 
Qunlo  il  pietoso  Knoa  può  farti  onoro  ì 
Degno  do  le  tuo  lodi  o  del  presagio 
Clio  n'hai  dato  di  te?  L'armi  elio  tanto  J 
Ti  sou  piaciuto,  a  te  lascio,  o  '1  tuo  corpi 
A  la  cura  do' tuoi,  se  di  ciò  cura 
Ha  pur  l'empiu  tuo  padre,  acciò  di  tornili 
K d'ossequio  t'onori.  E  tu,  meschino, 
l'ili  cho  dal  grande  Knea  morto  ricovi, 
Iti  morir  ti  consola.  ludi  assoenra. 
Sollecita,  riprendo,  e  do  l'indugio 
Garrisco  i  suoi  compagni;  o  di  sua  man 
L'alza,  il  sostiene,  il  tergo  o  de  la  gora 
Del  suo  snnguo  lo  traggo,  ore  rorescia 
Cìiacea  languido  il  volto  e  lordo  il  crine. 
Che  di  roso  cran  prima  o  d'ostro  o  d'oro, 

Stava  dol  Tebro  in  su  la  riva  intauto 
I."  sfortunato  padre,  e  In  ferita 
Sii  lavata  no  l'ondo,  afflitto  o  stanco  - 
S'era  con  la  persona  appo  d'un  tronco  1 
Ver  posarsi  appoggiato:  c  l'olmo  a  cauto 
1823-835] 


[1380-18'H)      libro  x.  501 
Iia'rnmi  gli  pondea.  L'armi  più  sui 
.Su  '1  verde  prato  arean  posa  con  lui. 
Staragli  intorno  de'piì)  scelti  un  cerchio 
i:  ùVpiù  Culi.  Ed  egli  anelo  ed  egro. 
Chino  il  collo  al  troncone  e'I  mento  ni  putto, 
Molto  di  Lauso  interrogava,  e  molti 
il  li  mandava  or  con  preci  or  con  precetti, 
i  li' al  mesto  padre  ornai  si  ritraesse. 
Ma  già  vinto,  già  morto  e  già  disteso 
Sopra  il  suo  scudo,  a  braccia  ripoitato 
Da' suoi  con  molto  pianto  era  il  meschino, 

Udì  Mezonzio  il  pianto,  e  di  lontano 
(Come  del  mal  sovente  è  l'uom  piosugo) 
Morto  il  figlio  conobbe.  Onde  di  polro 
Sparso  il  canuto  crine,  ambe  le  inani 
Al  ciel  alzando,  al  suo  corpo  accostussi: 
Ah  mio  Aglio,  dicendo,  ah  corno  tauto 
Fui  di  vivere  ingordo,  che  soffrissi 
Te  di  me  nato,  andar  por  me  di  morto 
A  si  gran  rischio,  a  tal  nemica  destra 
Succedendo  in  mia  vece?  aduuque  io  salvo 
Son  per  le  tue  ferite?  adunque  io  vivo 
Per  la  tua  morte?  0  miserabil  vita. 
0  sconsolato  essiglio!  Or  questo  è  '1  colpo 
Ch'ai  cor  m' egiunto.  Ed  io,mioflglio,iosouo 
1836-851] 


502  1/ emide.  [181!>-18( 

C  ho  inaccbiato  il  tuo  nume,  c'  ho  souwMjj 
l.  i  tua  fortuna  e  'ì  mio  stato  felice 
Co' demeriti  miei.  Dal  Olio  furerò  . 
8011  dal  seggio  deposto.  Io  sou  che  dobb 
Ogni  grave  supplici»  ed  ogni  molte 
A  la  mia  patria,  al  grand'odio  de' miei.] 
E  pur  sou  vivo,  0  gli  uomiui  nini  l'ungo? 
E  non  fuggo  la  luce?  Ah  fuggirolla 
Pur  una  volta.  E,  cosi  detto,  al/.ossi 
Su  la  ferita  coscia.  E  benché  tardo 
l'er  la  piaga  uo  fosso  0  per  l' angoscia,  ] 
Non  per  questo  avvilito,  un  suo  cavallo] 
Ch'era  quanto  diletto  e  quanta  speme  j 
Avea  no  l'aruif,  e  quel  che  in  ogni  guo 
Salvo  mai  sciupio  e  vincilor  lo  rese, 
Addur  si  fece.  E  poi  elio  addolorato 
Sol  vido  avanti,  in  tal  guisa  gli  disse: 
lteho,  noi  siani  fin  qui  vissuti  assai, 
Se  pur  assai  di  vita  ha  mortai  cosa. 
Oggi  ù  quel  di  che  0  vincitori  il  capa 
Riporterei]!  d'Enea  con  quello  spoglia 
Clio  «  u  de  1'  ai  mi  '  del  mio  figlio  iufottS 

1  'l'itilo  l'edizioni  hanno  m  un.  ma  ■.tuo  lo  al 
tenta  i1coranii'lit<:  up!>.irisc<*  cli<;  ù"*  r.  i.btf  dir* 
tonfile.  Il  lettore  giu-lidu  «li  <\n  o<K„r. 
vuzìubo.  Km*.  PamsI'11.1, 

[851-803] 


'   | 1367-1391]       libro  x.  603 
E  elio  tu  dol  mio  duolo  e  do  la  morto 
l>i  lui  veudicator  meco  sarai; 
il  i  lio  meco,  so  «ano  ù'J  potar  nostro, 
,  inimi  pulimenti'  i  piotai  timi; 
i  lio  la  tua  fù,  crud'io,  la  tua  rintuzza 
Sdegnoso  ti  farà  d' esser  soggetto 
A' mici  nemici,  o  di  servire  altrui. 

Cosi  dicendo,  il  consuoto  dorso 
Per  so  modesino  il  buon  Robo  gli  oflarso, 
Ivi  ci  l'elmo  ripreso,  il  cai  cimiero 
lira  pur  di  cavallinlli' irta  coda, 
Savvi,  come  potè  eoinuiodaiueiito. 
Vi  s'adagiò,  Poscia  d'acuti  strali 
Ambe  cardie  le  mani,  infra  le  schiero 
I.anciossi.  Amor,  vergogna,  insania  o  lutto 
K  dolore  e  furore  e  coscienza 
Del  suo  stesso  valoro  accolti  in  uno 
Gli  arsero  il  coro  e  gli  avvanfparo  il  volto. 

(Jui  tre  volte  a  grau  voco  Enea  sfidando 
Chiamò;  che  tosto  udillo,  o  baldanzoso, 
Cosi  piaccia  al  gran  Padio.  gli  risposo,, 

'     Cosi  t'inspiri  Apollo.  Or  vieu  pur  via. 
Soggiunse  E  ratto  incontro  gli  si  mosse. 
Ed  egli:  Ab  dispietato!  a  che  minacci. 
Già  che  morto  ò  '1  mio  figlio?  in  ciò  potevi 
[803-870J 


604 


L'  KKKIbE. 


[1302-  1  116] 


I  '  ìwi  i  tn  mnrtc.  Or  nò  la  morto  io  tcmoj 
Nò  gli  tuoi  Dei.  Non  più  spaventi,  lo  veoj 
l>i  morir  desioso;  o  questi  doni 


I  i  porto  in  prima.  E  'I  primo  dardo  trasgffl 
Poi  l'altro  e  l'altro  appres»»  :  e  \  i.i  t  menda 

(ili  discorrea  d'intorno.  Ai  colpi  tutti  i 
ltesse  il  -durato  scudo.  E  già  tre  rolto  < 
L'an  girato  il  cavallo,  e  l'altro  il  luseo  I 
Avca  de' dardi  noi  suo 'scudo  infissi, 
Quando  il  figlio  d'Anehisc,  impartente 
Di  tanto  iudugin  c  di  sferrar  tànt'  astò. 
Visto  '1  suo  disy,antaggio,  a  molte  coso* 
Andò  pensando.  Alfiu  ili  guardia  uscito 
Addosso  gli  si  spinse,  e  trasso  il  tr  io, 
SI  clic  do!  corridore  il  teschio  infisso 
In  mozzo  do  la  fronte.  Inalherossi 
A  quel  colpo  il  fcroco,  e  calci  a  l'aura 
Traondo,  scalpitando,  e  'I  collo  o  '1  tu 
Scotcndo,  s'intricò;  caddo  con  l'asta, 
Con  l'armi,  col  campione  a  capo  chino. 
Tutti  in  un  mucchio.  Andar  le  grida  al  ci 
De' Latini  o  de' Teucri.  E  tosto  Knoa 
Col  brando  ignudo  gli  fu  sopra  e  disso: 
Or  dov'ò  quel  si  fiero  e  si  tremendo 
MczeuzioV  Ov'ò  la  sua  tanta  bravura? 


|8T0  898) 


[1417-14311       I.1BBO  X.  6U< 
E  '1  Tosco  a  InK  poiché  l' afflitto  luci 
Al  ciol  rivolse,  o  seco  si  ristrinse: 
Crudolc.  a  che  m'iusulti?  A  me  di  Masino 
Non  ò  ch'io  muoia:  nòjwr  Tinccr,  toco  ^ 
Venni  a  battaglia.  Il  mio  Lauso  morendo 
Fecon  te  patto  che  morissi  anch'io. 
Solo  ti  prego  (se  di  groiia  alcuna 
Son  degni  i  vinti)  che  '1  mio  corpo  lasci 
Coprir  di  terra.  Io  so  gli  odii  immortali 
Clio  mi  portano  i  uiiii.  Dal  furor  loro 
Ti  supplico  a  sottrarmi,  e  col  mio  Aglio 
Consentir  che  mi  giacela.  E.  ciò  dicendo, 
La  gola  per  sè  stesso  al  ferro  offerse; 
E  con  nn  fiume  cho  di  sanguo  sparse 
Sopra  l'armi  versò  l'anima  o  '1  fiato. 
[808-908] 


500 


t  » 


H-131 


DELL'  ENEIDE 
Li  mio  Undeoimo. 

Tassò  la  Dotto  intanto,  e  giti  dal  mare 
Sorgea l'Aurora.  Enea.quaiituiiquc  il  tempo, 
1/  officio  o  la  pietà  più  lo  stringessi) 
A  seppellirò  i  suoi,  quantunque  offeso 
.Da  Unto  uiorti  il  cor  funesto  stesso;  .  1 
Tosto  che  'I  sole  apparve,  il  voto  sciolga. 
De  la  vittoria.  E  sovra  un  picelo]  colle 
Tronca  òVranii  una  gran  quercia  eresse: 
ilo  l'armi  la  riuvolsc,  e  de  le  spoglie 
L'adornò  di  Mezonzin  e  per  trofeo 
A  te,  gran  Marte,  dedicolla.  In  ciius 
L'elmo  vi  poso,  e  'n  su  l'olmo  il  cimiero, 
Ancor  di  polve  e  d'atro  sanguo  asperso. 
L'aste  d'intorno  attraversate  e  rotte 

Stavan  qua!  secchi  rami:  e'1 1 1  o  in  meno 

Sostenea  la  corazza  elio  smagliata 
B  da  dudici  colpi  eia  trafitta. 
Dal  manco  lato  gli  pendon  lo  scudo: 
Al  desti' omero  il  brando  orn  attaccato, 
11-11] 


[20-441  LTBBO  Xt.  607 

Chc'l  fodro  arca  d'avorio  e  l'else  d'oro. 
Indi  i  sucii  duci  o  le  sue  gvuti  accolta, 
l'ho  liete  gli  gridar  littoria  Intorno, 

In  rutul  guisa  i>  f  irtar  ni  diede: 

Compagni,  il  più  s'è  fatto.  A  quel  che  resta 
Nullu  temete.  Ecco  Mezcnzio-e  morto 
l'or  io  mie  ninni,  e  quésta  che  veduto,  * 
L'opimo  spoglie  e  le  primizie  sono 
Hel  superbo  tiranno.  Ora  a  le  mura 
Ce  n'andrem  di  Latino.  Ognuno  a  l'anni 
S'accinga:  ognun  «'affidi,  o  si  promotta 
ilucrra  e  vittoria.  In  punto  vi  mettete-, 
Che  quando  dagli  augurii  no  s'ucreuuu 
pi  muovor  camita,  o  che  mestier  ne  sia 
li'inalberar  l'insegno,  indugio  alcuno 
Nuli  c'impedisca,  o  'I  duhiu  o  la  paura 
Nuli  ci  ritardi.  Iu  questo  mezzo  a'  morii 
1  tiara  sopnltura,  e  quel  clic  lor  dovuto 
È  sol  dopo  la  morte,  eterno  ouoro. 
Itene  «dunque,  e  quoll'animo  chiaro 
Clic  n'ban  col  proprio  sangue  e  con  In  vita 
Questa  patria  acquistata  o  questo  impero, 
D'ultimi  doni  ornate.  E  primamente 
Al  mesto  Evandro  il  figlio  si  rimandi. 
Che,  di  vertù  maturo  o  d'anni  acerbo, 
lH-27] 


608  i.'kkkidk.  [45-09] 

Cimi  n'ha  morte  indegnamente  estinto,  i 

Ciò  detto,  lagrimnudo  il  pass?  Tolse 
Vèr  la  magione,  u'di  Fallante  il  corpo 
Dal  voccliiorollo  Aceto  era  guardato. 
Era  costui  già  del  parrasio  Evandro 
Donzello  d'armi:  o  poscia  per  compagno 
Fu  (ma  non  già  con  si  lieta  fortuna) 
Dato  al  suo  caro.olunno.  Area  con  lui 
D'Arcadi  suoi  vassalli  o  di  Troiani 
Una  gran  turba.  Scapigliate  e  mesto 
Le  donne  d'Ilio,  si  com'era  usanza, 
Gli  piangevano  iutoruo;  o  non  fu  prima 
Enea  comparso,  cho  Io  strida  e  i  pianti 
Si  rlnovaro.  Il  batter  de  le  mani. 
Il  suon  de'petti,  e  de  l'albergo  i  mugghi 
N'andAr  fino  alle  stelle.  Ei  poi  che  rido 
Il  suo  corpo  disteso,  e  '1  bianco  volto, 
E  l'aperta  ferita  elio  nel  potto 
Di  man  di  Turno  avea  larga  o  profonda, 
Lagrimando  proruppe:  0  miserando 
Fanciullo,  e  cho  mi  vai  s'amica  e  destra 
Mi  si  mostra  fortuna?  o  elio  m'ha  dato. 
So  te  ni' ha  tolto?  or  cho,  vincendo,  ho  fatto? 
Che,  regnando,  farò,  se  tu  non  godi 
De  la  vittoria  mia,  ni  del  mio  regno? 
(38-4-11 


[70-94]  •  m«ho  xi.  °oa 

Ah!  non  foe'io  queste  promesso  allora 
Al  buon  Evandro,  eli' a  l'acquisto  venni 
Ili  questo  impero.  E  ben  tcim-tto  il  sngiri". 
K  ben  ne  ricordi)  clic  duro  intoppo, 
K  d'aspra  gente.  avremmo.  E  forse  ancora 
Il  meschino  or  fa  voti  il  preci  e  doni 
Ter  la  nostra  saluto,  é  vanamente 
Vittoria  s'impromottc.  E  noi  con  rana 
Pompagli  riportiam  iiuosto  infclico 
Giovine  di  già  morto,  .-..li  già  nulla 
l'ili  tenuto  a' celesti.  Abl (consolato 
l'udrò!  vedrai  tu  dunque  una  si  cruda 
Morte  del  figlio  tuo?  Questo  ritorno. 
Questo  trionfo,  oimè!  d'ambi  aspettavi? 
E  da  nio  questa  fedo?  Oh  pur,  Evandro, 
Noi  vedrai  già  di  vergognoso  plagilo 
Ferito  il  tergo;  e  nou  gli  arai  tu  stesso 
(Se  con  infamia  a  te  vivo  tornasse) 
A  desiar  la  morto.  Ahi  quanto  manca 
Al  sossidio  d*  Italia,  e  quanto  perdi. 
Mio  figlio  lui»:  E,  posto  al  pianto  fino, 
Ordine  diè  che  '1  misenbil  corpo 
Via  si  togliesse;  e  del  suo  campo  tutto 
Scelse  di  millo  una  pregiata  schiera 
Che  scorta  gli  faecsso  o  pompa  Intorno, 
[15-61] 


G10  l'  knkid».  [!)5  IH 

K  il' Kv,nnilrn  n  le  lagrime  assistesse, 
K  lo  sue  gli  mostrasse;  a  tanto  lutto 
Assni  debil  conforto,  e  pur  dovuto  -« 
Al  suo  misero  padre.  Altri  ni  suo  corpo,; 
Aldi  a  la  baia  intoni I  nvonn  ili  qucrcl»/ 
D' ubato  o  ili  tali  nitri  agresti  rami 
Filtro  un  feretro  di  virgulti  intesto, 
K  di  frondi  coperto,  ovo  altamente 
Del  giovinetto  il  delicato  busto 
Composto  si  giacca  qunl  di  vtolii. 
0  di  giacinto  un  languidetto  lloro 
Cólto  per  mnn  di  vergine,  o  serbato  • 
Tra  le  suo  stesso  foglio  allor  che  scemo 
Non  è  del  tutto  il  suo  natio  coloro 
Nò  la  sua  forma;  c  pur  da  la  sui  niadro 
l'unto  di  cibo  o  di  vigor  ncn  ave. 

Enea  duo  prezYoso  vesti  intanto 
L'unii  d'6r  Uno  e  l'altra  di  scarlatto 
Addur  si  foco;  nmbo  ornamenti  e  doni 
Do  la  sidonia  Dido,  e  da  lei  stessa 
Con  dolco  studio  o  con  mirabil  arto 
Ricamato  o  distinte.  E  Cuna  indosso 
Oli  pose,  e  l' altra  in  cnpo,  ultimo  onoro 
Con  cho  dolento  la  dorata  chioma 
Allor  vclògli,  eh'  era  ndditta  al  foco. 
[62-77] 


[  120-  111)  LIBRO  XI.  511 

Ile  lo  prede  oltre  a  ciò  di  I.allrento 
(ili  Ih  gran  parte.  Fagli  In  ordinanza 
Spiegar  l'armi.  Ì  cavalli  e  l'altie  spoglio 
l  olle  n'niiniei.  tili  fa  glir  legati 
Con  le  innndlctio  i  destinati  a  morto 
Ver  onoranza  del  funereo  rogo. 
Portai  gli  fa  d'avanti  a'duci  loro 
L'armi  ai  tronchi  sospese,  o  I  nomi  scritti 
I  •  -li  occisi  e  dc'vinti.  il  vecchio  Aceto 
Clio,  si  com'era  afflitto  o  d'anni  grave, 
llli  ein  appresso  coudotto,  or  con  le  pugna 
Si  bnttea  'I  petto,  ed  or  con  l'ugna  il  volto 
Si  lacerava,  e  tra.  la  polve  o  '1  fango 
Si  volge»  tutto.  Ivnno  I  carri  aspersi 
Del  sangue  de' Latini,  ira  Iugulile 
K  d'ornamenti  Ignudo  Eto,  il  piti  fido 
Suo  cavai  dn  battaglia,  che  gemendo 
In  guisa  umana  e  lagriniando  nudava. 
Seguian  le  mesto  squadro  i  Teucri,  i  Toschi 
K  gli  Arcadi,  con  l'armi  e  con  l' insogno 
Kivoltc  a  terra.  Or  poi  ch'oltrepassata 
Con  quest'ordine  fu  la  pompa  tutti, 
Knea  fermossi,  e  verso  il  morto  amico 
Ad  alta  voce  sospirando  disse  : 

Noi  quinci  ad  altre  lagrimo  chiamali 
[78-90] 


M3  l'kskidk.  Lllr'-'W1' 

Dnl  medesimo  fato,  nitro  battaglio 
Imprenderemo.  E  tu,  muglio  I'nllunto, 
Vnttoiio  in  paco.  «  con  «torni»  (fiorili 
Godi  eterno  riposo.  Indi  pai  tondo  • 
Yèr  l'ulto  mura,  al  campo  si  ritrasse 
Frati  nel  campo,già  co' rami  nvnnti 
Ti  pacifera  oliva  ambasciadori 
■Po  la  città  latina  a  lui  Tenuti, 
Che  tregua  a' vivi  e  sepoltura  a' morti  I 
Fregando,  gli  mostrar  elio  più  co'  vinti  d 
Ne  co'  morti  è  contrasto,' e  che  Latino  I 
(ìli  era  d'ospizio  ainn-o,  e  e  lui  chiamalo  i 
L'avoa  genero  in  pi  ima.  Il  buon  Troiano 
A  lo  giusto  preghiere,  ai  lor  quesiti. 
Che  di  grazia  orati  degni,  inrontincnto  1 
(ìrnziJso  niostrossi;  o  da  vantaggio 
Cosi  lor  disse:  K  qu&l  indegna  sorto 
Contra  ino,  mici  Latini,  in  tanta  guerr»  A 
C'osi  v'intrica?  Chi  pur  vostro  amico 
Son  qui  venuto;  nò  venuto  ancora 
Vi  sarei,  se  da' fati  o  dagli  Dei 
Mandato  io  non  vi  fossi.  K  non  pur  pace, 
Sicconio  voi  chiedeto,  io  vi  concedo 
Per  color  elio  sdii  morti,  ma  co'  vivi 
Ve  l'offro,  e  la  vi  chiuggo.  E  la  mia  guerra 
196-111] 


[  1 70-194 J         Linno  xi.  513 
Non  è  con  toì:  ma  '1  rostro  re  .s'è  tolto 
Da  l'Amicizia  mia;  s'è  confidato 
riiì  no  l'armi  di  Turno,  e  Turno  ancora 
V.  irlio  e  pili  giustamente  in  ciò  farebbe, 
S'a  questi  guerra  sol  con  suo  periglio 
Ponesse  fine.  E  poiohò.81  disposo 
])i  cacciarmi  d' Italia,  il  suo  dovero 
Fora  stato  elio  meco,  e  con  quest'anni 
liiftlnita  l'avessi'.  K  saria  risso 
Cui  la  sua  propria  destre  e  Piò  concesso 
riii  vita  avesse:  e  f  rostri  cittadini 
Kon  sarian  morti.  Or  poiché  morti  sono, 
lo  mo  ne  dolgo,  o  voi  gli  seppellite. 

Bcstaro  al  dir  d' Knea  stupidi  o  cheti 
I  latini  oratori,  o  l'un  con  l' nitro 
Pi  guardarono  in  rollo.  Indi  II  più  vecchio, 
Drance  nomato,  a  cui  Turno  fu  sempre 
Por  sua  natura  e  per  sua  colpa  in  ira. 
Rotto  il  silenzio  in  tal  guisa  rispose: 
0  di  fama  o  più  d'armo  occolso  o  giando 
Troiano  eroe,  qual  mai  fin  nostra  lode 
Cho'l  tuo  gran  morto  agguagli?  odi  che  prima 
Ti  loderemo?  ch'io  non  veggio  qunlo 
In  to  maggior  si  mostri,  o  la  giustiziai 
0  la  gloria  de  l'armi.  A  questa  tanta 

C'aro.  — 33.   II 12-127 1 


511  L'K>riPK.  |tor,-21^ 

Grazia,  che  tn  ne  l'ai,  grati  saromo: 
Rapporto  no  faremo;  o  a' al  consiglio 
Nostro  è  fortuna  amica,  amico  ancor»  | 
Ti  (la  Latino.  E  cerchiai  d'altronde 
Turno  altra  legai  A  noi  co' sassi  in  collo 
Gioverà  di  trovarne  a  fondar  vosco 
Questa  vostra  fatai  novella  Troia. 

Poi  che  Drancc  ebbe  detto,  ni  detti  suol 
Tutti  gli  altii  fremendo  acconsentirò, 
E  por  dodici  di  commercio  o  pace  • 
Fu  tra  l'un  oste  e  l'altro.  E  senza  offesa 
Entrambi  si  inisehinro.  o  por  gli  monti 
E  por  lo  solvo  a  lor  diletto  andaro. 
Allor  Bonaro  accétte  o  strider  carri 
Per  tutto  udissi.  In  ogni  parto  a  terra 
Ne  giro  i  corri  o  gli  orni  o  gli  alti  pini 
E  gli  odorati  codri  al  funebre  nso 
Svolti,  squarciati  e  tronchi.  E  già  la  fi 
Cho  di  Pallanto  a  l'nllantéo  volata 
Dicoa  pria  lo  suo  prove,  e  vincitore 
L'avoa  gridato,  or  d'ogni  parte  grida 
Che  morto  si  riportn.  In  ciò  cnmmoasa 
La  città  tutta,  in  vedovile  aspetto 
Di  funeste  facollo,  o  d'atri  patini 
Si  vide  piena:  o  vèr  lo  porto  ognuno 
[127-H2J 


[220-244)         urrn  ri  515  ' 

Gli  uscirò  incontro.  Si  vodoa  di  lumi 

£  di  genti  min  fila  che  le  strade 

K  i  campi  in  lunga  pompa  attraversava. 

I  Frigi  e  gli  altri  col  tot  corpo  intanto 
Piangendo  ne  renian  da  l'altra  parto, 
K  con  pianto  incontrarsi.  Indr  rivolti 
Tutti  vèr  la  città,  non  pria  fnr  giunti, 
Che  di  pinnti  di  donne  o  d'ululati 
Kisouar  d' ognintorno  il  cielo  udissi.  ' 

Nò  forza,  nò  consiglio,  nò  decoro 
Fu  eh'  F.vandrò  tciwsso.  Usci  nel  mozzo 
Ili  tutta  gente:  e  la  funerea  bara 
Fermando,  addosso  ni  figlio  in  abbandono 
Si  gittò,  l'abbracciò,  stretto  lo  tenne 
Lunga  finta,  e  da  l'angoscia  oppresso 
l'ria  lagrimando,  o  sospirando,  tacque. 
Poscia  la  strada  al  gran  dolore  aporta 
Cosi  proruppe:  0  mio  Pattante,  o  queste 
Fur  lo  promesso  tuo.  quando  partendo 

II  tuo  padre  lasciasti?  in  questa  guisa 
I)'  esser  guardingo  e  cauto  mi  dicesti 
Ne'pcrigli  di  Mal  to?  Ah!  ben  sapeva, 
Ben  sapov'io  quanto  no  l'anni  primo 
Fosse,  in  cor  generoso,  ardento  e  dolco 
Il  desio  de  In  gloria  e  de  l'onore. 

[142  155] 


510  L*  FfCKIDE.  l-l">*9flH 

Primizie  infauste,  infausti  fondamenti  * 
Do  la  tua  gioventù!  Vano  pregliinro, 
Voti  mici  non  accetti  o  non  intesi  '^t 
Da  nlun  di*!  Santissima  consorte, 
Che  mnrondo  fuggisti  un  dolor  tale, 
Quanto  soi  tu  di  tua  morte  felice! 
Quanto  infelice  e  misero  son  io, 
Clio  vecchio  e  padre  al  mio  diletto  figlio  4 
Sopravivendo,  i  miei  fati  o  i  miei  giorni! 
Prolungo  a  mio  torni. •ut  .:  A  h  foss'in  stt.Rg0 
Uscito  co' Troiani  a  quosta guerra! 
Ch'Io  sarei  morto:  e  questa  p'impa  avrclibt 
Me  tosi  riportato,  o  non  Fallante, 
Nè  per  quosto  di  voi,  riè  do  la  lega, 
Nò  do  l'ospizio  vostro  io  mi  ratnmarco,  ' 
Troiani  amici.  Kra  a  la  mia  vecchiezza 
Questa  sorte  dovuta.  E  so  dovoa 
Cador  mio  figlio,  porche  tanta  strago 
Io  vedossi  do' Volsci,  e  perchè  Lazio 
Fosse  a'  Teucri  soggetto,  in  pace  io  soffro 
Cho  sia  caduto.  E  più  compito  onoro 
Non  arosti  da  me,  Pallante  mio, 
Di  questo  cho  '1  pietoso  o  magno  Enea 
E  i  suoi  magni  Troiani  e  i  Toschi  duci 
E  tutto  insiemo  le  toscane  genti 
[1SC-171J 


[270-294]         libro  xi.  DI  7 

T  liftii  procuralo.  Con  hi  gran  trofei 

Del  tuo  ralor  si  chiara  mostra  limi  fatto, 

E  do'  vinti  da  te.  Nò  fura  mono 

Tra  questi  il  tuo  gran  tfWco,  s*a  to  fosso, 

Turno,  stato  d'età  inni  il  mio  figlio, 

i  par  do  la  porsona  c  de  le  forzo 

Che  ne  dan  gli  anni.  Ma  elio  più  trattengo 

Quest'armi  a'Teucri?  Andate,  eda  mia  parto 

Hiferitc  ad  Enea,  che  quel  ch'io  vivo 

llopo  Fallante,  è  sol  pcrchò  l'invitta 

Sua  destra,  corno  vede,  al  figlio  mio 

Kd  a  me  devo  Turno.  E  questo  solo 

(ili  manca  por  colmar  la  sua  fortuna  a 

KM  suo  gran  morto;  chè  por  mio  contento 

Noi  curo;  e  contentezza  altra  non  deggio 

Speraro  io  più,  che  di  portare  io  stesso 

Questa  novella  di  l'aliante  a  l'ombra. 

Avea  l'Aurora  col  suo  lumo  intanto 
Il  giorno  e  l' opre  o  lo  faticlio  lodarne 
Iticoiidotto  a' mortali.  11  padro  Enea 
K'I  buon  l'arconte,  ambi,  in  su  '1  curro  lito 
I  cadavori  addotti,  a' suoi  ciascuno, 
Com'era  l'uso,  un'alta  pira  eresse. 
La  compose  o  l'inceso.  E  mcntro  il  foco 
Di  fumo  o  di  caligine  coverto 
1171-1S7J 


613  l'k.vkiuf.  [205-8| 

ToWa  l'atro  Intorno,  in  ordinanza 
Tre  volte,  armati,  n  piò  la  circondaro,  • 
E  tre  volte  a  cavallo,  in  mesta  guisa 
Ululando,  piangendo,  e  l'anni  c'I  snolo  i 
Di  lagrime  spargendo.  IuAuo  al  ciclo 
Ponctrur  de  lo  genti  e  de  le  tubo 
I  dolorosi  accenti.  Altri  gridando' 
Le  pire  intorno,  elmi,  corazze  e  dardi 
K  bon  guarnito  spndu  e  freni  o  ruote  ' 
Avvontaron  nel  foco,  e  de'nomict 
Armi  d'ogni  maniera,  arnesi  o  spoglio;  i 
Altri  i  lor  propri  doni,  e  degli  occisi 
Medesmi  vi  gittir  l'aste  infelici, 
E  gl'infelici  scudi,  ond'essi  invano 
S'cran  difesi.  A  lo  cataste  intorno 
Molti  gran  buoi,  molti  sctosi  porci. 
Molte  Tur  pecorelle  occisc  od  arso. 
A  si  mosto  spettacolo  in  sul  lito 
Stavan  nitri  piangendo,  altri  osservando 
Ciascuno  i  suoi  più  cari,  infili  clio'l  foco' 
Gli  consumasse.  K  questi  l'ossa,  e  quelli' 
Le  ceneri  accogliendo,  il  giorno  tutto  ' 
In  si  pietoso  officio  trapassala: 
Nò  se  no  tolscr  finché,  speutl  i  fochi, 
Non  s'nccoscr  lo  stelle.  In  altra  parte 
[187-203J 


[390-3441         libuo  xi.  619 

j  I  miseri  Latini  r!  corpi  loro 
Fcr  catasto  infinito.  Altri  sotterra 
No  seppellirò;  altri  a  le  villo  intorno, 

I  Kd  altri  a  la  città  ne  trasportalo. 

|   K  quei  clic  senza  mimerò  confusi 

lliacean  nel  campo,  senza  onoro  a  mucchi 
Furoo  combusti:  onde!  villaggi  insieme 
E  le  campagne  di  funesti  incendi 
I.ucean  per  tutto.  E  tre  luci  o  tro  notti 
Durar  gli  afflitti  amici  e  i  dolorosi 
Farouti  a  ricercarle  tiepid'ossa, 
E  no  l'urne  riporlo  e  ne'sopolcri. 

Ma  la  confusione  e  '1  pianto  e  °1  duolo 
Eran  ne  la  città  per  la  piti  poli  te. 
E  ne  la  reggia  al  re  Latino  avanti. 
Qui  le  madri,  le  nuore,  le  sorello 
E  i  miseri  pupilli,  che  de' padri, 
Ite"!      do'mariti  e  de'  fratelli 
Erano  in  questa  guerra  orbi  rimasi, 
La  guerra  abominavano  e  le  nozzo 
Dotcstavan  di  Turno.  Ei  da  sò  stesso, 
piccndo,  oi  che  d'Italia  al  regno  aspira, 
E  le  grandezze  e  i  primi  onori  agogna. 
Con  l'armi  o  col  suo  sangue  le  s'acquisti, 
E  uon  col  uostro.  In  ciò  Dranco aggravando 
[203-220J 


620  r/r  .i  inn.  309J 

Yio*più  lo  cote,  comò  a  Turno  infesto,  | 
Attcstando  dicoa  elio  sol  con  Turuo 
Volta  briga  il  Troiano,  e  che  sol  esso  ' . 
Kra  a  pugna  con  lui  corco  o  chiamato,  j 
Altri  d'altro  parere,  altre  ragioni 
Dicoau  pur  Turno:  e  '1  gran  nome  il'Auiat» 
E  '1  suo  favore  o  di  lui  stesso  il  merto 
Con  la  fuma  du'suoi  tanti  trofei 
Sostenean  la  sua  causa.  Ivi  ecco,  intanto 
Che  cosi  si  tumultua  y  si  traraglia. 
Mosti  sopravvenir  gì'  iniuasciadori 
Ch'in  Arpi  a  DToiuodo  nvenu  inaudati; 
E  riportar,  elio  lo  fatiche  o  i  passi 
Avcan  perduti;  che  nò  dono  alcuno, 
Nò  promesse,  nò  proci,  uè  ragioni 
Furon  bastauti  ad  impetrar  soccorso 
Nò  da  lui  nò  da'  suoi.  Ch'era  d'altronde 
Di  mestiero  a'  Latini  arerò  al tr' armi, 
0  trattar  co'  nemici  accordo  o  paco. 

Gran  cordoglio  sontiuue.  e  gì  an  ruminare» 
Ne  fuco  il  re  Latino.  E  bon  conobbe 
Che  manifestamente  Enea  da'  fati 
Era  portato;  e  via  più  manifesta 
Si  vodea  degli  Dei  l' ira  duranti 
In  tanta  cho  du'suoi  negli  occhi  area 
[220-233J 


[870-394]         libro  xi.  521 
Strage  recente.  li  gran  consiglio  adunque, 
E  de' suoi  primi,  no  la  regia  corte 
Cliinniar  si  fece.  In  un  momento  pieno 
Ne  Pur  le  stradet  odi  già  tutti  ae 
Ne  la  graq  sala,  il  re.  di  grado  e  d'anni 
Il  primo,  a  tutti  in  mozzo,  in  non  sereno 
S  minante  comandò  che  primamente 
1  Legati  elio  d'Alpi  cran  tornati, 
KoSscro  uditi;  ed  a  lor  Tòlto  disse: 
Esponotc  per  ordino  il  seguito 
De  la  vostra  imhrfSciata.  e  la  risposta 
Che  ritratta  n'avete.  A  tal  precetto 
Tacquero  tutti  ;  e  Vènolo  sorgendo. 
Cosi  pria  cominciò:  Noi  dopo  molti 
Superati  pericoli  e  fatiche, 
Kgrcgl  cittadini,  al  campo  argivo 
Ne  la  Puglia  arrivammo;  e  Dlumode 
Vedemmo  allluo;  e  quell'invitta  destra 
Toccammo, ond'  è  '1  grand'  Ilio  arso  e  disti  ulto. 
In  lapigia  il  trovammo  a  le  radici 
Del  gran  monto  Gargino,  evo  fondava, 
Già  vincitore  Argiripa,  nna  terra 
Che  dal  patrio  Argirippo  ha  nominata. 
Intromessi  che  fummo,  il  presentammo; 
UH  esponemmo  la  patria,  il  uomo  e  °1  fatto 
[230-2001 


E29  l'Asioe.  [aOÓ-IU 

Do  la  nostra  imbasciata,  o  In  cagiono 
Ondo  n  lui  venimmo.  Il  tutto  udito. 
Cosi  benignamente  ne  rispose: 

0  fortunate  genti,  o  di  Saturno 
Felice  regno, "o  ligli  antichi  Ausoni 
Famosa  torra!  Eguale  iniqua  sol  te 
Da  la  vostra  quieto  or  vi  sotti  appo? 
Qual  consiglio,  qual  forza  vi  costringo 
Di  nemicarvi  e  guerreggiar  con  gcnto 
Che  non  v'è  nota?  Noi  quanti  gi  i  fumino 
Col  ferro  a  violar  di  Troia  i  campi 
(Non  parlo  degli  strazi  e  do  le  stragi 
Di  quei  che  vi  rimasero,  che  pieni 
Ne  sono  i  fossi  o  i  fiumi;  ma  quanti  anco 
N'uscimmo  con  la  vita),  in  ugni  parto 
Siam  poi  giti  del  mondo  tapinando, 
Con  nefandi  supplici!,  e  con  atroci 
Morti  pagando  il  fio,  comò  d'un  gravo 
E  scolorato  eccesso.  E  non  ch'altrui, 
Frtauio  stesso  a  pietà  mosso  nvrebbo 
11  fiero,  che  di  noi  s'è  fatto,  scempio. 
Di  l'alia  il  sa  la  sfortunata  stella; 
Sullo  il  vendicato!-  Cafàroo  monto 
E  gli  EuboTci  scogli:  il  san  di  Pròteo 
Le  lougiuqiiG  colonne,  insiuo  a  dove, 
lliOU-liGiJI 


(420-444]         lidbo  xi.  52» 
Dopo  quelli»  Milizia,  nudò  ramingo 
L'uu  do'figli  d'Atrco.  UJEtiin  i  ciclopi 
No  vide  l'Iisso.  Il  suo  rogno  a' suoi  sorvl 
Ne  Inscio  l'ino.  IdouMoèo  cacciato 
Ne  fu  dal  patrio  seggio.  Esso  ro  stesso, 
Condctticr  degli  Aigjvi,  il  piede  a  pona 
Nel  suo  regno  ripose,  clic  del  luglio. 
Ilei  letto  e  do  la  vita  anco  privato 
Fu  da  la  scclcratn  sua  consorte. 
Nò  gli  giovò  che  doma  l'Asia  e  spento 
L'uno  nduftero  n°vesse;dic  de  l'altro  ' 
Scherno  e  preda"  rimase.  A  ine  l' invidia 
Ila  degli  Ilei  depili  veder  disdetto 

min  bella  cittì  di  Calidónn, 
K  la  mia  cara  e  deaiata  donna. 
Né  di  ciò  sazi,  orribili  spaventi 
Mi  danno  ancora»  E  pur  dianzi  in  augelli 
Convorsi  i  mici  compagni  (o  miseranda 
I.ur  pena  !)  van  per  l'aura  e  per  gli  scogli 
Ili  lagninosi  acconti  il  ciolo  empiendo. 
Questi  sono  i  prufitti  e  lo  speranzo 
Ch'io  (In  qui  ne  ritraggo,  da  che,  follo.' 
Stringer  contro  a' colesti  il  forro  osai, 
E  che  di  Citcrèa  la  destra  offesi. 
Ur  ch'io  di  nuovo  mia  tal  ]>ugim  imprenda 
[2G2-278] 


524  l'  ksf.ii)!!.  [443-469] 

Testò  con  voi?  no,  no.  ch'io  «'Troiani,  ■ 
Dopo  Troia  espugnata,  altra  capono 
.Non  ho  <li  guerra;  e  de' passati  mali  ■ 
Yolontior  mi  dimentico,  o  dolor» 
Ancor  no  sento.  E.  quanto  a' doni,  andate, 
Biportatuli  vosco,  e  '1  magno  Knea 
No  presentate.  E  solo  a  me  credeto 
Ilei  valor  suo,  che  fui  con  esso  a  fronte 
Con  l'armi  in  mano;  e  so  di  scudo  e  d'asta 
Qnal  mi  rese  buon  conto,  e  quanto  vaglili. 
Se  duo  tali  altri  avoa  la  tona  Idèa, 
D' Ida  fura  piuttosto  ita  la  gente 
Ai  danni  do  la  Grecia;  o  '1  trojan  fato 
l'iangcrebb'olla.  Enea  sol  con  Ettoi  ro 
Fu  la  cagion  che  tanto  s'indugiasse 
La  ruiua'di  Troia,  e  che  dioce  anni 
Durammo  n  conquistarla.  Ambedue  questi 
Eran  di  cor.  di  forze  o  d'armo  uguali, 
Ma  bon  fu  di  pietato  Enea  maggioro. 

10  vi  consiglio  che.  comunque  sia. 
Lega  seco,  amicizia  e  paco  aggiatc, 
E  l'incontro  fuggiate  e  l'armi  sue. 
Questa  ò  la  sua  risposta;  o  quinci  avete, 
Ottimo  ro,  qual  sia  di  questa  guerra 

11  suo  parere  o  '1  nostro.-  A  pena  uditi 

1278-206] 


[170-401]  libro  xt.  62 

Furo  i  Legati,  cho  bisbiglio  e  fremito 
Infra  i  turbati  Ausoni  udissi,  in  guisa 
Cho  di  rapido  fiume  no  chiuso  gorgo 
Mormora  allor  cho  ita  gii  opposti  snssi 
S'apro  la  strada,  e  gorgogliando  cado, 
E  frango  e  rugghia.*  lo  ricino  ripo 
No  risonan  d' intorno.  Or  poiché  un  poco 
Busto  'I  tumulto,  e  gli  animi  acquetarsi. 
Oli  Dei  prima  invocando,  un'altra  volta 
11  ro  da  l'alto  seggio  a  dir  ripreso: 

Latini  miei,  lo*m io  parerò  o  'I  meglio' 
Sarebbe  stato,  cho  d'un  tanto  affare 
Si  fosse  prima^consultato,  o  furino  , 
11  nostro  avviso;  e  non  chinraar  consiglio, 
Quando  il  nimico  in  su  lo  porte  nvemo. 
Una  importuna  o  perigliosa  guerra 
S'ò,  cittadini,  impresa,  c  per  nimica 
Tolta  una  gcnto,  che  dal  ciel  discesa, 
Da'celesti  e  da'fati  è  qui  mandata; 
Feroce,  insuperabile,  indofessa. 
Ne  l'armi  invitta,  cho  ni  vinta  ancora 
Cessa  dal  ferro.  So  speranza  alcuna 
Negli  esterni  soccorsi  e  ne  l'aita 
Aveste  degli  Etòli,  ora  del  tutto 
La  deponete;  e  sia  spomc  a  sé  stussu 
[290-3001 


52C  -    •  iAnkidr.  [495-519] 

Ciascun  por  so.  Ma  noi  por  noi,  elio  spciua 
E  olio  possanza  avemo?  Ecco  davanti 
Agli  occhi  Tostri,  o  fra  lo  vostro  ninni 
Vedoto  la  strettezza  e  la  mina 
In  che  noi  siamo.  Nò  poro  ne  'ncolpo 
Alcun  di  voi.  Tutto  *1  valor  s'ò  mostro 
Clio  mostrar  si  poto»:  con  tutto  '1  corpo, 
E  con  quanto  ha  di  forza  il  nostro  regno 
S'è  combattuto.  Or  quale  in  tanto  dubbio 
Sia  la  mia  mente,  udito.  È  nel  mio  stato 
Vicino  al  Tebro  un  territorio  antico, 
Che  in  ȏr  l'occaso  per  Innghozzn  attini 
Fin  dove  de'Sicani  era  il  condilo. 
Dagli  lìutuli  è  cólto  o  dagli  Aiiruno.i, 
Che  i  duri  colli  e  i  più  deserti  paschi 
No  tengon  dal'  un  cauto:  aquosto  aggiungo 
Quella  piaggia  di  pini  e  quella  costa 
Do  la  montagna;  o  tutto  è  mio  disegno 
Che  si  ceda  a'Troiani  e  eh' amicizia. 
Accordo  o  patti  o  lega  e  leggi  eguali 
Abbialo,  con  ossi:  o  qui..s'a  qui  formarsi 
Sono  o  da'fati  o  dal  dosiro  indotti, 
Fcrminsi;  o  i  loro  alberghi  e  le  lur  mura 
Fondino  a  lor  diletto.  E  s' altra  parto 
Cercano  ed  altro  genti  (so  pur  putiuo 
L80'J-3!!ó] 


[520-544]         LiBiio  u.  627 

Torni  da  noi)  quando  di  vonti  navi, 

0  di  più  sovvenir  no  gli  bisogni, 

Su  In  stessa  marina  «^parecchia:* 

È  la  materia.  Essi  do'legtii  il  modo 

E  'I  numero  diranno;  e  noi  le  selve. 

La  maestranza,  i  leu-amenti  0  tutto 

Clio  fla  lor  di  mostiero  appresteremo. 

Con  questa  offerta  io  mauderoi  do' primi 

Ile  la  nostra  città  cento  oratori 

Co'  rami  de  la  pace,  col  mandato 

Pi  contrattarla,  to'  prosenti  npprosso 

II' avorio  e  d'oro  e  col  seggio  e  col  manto 

Poi  nostro  rogno.  Consultate  or  voi, 

Ed  a  l'afflitto  e  mal  condotte  coso 

P'  aita  provvedete  e  di  soccorso. 

SurseallorPraucc,  quoi  clic  già  s'è  dette 
Avversario  di  Turno.  Era  costui 
Pel  regno  do' Latini  un  do' più  ricebi 
E  de' più  riputati  cittadini: 
pi  fazlon,  di  sóg-ittto  o  di  lingua 
Possento  assai  ;  no  lo  cousulto  avuto 
Pi  quakho  stima:  noi  mestier  do  l'anni 
Codardo,  anzi  che  no.  La  sua  chiarezza 
E'1  suo  fasto  volila  da  la  sua  invile 
Ch'era  d'alto  lognaggio.  il  padre  a  pana 
[325-8411 


623         .     'i.'kneiok.     '  |.VI5  WM 
Eni  noto  a  In  sronti.  Or  qoosto  infesto 
A  la  gloria  di  Turno,  asperso  il  coro 
D'amarezza  e  d'invidia,  in  questa  guisa 
Il  sbo  fatto  aggravando,  o  l' ire  altrui 
Irritando,  parlò:  Chiaro,  cvidoute 
£  necessario,  ottimo  re,  n'ò  tanto 
Quel  clic  tu  ne  consigli,  elio  bisogno 
I>'  altro  non  ha  che  di  coinniuue  assenso. 
Ognun  vede,  ognun  sa  quel  che  convieno  I 
In  s)  dura  fortuna;  o  nullo  ardisce 
Tur  d'aprir  bocca.  Libertato  almeno 
Di  parlar  no  si  dia.  Scemi  una  volta 
Tanta  sua  tracotanza  e  tanto  orgoglio 
Chi  coi  suoi  male  avventurosi  auspici. 
Co' sinistri  suoi  modi  (lo  pur  dirollo. 
Benché  d'armi  c  di  morto  mi  minacci) 
N'Ita  qui  coudotti,  o  per  cui  tanti  duci. 
Tanta  gonto  è  perita,  c  tutta  in  pianto 
Questa  cittade  e  questo  regno  ò  vòlto; 
Mentre  no  la  sua  furia,  o  ne  la  fuga 
Confidando  piuttosto,  il  troian  campo 
Ila  d'assalirò  osato,  o  fin  nel  Ciclo 
l'osto  ha  con  l' armi  suo  tómao  scompigli 
Solo  un  dono,  signor,  fra  tanti  doni 
diesi  inaudauo  a' Teucri. un  sol  n'aggiung 
I311-3ÒI1 


|570-594)         libro  xi.  529 
Nò  consentir  che  violoni»  altrui 
Tel  proibisca.  Da',  buon  padre,  ancora 
Quiìsta  tna  fl(rlla  a  genoro  si  degno, 
K  con  si  degno  maritaggio  eterna 
TVqiioata  pace.  E  se  'I  terrore  è  tanto 
Clio  s'ha  di  lui,  da  lai  stesso  impelliamo 
dazia  e  licenza  che  la  patria  sua, 
t'ho  '1  suo  ro  prevaler  si  possa  almeno 
]>cl  suo  sangue  a  suo  modo.  E  tu  cagione, 
Tu  di  t.mta  mina  autore  e  capo, 
A  che  pur  tanto  volte  «tanti  strazi, 
A  tanti  rischi,  a  manifesta  morte 
Questi  tuoi  mcgchinolli  cittadini 
Esponi  indarno?  o  qual  ò  ne  la  guerra 
Più  salute  o  speranza?  A  t«  noi  tutti 
Tace,  Turno,  chicdoinn,  o  do  la  paco 
()uol  ch'è  sol  ferino  o  'nrTolabil  peguo. 
Ed  lo  prima  di  tutti,  io  cui  tu  fìngi 
Clic  nimico  ti  sia  (nò  tal  mi  curo 
Che  tu  mi  tenga)  a  supplicar  ti  vegno 
l'inilemente.  Abbi  pioti  do'tnoi; 
Pon  gin  la  stizza;  e  poi  che  soi  cacciato, 
Vattene.  Assai  di  strago,  assai  di  morti 
S'è  visto:  assai  ne  son  le  genti  afflitto 
Vedovi  i  tetti  o  desolati  i  campi  ; 
Caiio.  —  31.  [35Ì-3G7] 


530 


l'  kxkiuk. 


[595^619J 


Un  so  l'onor  ti  muore,  o  so  concepì 
Si  te  tanto  io  to  stesso,  e  tanto  agogni 
0  la  donna  o  In  dote,  a  che  non  osi 
Contra  a  chi  to  ne  priva  V  A  Turno  adunquo 
Kcgno  col  nostro  sangue  e  regia  moglie 
Procureremo:  e  noi  vili  almo,  e  tuiba 
Non  sepolta  e  non  pianta,  a'  ca'ni  in  preda  I 
Giaceremo  in  su' campi?  Or  tu,  tu  stesso. 
Se  tautq  hai  d'ardimento  o  di  valoro  * 
J»»l  paterno  legnaggio,  a  lui  rispondi, 
A  lui  ti  Tolgi,  che  ti  sfida  e  chiami. 

Turno  ch'impetuoso  o  vlolonto 
Kra  da  sè,  questo  parlare  udito, 
Alto  un  gemito  trasse,  e  d'ira  acceso 
Cosi  proruppe:  Usanza  tua  fu  sempre. 
Dranco,  allor  che  di  inani  ò  più  bisogno,  { 
Oprar  la  lingua;  essere  in  corto  il  pi  imo,  I 
L'ultimo  in  campo.  Ma  non  più  paiolo 
In  questo  loco,  che  già  pieno  troppo 
No  l'hai;  pur  troppo  grandi  e  troppo  gonfi» 
L'avventi,  o  senza  rischio  or  ch'i  nemici 
Son  lungo,  o  buono  fosso  o  buono  amia 
Ci  sou  di  mezzo,  e  non  c'inonda  il  saligno. 
Apri  qui  bocca  al  solito,  e  riutuuna 
Con  la  facondia  tua.  Tu,  che  sui  branco, 


[303-333] 


|620-644]         unno  IL  53t 
Me,  che  «on  Turno,  imbelle  e  vile  Appalla; 
Tu  la  cui  diami  sanguiuosa  dcatra 
Pioni  i  campi  di  motti,  e  pieni  I  colli 
H  i  di  trofei.  Ma  cho  non  prunri  ancora 
Questa  tua  gran  virtù?  Forse  ch'avemo 
A  cercar  do'  nemici  ?  Beco  d'  intorno 
Ci  sono.o'nsulc  porte. Androni  lor  contra? 
Che  badi?  ov'ò  la  tua  tanta  prodezza? 
Sempre  è  nel  Tonto,  sempre  6  no  la  fuga 
Po  la  lingua. ode' piò?  tu  mi  rinfacci 
Ch'io  sia  cacciato?  tu,  vituperoso. 
Ili  dirlo  osasti?  o  chi  mcritamonto 
Sarà  cho'l  dica J  Oh!  non  s'è  visto  il  Tebro 
Fatto  gonfio  da  me  del  frigio  sangue?. 
Non  s'ò  vista  la  casa  e'I  seme  tutto 
Spento  d'Evandro,  e  gli  Arcadi  spagliati 
D' armi  o  di  vita?  lo  non  fui  già  da  Panda ro 
Cacciato,  nù  da  Bigia,  nò  da  millo 
Clio  in  un  di  vincitore  a  morte  io  diedi, 
Circondato  da  loro  o  cinto  e  chiuso 
Da  le  lor  mura.  Nulla  6  ne  la  guerra 
I'iù  salute  o  spcrauza:  al  teucro  duco, 
A  to,  follo,  al  tuo  capo,  a  lo  tue  coso 
Fa'  «iiiesto  annunzio.  K  non  tutti,  in  s. squadri 
Por  con  tanta'paura,  e  tanta  stima 
L384-401J 


682  '       i/eneii)*.  [64.1-<ì<j9] 

Cho  fai  do  la  prodezza  o  do  lo  forzo 
K'una  ponto  elio  già  duo  volte  ò  Tinta; 
E  non  tanto  avvilir  da  l'altro  canto 
L'armi  dol  ro  Latino.  Ai  Mirmidóni 
Son  ora,  al  gran  Diomedcal  grande  Achille 
I  Teucrp  formidabili  e  trctnoinii; 
K  dal  mar  se  ne  torna  per  paura 
L' Xufido  indiotro.  E  forse  elio  non  fingo 
Temer  di  me,  perdio  il  mio  fallo  aggravi? 
Malvagia  astuzia!  Ma  non  più  por  nulla 
Vo'che  ne  tema.  Un'anima  si  vile 
Non  ti  torri  la  mia  dostra  gin  mal. 
Stiosi  pur  teco,  e  noi  tuo  putto  alloggi, 
Di  lui  ben  degno  albergo.  Or  a  to  vegno, 
Gran  padre,  e  'I  tuo  parer  discorro,  e  dico: 
Se  tu  più  non  t'affidi,  e  più  non  erodi  ' 
No  l'armi  tuo;  s'abbandonati  affatto 
Siam  d'ogni  parte;  se  una  volta  rotti, 
Siam  por  sompro  perduti;  o  so  fortuna, 
Variando  lo  veci,  unqua  non  cangia. 
Signor,  paco  imploriamo:  o  l'armi  in  terra 
Gittando,  a  giunto  mani  nccordo  o  venia 
Impetriam  dai  nomici.  Ancorché,  quando 
Ohi  del  nostro  valor  punto  in  noi  fosse, 
Sopra  tutti  felico,  riposato, 
[•102-41GJ 


|6iO-69-IJ        nano  xi.  u33 
E  glorioso  spirito  starebbe 
Chi,  por  ciò  non  veder,  morto  si  fosse. 
Ma  se  lo  nnstre  Coen  ancor  som  vciJi, 
La  nostra  giovontù  «onda,  intatta. 
Disposta  e  pronta  a  l'armi,;  e  por  sossidio 

I  popoli  d'Italia  e  le  cittadi 

Son  con  noi  tutte;  e  s'a'nomici  ancora 
Sanguinosa,  dannosa  e  poco  Mota 
K  quosta  gloria;  ed  han  de' morii  anch'ossi 
La  parte  loro;  eja  temposta  è  pari 
D'ambo  le  parli*  a  che  nel  primo  intoppo 
Con  tanto  scorno,  a  noi  stessi  mancando, 
dittamo  a  torja?  a  elio  tremare  aranti 
Che  la  tromba  si  senta?  A  la  giornata 

II  tompo  stesso,  il  variar  do' casi.  « 
L'industria,  le  vicondo,  il  moto  o'I  giuoco 
I'otria  de  la  fortuna  in  molto  guiso. 
Come  suol  l'altro  cose,  ancor  lo  nostro. 
Cangiando,  risarcire,  e  porro  in  saldo. 
Non  avrem  Dtoincdo  in  nostro  aiuto; 
Avrom  Messàpo;  avremo  il  fortunato 
Tolunnio;  avrom  taut' altri  incliti  duci 
Di  taut'nltre  città.  Né  di  men  gloria, 

Nò  di  minor  vortù  saranno  i  nostri 
Pi  Lauronto  o  ditLazio.  Avrem  Camilla, 
1-U7-432J 


534  *     L'rxFtn*.  [695-719] 

La  gran  volse»  virago,  elio  n'addusso 
Hi  cavalieri  c  Hi  caterve  armato 
SI  bella  gente.  E  se  nio  solo  appella 
Il  nemico  a  battaglia,  e  se  v'aggrada 
Ohe  sol  lo  gli  risponda  ed  io  sol  osto 
Al  boli  conimiino,  io  solamente  assumo 
Sopra  ine  qufcsta  improsa.  E  già  non  credo 
Che  le  mio  man  si  la  vittoria  abborra, 
Che  per  tanta,  ch'io  n'aggia.o  speme  e  gioia 
Accettar  non  la  foggia.  Andrógli  incoutro 
Con  l'animo,  se  Costo  anco  maggiore 
Dtì*agnoAchille,ocomcAchiIlc,  anch' egli  ' 
L'armi  di  Mongibello  indosso  avesse. 
Io  Turno,  io  die  unii  punto  a  iiu.il  si  fosse  1 
Mai  degli  antichi  di  valor  non  cedo, 
Questa  mia  vita  stessa  a  voi.  Latini, 
Ed  a  Latin  mio  suocero  consacro 
Solennemente.  Enea  me  solo  invito. 
L'accetto,  il  bramo  e  '1  prego,  anzi  che  Drance, 
S'irà  ■  questa  di  Dio,  con  la  sua  morto 
La  purghi,  o  che  la  gloria  me  ne  tolga, 
S'ò  pur  gloria  e  vertute.  Th  cotal  guisa 
Consultando  i  Latini,  avean  tra  loro 
Dispareri  o  tenzoni.  Usciti  a  campo 
Erano  i  Teucri  intanto.  Ed  ecco  un  mosso 
[488-M7J 


[720-744]         libro  XI.  6J5 
Venir  volando,  che  la  reggi»  tutta 
E  tutta  la  città  pose  in  tumulto. 
Annunziando  che  dal  tosco  Dumo 
Già  mosso  de'Troiaui  edo'Tirroni 

50  ne  venia  l'esscrcito  iu  battaglia 

In  vèr  Laurento;  e  cjiodi  gènti  o  d'armi 

51  vedean  piene  le  campagne  e  i  colli. 
Gli  animi  iiicontinonte  si  t  in  baro; 

Sgomentosscno  il  volgo;  al  valorosi 
S'acccsor  l'  ire.  Trepidando  ognuno 
Piscorrea  per  le  strado;  armo  freiuea 
La  gioveutù;  dolenti  e  lagninosi 
1  padri  discordando,  e  chi  per  Turno 
Sentendo  e  chi  por  Pratico,  avenn  tra  loro 
Vari  bisbigli.  K  tutto  il  corpo  insieme 
Facoa  de  la  città  tale  un  trambusto, 
E  tal  no  l'aura  unitamente  un  suono, 
Qiial  e  so  spaventata  esco  d'  un  bosco 
Torma  di  rochi  augelli,  o  qnal  talora 
Da  le  pÌ8Cosc  rive  di  Padusa 
Vati  per  gli  stagni  schiamazzandoaachlerc 
Turbati  i  cigni.  In  tale  occasiona 
Gridava  Turno:  Or  questo  è.Padri. il  tempo 
Pi  sedere  a  consiglio:  or  consigliato 
Agiatamente:  aggiatc  sopra  tutto 
|447-4GO| 


636  "  L'untivi.  [745-76 

Cui .1  a  In  pace  or  eli' i  nemici  armati 
Ne  san  gii  «sopra.  K.  cosi  detto  aliena. 
Saltò  fior  do  la  reggia:  e  vòlto  a  torno. 
Arma,  disse,  tu,  Vòluso,  i  tuoi  Volaci, 
E  tu.  Mcssàpo.  i  ruttili  cavalli. 
Tu,  Catilln.  e  tu,  Cora,  uscite  a  campo: 
Va'tu  con  la  tua  gonto  a  la  muraglia 
Incontinente;  e  tu  dispensa  i  tuoi 
Fra  le  porte  e  le  torri.  Ite  voi  meco. 
Clic  rimanete;  e  ciascuno  armi  i  suoi.  • 

Per  tutta  la  città  si  va  scorrendo 
A  le  mura.  A  l'insegne,  ai  capitani 
Ognun  s'adduco.  I  pulii  irresoluti 
Se  n'escon  dal  consiglio.  Il  re  turbato 
Si  ritira,  e  si  pente  che  non  aggia 
Per  sì,  senza  consulta,  il  frigio  duco 
Per  amico  o  per  genero  accettato. 
Dansi  tutti  a  munirò,  a  cavar  fosse, 
Tutti  a  somministrar  chi  saasi  e  travi, 
E  chi  dardi  e  chi  strali.  E  già  la  roca 
Tromba  no  va  per  la  città  squillando 
De  la  battaglia  il  sanguinoso  accento. 
Le  matrone,  i  fanciulli,  i  vecchi,  ognuno 
D'ogni  età.  d'ogni  sesso  e  d'ogni  grado 
A  l'ultimo  periglio,  al  gran  bisogno 
1-100-470] 


[770-794J        treno  et  537 
Corrono  a  la  muragli».  E  d'altra  parto 
Dn  gran  corteo  di  donne  accompagnata 
Con  doni  o  proci  di  Minerva  al  tempio 
Va  la  regina,  ed  ha  Lavinia  «eco. 
La  vergine  sua  flglia.  ondo  Tenuta 
Era  tauta  mina:  e  di  ciò  mesta, 
Torta  i  begli  occhi  lagrimosi  e  chini. 
Seguon  lo  madri  o  d'odorati  inconsi 
Vaporando  il  dolnbro.  in  liehjl  toco 
Piegano  in  su  la  soglia:  Armipotente 
Tritonia,  tu  cho  pifbi,  la  possa  e  l'armi 
Frangi  al  frigio  ladrone,  o  di  tua  mano 
Anciso  in  su  la  porta  no  lo  stendi. 

Ksso  re  Turno  Sa  la  furia  spinto 
Ricorre  a  l'anni;  e  di  squamoso  acciaio 
E  d'or  già  tutto  orribile  o  splendente. 
Cinto  di  brando,  e  sol  del  capo  ignudo 
Lieto  mostrossi,  e  di  speranza  altiero 
IH  vedero  il  nemico.  E'n  nuolla  guisa 
Ha  la  ròcca  sceudoa  che  da'presepi 
Sciolto  destriero  esce  ruzzando  in  campo, 
0  ch'amor  di  giumente,  o  elio  Tagliuzza 
Di  Tordc  prato,  o  pur  dosio  lo  tragga 
Del  noto  fiume;  cho  sbuffando  fremo, 
E  riughia  o  drizza  il  colloosuuassa  il  crino, 
[476-4»7J 


638  *  l' marni.        ["05  -811 

A  l'uscir  da  In  porta  ecco  davanti 
(ili  sfrfa  co'suoi  volaci  cavalieri 
La  volgine  Camilla;  e  si  com'era 
'Non  moli  gentil  elio  valorosa  e  bolla, 
Tosto  che  l'incontiò,  con  tutti  i  suoi 
Disniontò  da  cavallo,  e  vèr  lui  disso: 
Turno,  so  degnamente  uom  forte  ardisca, 

10  mi  rincoro,  e  ti  prometto  io  sola 

Di  gire  ai  cn valici-  toscani  incontro.  • 
Lascia  me  col  mio  stuolo  assalir  pi  ima 
La  troiana  osto,  e  elio  primiera  io  tragga, 
Di  questa  pugna  o  do'suoi  rischi  un  saggi' 
E  tu  qui  co'pcdoui  a  piò  rimanti 
A  guardia  de  la  terra.  A  tal  proposta 
Turno  no  la  terribile  virago 

011  occhi  fissando:  0  de  l'Italia,  disso, 
Ornamento  e  sostegno,  o  di  che  lode, 

E  di  elio  premio  al  tuo  gran  inerto  egu  " 
Ristorar  ti  poss'io?  Ma  (poiché  cosa 
Non  è  cho  la  pareggi)  abbi,  famosa 
Guorrioia,  in  grado  ch'io  con  to  rompar 
Questa  fatica.  Enea,  corno  dal  grido 
Avcmoo  da  lo  spie  Un  qui  ritratto. 
Spinte  ha  lo  schiere  do' cavalli  avanti 
Per  batter  la  campagna:  ed  egli  altronde 
[198-5131 


[820-844]        libro  XL  530 
Presa  In  via  del  monto,  por  olpestro 
Sentiero  a  1»  città  di  sopra  ul  gi.>p> 
Yicn  con  l'altre  sue  genti.  11  mio  disegno 
K  fargli  agguato,  e  collotaarnii  appresilo 
La  'vo  sopra  la  foce  11  doppio  busco 
IKil  curvo  monte  ambeje  strado  acciglio. 
Tu.  laùnati  i  tuoi  con  gli  altri  tutti 
Nostri  cavalli,  i  suoi  r.cl  piano  ansagli 
A  spiegate  bandiere.  Il  fior  Mcssàpo 
Saia  con  te:  saranvi  de' Latini, 
Vi  saran  di  Corico  1)  di  Catillo 
Lo  squadro  tutto;  e  tu  con  essi  il  carco 
l'rendi  di  comandarle.  Indi  cssortamlo 
l'arimonte  Mcssàpo  e  gli  altri  duci 
A  la  lor  fazlono,  egli  a  la  sua 
Tostamente  si  volse  fe  tra  due  branche 
Ilei  monto  una  vallea  elio  d'ambi  i  lati 
Ila  folto  selve,  o  luoghi  occulti  e  chiusi, 
A  l'insidio  de  l'armi  acconimndati. 
Ila  no  l'imo  una  semita  per  mezzo 
Angusta,  malagevole  o  scontorta 
Clio  d'ogn'  intorno  ò  da  lo  ripe  offesa. 
In  cima  in  su  l'uscita  ò  tra  le  solvo 
Ascosa  una  pianura,  con  ridotti 
Acconci  a  ritirarsi,  ed  opportuni 
|M8-527| 


540  -     I.'  KKEIPK.  I' 15-869] 

A  spingerai  o  (Ini  destro  o  dal  sinistro 
Lato,  elio  si  rincontri  o  che  s'aspottl 
^Nemica  gente,  o  pur  che  di  gran  sassi 
Si  tempesti  di  sopra,  A  questo  loco, 
Di  cui  ben  ora  pratico,  in  agguato 
Turno  si  poso,  c  i  suoi  nimici  atteso. 

DYnnn  intanto  timorosa,  c  mesta 
Favellando  con  Orti,  una  del  coro 
De  lo  suo  ninfe,  in  tal  guisa  lo  disse:  ! 
Vedi  a  che  perigliosa  e  mortai  guorm 
A  morir  se  no  va  la  mia  Camilla, 
No  lo  nostr'arini  ammaestrata  invano. 
E  pur  ui'ò  cara,  o  sovr'ogui  altra  io  l'a 
Nò  questo  e  nuovo  o  repentino  amore. 
Fin  da  lo  fosco  è  mia.  Mètabo,  il  padre 
Di  lei,  fu  por  invidia  e  per  soverchia 
Potenza  da  Privenio,  antica  terra. 
Da' suoi  stessi  cacciato:  e  da  l'insulto, 
Clio  gli  foce  il  suo  popolo,  fuggendo. 
Nel  suo  misero  essigli»  chi"'  in  compagna 
Questa  sola  bambina,  che  mutato 
Di  Casmilla  sua  madre  il  nome  in  parto,  ' 
Fu  Camilla  nomata.  Andava  il  padre 
Con  ossa  in  braccio  por  gli  monti erraudo 
E  per  lo  solve,  o  do' nemici  Volaci 
[528-5161 


[870-8011         muro  xi.  M1 
Sempre  d'Intorno  «re»  l'insidie  e  l'armi. 
Ecco  nn  giorno  assalito  eon  I»  caccia 
Pietro,  fuggendo,  a  l'Auiasènn  arriva, 
l'.-r  pioggia  quento  fiume  ern  cresciuto, 
K  rapido  spumando,  infìtto  ni  sommo 
Se  no  già  dello  ripe  ondoso  o  gonflo; 
Tal  che,  per  tóma  de  l' amato  poso, 
Non  s'arrischiando  di  passarlo  a  nuoto, 
Fcrmossi:  c  poi  che  a  tutto  ebbe  pensato, 
Con  un  subito  arriso  entro  una  scorza 
Iti  selvatico  stiverò  rinchiuso 
J,a  pargoletta  figlia.  E  poscia  in  mozzo 
li' un  eoo  nodoso,  jnarsìcciato  e  sodo 
Télo,  ch'avea  por  avventura  in  mano, 
l.egolla  acconciamente;  e  l'asta  e  lei 
Con  In  sua  destra  poderosa  in  alto 
Librando,  a  l'aura  si  rivolse,  e  disse: 

Alma  Latonia  virgo,  abitatrice 
T>c  le  selve  e  de'mouti.  io  padre  stesso 
Questa  mia  sfortunata  figlioletta 
Ter  ministra  ti  dedico  e  per  serva 
Ecco  ch'a  te  devota,  a  l'armi  tuo 
Acconinmndata,  dal  nimico  in  prima 
Sol  per  te  la  sottraggo.  In  te  sperando 
A  l'aura  la  commetto:  e  tu  per  tua 
[615-560] 


642  •  t.'  FNni'K. 

Prendila,  t«  ne  progo,  e  tua  sia  sempre. 

Ciò  dotto,  il  bracci»  indietro  ritraendo,  fk 
Oltre  il  fiume  lanciulla  :  e  'I  fliinie  e  '1  vento  ! 
K  'I  dardo  ne  fer  suono  e  fischi  e  rombo.  ■ 
Métaiin,  da  la  turba  sopraggiunta 
Do' suoi  nomici,  a  nuoto  alfin  gettassi, 
E  salvo  a  l'altra  riva  si  condusse. 
Ivi  d'un  verde  cespo,  ove  piantato 
Avca  Trlvia  il  suo  dono,  il  dardo  e  loi 
Divclse.  e  via  fuggissi:  e  piti  mai  piiscf» 
Non  fu  da  tetti  o  da  cittadi  accolto; 
Che  per  natia  fierezza  a  leggo  altrui 
Non  si  fura  iniqua  additto.  11  tempo  tutt 
De  la  sua  vita  di  pastore  in  guisa, 
Menò  per  monti  solitari  ed  cimi; 
E  per  grotto  e  per  dumi  o  per  orrende 
Selve  o  tane  di  foro  obbe  ricetto 
Con  la  fanciulla,  a  cui  fu  cibo  un  tempo 
Felino  latte,  e  balia  una  d'armento 
Ancor  non  doma  e  pavida  giumonta. 
Ne  lo  tenere  labbra  il  padre  stesso 
Do  la  fera  premea  l'orride  mainino, 
Nò  pria  tonne  de' piò  salde  lo  pianto, 
Clio  d'arco,  di  fan  tra  e  di  nodosi 
Dardi  le  mani  o  gli  omeri  gravolle. 
15G0-576J 


[920-9M]        mbru  xi.  513 
Non  d'òr  Io  chiome,  o  di  monile  il  collo, 
Nò  mcn  di  lunga  o  di  fregiata  gonna 

I  .i  ricoverse:  ma  di  tigre  un  cuoio 

I.e  facea  vesto  intorno,  o'euffla  iu  capo. 

II  fanciullesco  suo  primo  diletto 

K  'I  primo  studio  fu  laucjar  di  palo, 
K  trar  d'arco  e  di  fromba:  e  'n  fin  d'allora 
Facoa  strago  di  gru,  d'oche  e  di  cigni. 
Molte  la  desiar  tirreno  madri 
IVr  nuora  indarno.  Kd  ella  di  me  sola 
Cnntonta,  intemerata*  e  pura  e  casta 
La  sua  verginità,  l'amor  de  l'armi 
S»!  ebbe  in  calo.  Or  mio  fora  disio 
l'ho  di  questa  milizia  o  do  In  pugna, 
Clio  prosa  ha  co'Troiani  e  co'Tirrcni, 
fosse  digiuna;  per  si  cara  io  l'aggio, 
K  talo  or  mi  saria  grata  compagna. 
Ma  poi  elio  acerbo  fato  la  porseguo. 
St  endi,  ninfa,  dal  cielo,  o  nel  paoso 
Va'  do'  Latini.  Ivi  al  conflitto  assisti. 
Che  per  Lazio  o  por  lei  mal  s'apparecchia. 
Prendi  quest'arco  e  prendi  questa  mia 
Stessa  faretra,  e  di  qui  traggi  il  télu 
Ter  vendicarmi  di  qualunque  ardito 
Bari  di  violar  quest'a  me  sucra 
157U-5U1J 


644  '  l'kxkipe.       N  [9 10-069] 

K  devota  virago:  Itnln,  o  Tenero  . 

.Clic  sia.  Vn-.-hi  i'.i  wri"  ili  ipitn'  involta  J 

A  provveder  che  '1  miscrahil  corpo 

Non  sia  d'armi  spogliato,  e  che  in<-cn|to  | 

Sia  iTc  la  patria,  e  seppellito  e  pianto. 

Cosi  dicendo,  entro  un  sonoro  nembo, 
Pa' mortali  occhi  non  veduta,  a  terra 
Liovomcnto  calossi.  I  teucri  intanto 

I  i  toschi  duci  lo  lor  genti  avanti 
Spingendo,  a  la  città  s'avvicinaro. 
Piena  d'armi,  d'insegne,  di  cavalli 
E  di  schierati  fanti  e  di  squadroni 
Si  vedea  la  campagna.  Kran  per  tutto 
Gualdane,  giramenti,  scoronando 
Di  cavalieri:  in  secche  selva  i  colli 
l'areali  conversi:  ardea  la  terra  o'I  ciò) 
Pi  ferrigni  splondori,  o  d'ogni  parte 
S'udian  fremer  cavalli  e  squillar  luminai 

Incontro  a  lor  da  l'altra  parto  uscirò 

II  ficrMcssapo,  i  cavalier  latini, 
Coracc  col  suo  frato,  o  di  Camilla 
La  bellicosa  banda.  Era  il  concorso 
Tuttavia  de  le  genti,  o  do' cavalli 
Il  fremito  maggiore.  E  già  la  massa 
Ristretta,  o  già  vicine  ambo  le  parti 

[M11-C08J 


4 


[970  -W4]         libro  xi.  518 
A  tiro  d'asta,  a  fronte  si  forninro 
L'uni  de  l'nltra:  o  con  le  lance  in  rosta, 
Con  saetto  e  con  dardi  incouiinciaro 
l'riinainentc  da  lungi  a  salutarsi. 
Toì  di  subite  grida  udito  on  tuono 
Al  cicl  Iotossì;  e  due  contrari  nomili 
Ila  la  terra  sorgendo,  armi  fioccar» 
Ili  nere  in  guisa,  e  coprir  d'ombra  il  solo. 
Alliu  da  ciascun  lato  i  desti ier  punti 
Andar  tutti  con  tutti  a  rincontrarsi. 

Kra  Tirreno  al  fioro  Aconto  oppost  i 
Ne  la  battaglia:  e  questi  primamente 
S'urtaro.  e  per  la  furia  e  per  la  forza 
Ile  l'urto  ambo  lo  lanco,  ambi  i  cavalli, 
Kd  ambi  i  corpi  infranti,  stramazzati, 
1,'un  da  l'altro  disgiunti,  quai  percossi 
li»  fulmine  o  da  marchine  avventati. 
Caddero  n  terra.  E  pria  ne  l'aura  Aconta 
Lasciò  la  vita.  Conturbato  o  sparse 
I.e  schiere  de' Latini,  incontinente 
Con  le  targho  rivolto  a  tutta  briglia 
Vèr  le  mura  spronando  in  fuga  andaro. 
(ili  seguirò  i  Troiani;  e  prima  Asìla 
Uli  assolse  e  gli  cacciò  fin  su  le  porte. 
Qui  formi  e  rincorati  alzau  le  grida, 

Cabo.-35.  (609-022] 


640  '■'  I  Sfmi.  [Cfcó-lOlO] 

Volgoli  le  testo  o  si  tifati  lor  sopra,. 
Ch'ormi  lorcontra.  Cosi  quauTlo  quosti, 
R  quando  quelli  or  cacciano,  or  cacciati 
Tornano;  in  quella  guisa  ch'a  vicenda 
11  nmrifor  d'alto  a  riva  i  flutti  itici  espa, 
F.  no  l' ultima  arena  ondeggia  e  spuma; 
Or  da  la  riva  indietro  so  ne  torna, 
K  lo  stess'onde,  e  la  commossa  ghiara 
Sorbendo  0  voltolando,  si  ritragge.       -  J 
Sue  volte!  Toschi  i  Kutuli  incal/.aro 
Fino  a  lo  mura;  e  i  ltutuli  due  volto 
Itisospinsoro  i  Toschi.  Al  terzo  assalto 
Mischiarsi  ambe  le  schiere,  e  l'un  con  l'altro 
Vennero  a  zufla.  Allor  le  grida  e  i  mugghi 
Si  sentir  de' cadenti:  allor  si  vido 
11  pian  tutto  di  sangue,  e  tutto  d'armi 
E  d'uomini  coverto  e  di  cavalli 
Feriti  o  morti.  Orsiloco  a  rincontro 
l'i  Rèmolo  trovossi;  o  non  osando 
Di  star  seco  a  le  mani,  al  suo  cavallo 
Trasse  del  dardo,  o'n  su  l'orecchio  il  colse. 
Del  colpo  impaziento  o  per  su  fiero 
Si  scosse,  s'avventò,  col  petto  in  alto 
K  con  le  zampe  il  corridoi-  levossi, 
E  'n  su  l'arena  il  cavalior  distese. 
[G22  CIO] 


[1020-1044]      Lineo  XI.  547 
Catillo  loia  e  'I  grande  Kriiffnio  ucciso: 
Knninio,  elio  di  corpo  od'nimi  o  d'animo 
Ida  do' più  robusti,  do' più  chiari 
K  do'  più  riguardevoli  (ieri ieri 
Do'To9chi  tutti.  A,vca  la  chioma  stessa 
l'or  sua  celata;  area  {li  omeri  ignudi 
Di  ferro  al  ferro  esposti,  e  di  ferito 
Ampio  bersaglio,  in  Su  l'aperte  spallo 
Catillo  il  colso;  o  tremolando  il  téli 
l'assógli  il  petto,  e  rnddoppingli  il  duolo, 
l'er  tutto  si  fa  sangue:  in  ogni  parte 
Si  traggo,  si  forlsce,  si  stramazza: 
E  chi  cedo  o  chi  seguo.  In  vario  guise 
Ne  van  tutti  a  morir  morto  onorata. 

In  mozzò  a  i Hit  i  occialouc.  ignuda 
Da  l'un  de'lati  intimando cssulta 
La  vergiuo  Camilla;  od  or  di  dardo 
Fulminando,  or  di  lancia,  or  di  securo 
Non  mai  stanca  percuoto.  E  qual  Diana 
Di  sonora  faretra  o  d'arco  aurato 
t;li  omori  onusta,  nncor  elio  si  ritragga. 
Saettando,  ferito  e  morti  avventa. 
D'intorno  ha  por  compagne  e  per  guerriero 
D'archi,  di  mazzo  o  di  bipenni  armate, 
Tulla,  Tarpèa,  Larlua  ed  altro  Diottri 
IG10-CÓC] 


513  L'KJCnn*.  ll«lo-l'069| 

It.ili.-lm  donzello,  n  suo  decoro 
Scelto  (In  lui  por  suo  «li-jrno  ministro 
Ne  Ih  pafo  c  no  l'armi.  In  tal  sembianza 
Teimodoonto  il  bellicoso  stuolo 
De  l' Amnzzoni  sue  vide  in  battaglia 
Atturncgginie  Ippolita,  o  col  carro 
Oli-  di  l'entosilèa  lo  seniore  nprendo 
Con  foininoi  ululati.  Or  chi  fu  pi  ima, 
Obi  poi,  cruda"viiago.  o  quali  e  (pianti 
Quoi  eli' abbattesti,  o  che  di  vita  spenti 
Mandasti  a  l'Orco?  Kumenio  pi  ini  i menta 
T)i  Clizio  il  figlio,  da  costei  trafitto 
Fu  d'un  colpo  di  lancia  in  mezzo  al  petto. 
Cadile  il  moschinn.  o  fe  di  Magatali  rivo, 
Sopra  cui  voltolandosi,  e  mordendo 
11  sanguigno  terren,  di  vita  uscio, 
ludi  va  sopra  a  Liri  o  sopra  a  l'ègaso 
Quasi  in  untcmpo.a  l'ini  menti  e.  inciampane 
Il  suo  destriero,  il  fien  raccoglie:  a  l'altro 
Montrealui,  che  trabocca,  il  brac-iosteiid» 
I'cr  sostenerlo: onde  in  un  gruppo  entrambi 
Troclpitaro.  A  cui  d'Ippòtn  il  figlio 
Amastro  aggiunse,  o  via  seguendo.  A rpdli 
E  Tèreo  o  Cromi  c  Demolente  occisc. 
Quanti  dardi  lanciò,  tanti  Troiani 
|oó7-(577J 


- 


ri070-1094]      unno  ti.  549 
Gittò  per  terra.  Ornilo,  un  cacciatore. 
Gli  già  daranti,  e  stranamente  armato 
Cavalcava  di  Puglia  un  gran  destriero: 
Per  sua  corazza ,avoa  4'Upido  toro 
Un  duro  torgo;  per  c  inta  u|i  t — -li i  > 
Hi  lupo  cho  dal  capo  inaino  al  mento 
Sbarrava  le  mascelle,  o  digrignando 
Mostrava  i  donti.  In  man  portava,  ad  uso 
Hi  contadini,  un  noderoso  palo 
Di  grave  ronca  armato.  Egli  nel  mozzo 
li  .-li  nitri  suoi  con  lo  due  teste  andava 
Sovrano  a  tutti,  e  Je  ferino  orecchio 
Kigea  di  cresta  e  di  pennacchi  in  voce. 
Camilla  il  giunse,  lo  formò,  l'oceiso 
Senza  contrasto:  già  cho  volta  in  fuga 
Kra  la  schiera  sua.  Sovra  al  suo  corpo 
Disse  rimproverando:  K  che  ponsasti, 
Tosco  insolente?  di  venire  a  caccia 
In  qualche  solva,  e  seguir  dammo  imbelli  7 
Venuto  sei  li  've  una  dama  annata 
Col  ferro  amaramente  vi  rintuzza 
La  superbia  o  la  lingua.  Oh  pur  non  poco 
Ti  Ila  di  vanto,  refercudo  a  l'ombro 
Dc'tuoi:  Por  man  fui  di  Camilla  ncclso. 
ludi  Orsiloco  assalsc,  o  Unte  appresso, 
[677-690] 


650  L'ENEIDE.  [W-IIH 

Duo  corgi  do' maggiori  o  do* più  forti 
Pai  troiai!  oste.  A  Butc  un  colpo  trasso 
Clio  '1  giunse  ove  tra  l'olmo  e  la  dirazza 
Si  scopro  il  collo,  onde  lo  scudo  appeso 
Sta  da  sinistra.  Ursiloco.  ruggendo 
E  gridando,  gabbò;  ch'ai  giro  interno 
S'attenuo  e  strinse;  e  là  've  era  seguita, 
Seguitò  lui.  Gli  Tu  sopra  in  un  tempo  ■ 
A  colpi  di  securo,  o  l'armi  o  l'ossa 
Gli  postò  si  che  per  suo  scampo  a'piicglA 
Si  volse.  Alfine  un  tal  sopra  la  testa 
Ne  gli  piantò,  cho  lo  cerrella  infranto 
Gli  schizzar  da  la  fronte  o  da  le  tempio, 

D'AUno  montanar  de  l' Appciiuiuu 
11  bellicoso  figlio  a  l' iniproviso 
Fu  da  loi  colto:  un  Ligure  scaltrito. 
Che  por  ordirò  inganni  (in  fin  elio  'I  fato 
Gliel  concedè)  non  dogli  estremi  avuto 
Era  tra'suoi.  Costui  nel  primo  incontro 
Sbigottito  formossi.  K  poichò  vido 
Non  poter  con  la  fuga  a  lei  sottrarsi, 
Che  gli  era  sopra,  a  la  malizia  usata 
Ricorrendo,  Oh  I  gran  prova,  adir  comincia, 
Sarà  la  tua,  se  ben  fu  min  a  sei, 
Di  sfidar  me,  quando  un  cavai  t'affidi 
IOUO-70CJ 


[1190-1144]      libro  xi.  651 
SI  fugace  c  si  forte.  Or  al  vantaggio 
Rinunzia  ilo  la  fuga  o  meco  a  piede 
Trendi  zuffa  del  pari;  e  poi  Tediassi 
A  cui  questa  ventosa  tjia  bravura  ' 
Onore  acquisti.  A  cotal  dir  Camilla 
Hi  furia,  di  dolor,  di  sdogno  ardendo 
Hutto  dismonta  ;  e  'I  corridor  deposte 
In  man  do  la  compagna,  a  piò  si  pianta; 
Stringe  la  spada,  imbracciasi  lo  scudo 
E  con  pari  armi  intrepida  l'attende. 
Il  giovino,  che  virilo  si  credette 
Aver  con  quello  avviso, Incontinente 
I,a  groppa  lo  mostrò  del  suo  cavallo, 
E  via  spronando  a  tutta  briglia  il  pinso. 
I.iguro  vano,  vano  orgoglio  in  prima 
Ti  mosso;  or  vana  astuzia  o  vana  fuga 
Sari  la  tua;  chi  l'arto  del  fallaco 
Tuo  padre,  e  di  tua  patria,  a  far  non  basta 
Che  vivo  da  lo  man  mi  ti  ritolga. 
Iiisse  la  virgo,  e  qnnl  da  cocca  stralo 
Dietro  gli  si  spiccò:  ratto  l'aggiunso, 
l'.issollo,  attraversollo,  al  frou  di  piglio 
Diedcgli;  lo  feri,  l'anciso  alfine. 
Cosi  d'un  alto  sasso  agevolmente 
Sparvier  grifaguo  al  timido  colombo 
17CC-722J 


552  i,' incrini.  [1145-116 

S'avvont*, e  lo*  ghermisco;  ondo  in  un  Uni 
Sangue  e  piuma  dal  ciel  noviga  e  piovo. 

In  questa,  do' mortali  o  de' celesti 
L'eterno  rognutor,  che  |>ur  talvolta. 
Alcun  de' raggi  suoi  vèr  noi  rivolgo. 
Non  con  lieve  disdegno  o  picciul'im 
Mosse  Tarconte  a  sovvenir  lo  schiero  j 
De' suoi  ch'erano  iu  volta. Egli  per  ino» 
Va  do  l'occisìoui  o  do  le  mischio, 
Or  il  destrier  contra  i  nemici  urtando. 
Or  lo  suo  squadre  inanimando,  insidilo 
Lo  ristringo,  lo  instiga.  lo  garrisco, 
E  per  nogic  ciasmu  chiamando.  Ah,  dis 
Tirreni,  o  elio  timore.  8  elio  spavento 
È'1  vostro?  elio  viltà,  ci  e  codardia 
V  ha  presi?  e  quando  mai  Ha  che  vi  pun 
0  doloro,  o  vergogna?  Adunquo  in  fuga 
Gito  por  una  fcmiiin?  una  femiiia 
Vi  disporgo  o  v'ancidc?  A  cho  di  ferro 
Invali  cosi  lo  destro  o  i  petti  armato? 
Do  lo  donno  tomolo?  K  i  ur  di  loro 
SI  timidi  di  untto,  nò  si  fiacchi 
Negli  assalti  di  V chimo  non  siole. 
Nò  quando  a  suon  di  pifferi  intimati 
Vi  sono  i  baccanali.  Or  via,  campioni 


[1170-1194]      Lineo  xi.  5r'3 
Pa  lotti  o  da  bottiglie,  a  nono,  a  pasti, 
A  sacrifici,  allor  rho  no  le  sacro 
F'oroste  ò  da  l'aruspica  intonato 
Cho  la  vittima  ò  grani*,  (tono  tutti 
Seco  a  goder  del  «affinato  bue 
A  piena  pancia:  che  «itili'  altro  anim  o, 
Nuli' altro  studio  è  '1  rostro.  E.  ciò  dicendo, 
No  va  come  dcroto  a  morto  anch'ogli. 
Con  Vòliolo  s'alTronta;  e  al  com'era 
Turbato,  l'aggavigna,  a  fuor  lo  trnirgo 
Pel  suo  cavallo.  Alto  lerossi  uu  grido 
Tal,  clic  tutti  a  vodoftle  ciglia  alzino 
I  Latini  e  i  Tirroni.  Ira  Tarconto 
l'or  la  cniup.igna  con  la  preda  in  grembo 
Pel  nimico  e  de  l'armi;  e  'n  mozzo  al  corso 
Svelgo  da  l'asta  sua  modesma  il  Coirò, 
E  corca  ov'  ò  di.  piastra  il  corpo  iguudo 
l'or  darli  morte.  E  montre  no  In  gola 
Tenta  ferirlo,  oi  con  le  braccia  in  alto 
Si  scliorma.  rogge  il  colpo,  e  da  la  foni 
Quanto  può  con  la  forza  si  districa. 

Como  no  l'aria  insieme  avviticchiati 
Si  son  visti  talor  l'aquila  o  '1  serpo 
l'ugnar  volando,  e  l'una  aver  con  l'ugno 
E  col  becco  ghermito  e  moiso  l'altro; 
(738-7Ó2] 


.  -    .  \ 
654        _      '  l'ekeidk  •  (1193-121 
E  l'altro  co'suoj  giri  e  co'suoi  nodi 
Farlo  vincigli  a'più,  volumi  a  l'ali: 
E  questo  con  la  tosta  alto  fischiando, 
K  quella  schiamazzando,"  c  dibattendo. 
Ambedue  voltolarsi,  ambedue  stretti 
Far  di  squame  e  di  piamo  uu  sol  viluppo; 
Cosi  Tarconto  por  lo  campo  a  volo, 
Yiocitor  do  le  schiere  di  Tiburte, 
Vònolo  sin  portava.  E  questo  esseinpio 
Del  suo  duce  seguendo,  e  del  successo 
Assecurata,  la  monnia  torma 
Tutta  contrV  Latini  impeto  fico. 
Tra  questi  Arante,  un  elio  di  già  dovuto 
Era  al  suo  fato,  con  un  dardo  in  mono 
Camilla  astutamente  insidiando. 
Si  diede  a  seguitarla,  a  circuirla; 
A  corcar  destra  o  commoda  fortuna 
Iti  darlo  morte.  Ovunquo  ella  o  per  mono 
Fcndea  le  schiero,  o  vinciti  ice  indietro 
Si  ritraoa.  l'era  vicino  Aruntc; 
E  tutti  i  moti  suoi,  tutto  lo  vio 
Osservando,  attondoa  elio  netto  il  colpo 
UH  riuscisse,  o  da  fellone  intanto 
Avoa  l'asta  a  ferir  librata  e  pronta, 
Uiva  per  avventura  a  lei  davanti 
1763-708] 


[I220-12H}      libbo  si.  655 
Cloro  un  glorine  ideo,  cho  sacerdote 
Fra  già  di  Cibello.  I  Frigi  tntti 
Non  aventi  chi  di  Ini  fosse  no  l'armi 
l'iù  riccamente  adorno.  Cu  ano  corsiero 
Por  lo  canino  spingea,  di  spuma  asperso. 
Cinto  di  barde  o  d'acciarino  lamo 
Como  di  scaglio  o  di  leggiadre  piume 
l  eggiadramente  inteste.  Ou  arco  d'oio 
•  ìli  pendea  da  lo  spalle,  una  faretra 
A  la  cretese.  In  testa,  in  gambe.  In  dnsso. 
D'armi  e  d'arnesi  in  Ignara  sombianz.i, 
l>i  peregrina  purpura  e"4i  seta. 
Pi  bisso,  di  telotta  o  d' ostro  e  d'oro 
Tutto  coverto,  tutto  ricamato. 
Tutto  trinciato:  e  saettando  andava. 

Costui  veduto,  ogni  altra  impresa  indietro 
Lasciando,  a  lui  si  volse  o  per  v.ighciza 
Ili  consocrar  lo  suo  bell'armi  al  tempio, 

0  pur  elio  di  si  vago  ostile  arneso 
Di  gir  pomposa  cacciatrice  amasse. 
Basta  che  per  lo  schiere  incauta,  ardente, 

1  conio  donna,  vogliolosa  e  follo 

De  l'amor  do  la  preda  e  de  le  spoglio. 
Contro  a  lui  so  ne  giva;  allor  ch'Arante, 
Dopi)  molto  appostarla.  alHn  le  trasse, 
1 703-784 1 


■ 

556  •  t'r.s-K.n».      [12-ir.  •.'-C9J 

In  tal  gi^sa  pregando  :  0  di  Soratto 
Sommo  custode  Apollo,  a  cui  devoti 
Noi  fummo  in  primn.  n.cui  di  sacri  pini  j 
Nutrimmo  il  focone  per  cui  nudi  c  scali!  1 
Tra  le  fianimo  saltando  e  per  le  braga 
Securamonto  e  senza  offesa  andiamo.- 
Pnmmi,  cliè  tutto  puoi,  padre  benigno,  i 
Che  quosta  infamia  per  mia  man  si  tolga! 
De  l'armi  nostro.  Io  di  costei  non  binino  1 
Armi,  spoglie  o  trofeo.  Gli  altri  miei  fatti  I 
Hi  sian  di  lode,  e  pur  cho  questo  mostro 
Cnggin  spento  da  me.  no  la  mio  patria 
Senza  più  gloria  andrò,  di  questa  guerra 
Pago  e  contento.  Udì  Febo  del  voto 
Parte,  e  parte  por  l'aura  ne  disporso. 
Udì  clic  morta  da  quol  colpo  fosso 
La  vorgino  Camilla:  o  non  udio 
Di  lui,  ch'ei  vivo  in  patria  ne  tornasse; 
Clio  ciò  per  l'aura  no  portare  i  venti. 

Tosto  clic  da  lo  mau  l'asta  ronzando 
GII  uscio,  Tur  gli  occhi  o  gli  animi  olegrii 
Do' Volaci  tutti  a  la  regina  intenti. 
Kd  ella  nò  del  tèlo,  nò  do  l'aura 
Moto  o  fischio  senti;  nò  vide  il  colpo. 
Mentre  giù  disccndea,  duellò  non  giunse. 
1-84-802] 


[1270-1294)      mmio  xi.  557 
(iiunsole  appunto  ove  divelta  e  mul  i 
Era  la  pappa;  o  del  virgiuro  Fungile, 
Non  già  di  latte,  sit  ibonda  sreso 
Si  che  '1  petto  l'apri.  Le  sue  compagno 
I.o  Tur  trepide  intorno;  o  già  che  morta 
Cndoa,  la  sostcntaro.  Arante  in  fuga 
ltattn  si  volge,  di  paura  insieme 
Turbato  e  di  letizia;  che  ne  l'asta 
Più  non  confida,  e  più  di  star  non  osa 
Incontro  a  lei  (inni  affamato  lupo 
l'h'oceisode  l'arninntn  un  ginn  giovenco, 

0  io  stesso  pastore,  in  si  contasti 

Ili  tanta  audnein.  anzi  che  da' villaggi 
(ili  si  lcvin  le  grida,  infra  le  gambe 
Si  rimetta  la  coda,  e  ratto  a' minti 
l'uggendo  si  riusciva:  in  cotnl  guisa 
Arante,  dopo  'I  tratto,  impaurito. 
Solo  a  salvarsi  inteso,  iu  mezzo  a  l'armi 
Si  mischiò  tra  le  schiere,  Klln  morendo 

1  il  sua  man  fuor  del  petto  il  cruda  ferro 
Tentò  svolgersi  indarno;  chi  la  punta 
S'era  altamente  ne  lo  coste  infls<a: 
Ondo  languendo  nbbaudonossi,  o  freddi 
Giacque  supina;  e  gli  occhi,  che  pur  il, inizi 
Scintillavano  ardor,  grazia  e  fierezza, 

1803-818] 


I 

658  l'  Eneide.  |1295-iai9J 

Si  fer,  torbidi  o  gravi.  Il  volto,  in  prima 
Di  roso  e  d'ostro,  di  pallbr  di  morta 
Tutto  si  tinse.  In  tal  guisa  spirando 
Acca  a  sé  cliiama.  una  tra  l'altre  suo 
/  La  più  Ada  di  tutte  e  la  più  cara; 
E  dico:  Acca,  sorella,  i  giorni  mici 
fon  qui  finiti:  questa  acerba  piaga 
M'adduce  a  morte,  e  già  nero  mi  .sembra 
Tutto  cho  veggio.  Or  vola,  e  da  min  parto 
Di' per  ultimo  a  Turno,  cho  succeda 
A  questa  pugna  o  la  città  soccorra: 
E  tu  rimanti  iu  pace.  A  pena  detto 
Ebbe  cosi,  die  abbandonando  il  freno 
E  l'arme  o  se  medesma.  a  capo  chino 
Traboccò  da  cavallo.  Allora  il  freddo 
1/ occupò  de  la  morte  a  poco  a  poco 
Lo  membra  tutte.  E  dechinato  il  collo 
Sopra  un  verde  cespuglio,  nlfin  di  vita 
Sdegnosamento  sospirando  uscio. 

Camilla  estinta,  per  lo  campo  un  grido 
Lerossi  che  n'andò  fino  a  lo  stello, 
E  surso  al  cader  suo  /uffa  maggiore; 
Chè  i  Teucri  e  iToschi  e  gli  Arcadi  in  un  tompo 
Tinsero  avanti.  Opi,  ministra  intanto 
Di  Trina,  che  nel  monte  era  discusa 
|819-887J 


11320-1344]      unno  xt.  559 
Vicipo  a  la  battaglia,  indi  11  conflitto 
Stara  mirando  intrepida  e  sicura, 
K  visto  di  lontan  tra  molte  genti 
Nascer  nuovo  tumulto  o  nuove  »i  iila, 
Poscia  in  mezzo  di  lor  caduta  e  moita 
U  vorgine  Camilla,  Ali.  sospirando 
l'isso,  virgo  infelice!  troppo,  troppo 
Crudo]  supplizio  hai  do  l'ardir  sofferto. 
Se  d'irritar  l'armi  troiano  osasti. 
K  di  cho  prò  t'.è  stato  a  viver  nosco 
S>linga  vita,  arniar*3e  l'armi  jiost re, 
tradire  i  boschi  e  venorar  DjrnuaV 
Ma  to  non  lasccràja  tua  regina 
(liacor  disonorata  in  questa  fino 
Ilo  la  tua  vita;  c  la  tua  morto  oscura 
Non  sarà  tra  lo  genti;  e  non  dirassi 
Che  non  è  chi  di  to  vendetta  faccia; 
Che  chiunque  di  ferro  avrà  ferito 
Il  corpo  tuo,  sarà  meritamente 
Di  ferro  anciso.  Era  a  Derconno,  antico 
Ke  do' Laurei) ti, un  gran  sepolcro  eretto. 
Cui  sopra  era  di  terra  un  monto  imposto 
E  d'elei  annosi  e  folti  un  bosco  opaco. 
Qui  la  veloce  Dea  dal  ciol  calossi 
Al  primo  volo;  e  di  qui  visto  Arunto 
1&37-6Ó3J 


«SO  1/jwmW.  |1345-1« 

Splender  ne  P  ar(hi.  e  gir  di  sua  Mlia 
Suporbo  «  gonfio.  Orti  ne  vai?  diss'olla, 
Qui  convien  che  ti  ferrai,  e  qui  morendo 
/  Po  la  morta  Camilla  il  premio  avrai 
Pegno  di  te.  se  di  peiir  sei  degno 
Vis  l'armi  di  Utana.  E,  ciò  dicendo, 
La  buona  arciera  del  turcasso  aorato 
Trasse  un  acuto  strale,  ol'  arco  teso, 
E  tirò  si  eh'  ambe  lo  coma  estremo 
.  Vennero  al  mezzo,  od  ambe  parimente 
Le  mani,  una  tirata  e  l'altra  spinta. 
Quella  toccò  la  poppa  o  queste  il  ferro.  I 
L'arco,  l'aura,  lo  strai  sonare  odio,  • 
E  ferir  e  morir  sentissi  Arnnte 
Tutto  in  un  tempo.  I  suoi  quasi  in  oblio 
Cosi  come  spirava,  in  mezzo  al  campo 
Lo  lasciar  fra  la  polve  in  abbandono: 
Ed  Opl  al  cicl  tornando  a  volo  alzossi.  ; 

Caduta  lei,  la  schiora  di  Camilla 
rrimicramontc  in  fuga  si  rivolse: 
Indi  turbarsi  i  Kutuli,  e  dior  volta. 
Diò  volta  il  fioro  Atina:  e  i  duci  tutti, 
E  tutte  far  le  insegne  abbandonato. 
Cerca  ognun  di  salvami,  o  vèr  le  mura 
No  vanno  a  tutta  briglia,  e  più  nel  campo 
[864-891] 


[1370-13941    •  unno  xt.  «CI 
Alcun  non  è  che  di  far  testa  ardisca 
Contra  la  strago  e  centra  la  mina 
Clio  fanno  i  Teneri.  So  ns  »an  con  sii  ni  l'I 
Scarichi  in  su  le  terga  o  ipenzuloui  ; 
K  più  che  di  galoppo  in  vèr  Laiironto 
Mattono  il  compo,  e  f.irvniibi  di  polve. 
1,0  madri  da' balconi  edn't  irra'./.i 
l'ercossi  i  petti,  alzano  al  cioi  le  grida 
Con  fominco  ululato.  E  quei  ebo  primi 
Giunti  trovar  le  porte  ancor  non  chiuse, 
Mischiati  co'nomicC  ove  più  salvi 
Si  credean  ne  l'entrata  o  fra  lo  mura 
De  la  stessa  lor  patria,  anzi  agli  alberghi 
I.or  propri  e  da'  nemici  e  da  la  morto 
Eursoprnggiunti.  In  cotal  giiisa  in  prima 
Stette  la  porta  agli  avversari  aperta, 
ivi  chiusa  escluso  i  suoi,  che  fuori  in  proda 
Restando  de' nemici,  ai  lor  più  cari. 
Che  morir  gli  vedean.  perchè  s'aprisso 
Supplicavano  indarno.  E  qui  tra  quelli 
Clio  n'erano  n  difesa,  o  quoi  ch'a  forza, 
Anzi  a  furia,  a  mina  incontro  a  loro 
S'avventavan  no  l'armi,  orrenda  strage 
Si  fece  e  miseranda.  E  degli  esclusi 
Altri  in  cospetto  degli  stossi  padri, 
Caro. -86.  1872-8871 


5C2  l/i:nkidis.  11395-1113] 

E  Ju  lp  madri  elio  doglioso  grida 
No  faccan  da  lo  torri  e  da  lo  mura, 
Da  l'impeto  cacciati  o  da  la  calca 
rrocipitàr  ne"  fossi,  o  giù  da'  ponti      •  J 
Caddor  sospinti;  od  altri  no  la  fuga 
Pa' sfrenati  cavalli  o  da  la  cioca 
Lor  furia  trasportati,  a  dar  di  cozzo 
(ìlr  no  lo  chiuse  porte.  In  su' ripari 
Ancor  lo  donne  (elio  lo  donuo  ancora 
Il  vero  de  la  patria  amoro  infiamma), 
Como  giunto  a  l'estremo,  allor  elio  morta 
Vider  Camilla,  il  fominil  timoro 
■Volgono  iu  sicurezza,  e  sassi  e  dardi 
Lanciando,  e  con  aguzzi  inarsicciati 
l'ali  il  ferro  imitando,  osano  anch'elio 
l>cr  la  difesa  dello  patrio  mura 
Gir  lo  primo  a  morir  morto  onorata. 

A  Turno  iutauto  no  lo  solve  arriva 
Acca,  la  giù  spedita  mosseggiera. 
Cou  l'amara  novella;  un  gran  tumulto 
l'orlando,  che  l'ossorcito  è  sconfitto, 
Morta  Camilla,  annichilati  i  Volsci, 
E  i  Teucri  d'ogni  cosa  impadroniti 
Stanno  in  campagna  col  favor  che  potta 
Seco  de  la  vittoria  il  corso  e  '1  uomo; 
l>b7-8UDj 


I 

[1420-14451      tiDao  xi.  568 
Spingonsi  aranti;  c  già  pianto  e  paura 
Assalgon  lo  città.  Dira,  di  sdogno 
E  di  furor»  il  giovino  infiammato 
(Ohò  tale  ora  n  voler  «afao  di  Giove) 
Ha  l'insìdie  ti  toglie,  esce  do' boschi 
Ov'era  ascoso,  e  giù  sfende  da' colli. 
Smarrito  non  gli  area  di  vista  a  pena, 
A  pena  era  nel  piano,  allor  ch'Enea 
Prose  del  monta;  e  la  'v'ora  l'agguato, 
Trovando  aporto,  seni'oflesa  anch' egli 
Superò  "1  giogo,  e  do  la  selva  uscio. 
C'osi  con  passi  frettolosi  entrambi 
Con  tutte  lo  lor  genti,  e  l' un  da  l'altro 
l'eco  lontani  a  la'città  sin  vanno. 
E  'nsiememeuto  da  l' un  canto  Enea 
Vido  di  pulvorio  fumare  1  campi,  ■ 
E  di  Lauronto  srontolar  l'insogno; 
Turno  da  l'altro  Enea  scoperse,  udendo 
L'annitrir  do' cavalli  o  '1  calpostlo 
Croscor  di  mano  in  mano.  Eran  vicini 
SI,  cho  venuto  a  zuffa  ed  a  battaglia 
Si  fora  anco  quel  di,  se  non  elio  Febo, 
Fatto  vormiglio.  i  suoi  starnili  destrieri 
Stava  già  per  tuffar  no  l'oudo  ibero. 
Ondo  avanti  a  lo  mura  ambi  accampati 
Di  trincee  si  munirò  o  di  ripari. 

I'>00-915| 


601  ' 

'        DELL'  ENEIDE 


Libuo  Duodecimo. 

Turno,  poscia  che  vede  afflitti  »  domi 
Gii  duo  volto  i  Latini,  o  non  pur  scemi 
Di  forzo,  ma  di  «pome  o  di  baldanza, 
Da  lui  farsi  rubolli,  o  oho  a  Ini  solo 
Ognun  rivolto  in  tanto  afTaro  attendo 
Le  pruova,  le  promesso  e  i  vanti  suoi, 
Furioso,  implacabile,  inquieto 
Arde,  s'inanimisco,  e  si  rinfranca 
l'rima  in  so  stesso.  Qual  masslla  fera 
Ch'nllor  d'insanguinar  gli  artigli  o  'I  ce 
Disponsi,  allor  s'adira,  allor  si  scaglia 
Contro  chi  '1  caccia,  elio  da  ini  si  sonta 
Gravemente  ferito;  o  già  godendo 
Do  la  vendetta,  sanguinoso  o  fioro 
Con  lo  iubo  s'arruffa,  o  con  lo  rampo 
Frango  l'infisso  tilo  c  graffia  e  ruggo; 
Cosi  la  violenza  era  di  Turno 
Accesa,  impetuosa  e  furibonda  ; 
E  cosi  conturbato  approsontossi 
11-11] 


[20- ■*-»]  Limo  xii.  5G5 

Al  ro  davanti,  e  disse:  ludngto.  o  scusa 
Più  non  fa  Turno;  e  più  non  ponuo i  Teucri 
Da  quel  cli'è  patteggiato  e  stabilito. 
So  non  so  por  viltà,  ritrarsi  ornai. 
Eccomi  In" campo:  ceco  parato  o  pronto 
Sono  al  ducilo.  Or  fa',  padre,  elio  "I  patto 
Sia  fermo  e  rato  o  sacro;  o  I  sacrifici 
E  "1  giuramento  appresta.  Oggi,  signoro. 
Sii  certo  o  ch'io  con  le  mie  mani  a  morto 
Questo  do  l'Asia  Xuggitivo  adduco, 
E  "I  difetto  di  tutti  io  solo  ammendo 
(Stiansi  pure  a  roderò  I  tuoi  Latini); 
0  cu'ei  vincendo  Ha  padrone  a  voi, 
E  marito  n  Lavinia.  A  cui  latino 
Col  cor  sedato  in  tal  guisa  risposo: 

Giovine  valoroso,  al  tuo  valoro, 
A  la  ferocia  tua  che  tanto  cccodo 
Ne  ranni,  io  dfferlsoo.  K  tu  dovrai 
Appagarti  di  me,  s'io,  d'ogni  cosa 
Tornendo,  con  ragiono  o  con  maturo 
Consiglio  in  tutti  i  casi  invoglio  u  curo 
Clio  'I  mio  stato  si  salvi  e  la  tua  vita. 
A  te,  del  vecchio  Danno  crede  e  figlio. 
Seggio  e  regno  non  manca,  oltre  a  lo  terrò 
Di  cui  tu  fatto  hai  da  te  stesso  acquisto 
111-22J 


B00  't'BSKinE.  [41 

(Por  forza  d'armi.  Oro,  favori  o  gradi 
T)a  Latino  avrai  sempre;  e  maritaggi 
E  donno  d' alto  affar  san  por  lo  Lazio, 
E  per  lo  torre  di  Laureuto  assai. 
Ma  soffri  ch'io  ti  parli,  o  sonti.  o  nota 
Poscia  quel  ch'io  dirò;  che  dirò  vero, 
Ben  che  noia  ti  sia.  Fatai  divieto 
Mi  proibiva,  e  gli  uomiui  o  gli  t)oi 
M' avoan  vaticinando  in  molto  guiso 
Denunziato,  che  mia  «glia  a  nullo 
Io  maritassi  di  color  elio  chiesta 
Mo  1" avoan  prima.  E  pur  dall'amor  vinto 
Che  ti  port'io,  dal  par«ntado  astretto 
C  ho  con  la  casa  tua.  mosso  dal  pianto  S 
E  da  le  preci  do  la  donna  mia, 
Dandola  a  to  mi  sono  al  fato  opposto; 
Ho  rotto  fedo  al  goooro:  ho  con  lui 
Prosa  non  giusta  o  non  sicura  gueria. 

Da  indi  in  qua  tu  stesso,  tu  che  primo*- 
Soffi  i  tante  fatiche  o  tanti  affanni. 
Hai  veduto  in  elio  rischi,  in  che  travagli 
Siam  noi  caduti;  elio  duo  volto  rotti 
In  due  b\  gran  battaglio,  in  questo  cerchio 
Ne  sìam  rinchiusi  a  sostenterò  a  pena 
La  sporanza  d' Italia.  11  Tobro  ò  caldo 

tassai 


[70-94]  unno  xii.  60  ' 

Poi  nostro  sangue.  I  campi  son  (rià  blwiohl 
l>e  lo  nostr'ossa.  Ed  io,  follo,  »  elio  torno 
Tinto  nate  al  precipizio  mio? 
Chi  cosi  da  mo  stosso  mi  «ottraggo? 
S-.  Turno  estinto,  lo  nel  mio  loglio  doggi  ) 
1  Troiani  accettar,  chò>non  gli  accotto 
i  ir  eh'  egli  ò  vivo  o  salvo?  e  chi  non  pungo 
Kine  a  la  guerra,  a  la  mina  espressa 
Ilei  mio  regno  o  do'niiol?  Cbo  no  diranno 

I  Rutuli  paronti?  clic  diranno 
Italia  tutta,  quando  a  morto  io  lasci 
(Voglia  Dio  che  non  sia)  gir  un  che  lauto 
Ama  la  parentela,  o  T  sangue  mio? 
Itimi™  de  la  guerra  come  vana 

Sia  la  fortuna.  Abbi  pietà  del  vecchio 
Danno  tuo  padre,  che  da  to  lontano 
In  Ardi»  so  ne  8t»  mosto  o  dolente. 
Turno  n  questo  parlar  nulla  si  mosso 
Itola  ferocia  sua:  crebbo  piì)  tosto 

II  suo  furore:  o  lo  rimedio  stosso 

Oli  aggravò  'I  malo.  Ki,  corno  pria  potoo 
Formar  parola,  in  tal  guisa  risposo  : 
Nulla  per  couto  mio  di  ino  ti  caglia. 
Signor  benigno:  anzi,  ti  prego,  in  grado 
Prendi  ch'io  per  la  lodo  o  per  l'onoro 
136-491 


568  .  ffixiio*.  [05-lUj 

Patte?»!  con  Ih  morto.  Ed  anch'Io.  padrcJ 
\  Ho  le  mio  unni:  od  anche  il  ferro  mio  i 
Ha  taglio  e  punta,  o  fa  ferita  e  sangue.  J 
Non  somprcavrà.crod-io.  lamidro  a  canti 
Che  di  nube  lo  cunpra  e  lo  trafila 
Come  vii  feminella,  o  di  van' ombro 
Seco  s'involva.  E,  ciò  detto,  si  tacque  1 

Ma  la  retrina,  de  l'audace  impresa 
Del  genero  doloute  e  spaventata. 
Piangendo,  e  por  angoscia  a  molte  giont^ 
I,o  tcnoa.  lo  pregava,  e  gli  dicoa: 
Turno,  per  questo  lagrime,  per  quanto 
T'è,  so  pur  t'5,  de  l'infolico  Amata  . 
L'onor.  l'amoro  o  la  saluto  in  pregio 
(Già  che  tu  sola  speme,  e  sol  riposo 
Sci  do  lamia  vecchiezza,  a  te  s'appogj 
In  te  si  fonda  di.  Latino  il  reguo, 
E  la  sua  dignitade.  o  la  sua  casa 
Cho  mina  minaccia),  iu  don  ti  chieggla* 
Astienti  di  venir  co' Teucri  a  ranno: 
Chò  qualunque  ne  segua  avverso  caso  J 
Sopra  mo  cado:  ch'io  tveo  di  vita 
Uscirò  pria  che  mai  suocera  o  serva 
Io  mi  veggia  d'  Enea.  Queste  parolo 
De  la  madre  senti  Lavinia  virgo, 

(49-01)  • 


% 

[120-144]    .      LIBRO  IH.  609 
Di  rugifidoso  lucrimi:  o  d'uu  foco 
Di  vergineo  rossor  lo  guance  asperse, 
({imi  fora  se  di  purpurs  macchiato 
Fosse  un  candido  avorio,  o  cho  di  roso 
Si  spargessero  i  gigli.  In  lei  mi  minio 
11  giovine. d'amor  non  muu  cliu  d'ira 
Acceso,  a  la  regina  brevemente 
Cosi  rispose:  Ali,  madre  mia,  ti  prego', 
In  cosi  perigliosa  o  dura  impresi 
Non  mi  far  col  tao  pianto  o  col  tuo  duolo 
Sinistro  annunzio?  Chò  «.'a  Turno  è  dato 
Clio  muoia,  in  suo  potar  più  non  è  p  >st  > 
Cho  di  morire  indugi.  Indi  a  l'araldo 
Rivolto,  Va',  gli  disse,  e  da  mia  parto 
Quest'ingrata  e  spiacovolo  Imbasciata 
Porta  al  frigio  tiranno,  che  dimauo 
Tosto  cho  fia  la  rubiconda  Aurora 
A  l'ortonto  apparsa,  1  Teucri  suoi 
Contr'a  Kutuli  addur  più  non  s'alfnnnL 
Sticnsi  l'armi  de' Kutuli  e  de'  l'enei i 
Per  mio  conto  in  riposo.  Clio  tra  noi 
Col  nostro  sanguo  a  dilli  ni  r  la  gnu  .  a, 
K  di  Lavinia  le  bramato  nozze 
Iu  su  quel  campo  a  procurar  ci  avemo. 
Detto  cosi,  vèr  la  magion  s'invia 


570  ^."exridk.        ri  15-109] 

lepidamente;  addur  si  foce  avanti 
I  suol  cavalli,  o  le  fattezze  o  '1  fremito  , 
Notando,  so  no  gode,  e  ne  conccpe 
Spume  e  vittoria;  elio  di  razzn  usciti 
Eran  giù  d'Orìzla,  da  cui  Pilunno 
Kbbo  giumento  e  corridori  in  dono. 
Che  di  caudor  la  novo,  e  di  prostozza 
Superavano  il  vento.  Avoan  d'intorno 
I  valletti  e  gli  aurigi  elio  palpando, 
Forboudo  o  vezzeggiando,  in  vai  io  guise, 
Gli  faccan  lieti,  baldanzosi  e  fieri. 
Fatto  poscia  vonir  l'armi,  si  vesto 
La  sua  corazza  d'oiicalco  e  d'oro 
E  dentro  vi  s'adatta  e  vi  si  vibra 
Con  la  persona.  Imbracciasi  lo  scudo, 
Pruovasi  l'olino:  Q  la  vermiglia  cresta 
Squassando.il  brando  impugna,  il  fido  br 
Da  lo  stesso  Volcano  al  padre  Pauno 
Temprato  in  Mongibollo  a  tutte  pruovo. 
Alfìn  un'asta  poderosa  e  gravo. 
Ch'appo  un'alta  colonna  era  appoggiata 
In  mezzo  do  la  casa,  in  man  si  pianta. 
Spoglio  d'Attore  aùninco.  B  poiché  l'ebbo 
Brandita  o  scossa.  Asta,  gridando  disso, 
Ch'i»  le  mio  fazioni  iniqua  non  fosti 
(81-9ÓJ 


[170-191]        tu«o  xn.  671 
Chiamata  indarno,  ora  ni  maggior  bisogno 
Pa  te  soccorso  imploro.  11  grande  Altèro 
Armasti  in  prima,  or  ioidi  Turno  in  ninno. 
I  lamini  file  'I  corpo  attori,  e  la  corazza 
lìiscbiodi.  e.'l  petto  laceri  e  trapassi 
Ili  questo  frigio  effumuiato  ciiimco; 
Iiammi  che  M  profumato,  inanellato, 
Col  ferro  attortigliato  zazzcrino 
(ili  scompigli  una  volta,  e  ne  la  pi.lv.» 
I,o  travolga  e.  nel  sangue.  In  cotal  guisa 
Iiiccndo.  inftirtava,*ardca.ncl  volto, 
Scintillava  negli  occhi,  orribilmento 
Krcmca.qual  mugghia  il  toio  nllor  elio  irato 
Si  prepara  a  battaglia,  e  l'ira  in  cima 
Si  reca  do  lo  corna,  indi  l'armata 
A  qualcho  tronco,  e  '1  tronco  o  l' mira  in  pi  ima 
Ferondo,  alto  co* piò  spargo  l'arcua, 
E  dol  futuro  assalto  I  colpi  impara. 

Da  l'altro  canto  Uno»,  non  meo  feroco 
No  l'armi  di  sua  madro.  al  fiero  miirto 
S'inanima  0  s'accingo,  o  del  partito 
Clio  gli  era  por  compor  la  guerra  offerto. 
Si  rallegra,  l'accetta;  e  1  suoi  compagni 
E  '1  suo  figlio  assicura,  or  di  80  stesso 
La  franchezza  mostrando,  or  lo  routuio 
[U5-1I0) 


I 


672      •        'l'Eneide.        [  1 0T.-219J 
^De'fati  rammentando  c  le-pronicsso.  ' 
Indi  eoo  la  risposta  al  re  Latino 
Manda  chi  la  disfida  e  '1  patta  accetti,  I 
E  del  patto  i  capitoli  e  le  leggi 
Stabilisca  o  conrermi.  Era  de' monti 
In  su  la  cima  :i  peni  i!  soie  apparso 
Do  l'altro  (ionio,  allor  ch'i  simi  destriorl  ^ 
Sorgon  da  l'ondo,  e  con  le  nari  in  alto 
Fiamme  anelando,  il  mondo  ompion  di  luco; 
Quando  nel  campo  i  Rutuli  discesi 
E  i  Toucri  insieme,  sotto  l'alte  mura, 
Fabricar  lo  stoccato,  a  cui  nel  mezzo 
I  fochi  e  Tare  di  gramigna  asporeo  ' 
Furo  agli  Dei  d'ambe  le  parti  eretti 
Communcmcutc:  e  d' ambi  i  sacerdoti 
Di  bianco  lino  involti,  o  di  voi  botta 
Cinti  le  tempio,  andaro  altri  con  l'acqu 
Altri  con  le  facello  intorno  ocecso. 
Foscia  ecco  degli  Ausoni  da  l'un  cauto 
A  pieno  porte  l'ordinato  schiero 
Uscir  da  la  citta  di  picche  armato: 
Da  l'altro  do'Troiaui  o  do'Tirrcnl 
flir  l'cssercito  tutto  in  vario  guiso 
D'abiti  e  d'armi:  o  questi  incontro  aqm 
Non  altramente  eh' a  battaglia  iitstrutti 
[111-12:.] 


[220-914]        liiiiio  xn.  573 

Fra  mozzo  a  tanto  mila  i  comlottiorl 

Ciascun  da  la  sua  parto  ti  vi  dea 

Gir  d'oro  e  d'ostro  alteramente  adorni. 

K'I  gran  Hemmo  con  qaMti  e"l  forte  Asila, 

!  Mcssapo  con  quelli,  de'earalli 

Il  domatore  e  di  Nettuno-i!  Aglio. 

Poscia  che,  dato  il  segno,  ebbe  ciascuno 
Chi  di  qua  chi  di  là  preso  il  suo  loco, 
Piantàr  le  lance,  dechinir  gli  scudi. 
Le  donne,  i  vecchi,  i  putti,  o  '1  volgo  inorme 
Di  vedor  desiosi,  altri  in  su'totti. 
Altri  in  su' rivellini  e  'n  su  le  torri 
Stavan  mirando.  E  non  dal  campo  lungo 
Sede»  Giunn  in  un  colle,  Albano  or  dotto. 
('h'allornùd'Alba  il  nome  avea-,  ni '1  pregio, 
Né  i  sacrifici.  In  questo  monto  assisa 
Vedoa  de' Laurent!  o  de' Troiani 
L'accolto  genti,  e  di  Latino  il  seggio. 
Ivi  la  Dea  di  Turno  a  la  sirocebin, 
Cho  Dea  do' laghi  era  e  de' fiumi  anch'olla 
(Privilegio  cho  Giove  allor  lu  diodo 
Ohe  de  la  pudicizia  il  fior  le  tolse). 
Disse, cosi:  Ninfa,  de' fiumi  onore, 
Sovr'  ogni  ninfa  a  me  gioconda  e  caia. 
Tu  sai  come  te  sola  ho  preferita 
[12o-14aj 


B7I      ,         '  l'knkiok.  (21V2C0J 
A  tutte  l'altre  che  di  iìinvc,  in  Lazio, 
L'ingrato  letto  li. in  di  salire  «anta: 
£  come  volontior  del  cielo  a  parto 
Meco  t'ho  posta.  Ascolta  i  tuoi  dolori,  ■  1 
ivi .•!,..  di  ine  dolerti  iniqua  non  possa. 
Finché  di  Lazio  la  fortuna  o  'I  fato 
Me  l'Imi  concesso, ioprontamenl'-  <■  Turno 
E  la  tua  terra  e  i  tuoi  sompre  ho  difeso,  j 
Or  veggio  questo  {riovine  a  duello 
Con  disegnai  dostino  essor  chiamato: 
Veggio  il  di  do  la  l'arca  e  la  nemica  ' 
Forza  che  gli  ò  vicina.  Io  quosto  accoido, 
Questa  pugna  veder  cogli  occhi  miei 
Per  mo  non  posso.  Tu,  se  cosa  ardisci 
In  prò  del  tuo  germano,  ora  ò  mestioro 
Che  tu  l'adopri;  e  puoi  farlo,  e  convienti. 
Fallo:  o  chi  sa  che  'I  misoro  non  cangi 
Ancor  fortuna?  A  pena  avea  ciò  dotto, 
Cho  Iuturna  gemendo  o  lagrimando 
Tro  volte  o  quattro  il  petto  si  percosse. 
A  cui  Giuno  soggiunse:  E'non  è  tempo 
Pi  staro  in  pianti.  Affretta;  e  da  la  morto 
Scampa,  so  scampar  puossi.  il  tuo  fratello, 
0  turbando  l'accordo,  o  suscitando 
Nuova  cagion  di  mischia  e  di  tumulto. 
1141-158) 


|B70-894|        unito  xu.  6 

10  son  elio  te  l'impongo,  o  le  u' Affido. 
Con  questo  la  luciò  sospesa  e  mesta, 
E  d'amara  puntura  il  cor  trafitta. 

Eceo  Tengono  al  campo  I  rogi  intanto; 
Latino  il  primo,  alto  lo  un  carro  assiso, 
Clio  da  quattro  suoi  u.h  iii  co'rsiori, 
l>i  gran  macchina  in  guisa,  era  tirato, 
E,  di  dodici  raggi  il  fronte  adorno, 
Del  Sole,  avo  di  lui,  sembianza  avoa. 
Turno  tracau  duo  candidi  destrieri, 
Con  dno  suol  dardt  in  mano  agili  e  forti. 
Enea,  de  la  romana  stirpe  autore. 
Con  l'armi  sue  celesti  e  con  lo  scudo 
Che  dianzi  da  le*  stelle  era  Tenuto, 
Uscio  da  l'altro  canto,  e  Reco  a  pari 
Ascanlo,  il  figlio  suo,  de  la  gran  Romi 
La  seconda  speranza.  A  mano  a  mano 

11  sacerdote  in  pura  Teste  involte 
Anzi  agli  accesi  altari  il  iiiioto  parto 
D'una  setosa  porca,  ed  una  agnulla 
Ancor  non  tosa  al  sacrificio  addosso; 
E  volti  a  l'oriente,  in  atto  limilo 
S'inchinar  ludi  e  vino  o  farro  e  salo 
Sparser  d'ambe  lo  parti;  ambe  col  ferro, 
SI  com'era  uso,  a  lo  duvote  belva 

U6»-nii 


670      .  t'uriKiDB.  [295-811 

1  Segnar  lo  tempio.  Allor  il  padre  Enea 

Strinso  In  spaila,  e,  gli  ocelli  ni  ciel  rivoli 
'  Cosi  disse  prosando  :  lo  questo  sole 
Por  testimone  invoco  e  questa  terra. 
Por  cui  tanti  ho  fin  qui  annerii  affanni; 
Invoco  te,  celeste,  onnipotente, 
Eterno  padre,  o  te,  saturnia  Uiunn, 
Già  vèr  me  più  benigna,  c  ben  ti  piego 
Cho  mi  sii  tale,  e  te  gran  Marte  invoco. 
Ch'n  l'armi  imperi;  o  voi  fonti,  e  voi  fin  ti 
E  voi  tutti  del  mar,  tutti  dol  cielo 
Numi  possenti:  e  vi  prometto  e  giuro 
Che  so  Turno  per  sorte  ò  vincitore 
Pi  questa  pugna,  il  successo!-  del  vinto 
Gli  cederà;  ch'a  la  città  d'Evandro 
Si  ritrarrà;  clic  inai  poseia  ribello 
Non  gli  sarà:  che  guerra  o  lite  o  sturbo 
Alcun  altro  più  inai  non  gli  farà. 
Ida  se  più  tosto,  conio  io  progo.  e  conio 
Spero  elio  mi  succeda,  ni  nostro  marte 
La  dovuta  vittoria  non  si  froda; 
Io  non  vo'già  che  gì'  Itali  soggetti 
Sinno  «'miei  Teucri,  nò  d'Italia  io  solo 
Tener  l'impero;  io  vo'cb'nuibi  del  pari 
Questi  popoli  invitti  nggiau  tra  loro 
1174-191] 


[320-341]         libro  xil.  577 

Governo  e  leggi  eguali,  o  pace  eterna. 
A  me  basta  ch'io  dia  ricetto  e  culto 
A' miei  numi,  a'mioi  Teucri,  e  sia  Latino 
Suocero  mio,  del  suo  ragno  e  do  l'armi 
Signor,  rettore  o  donno.  Io  poscia  altrovo 
Altre  mura  ergerommj,  e  do'  miei  stessi 
Vicu  lo  fatiche,  o  di  Lavinia  iì  n  

Cosi  pria  disse  Enea:  cosi  Latino 
Seguitò  poi  con  gli  occhi  e  con  la  destra 
Al  elei  rivolto.  Kd  io  giuro,  dicendo, 
Lo  stesse  delti,  lit  terra,  il  maro. 
Le  stelle,  di  Latonn  ambi  i  gemelli, 
Di  Uiano  ambo  le  frunti,  il  chiuso  contro, 
K  In  gran  possa* degl'inferni  dii. 
i  i  mi  di  là  su  l'oterno  padro, 
Cho  fulminando  stabilisco  «  ferma 
Le  promesse  e  gli  accordi.  I  ninni  tutti 
Chiamo  per  testimoni:  e  tocco  l'ara, 
E  tocco  il  foco,  0  quosta  pace  approvo 
IMI  canto  mio.  Nè  mai,  elio  cho  si  sia 
Pi  questa  pugna,  nò  por  forza  alcuna, 
Nè  per  tempo  sarà  ch'ella  si  rompa 
l'i  voler  mio,  non  se  la  terra  in  acqua. 
Si  dileguasse,  non  so  '1  ciol  cadosso 
No  l'imo  abisso:  cosi  conio  ancora 

Cauo.-37.  I1D1-20GI 


57S  l' '  [345-869] 

Questo  mio  scettro  (chò  lo  scettro  in  mano 

Area  per  sorto)  più  nò  Cromia  mai 

Nò  virgulto  fàrà,  poiché  reciso 

Pai  vivo  tronco,  n  da  radico  svolto" 

Mancò  di  madre,  e  giù  d'arbore  ch'era. 

Sfrondato,  diramato  e  secco  legno 

Di  già  venuto,  e  d'oricalco  adomo 

E  por  man  de  l'artoflce  ridotto 

Iu  questa  forma,  e  per  quost'  uso  in  mano 

Dei  ro  latini  è  posto.  In  cotal  guisa 

Fermati  i  patti  e  l'ostio  in  mozzo  addotta 

Tra  i  più  famosi,  anzi  a  l' accoso  fiamme 

1/0  svenar,  lo  smembrar,  le  sviscerare. 

K  si  com'eran  palpitanti  e  vivo. 

Le  libre  no  spiar,  lo  diero  al  foco, 

IT  empiti  le  quadro  e  no  colmar  gli  altari. 

Di  già  disvantaggioso  e  disegualo 
Questo  duello  a'Rutuli  sembrava: 
E  già  vari  bisbigli  o  vari  moti 
N'cran  tra  loro;  o  coni' più  sanamonto 
Si  rimirava,  più  di  forzo  impari 
Si  vedea  Turno;  od  egli  stesso  indizio 
No  diò,  che  tonto  o  tacito  e  sosposo 
Entrò  nel  campo.  E  corno  ancor  di  polo 
Avea  le  guuuco  lievemente  asperso, 
[806-881] 


[370-391]        libro  ut.  5"9  # 

Orando  anzi  a  l'aitar  pallido  il  Tolto 
Mostrassi, e  chino  il  fronte,  e  gravo  il  ciglio. 

Tale  ima  languidezza  rimirando, 
E  tal  del  volgo  un  siisurtlre  udendo 
Ciutunu,  sua  sorella,  infra  le  schiere 
(jittossi,  e  di  Camerte  il  volfo  'preso. 
D'alto  legnaggio,  di  valor  paterno, 
K  di  propria  virtutc  era  Camerto 
Famoso  infra  la  gouto.  K  tal  sembrando, 
dia  dogli  animi  accorta, ìte  Giutuma 
Humor  diversi  o  tai»voci  spaigendo: 
Ahi!  elio  vergogna,  che  follia,  che  fallo, 
liutuli,  è  '1  nostro,  che  por  tanti  e  tali 
fv>la  un'  alma  s'arrischi?  Or  siam  noi  forso 
]ii  numero  a'nemici  inferiori, 
0  d'ardire  o  di  forze?  Ecco  qui  tutti 
Accolti  i  Teucri  e  gli  Arcadi  e  gli  Ktrusci 
Che  sono  anco  per  fato  a  Turno  infensi. 
A  duo  di  noi  contra  un  di  loro  a  mischia 
Clio  si  Tonisse,  di  soverchio  ancora 
Forano  I  nostri?  Ei  che  per  noi  combatte, 
Ne  sarà  fra  gli  Dei,  cui  s'è  devoto, 
In  eie)  riposto;  e  qui  tra  noi  famoso 
Viveri  sempre.  Mn  di  noi  che  fin, 
Ch'or  ce  uo  stiam  si  neghittosi  a  buda? 
(221-285J 


580  l'e'kfidk.  [305-419] 

\a  patri»  pordoromo,  o  da  stranieri 
K  da  superbi  in  serritute  addotti, 
Preda  o  scherno  d'altrui  sempre  saremo.  1 

Da  questo  dir  la  giovontii  commossa 
Via  più  s'accende,  e  '1  mormorio  serpente 
Più  crosce.pcr  io  squadre.  Onde  i  Latini 
E  gli  stessi  Laurenti,  che  pur  dianzi 
Pi  pace  eran  si  vaghi  e  di  quieto, 
Ponsier  cangiando  o  voglie,  or  l'arme  tutti 
Gridaun,  tutti  pregan  che  l'accordo 
Sia  per  non  fatto;  e  tutti  han  de  l'iniqua 
Sorto  di  Turno  ira,  pietado  e  sdegno. 

In  questa,  ecco  apparir  ne  l'aria  un  mostro 
Per  opra  di  Giuturna,  ondo  turbati 
E  dal  primo  proposito  distolti 
Furda  vantaggio  de' Latini  i  cuori. 
V itesi  por  lo  lito,  o  per  lo  cielo 
Di  rogio  asperso,  un  di  palustri  augelli 
Impaurito  c  strepitoso  stuolo. 
Dietro  un'aquila  uvea,  ch'a  mano  a  mano 
Giuntolo  do  lo  stagno  in  su  In  riva. 
Un  cigno  no  ghermì  ch'ora  di  tutti 
Il  maggioro  o  '1  più  hello.  A  cotal  vista  I 
Gli  occhi  e  gli  animi  alzar  l' itali-  squadro;  1 
E  gli  augei,  clic  pur  dianzi  erano  in  fuga 
[23G-252J 


[120-IU]        ,.,„„„  XII-  &S1 

fMirnhile  a  rodere  !),  lo  un  momento 
Stridendo  si  rivolsero,  e  ristretti 
In  donsa  nube,  ond'era  il  eiol  velato, 
La  nimico  Rssaliro.  E  si  d'intorno 
U  cinger,  l'aggirar,  l' attraversare, 
Ch'a  ciclo  aporto,  n'vjlanzi  erano  in  tuga, 
I-o  fcr  gabbia,  ritegno  e  forza,  al  fino 
Cho.gravatn  dal  peso  e  stretta  o  vinta, 
He  la  lena  maucasso  c  do  la  preda. 
Il  cigno  dibattendosi,  da  l'ugno 
Sovra  l'ondo  gli  cadda;  èd  ella  scarni, 
Da  la  turba  fuggendo  «1  cielo  alzassi. 

I  Ruttili  a  tal  vista  con  le  grida 
Salutar  pria  l'augurio:  indi  a  la  pugna 
Si  preparare.  E  fu  Tolnnnio  il  primo. 
Ch'augure, Incontro  al  patto  anzi  a  le  sellin  o 
Si  spinse  armato,  o  disso:  Orquosto  è,  questo 
Ch'io  desiava;  e  questo  ò  quel  ch'io  cerco 
Ho  no' miei  voti.  Accetto  o  riconosco 
11  favor  dogli  Doi.  SIo,  me  seguito, 
ltutuli  miei.  Con  me  Darmi  prendeto 
Contro  al  malvagio  cho  di  strana  parta 
Venuto  con  la  guerra  a  spaventarci, 
Ita  voi  por  vili  augelli,  e  i  vostri  lidi 
Cosi  scorro  e  depreda.  Ma  ritolto 
[262  203] 


582  •     I'fxeidk.        | -110-408] 

Questo  cigno  gli  fin;  «li  IW0*0  al  m!ìre 
In  fiign  so  n'andrà.  Voi  combattendo 
In  guisa  do  la  ]>rin  fugaco  torni», 
Ristringetevi  iusiemo,  o  riponete 
II  vostro  ro,  elio  v'ó  rapito,  in  salvo. 

Dotto  cosi,  spinse  il  destriero,  o  trassa  • 
"Confa'  a"  niniici.  Andò  stridendo  o  dritto 
L'aura  secando  il  fulminato  dardo; 
E  'nsiomo  udissi  col  suo  rombo  un  grido, 
Che  insino  al  ciol,  do'  Rutuli.  sentissi. 
Insieme  scompigliossi  il  campo  tutto, 
Turbarsi  i  petti,  ed  infiammarsi  i  cuori. 
L'asta  volando  giunse  ove  a  rincontro 
Nove  fratelli  cran  per  sorto  accolti, 
Che  tutti  d'una  sola  etnisca  moglio 
Da  l'arcadio  Gilippo  oiBn  croati. 
Un  di  lor  ne  colpi  là  've  por  mezzo 
Il  cinto  8*  attraversa,  o  con  la  fibbia 
S'afferra  al  fianco.  Ivi  tra  costa  e  costa, 
Penetrando  altamente,  lo  trafisso, 
E  morto  In  su  l'arena  lo  distese. 
Questi,  il  più  riguardevolo  no  P  armi 
Era  degli  altri,  o  '1  più  bello  e  '1  più  torto, 
E  gli  altri  come  tutti  cran  furoci, 
Dal  doloro  infiammati  incontiuouto 
1-2G3-277] 


[470-494]        libro  xn.  '  688 

Chi  In  spada  impugnò,  clil  prose  il  dardo; 
K  coutra  il  feritor  tutti  in  un  tempo. 
Come  cicchi.  avvcntArsi.  Incontro  a  loro 
Si  uiossor  eie'  Laurent!  o  de' Latini 
Le  genti  a  schiere,  e  d'altro  lato  a  schiero 
Spinsero  1  Teucri  e  gii  Arcadi  è  gli  Etrusci. 
Cosi  d'Arme  e  di  sangue  ugnale  ardore 
Surso  d'ambo  lo  patti;  o  l'are  o  '1  foco 
Ch'orali  di  mezzo  e  l'ostie  e  lo  patene 
K'andnr  sossopra;  o  tal  di  ferri  e  d' aste 
Denso  levossi  e  procelloso  un  nembo, 
Clio  '1  sol  so  n'oscurò,  sangue  ne  piovve, 
(irida  e  fuggo  fatino,  e  i  numi  offesi 

50  no  riporta,  e  detestando  abbono 
Il  violato  accordo.  Armasi  intanto 

Il  campo  tutto;  o  chi  frena  i  destrieri, 
Chi  'I  carro  appresta;  e  già  con  l' aste  basso 
K  con  le  spade  ad  investir  si  vanno. 
Mcssupo  desioso  che  l'accordo 

51  disturbasse,  incontro  al  tosco  Aulcste 
Che,  come  re,  di  rog^l  fregi  adorno 

K  d'ostro,  al  sacrificio  ora  assistente, 
Spinse  il  cavallo  e  spavoutollo  in  guisa 
Che  mentre  si  ritraggo  infra  gli  altari 
Ch'avea  da  tergo,  urtando,  si  travolse 
[278-233] 


584  .    t/ExnnK.  [4'Jj-510j 

MossApo  con  1»  lnnoia  incontinente 
Gli  si  fo  sopra,  c  si  com'era  in  atto 
DI  supplicarlo.  11  petto  gli  trafisse. 
Cosi  ben  tu,  dicendo:  or  a'  gran  numi 
Porco  plil  grato  o  miglior  ostia  cadi. 
-8aà\Io  il  meschino,  c  fn,  spirante  o  calilo, 
Sovraggiunto  dagl'Itali  o  spogliato. 

Diè  Corinèo  per  un  gran  tizzo  a  l'ara 
Di  piglio;  e  si  com'era  ardento  c  gravo, 
Ad  F.buso  ch'incontro  gli  vonla, 
Noi  volto  il  fulminò.  Schizzonne  insiome 
li  foco  e'1  sangue;  o  di  baleno  in  guisa 
Un  lampo  ne  la  barba  gli  rifulso 
Che  dio  d\arsiecio  odore,  indi  gli  corso 
Sopra  sonza  ritegno;  e  qual  trovollo 
Da  la  percossa  abharbagliato  o  fermo, 
L'nfferrù  per  la  chioma;  a  terra  il  tras 
Col  ginocchio  lo  strinse,  e  col  trafioro 
Gli  passò  'I  fianco,  l'odalirio  od  Also 
Pastor,  cho  fra  le  schiere  iufurtava. 
S'affilò  dietro;  0  già  col  brando  ignudo 
Gli  soprastava,  allor  eh'  Also  rivolto 
La  gravosa  bipenne  ond'ora  armato 
Gli  piantò  no  la  fronto  0  'usino  al  monto 
Il  teschio  gli  sparti,  l'armi  gli  sparso 
[298-8081 


[520-511]        libro  in.  535 
Tatto  di  sangue:  ond'oi  cadilo,  e  le  luci 
Chiuso  al  gran  bolo'  oil*al  perpetui)  sonno. 

Enea  xcpz'olmo  in  t,,t;  infra  lo  genti 
La  disarinata  destra  alto  levando. 
E  discorrendo,  e  richiamando  i  suol. 
Doto,  dove,  no  gitcVrhe  tum'ullo, 
Dicca,  che  furia,  ebe  discordia  è  questa 
Cosi  repente?  Oli  inttoneto  l'ire; 
Oli  non  rompete.  Il  patto  è  stabilito; 
L'accordo  è  fatto.  Solo  a  mo  concesso 
K  ch'io  combatta.*  A  mo  «ol  ne  lasciato 
La  cura  e  '1  carco.  Io,  non  Uuiote,  iu  solo 
Il  patto  ri  ratifico  o  vi  formo 
Con  questa  sola  destra;  o  Turno  a  morto 
Di  già  mi  si  prometto,  e  mi  si  dero 
Ha  questi  sacriflci.  In  questa  guisa 
Gridava  il  teucro  duce;  ed  ecco  intanto 
Venir  d'alto  strìdendo  una  saetta; 
Non  si  sa  da  qual  mano,  o  da  qual  arco 
Si  dipartisse.  0  caso,  o  dio  che  fosso 
Clio  tanta  lode  a' Rullili  prestasse, 
L'nnor  so  no  colò,  nò  mai  s'inteso 
Chi  dol  ferito  Enea  vanto  si  desse. 

Turno,  poichò  dal  campii  Enea  fu  tratto, 
E  turbar  vide  i  suoi,  di  nuova  speme 
1308-325] 


586  a     l'ekridk.  [54 

.S' acceso,  o  gridò  l'armi,  e  sopra  al  ca 
D'ini  salto  si  lanciò,  spinse  I  cavalli 
Infra' nomici,  c  molti  a  morto  dioune. 
Molti  no  sgominò,  molti  n'infranse, 
"E con  l'aste,  fuggendo,  no  percosse. 
Qual  è  de  l'Elmi  In  su  la  fiodda  riva 
11  sanguinoso  Marte,  allor  ch'entrando 
No  la  battaglia,  o  con  lo  scudo  intitoli», 
0  fulmina  con  l'asta,  e  i  suoi  cavalli 
Da  la  furia  e  da  lui  cacciati  e  spinti 
No  van  co'vonti  a  gara,  urtando  i  vivi, 
E  calpestando  i  morti;  e  fan  col  suono 
De'  piò  fino  agli  ostrenii  suoi  confini 
Tremar  la  Tracia  tutta,  a  van  con  ossi 
Lo  spavouto,  il  timor,  l'insidio  e  l'irò, 
Del  bellicoso  Iddio  seguaci  eterni; 
In  cosi  fiora  e  spaventosa  vista 
So  no  già  Turno,  la  campagna  aprendo, 
Uccidendo,  insultando,  o  di  nomici 
Miscrabil  ruiua  e  strage  o  strazio 
Or  con  l'anni  facondo,  or  co'destriorl 
Che  sudanti,  fumanti  e  polverosi, 
Spargcan  di  sangue  e  di  sanguigna  arena 
Con  lo  zampo  e  con  l'ugno  un  nembo  intorno 
Stèndo,  ne  l'entrar,  Tùmiro  e  Polo 
[325-341] 


I 

[570-694]        mbbo  ni.  587 

Condusse  a  morto;  i  duo  primi  ila  prosso. 
L'ultimo  da  lontano.  E  da  lungóVnco 
(ilanco  percosse  o  Lodo;  i  due  famosi 
Figli  d'Inibrùio,  ne  tri  Licia  nati. 
Da  lui  stosso  nutriti,  e  parimente 
A  caralcaro  e  guerreggiare  Instrutti. 

Da  F  altra  parte  Eumode,  il  chiaro  gormo 
De  l'antico  Dolóno.  Il  nome  ave» 
Costui  do  l'aro,  e  l'ardimento  e  i  fatti 
Seguia  del  padre,  che  He' Greci  il  campo 
Spiaro  osando,  osò  il' Achilli-  ancora 
In  premio  de  l'ardir  chiedere  il  carro. 
Ma  d'altro  che, di  carro  premTollo 
11  Aglio  di  Tidòo:  né  però  degno 
D'un  tanto  guiderdone  unqua  si  tenne. 
Turno,  poscia  cho  '1  ride  (chò  da  lungo 
Lo  scòrse)  con  un  dardo  il  giunse  in  prima: 
Indi  a  terra  gittossi:  e  qual  trorollo 
Di  già  caduto  e  moribundo,  il  piede 
Sopr'al  collo  gl'impresse,  e  no  la  strozza 
Lo  suo  (tesso  pugnai  cacciògli,  o  disse: 
Troiano,  ecco  l'Italia,  ecco  i  suoi  campi» 
Che  tanto  desiasti:  or  gli  misura 
Costì  giacendo.  E  questo  si  guadagna 
Chi  coutraaTurno  ardisce;  c'n  questa  guisa 

[M»*M] 


688  l' F.XKTDE.  [j9ó-6MJ 

SI  fondini  lo  citta.  Dietro  a  costai 
Butc.  c  di  mano  in  man  Pareto  o  Cloro 
E  Sfitti  i,  c  Tersiloco  o  Timeto 
Lanciando,  uccise.  Ma  Tiincte  in  torra 
Ferì,  che  por  sinistro  o  por  difetto 
D'un  suo  restio  cavallo  ora  caduto. 

Qunl  sopì  a  al  grande  Egèo  sonando  scorro 
11  tracio  Bora,  che  lo  nubi  e  i  flutti 
Si  sgombra  avanti;  e  questi  ai  lidi, e  quello 
A  l' orizzonto  iu  fuga  so  no  vanno; 
Tal  por  lo  campo,  ovuuquo  si  rivolge. 
Fa  Turno  sgominar  l'armi  o  le  schiero; 
E  tal  seco  ne  va  furia  e  spavento, 
Che  flnanco  al  cimior  morto  minaccia. 

Fogèo,  tanta  fìorezza  e  tanto  orgoglio 
Non  sofferondo,  ni  concitato  carro 
Parossi  avanti;  e  lievemente  un  salto 
Spiccando,  con  la  destra  al  fren  b'  appeso 
Del  sinistro  corsiero.  E  si  com'  era 
Da  la  fuga  rapito  e  da  la  forza 
Di  tutti  insieme,  insiemoinonto  a  tutti 
(Dal  sontior  divertendoli  e  dal  corso) 
Facoa  storpio  o  disturbo.  Ed  ecco  al  fianco 
Che  da  la  destra  parto  ora  scoperto, 
Cotal  sentissi  do  la  lancia  un  colpo 
[3G1-375] 


[620-CH4]        libro  xn.  589 
Cbo  la  corazza,  ancor  che  doppia  c  forte, 
Straccióni,  c'n  fino  al  vivo  lo  trafisso. 
Ma  di  Uovo  pilatura.  Ond'cl  rivolto.  * 
E  'mbracciato  lo  scudo  o  stretto  il  brando, 
Contra  gli  s'affilava;  o  per  soccorso 
Gridava  intanto.  Ma  Icjnioto  o  l'asso 
Ch'erano  in  moto,  urtandolo,  a  rovescio 
dittar!»:  o  Turno  immantinente  addusso 
Sagliondoglì,  infra  l'elmo  o  la  gorziora 
11  collo  gli  ri--,  e  dal  sno  busto 
Tronco  il  capo  lasciagli  in  su  l'arcua. 

Mentre  cosi  vincondo  e  d'ngui  parte 
Con  tanta  strago  U  campo  trascorrendo 
Se  ne  va  Turno  ;  Enea  dal  lido  Acato, 
Pa  Mcmtno  e  dal  suo  figlio  accompagnato 
(Come  da  la  saetta  era  ferito), 
Sovr'un'asta  appoggiato,  a  lento  passo 
Verso  gli  alloggiamenti  si  ritraggo. 
Ivi  consta  a  lo  strai,  centra  a  sè  stosso 
S'inaspra  e  frango  il  tèlo,  di  sua  mano 
Ripesca  il  ferro,  e  poi  che  indarno  il  tenta. 
Comanda  che  la  piaga  gli  s'allarghi 
Con  altro  forre  e  d'ogni  intorno  s'apra, 
Si  cho  tosto  dal  corpo  gli  si  svelga, 
E  tosto  alla  battaglia  se  no  torni. 
[878-900] 


■1 


590  L-  kskidr.  Ii'.45-660] 

Comparso  intanto  ora  a  1*  cara  lilpi 
D'Iaso  miglio,  sovr'ogn'altro  amato 
Da  Febo.  E  Febo  stesso,  allor  eh'  acceso 
Kra  da  l'amor  suo,  la  cetra  e  l'arco 
E'1  vaticinio,  e  qual  do  l'arti  suo 
Tiii  l'aggradasse,  a  sua  scelta  gli  olforge, 
Ki  che  del  vecchio  informo  e  già  caduco 
Suo  padre  la  saluto  e  gli  anni  amava, 
Saper  de  l'orbo  la  possanza,  e  l'uso 
Di  modìcaro  elesse  e  sonza  lingua 
E  sonza  Inde  e  del  futuro  ignaro 
Mostrarsi  in  pria,  che  non  ritórro  a  morto 
Chi  li  dio  vita.  A  la  sua  lancia  Enea 
Stava  appoggiato,  o  neramente  acceso 
Fremendo,  avea  di  giovani  un  gran  cerchiti 
Col  Aglio  intorno,  al  cui  tenero  pianto 
Punto  non  si  movoa.  Sbracciato  intanto 
E  con  la  veste  e  la  cintura  avvolta, 
Qual  do' medici  ù  l'uso,  il  vecchio  Iftpl 
Gli  era  d'intorno:  o  con  diverso  pruovo 
Di  man,  di  ferri,  di  liquori  e  d'erbe 
Invan  s'affaticava,  invano  ogu'opra, 
Ogn'artc,  ogni  rimodio,  e  i  preghi  e  i  voti 
Al  suo  maestro  Apollo  cran  tentati. 
Do  la  battaglia  rinforzava  iutauto 
I3U1-400] 


[670-694]      'uno  ut.  591 
Lo  scompiglio  o  l'orrore;  o  già  '1  porlgllo 
S'avvicinava;  già  di  polve  il  cielo, 
Di  cavalieri  il  campo  era  coverto; 
Chè  fin  dentro  a' ripari  e  fra  le  tende 
Ne  cadevano  i  dardi  ;  e  gii  da  presso 
S'udian  do'  combattenti  e  de'  caduti 
I  lomenti  o  le  grida.  Il  caso  indegno 
D'Enea  suo  figlio,  e  '1  suo  stesso  dolore 
In  sè  Ciprigna  e  nel  suo  cor  sentendo, 
Katto  v'accorse,  o  fin  di  Creta  nddusso 
|ii  dittamo  un  cespuglio,  elio  reconto 
Pi  sna  man  còlto,  era  di  verdo  il  gambo, 
Di  tenero  lo  foglio,  o  d'ostro  i  fiori 
Tutto  consporso  o  rugiadoso  ancora. 
Quest'erba  por  natura  ai  capri  6  nota, 
E  da  lor  cerca  allor  elio  '1  tergo  o  'I  fianco 
Ne  van  di  dardo  o  di  saetta  infissi. 
Con  questa  Citerca  per  entro  un  nembo 
Ne  venne  ascosa,  o  col  salubre  sugo 
D'ambrosia  o  d'odorata  panacea 
Mischtolla,  e  poscia  i  tiopidi  liquori 
Ch'oran  giù  presti  in  tal  guisa  ne  sparse. 
Che  Mun  so  n'avvido.  E  n'ebbe  a  pena 
La  piaga  infusa,  che  l'angoscia  e  'I  duolo 
Cessò  repente:  il  sangue  d'ogni  parto 
[407-483] 


692  l'knmde.  '  [695-71W 

De  la  ferita  in  fondo  si  raccolse, 
E  soguendo  la  mono,  il  ferro  stosso 
Come  da  sè  n'uscio'.  Spedito  e  forto, 
E  nel  pristino  suo  vigor  ridotto, 
Enea  dritto  lovossi.  Ufi  il  primo, 
A  che,  disse,  badato?  e  perchè  l'arme 
Tosto  non  gli  adducete?  Indi  a  Ini  vòlto,* 
Contri  a' nemici  in  tal  guisa  infiammollo: 
Enea,  non  è,  non  è  por  possa  um  ina 
0  per  umano  avviso  o  per  mia  cura 
Questo  avvonuto.  Un  dio,  certo  un  gran  dio 
A  gran  co'se  ti  serba.  In  questo  mezzo 
Ei,  già  di  pugna  desioso,  entrambi 
S'avoa  gli  stiuebi  di  dorata  piastra, 
11  dorso  di  lorica,  e  la  sinistra 
Di  scudo  armata.  E  già  l'asta  squassando, 
D'indugio  impaziente,  iu  su  la  soglia 
Tanto  sol  do  la  tenda  si  ritenne, 
Clio,  si  com'era  di  tutt'nrini  involto, 
D  caro  litio  caramento  accolso, 
E  con  Io  labbia  a  pena  entro  l'elmetto  " 
Iiacìollo,  e  disso:  Figlio  mio,  da  ino 
l.a  sofferenza  e  la  virtude  impara; 
La  fortuna  dagli  nitri.  Io,  quel  elio  posso, 
Or  con  questa  mia  destra  ti  difendo: 
|422-137] 


[720-744]  •      limo  XII.  593 
Onor,  grandezza  o  signoria  t'acquisto 
Col  sangue  mio.  Tu  poi.  quando  maturi 
l'i  l'i  gli  anni  timi,  fa'cbo  <V  Enea  tuo  padre 
K  d' Ettore  tuo  zio  si  ti  rammenti. 
Cho  ti  sian  lo  fatiche  o  i  gesti  loro 
A  gloria  od  a  vortutc«ssempi  o  sproni. 

Detto  cosi,  fuor  do  la  porte  uscendo 
traudì  la  lancia,  e  tutti  in  un  drappello 
Ristrinse  i  suol.  Mommo  ed  Anteo  con  esso 
E  quanti  altri  del  vallo  erano  in  prima 
Lasciati  a  guardia,  il  ratio  abbandonando, 
Pietro  gli  s'inriaro.  Allor  di  polro 
Lovossi  un  nembo,  e  d' ognintorno  scossa 
Al  calpitar  de' pio  tremò  la  terra. 

Turno  di  sopra  un  argine  mirando, 
Quosta  gente  venir  si  vide  Incontro. 
Viderla,  e  ne  temerò  e  no  tremaro 
Gli  Ausoni  tutti.  Udinno  il  suon  da  lungo 
luturna  in  prima,  e  per  timore  indietro 
Se  ne  ritrasse.  Enea  volando,  al  campo 
Spinso  lo  stuol,  elio  polveroso  o  scuro 
Tal  se  n'andò  qual  d'alto  maro  a  terra 
Squarciato  nembo,  quando. oYimù!  clic  soglio 
E  che  spavento,  o  che  mina  apporta 
Ai  misori  coloui!  e  quanta  strage 

CAHO.-8S.  1437-153) 


694  -    l'kxicibb.  [746-709] 

Agli  Albori,  a  lo  biado,  a  la  vendemmia 
So  ne  propara!  o  qiml  so  n'odo  intanto 
Sonar  procolla,  o  venir  vento  n  riva! 
Cotal  coutra  a' nomici  il  teucro  duco 
Co'suoi,  comò  in  un  gruppo  insieme  uniti, 
Entrò  ne  la  battaglia.  Al  primo  incontro 
Osfri,  Archozio,  Utente  ed  Kpulono 
No  gir  per  terra.  Acato  o  Mommo  o  Ola 
E  Timbrò©  gli  affiontaro:  e  ciascun  d'essi 
Atterrò '1  suo.  Caddo  Tolunnio  appresso, 
1/ auguro  elio  primiero  il  dardo  tiassa 
Nel  turbar  do  l'accordo.  Al  suo  cadero 
Tutto  in  un  tempo  empiessi  il  ciel  digiid 
La  campagna  di  po)vo;  e  vòlti  in  fuga 
So  no  giro  i  Latini.  Enea  sdegnando 
E  di  seguire  c  d'incontrar  qual  fosso 
Pedone  o  cavalior,  cho  o  lungo  o  presso 
I)i  provocarlo  e  di  ferirlo  osasse, 
Sol  di  Turno  cercando  iva  per  entro 
Quella  donsa  caligine,  o  '1  suo  nomo 
Solamente  gridando,  a  la  battaglia 
I,o  disfidava.  Impaurita  o  mesta 
Di  ciò  luturna.la  virago  ardita. 
Tosto  di  Turno  al  carro  appropinquossl, 
E  giù  Metisco  il  suo  fedele  auriga 
[468469] 


1770-794]        Wimo  xit.  59 
Subito  traboceonne.  Ed  ella  in  vece 
K  °u  sembianza  di  lui,  lui  stesso  al  corpo, 
A  l'armi,  a  la  favella,  ad  ogni  moto 
Rassomigliando,  in  seggio  ri  si  pose, 
K  ne  prese  le  redine,  o  lo  resse. 

Qua)  ne  va  negra  (ondino 'aliando 
Per  lo  case  do'  ricchi,  nllor  elio  pillino 
E  ruscelletti  al  cominciato  nido 
Quinci  e  quindi  rauu»,  o  picciol'  esca 
A'suoi  loquaci  pargoletti  adduco; 
Clic  sotto  al  porttcali  o  sopra  l'acque, 
K  per  gli  atrii  volando  e  per  le  Rnlo 
Or  alto  or  basso  si  tiarolve  o  gira; 
Cotal  luturna  if  rampo  attrarorsaudo 
Per  ogni  pai  to  si  spingea  col  carro 
E  co'destricri  infra  i  nemici  a  rolo, 
Sovente  a  loco  a  loco  il  suo  fratello 
Vincitor  dimostrando,  e  non  s»ft*rcudo 
Che  punto  dimorasse,  o  eli' a  rincontro, 
0  pur  vicino  al  gran  Teucro  no  gisse. 
Enea  da  l'altro  canto  incontro  a  lui 
Volgendo,  rivolgendo,  e  fra  loscbiore,. 
Cosi  com'erau  dissipate  e  sporse, 
Indarno  ricercandolo,  il  chiamava 
Ad  alta  voce.  E  mai  gli  occhi  uon  torse 
[470-483J 


690         «      b'mro».  [795-819] 
Ov'cl  si  fussc,  e  diotro  non  gli  mosso, 
Ch'cllH  co'suoì  corsieri  in  più  diversa 
K  più  l'int»nn  parte  non  fuggisse. 
Or  che  fari,  ch'ogni  pensiero,  ogni  opra, 
Ogni  disegno  gli  mesce  invano  V 
Ki  pensierson  diversi'?  Ecco  Messàpo, 
Che  per  lo  campo  discorrendo  intanto 
D'improviso  l'incontra.  E  si  com'era 
11' una  coppia:  di  dardi  a  la  leggiera 
Ne  la  sinistra  armato,  un  ne  gli  trasse 
Dritto  si  che  feria;  se  non  eh'  Enea 
Gli  fece  schermo,  o  rannicchiato  e  stretto 
Chiuossi  alquanto. E  pur  no  l'elmo  il  colse 
E  '1  ciniier  no  divelso.  Irato  surso; 
E  poiché  da' nemici  nttornoggiato 
Si  vido.  e  elio  i  cavalli  cran  di  Turno 
Di  già  spariti,  a  Giovo,  ni  sacri  altari 
Del  violato  accordo  e  de  V  insidio 
Molto  si  protestò:  poscia  tra  loro 
Gittossi  impetuoso,  e  strazio  e  strago 
Prosperamento,  ovunque  si  rivolse. 
Ne  feco  a  tutto  corso;  e  senza  fieno 
Si  diede  a  l'ira  ed  a  la  furia  in  preda. 

Or  qual  nume  sarà  ch'a  dir  m'aiti 
Le  tante  oecistoni  e  si  diverse 

Lisa-ouij 


T820-844]        imo  ni.  %  597 

Cho  ili  duci  e  di  schiore  e  di  fajittr--i 
Fccer  quel  giorno,  Enea  la  l'unn  parte, 
Timio  da  l'altra?  Ali,  Giove!  il  crudele. 
Si  sanguinosa  guerra  Infra  due  genti 
Clio  saran  poscia  eternamente  in  pace? 

Knoa  Sucronc,  un  ■de' più  forti  Ausoni, 
Occiso  in  prima,  e  primamente  i  Teucri 
Fermò,  eh' era n  da  lui  rivolti  in  fuga. 
L'incontrò,  lo  feri,  senza  dimora 
Morto  a  terra  il  gittò;  ch'in  un  de' fianchi 
Con  la  apada  lo  colse;  o  nc  lo  costo 
E  ne  la  vita  stessa  ne  gl'immerse. 

Turno  a  piò  dismontato,  Xmico  in  terra, 
Che  da  cavallo  era  raduto,  infisso; 
E  soco  il  frate  suo  Dròro  estinse. 
L'an  di  lancia  feri,  l'altro  di  brando; 
E  d'ambi  i  capi  dai  lor  tronchi  avulsi, 
SI  com'oran  di  pólvere  e  di  sangue 
Stillanti  e  lordi,  per  le  chiome  appesi 
Anzi  al  carro  si  poso.  E  via  scgucudo 
Quegli  Taìono  o  Tana!  e  Cctègo 
Tre  feroci  Latini  ad  un  assalto 
Si  stese  avanti,  e  'I  mosto  Onlte  appresso 
Figlio  di  Peritla,  gloria  di  Tebe. 
E  tio  dal  canto  suo  qnosli  tf  anciso 
[501-5101 


I 

608  4      l'kxcidi!.  f815-809] 

Ch'cran  fratelli  do  la  Licia  usciti 

E  de' campi  d'Apollo;  a  cui  per  quarto 

Monete  aggiunse.  Ah  corno  il  fato  indarno 

Si  fugge!  liifln  d'Arcadia  fu  costui 

Qui  condotto  «  morire.  E  'n  su  la  riva 

Era  nato  di  Lorna,  ore  pescando, 

Va  l'armi,  da  lo  corti  c  ÓV palagi 

Si  tonca  lungo;  c  solo  il  suo  tugurio 

Avoa  per  reggia/o  por  signoro  il  padre. 

Povero  agricoltor  de' campi  altrui. 

Colpo  duo  fuochi  in  duo  diverse  parti 
I>'uu  socco  bosco  accesi  ardon  sonando 
Le  querce  o  i  lami;  o  duo  rapidi  o  gonfi 
Torrenti  che  noi  mar  dagli  alti  mouti 
Precipitando,  se  no  va  ciascuno 
Il  suo  camino  aprendo,  e  ciò  elio  trnova 
Si  caccia  avanti  o  rumoreggia  c  spuma; 
Cosi  por  la  campagna,  ambi  fremendo. 
Le  schiero  sgominando,  e  questi  o  quelli 
Atterrando  ne  gian,  da  l' una  parto 
Enea,  Turno  da  l'altra.  Or  s)  elio  d'ira, 
Or  si  che  di  furor  si  bolle  o  scuppia, 
E  con  tutte  lo  forze  a  ferir  russi; 
('li'-  l'esser  e  non  In  i ri ■  > i i •  -  è  morto, 

E  qui  Murrùuo  (un  elio  superbo  0  gonfio. 
151G-52U] 


[870-8W]        libro  xil.  .  B 
Del  nomo  e  de  l'origine  vantando 
Se  ne  già  dogli  antichi  avi  o  bisavi  y 
Latini  retti)  Tu  d'un  balio  a  torra 
l'i  la  furia  d'Enea  spinto  o  travolto; 
Sì  che  di  lui.  dal  carro  e  de  lo  ruoto 
Fatto  un  viluppo,  i  suoi  stessi  cavalli, 
Il  signore  obliando,  incrudelirsi, 
K  sotto  al  giogo  o  sotto  ai  calci  accolto 
L'infranscr.  lo  pigiar,  lo  strasciuaro 
E  l'ancisoro  alfine.  Ilo,  cho  fiero 
E  minaccioso  avanti  gli  «i  foco, 
Segui  Turno  a  ferir  di  dardo,  in  gnisa 
Che  de  l' elmetto  la  dorata  piastra 
E  lo  tempio  e  '1  cerebro  gli  trafisso. 
Ne  tn,  Cròtoo,  di  man  di  Turno  uscisti, 
Porche  de' più  robusti  o  do' più  forti 
Eosti  de' Greci.  Nò  di  man  d' Enea 
Scampir  Cupento  i  suoi  numi  invocati: 
Che  nel  petto  forillo,  e  non  gli  valse 
Lo  scudo  cho  di  bronzo  ora  coverto. 
E  tu  cho  contra  a  tante  argive  schiero 
E  contra  al  domator  di  Troia  Achille, 
Eolo,  non  cadosti,  in  questi  campi 
Fosti,  qual  gran  colosso,  a  terra  steso. 
Ma  che?  Quest'era  il  fin  de' giorni  tuoi 
[629-516] 


000  |L'ixi;!nK.  '  -  (805-918) 

Qui  cader  t'era  dato.  Appo  Lirnosso 
Altamente  nascesti:  appo  Lauronto 
Umil  sepolcro  avesti.  Kran  giù  tutti 
Quinci  i  Latini, v  quindi  i  Teucri  a  Tronto, 
E  tra  lor  mcsculuti  Asila  o  Memino, 
K  Seresto  e  Messùpo,  e  lo  falangi 
Degli  Arcadi  e  do'Tos.chi,  ognun  por  si, 
£  tutti  insiomo  con  estrema  possa, 
Con  estremo  valor  senza  riposo 
Facoan  mortalo  o  sanguinosa  mischia. 

Qui  nel  pensiero  al  travagliato  Aglio 
Pose  Ciprigna  di  voltar  le  schioro 
Subitamente  a  lo  nimiche  mura, 
E  con  quel  nuovo,  inopinato  avviso 
Assalir,  disturbalo,  0  l'oste  insiemo 
E  la  città  por  do'  Latini  in  forso. 
E  si  corno,  di  Turno  investigando, 
Vojgca  Io  luci  in  questa  parto  e  'n  quella, 
Vide  Laurento  che  non  tocco  ancora 
Stava  da  tanta  guerra  immune  o  scevro. 
E  da  l'occasTon  subii  amento 
Preso  consiglio,  a  sè  Mommo,  Seresto 
E  Seigosto  chininando,  indi  vicino 
Sovr'  uo  collo  si  trasso,  ove  de'  Teucri 
A  mano  a  mano  si  rauuàr  le  schiere. 
151G-5G3J 


[920-944)        llrmo  XII.  COI 
E  si  corno  raccolti,  aranti  e  «trotti 
S'eran  già  fermi,  in  meno  alto  levossi 
E  «osi  disse:  l'dito.  o  senza  indugio 
Fate  quel  cV  io  dirò,  liiove  è  con  uoi. 
E  perchè  si  ropoute  io  mi  risolva 
A  questa  impresa,  non  pero  di  toì 
Alcun  sia  che  men  pronto  vi  si  mostri. 
Oggi  o  che  re  Latino  al  nostro  impero 
Converrà  ch'obbedisca  o  frano  accetti; 
0  elio  questa  citta,  scino  e  cagiono 
Di  questa  guerra,  o  questo  regno  tatto 
A  foco,  a  ferro  ed  a  mina  andranno. 
E  che  deggio  aspettar?  Cho  non  più  Turno 
Fugga,  si  come  fa,  la  pugna  mia? 
E  che  vinto  una  volta,  si  contonti 
Di  combattere  un'altra?  Il  capo  o  'I  fino, 
Cittadin  miei,  di  questa  guerra  è  questo. 
Via,  col  foco  a  le  mura  o  con  lo  Dani  ino 
No  vendichinm  del  violato  accordo. 

Avoa  ciò  dotto,  quando  ognuno  a  gara 
E  tutti  insieme  inanimati  e  stretti 
Di  conio  in  gnisa.  qual  intera  massa, 
Appressar  la  città.  Vi  furon  presto 
Le  scalo  o  'I  foco.  Altri  assalir  le  porto, 
E  questi  e  quelli  occisero  e  cacciaro, 
|óu3-i>77J 


602         «       L*  i  NKinr. "  [945-9<b] 
Come  pria  s'abbatterò.  Altri  lanciando 
Oppugnarla  muraglia;  ondo  lovossi 
Di  terra  un  nembo  che  fece  ombra  al  sol*. 

Enea  sotto  a  le  mura  attornoggiato 
Da' primi  suoi,  la  destra  alto  o  la  voce 
Levando,  or  couTatino  or  con  gli  lloi 
Si  protostava,  che  due  volte  a  l' armi 
Era  forzato  e  che  duo  volto  il  patto 
(ili  si  turbava.  I  cittadini  intanto 
Faccau  tumulto.  E  chi  volca  che  dentro  < 
Si  chiamassero  i  Teucri  e  che  le  porto 
Fossero  aperto,  il  ro  fin  sulle  mura 
A  ciò  traendo;  e  chi  l'armi  gridando 
S'apprestava  a  difesa.  Eia  a  vederli 
Qnal  ò  di  pecchie  entro  una  cava  rupo 
Accolto  sciamo  allor  che  dal  pastoro 
D'amaro  fumo  èia  cavorna olTosa; 
Cho  trepido,  confuso  e  d*  ira  acceso, 
Per  l'iuccrate  fabrichc  travolto, 
Discorrendo  e  ronzando  so  no  vanno: 
Al  cui  stridor  l'airumigata  grotta 
Mormora,  e  tetro  odore  a  l'aura  esala. 

In  quosto  tempo  un  infortuuio  orrendo 
Timor,  confusione  e  duolo  accrebbo 
Agli  afflitti  Latini,  e  pose  in  piatito 
IÒ78-594J 


[970-994]        tIBao  XII.  603 
Il  popol  tutto:  e  Yu  elio  la  rolnA. 
Visto  da  lontre  Incontro  a  la  cittado 
Venire  i  Teucri,  e  gin  le  faci  e  l'armi 
Volar  por  entro,  e  più  Mila  sentendo 

0  vedendo  do'  liti  tuli  o  di  Turjio. 
Onde  aita  o  speranza  lo  venisse. 
Si  crodù  la  meschina  che  già  l'osto 
Fosso  sconfitto,  o  '1  genero  caduto. 
Ogni  cosa  in  mina.  E  presa  o  viuta 
Da  sùbito  dolore,  alto  gridando: 

Ali!  ch'io  la  colpa,  diss».  1o  la  cagione, 

10  l'origine  son  di  tanto  malo. 

E  dopo  molto  affliggersi  e  dolersi, 
(iia  furiosa  e  di  morir  disposta 

11  petto  aprissi,  e  la  purpurea  vesta 
Si  squarciò,  si  percosse,  e  de  rinfiline 
Nodo  il  collo  s'avvinse,  o  strangolossi. 

Udito  il  caso,  la  dilotta  figlia 

1  biondi  crini  o  lo  rosate  gunneo 
Prima  si  lacerò,  poscia  la  turba 
V'accorse  do  lo  donno,  e  di  tumulto, 
Ili  pianti,  di  stridori  e  d'ululati 

La  reggia  tutta  e  la  cittado  ompiossi. 
Ognun  si  sgomentò.  Latino,  afflitto 
Do  la  morte  d' Amata  e  del  periglio 
I694-C10J 


004         4      l'  xneidR.*  '  |995  1Clftj 
Poi  regno  tutto,  lantossi  il  manto, 
Bruttossi  il  binnco  e  vcnorabil  crine 
D'immonda  poh»:  amaramente  itintise 
Cile  per  suocero  dianzi  o  per  amico 
Non  si  confedero  col  frigio  duce. 

Turno,  elio  in  quo9to  mezzo  combattendo 
Rimaso  era  del  campo  in  su  l'estremo 
Incontro  a  pochi,  e  quelli  anco  dispersi,  \ 
fila  scemo  di  vigore,  e  trasportato 
Da'suoi  cavalli,  che  ritrosi  o  stnnchi 
Ognor  più  se  n'andavano  e  lontani,  ' 
In  sò  confuso  e  duliio  so  no  stava. 
Quando  ecco  di  Laureato  ode  lo  grida 
Con  un  temi  che.  non  compreso  ancora, 
Gli  avea  da  quella  parte  il  vento  addotto. 
Porso  l'orecchio,  e  '1  mormorio  sentendo 
Do  la  città,  elio  tuttavia  più  chiaro 
Di  tumulto  sembrava  e  di  travaglio, 
Oh,  diBso,  cho  sent'io?  che  novitate 
E  cho  rumore  o  che  trambusto  è  questo 
Cho  di  dentro  mi  foro?  E,  qimsi  uscito 
Di  sò,  mirando  od  ascoltando  stette. 
Cui  la  sorella  (come  già  conversa 
Era  in  Motisco,  o  come  i  suoi  cavalli 
Stava  reggendo)  si  rivolse,  e  disso: 
[610-025] 


[1020-10U|     limo  xn.  005 
Hi  qui».  Turno,  di  quii.  Quinci  la  strada 
No  s"aprc  a  la  vittori*.  Altri  a  difesa 
Suran  de  la  citU.  So  d'altra  parto 
Knea  de' tuoi  fa  strago,  «tu  da  questa 
Distruggi  iauoi;  che  non  men  gloria  areuin, 
K  più  sangue  faremo,  lì  Turno  a  lei  : 
0  mia  sorella  !  (elio  mia  suora  eertu 
Sei  tu)  ben  ti  conobbi  infin  da  l'ora 

Clio  turbasti  l'accordo,  •  olio  poi   n 

Ne  la  battaglia  entrasti.  Or,  benché  Dea, 
Indarno  mi  t'ascondi.  B  chi  dal  ciclo 
Cosi  qua  giù  ti  manda  a  soffrir  inoro 
Tauto  fatiche?  \  veder  forse  a  morto 
ti  ir  tuo  fratello?  K  che.  misero!  degirio 
Far  altro  mai?  qual  mi  si  mostra  altrnndo 
0  saluto  o  speranza?  lo  stosso  ho  visto 
Con  gli  occhi  miei,  lo  mio  nomo  chiamando, 
Cadore  il  gran  Murriino.  E  chi  mi  resta 
Ili  lui  più  fido  e  più  caro  compagno? 
K  'I  magnanimo  Ufento  anco  è  perito, 
Credo,  per  non  vedor  le  niio  vergogno: 
K  'I  corpo  o  l'armi  sue,  lasso!  in  potere 
Soli  de' nemici.  K  soffrilo  (citò  questo 
Sul  ci  mancava)  di  vedermi  avanti 
Aprir  le  mura,  e  minare  i  tetti 


006  l'kxf.idu.      [1015  1  <flìOJ 

De  la  nostra  città?  Nò  li*  che  Dranco 
Menta  de  la  mia  fuga?  E  fla  che  Turno  I 
Volpa  lo  spallo,  e  quella  terra  il  vegga? 
Si  grau  malo  ó  morire?  Inferni  dii. 
Accoglietegli!  voi,  poiché  i  superni 
Mi  sono  infesti.  A  voi  di  questa  colpa 
Scenderò  spirto  intemerato  e  santo, 
£  non  sarò  do' miei  grand' avi  indegno. 

Ciò  disse  a  pena:  ed  ecco  a  tutta  briglia 
Venir  per  mocxo  a  lo  nemiche  schiera 
Un  cavalier  che  Suge  era  nomato. 
Pi  spumare  di  sudore  il  suo  cavallo, 
E  di  sangue  era  sparso.  In  volto  infissa 
Portava  una  saotta,  e  con  gran  furia 
Turuo  chiamando  e  ricercando  nudava. 

Poscia  che  '1  vide,  In  to,  disse,  è  riposta 
Ogni  speranza;  nhhi  pietà  de'tuoi. 
Enea  va  corno  un  folgore  atterrando 
Tutto  ciò  che  davanti  gli  si  para; 
E  lo  mura  e  lo  torri  o  '1  regno  tutto 
Di  ruinar  minaccia;  e  già  lo  Taci 
Volano  ai  tetti.  A  to  gli  occhi  rivolti 
Son  do' Latini.  E  già  Latino  stesso 
Vacilla,  o  fra  due  stassi  a  qual  di  voi 
S'attenga,  o  di  cui  suocero  s'appelli. 
[01HÌÓ8] 


[1070-1094]     libbo  xii.  C07 
La  rcg ina  che  solò  ero  sostegno 
Po  la  tua  parte,  di  sua  propria  mano, 
Per  timore  e  por  odio  de  la  vita. 
S'è  strangolata.  Solamente  Atlna 
F.  Mcssapo  *  difesa  de  lo  porto 
I    Kan  testa:  ma  gli  vanno  i  Teneri  a  Bclilcro 
Con  tonfaste  a  rincontro  o  tante  spade 
Serrati  insieme,  quanto  a  pena  in  .'ampo 
Non  son  le  biade.  E  tu  por  questa  vota 
E  desorta  campagna  il  carro  indarno 
Spingendo  e  volteggiando  to  no  stai? 
Turno  da  tanto  orribili  novello 
I    Soprnggiunto  in  un  tempo  e  spaventato, 
Si  smagò,  s'ammutì,  col  viso  a  terra 
Chinossi.  Amor,  vergogna,  insania  o  lutto 
E  dolore  o  furoro  o  coscienza 
>   Del  suo  stesso  valoro  accolti  in  uno. 
Gli  arsero  il  coro  e  gli  avvamparo  il  volto. 

,M.i  poscia  die  gli  fu  la  nebbia  e  l'ombra 
Po  la  mente  sparita,  e  cho  la  luco 
fili  si  scopri  della  ragione  in  parte: 
Cosi  com'era  ancor  turbato  o  fero, 
Pi  sopra  al  carro  a  la  città  rivolse 
I/ardente  rista,  Ed  creo  in  su  le  mura 
Vedecbuuua  gran  fiamma  al  cielo  ondeggia, 
I6Ì9-C73I 


\ 

608  l'kxkioi».  |10%-lflO] 

Gli  Assiti,  I  ponti  e  lo  bertesche  Ardendo 
D'una  torre  eli' a  guardia  era  da  lui 
De  la  muraglia  in  su  le  mote  eretta. 
K  disse:  Già,  sorella,  gii  son  vinto 
Hai  mio  destino.  À  che  più  m'attraversi? 
Via  dove  la  foi  turi»  o  Dio  he  chiama! 
Ferino  son  di  venir  col  Teucro  a  l'armi, 
E  soffrir  de  la  pugna  e  de  la  morto 
Ogni  acerbezza,  anzi  che  tu  mi  vegga 
Do  la  gl'A  ia  do' mici,  sorella,  iudegno. 
Or  al  fato  mi  lascia:  e  sosticn  eh'  io 
Disuighi  Infantata  il  mio  furore. 

Cosi  dicendo,  fuor  del  carro  a  terra 
Gittnssi  incontinente, o  la  sirocchia 
Lasciando  afflitta,  via  per  mozzo  a  l'armi 
K  por  mezzo  a' nemici  a  correr  dicssi. 

Qual  di  cima  d'un  monte  in  precipizio 
Itotolando  si  svolgo  un  sasso  alpestro, 
Che  dal  vento  o  dagli  anni  o  da  la  pioggia 
Divelto,  por  lo  piagge  a  scosso,  a  balzi 
Vada  senza  ritegno,  e  do  lo  solvo 
E  degli  armonti  o  do' pastori  insieme 
Meni  guasto,  mina  e  strage  avanti: 
Tal  per  l'opposto  o  sbaragliate  schloro 
Se  no  già  Turno.  E  giunto  ove  iu  cospetto 
1673-090] 


[1120-1144]     libro  xn.  009 
De  la  città  di  molto  sangue  il  campo 
Era  pia  sparso  o  pien  di  dardi  il  dolo; 
Alzò  la  mano,  e  oon  gran  roce  diano: 

State.  Ruttili,  a  dietro;  e  voi,  Latini, 
Toglietevi  da  l'armi.  Ogni  fortuna, 
Qnal  ch'olla  sia  di  questa  pugna,  è  mia, 
A  me  la  colpa,  a  me  si  dee  la  pena 
Dol  violato  accordo:  a  mo  per  tutti 
l'ugnar  debitamente  ai  conviene 

A  questo  dir  di  mezzo  ognun  si  tolso, 
Ognun  si  ritirò.  DT  Turno  il  nome 
Knea  seuteudo,  il  cominciato  assalto 
Dismise  o  da  lo  mura  e  da  le  torri 
E  da  tutto  l'imprese  si  litrnsse.- 
I'er  letizia  esultò,  tcrribilmento 
Eremò,  si  rassettò,  si  vibrò  tutto 
Ne  l'armi,  e  'n  sò  medesmo  si  raccolse; 
Quanto  il  grand' Ato.o'lgrand'Èricoa  l'aura 
Non  sorge  a  pena,  o'I  gran  padre  Appennino. 
Allor  che  d'elei  la  fronzuta  chioma 
Ter  vento  gli  si  crolla,  o  che  di  nove 
Gioioso  alteramente  s'incappella. 
1  ltiiluli.  i  Latini,  i  Teucri,  a  tutti 
0  ch'u  la  guardia  o  ch'a  l'uffusa  in  prima 
Fosser  de  la  muraglia,  ognuno  a  gara 

Caro. -89.  [691-7071 


CIO         *    '  L*  ExxiDK.  '  [1145-H69] 
L'urini  deposte,  a  rimirar  si  dioto. 
Latino  OS*  re  stesso  spettatore 
Ne  fu  con  meraviglia  ch'anzi  a  lui 
Altri  due  ro  si  grandi,  e  di  duo  parti 
Dof  mondo  si  divorso  o  si  remote, 
Fosser  de  l'tjni  al  paragou  tenuti. 

Eglino,  poiché  largo  e  sgombro  il  campo 
Ebbcr  doranti,  non  si  fur  da  lungo 
Veduti  o  peno,  cho  correndo  ontranibi 
Mosser  l'ini  contro  l' altro.  1  dardi  in  prima 
S'avventar  di  lontano,  indi  s'urtaro; 
E  '1  tonor  degli  scudi  e  '1  suon  degli  olmi 
Fo  la  terra  tremare,  o  l'aura  ai  colpi 
Fischiò  do' brandi.  La  fortuna  insieme 
Si  mischiò  col  valore  In  cotal  guisa 
Sopra  al  gran  Sila  0  del  Taburno  in  cima. 
D'amore  accesi,  con  le  fronti  avverso 
Yan  duo  tori  animosi  a  rincontrarsi; 
Cho  pavidi  in  disparto  se  ne  stanno 
I  lor  maestri,  s'ammutisce  e  guarda 
La  tornio  tutto,  o  lo  giuvencho  intanto 
Ston  dnbic  o  cui  di  lor  marito  e  donno 
Sio  do  l'armento  o  divenir  concesso: 
Ed  essi  urtando,  con  lo  corno  intanto 
Si  dau  forute,  cho  lo  spollo  e  i  flauchi 
[707-721] 


fi  170-1 194]      LIM0  iìu  OH 

Nogrondan  sangue,  e  ne rimugghia  il  bosco. 
Tal  del  troiano  o  de  l'ausonio  duco 
Era  la  pugna  e  tal  do  la  percosse 
E  degli  scudi  il  suono.  A  questo  assalto 
Il  gran  Gioire  nel  ciol  librate  e  pari 
Tenne  lo  sue  bilanco,  •  d'ambi  il  fato 
Contraposando,  attese  a  qual  di  loro 
Desso  la  sua  fatica  e  'I  ano  valore 
Do  la  vittoria  o  do  la  morte  il  crollo. 

Qui  Turno  a  tempo,  cho  sicuro  c  dostro 
Gli  parve,  alto  IcvJssi,  e  oou  la  spada 
Di  tutta  forza  a  1'avvorsario  trasse, 
E  no  l'elmo  il  fori.  Gridare  i  Teucri, 
Trepidare  i  Latiui,  e  sgomentarsi 
Tutto  d'ambe  gli  esserci»  le  sebiore. 
Ma  la  perfida  spada  in  mozzo  al  colpo 
Si  ruppe,  o  'u  sul  fervore  abbandonollo, 
SI  elio  la  fuga  in  sua  reco  gli  valso: 
Ch'»  fuggir  diessi,  tosto  elio  la  dostra 
Disarmata  si  vido,  o  cho  da  l'elso 
1,'nnue  conobbo  cho  la  sua  non  era, 

È  fama  che  da  l'impeto  accecato, 
Allor  che  prima  a  la  battaglia  ascondo 
(iiuuse  Turno  i  cavalli  o  '1  carro  ascoso. 
Per  la  cunfuslono  o  per  la  fiotta 
| 721-7861 


012  l'enfiiib.   .  [U!>r>n31f] 

lasciato  il  patrio  brando,  a  quel  di  piglio 
Di&  por  disavventura,  elio  davanti 
Gli  s'abbattè  del  suo  Motisco  in  prima.  * 
K  questo.  III!  che  dissipati  e  rotti 
N'audaro  i  Teucri,  assai  fedolo  e  saldo 
Lungamente  gli  resse.  Ma  venuto 
Con  l'armi  di  Vulcano  a  paragone 
(Como  quel  elio  di  mano  era  costrutto 
Di  mortai  Fabro)  mal  temprato  o  fralo, 
Qual  di  ghiaccio,  si  franse  e  no  la  sabbi» 
No  rifulsero  i  pezzi.  E  cosi  Turno 
Fuggendo,  or  quinci  or  quindi  per  lo  campo 
Qual  forsennato,  indarno  s'aggirava. 
D'ogni  parte  rinchiuso;  elfo  da  l'una 
Lo  serravano  i  Frìgi  o  la  palude, 
E  '1  fosso  e  In  muuiglin  era  da  l'altra.  I 
E  non  men  eh' ci  fuggisse  il  teucro  duce 
(Come  che  da  la.piaga  ancor  tardato 
Fosso  de  la  saotta,  o  lo  ginocchia 
Si  scntisso  ancor  fiacche)  il  seguitava. 
I/ardonto  voglia,  e  la  speranza  eguale  I 
A  la  téma  di  lui,  si  lo  spingoa, 
Che  già  già  gli  era  sopra,  e  giù  '1  feria,  ■ 
Così  corvo  fugace  o  da  lo  ripe        ,  1 
Chiuso  d' un  alto  fiume,  o  circondato 
[786-750]  ' 


11220-1244]     ubro  xtt.  613 
Db  le  vermiglio  abbonii  unto  penne. 
Se  du  veltro  ò  cacciato  o  da  molosso 
Clic  correndo  c  latrando  Io  persegua, 
Hi  qua  di  luì,  di  In  del  precipizio 
Temendo  o.degli  strali  e  degli  agguati, 
Fugge,  rifugge,  si  tratolve  e  toma 
Por  mille  vie;  nò  dal  feroce  alano 
F.  però  meno  atteso  o  mon  seguito, 
Clicmai  iioal'abbanriuua:  o  già  gli  èpresso 
A  bocca  aperta,  e  già  par  che  l'aggiunga, 
K  '1  prenda,  e  '1  tenga,  «  come  se  '1  tcnesso, 
Schiattisco,  o  '1  vento  morde,  c  i  donti  inciocca. 

Allor  io  grida  nlz.irsi,  a  cui  lo  rupi 
Dc'monti  e  i  laghi  intorno  rispondendo, 
I/uria  e  '1  ciol  tutto  di  tumulto  empierò. 
Montre  cosi  fuggia  Turno  gridando 
K  rampognando  i  suoi,  del  proprio  nomo 
Ciascun  chiamava,  e  '1  suo  brando  chioda*. 

Enea  da  l'altra  parto,  minacciando 
A  tutti  unitamente  ed  a  qualuncho 
Di  sovvenirlo  e  d'appressarlo  osasse, 
Che  faria  dolio  genti  occisTono 
Senza  pietà,  eh' a  sacco,  a  ferro,  a  foco 
Matteria  la  cittade  o  '1  regno  tutto, 
SI  com'era  ferito,  il  seguitava. 

;750-7g;] 


614  V    l"  kxkiok.  [1245-12M] 

Clnqno  roltcgirando  il  camp"  tutto,  j 
E  cinque  rigirando,  e  molto  c  molte 
Di  qua  di  lì  corrcudo.  imperrorsaro: 
Che  non  per  gioco,  non  per  lieve  acquiate 
D'onor,  ma  per  l'imperio,  per  lo  sangue, 
Ter  la  vita  di  Turno  era  il  contrasto. 
Por  sorto  in  quosto  loco  anticamente 
Era  a  Fanno  sacrato  un  oleastro 
D'amaro  foglie,  renerabil  legno 
A'naviganti  che  dal  maro  usciti 
A  salvamento,  al  tronco,  ai  rami  suol 
Lasciavano  i  lor  voti  o  lo'lor  vesti 
A  questo  dio  dc'Laur.onti  appese: 
Non  obbero  i  Troiani  a  questo  sacro 
Più  ch'agli  altri  profani  arbori  o  sterpi 
Alcun  riguardo;  onde  con  gli  altri  tutti 
Lo  distirpar,  perchè  notte  o  spedito 
Rostasso  il  campo  al  marztalo  incontro. 

De  l'oloaatro  In  loco  ora  caduta 
.  L'asta  d'Enea:  qui  l'impeto  la  trasse; 
Qui  si  tcnea  tra  lo  suo  barbe  infissa. 
E  qui  per  ricorrerla  il  teucro  duco 
Chinossi,  o  per  far  pruora  se  con  ésaa 
Lanciando  lo  formasse  almen  da  lungo, 
Poi  ch'appressar  corrando  noi  potoa. 
1703-776] 


[1270-1294)     libro  xn..  615 

Allor  por  tóma  in  sò  Turno  confuso, 
Abbi,  Fauno,  di  mo  rum  o  pictadc. 
Disse,  pregando,  o  tu.  benigna  torri». 
Sii  del  suo  ferro  a  min  scampo  tenace. 
So  i  rostri  sacrifìci  e  1  rostri  onori 
lo  mai  sompro  curai,  «ho  pur  da' Frigi 
Son  cosi  rilipesi  e  profanati. 

Ciò  disso.  enon  fu  '1  detto  e  '1  roto  in  r ano: 
Ch'Enea  molta  fatica  o  molto  indugio 
Mise  intorno  al  suo  tèlo,  nò  con  forza 
Nò  con  industria  alcuna  ebbo  possanza 
Mai  di  sferrarlo.  Or  mentre  ri  s'alfauua 
E  ri  studia  e  ri^uda,  ecco  Iuttirna 
Un'  altra  volta  ne  lo  stesso  auriga 
Mutata  gli  si  mostra,  o  la  sua  spada 
Al  fratello  appresonta.  E  d'altra  parto 
Venere,  disdegnando  elio  la  ninfa 
Cotanto  osasse,  incontanente  aneli' olla 
Accorso  al  Aglio,  o  l'asta  gli  dircise. 
Cosi  d'arme,  di  spumo  e  d'ardimento 
Ambiduc  rinforzati,  o  l'un  del  brando. 
L'altro  de  l'asta  altero,  un'altra  volta 
A  vittoria  anelando  s' azzufferò. 
Stara  Ghino  a  mirar  questa  battaglia 
Sovr'  un  nembo  dorato,  allor  che  Uiove 
[776-701] 


810  »*  t'KXKjDK.'  [1295-1319] 

Cosi  lo  disse:  E  cho  faremo  alfine. 
Donna?  E  che  far  ci  festa?  Io  so  che  sai, 
E  tu  l'affermi,  clic  ria' fati  Enea 
Si  devo  al  cielo,  e  clic  tra  noi  s' aspetta,  i 
Ch'airngni  più?  Che  macchini,  e  che  speri? 
A  cho  tra  queste  nubi  or  ti  ravvolgi? 
Convoncvol  ti  sembra  o  degna  cosa 
Che  mortai  ferro  a  vTolar  presuma 
Un  che  fia  divo?  E  ti  par  degno  e  giusto  • 
Oh'a  Turno  in  man  la  spada  si  riponga 
Quando  egli  stosso  la  si  tolse  o  ruppe? 
E  l'avria  senza  tu  Iuturna  osato, 
Non  che  potuto?  Ah  crescer  forza  a'  vinti I 
Togliti  giù  da  questa  impresa  ornai, 
Togliti;  o  me.  cho  te  no  prego,  ascolta: 
Nò  soffrir  cho  '1  dolor,  ch'outro  ti  rodo, 
Cangiando  il  dolco  tuo  scrono  aspetto, 
SI  ti  conturbi,  o  si  spesso  cagiono 
Mi  sia  d'amaritudine  e  di  noia. 
Quost'ò  l'ultima  fino.  Assai  per  maro, 
Assai  per  terra  hai  tu  Un  qui  potuto 
A  vessare  i  Troiani,  a  muover  guoira 
Cosi  nefanda,  a  scompigliar  la  casa 
Dol  ro  Latino,  o  'ntorbidar  le  npzzo, 
81  corno  hai  fatto.  Or  piti  tentar  non  loco; 
17U2-80CJ 


[1320-1344]  libro  IH.  0J7 
Ed  io  tei  fleto.  E  qni  Giove  si  tacque. 

Abbassò  '1  tolto,  ed  umilmente  a  lui 
Cosi  Ghino  rispose:  Io,  porche  noto 
M'ò,  signor  mio,  questo  tuo  gran  volere, 
Ancor  contro,  mia  voglia  abbandonata 
Ho  l'aita  di  Turno.'»  qui  da  terni 
Mi  son  levata.  Che  so  ciò  non  fosse. 
Me  cosi  solitaria  non  vedresti, 
Com'or  mi  vedi,  in  queste  nubi  ascosa, 
E  disposta  «  soffrir  tatto  ch'io  soffro 
Degno  o  non  degno  ;  ma  di  fiamme  cinta 
Mi  rimescolerei  per  la  battaglia 
A  danno  do'Tcoiani.  Io,  solo  in  questo, 
Tel  confesso,  a  Iutuma  ho  persuaso 
Ch'ai  suo  misero  frate  In  si  grand' uopo 
Non  manchi  di  soccorso,  e  eh'  ogni  cosa 
Tonti  per  la  saluto  e  per  lo  scampo 
Do  la  sua  vita.  E  non  però  le  dissi 
Giammai  elio  l'arco  o  le  saetto  oprasse 
Incontr'  Enea.  Tel  giuro  por  la  fonto 
Di  Stigo,  quel  eh' a  noi  celesti  numi 
Solo  ò  mimo  implacabile  o  tremendo. 
Ora  por  obbedirti  e  perohò  stanca 
Di  questa  guerra  e  fastidita  io  sono. 
Cedo  o  più  non  contondo.  E  sol  di  questo 
Caso. -39.'  |806-819] 


«18  ^lWidV  '  L1345-13C9] 

Desio  che  mi  compiaccia  (e  questo  al  fato 
Non  ò  soggetto),  che  per  mio  contonto, 
Per  onor  do'  Latini,  per  grandezza 
E  maostà  ÙV  tuoi,  quando  la  pace, 
L'accordo  o  '1  maritaggio  fia  concliiuso 
(Che  sia  felicemente),  il  nomo  antico 
Di  Lazio  e  do  le  suo  nativo  genti 
L'abito  o  la  favella  non  si  mute:  > 
Ne  inai  Teucri  si  chiamino  o  Troiani. 
Somprc  Lazio  sia  Lazio,  o  scmprc-Alhanl 
Sian  d'Alba  i  rogl.  e  la  romana  stirpe 
D'italica  virtù  posscnto  o  chiara, 
l'oidio  Troia  peri,  lascia  che  pera 
Anco  il  suo  nomo.  A  ciò  Giove  sorriso, 
E  cosi  lo  risposo:  Ah!  sei  pur  nata 
Ancor  tu  di  Saturno,  o  mia  sorella. 
E  consenti  che  l'ira  o  l'acerbezza 
Cosi  ti  vinca?  Or,  corno  follemente 
Lo  conccpesto,  il  cor  te  ne  disgombra 
Omni  del  tutto.  E  tutto  io  ti  concedo 
Che  tu  domandi,  o  vinto  mi  ti  rondo. 
La  favolla.  il  costumo  o'I  nome  foro 
Kitcngansi  gli  Ausoni,  o  solo  i  corpi 
Ahbian  con  essi  1  Teucri  uniti  o  misti. 
D'amboduo  questi  popoli  i  costumi, 
[81'J-836] 


[1370-1394]     libro  xii.  Oli) 

I  riti,  t  sacrifici  in  uno  accolti, 
Una  gente  farò  eli' ad  una  voce 
Latini 'si  diranno.  E  quei  che  d'ambi 
Kascoran  nei,  sovr'a  l'umana  gente. 
Si  rodrau  di  possanza  o  di  pietudo 
Girne  a' celesti  eguali;  o  non  inni  tanto 
Snrai  tu  cólta  e  marita  altrove. 

Di  ciò  Giuno  nppagossi,  e  liota  e  mito, 
Già  verso  i  Teucri,  al  cicl  feco  ritorno. 
Giove  poscia  luturuada  l'aita 
Dister  pensò  di  suo  fratello,  o  'I  feco 
In  questa  guisa.  Due  lo  pésti  sono, 
Clic  son  Dir&ehiamate,  al  mondo  uscite 
Con  Megera  ad  un  parto,  a  lei  sorcllo, 
tiglio  a  la  Notte,  e  di  Cucito  alunne. 
Che  d'aspi  han  parimente  irta  lo  chiuiuc, 
K  di  ventose  bucce  i  dorsi  alati. 
Questo  di  Giove  al  tribunale  intorno, 
K  do  la  sua  gran  reggia  auzi  a  In  soglia 
Si  prosontnno  aliar  che  penn  e  pesti 
E  morti  a  noi  mortali,  o  gnerro  n'  luoghi 
Clio  no  son  meritevoli  apparecchia. 
Una  di  loro  a  terra  immantincnto 
Spinse  il  padre  celeste,  ondo  Interna 
De  la  fraterna  morte  augurio  avesse. 

1836-854]  . 


020  .      l*  cxRiDl*     [1395 -Hit)] 

Mosse  la  Dir»,  o  di  tempestìi  In  guisa  1 
Cli' impetuosamente  trascorresse, 
Volò  come  saetta  che  da  Parto, 
0  da  Cidone  avvelenata  «scisso, 
E  non  vista,  ronzando  o  l'ombre  aprendo. 
Ferita  immedicabile  portasse 
Giunta  là  'vo  di  Turno  o  do'  Troiani 
Vido  le  schiere,  in  forma  si  ristringo 
Subitamente  di  minoro  augello, 
Ed  in  quel  si  cangiò  elio  da'sopnlcri 
E  dagli  antichi  e  solitari  alberghi 
Funesto  cauta,  fi  sol  di  notte  vola. 

Tal  divenuta,  a  Turno  s'appresenta. 
Gli  ulula,  gli  svolazza,  gli  s'aggira 
Molte  volto  d'intorno;  o  fin  con  l'ali 
Lo  scudo  gli  percuoto,  e  gli  fa  Tento^ 

Stupì,  si  raggricciò,  muto  divenue 
Turno  per  la  paura.  E  la  sorella 
Tosto  cho  lo  stridor  scntinno  e  l'ali. 
Lo  chiome  si  stracciò,  gradinasi  il  volto, 
E  con  lo  pugna  il  potto  si  percosso. 
Or  cho,  dicendo,  ornai,  Turno,  più  pnote 
Per  te  la  tua  germana?  e  cho  più  resta 
A  far  por  lo  tuo  scampo,  ó  per  l'indugio 
Do  la  tua  morte V  e  come  a  cotal  mostro 
[8Ó5-874J 


[1420-1444]     unno  xil.  8tj 
Oppor  iti  p..sso  io  più?  QiA  gii  mi  tolgo 
Hi  qui  lontano.  A  che  più  spaventarmi? 
Assai  di  tóma,  sventurato  angoli». 
Nel  tao  venir  mi  désti.  £  bon  conosco 
Ai  segni  del  tuo  cauto  e  del  tuo  volo 
Quol  chcm'apporti.£non  ponto  m'inganna 
11  severo  precetto  o  'I  volor  empio 
Del  superbo  tonante.  E  questo  ò'I  pregio 
De  la  verginità  die  m'ha  rapita? 
E  porche  vi.tn  mi  concesso  eterna? 
Perchè  '1  morir  ifii  tolse?  Acciò  morendo 
Non  finissi  il  mio  duolo?  acciò  compagna 
Gir  non  potessi  al  misero  fratello? 
Immortal  io?  Che  vaimi  ?  E  che  mi  puute 
No  l'immortalità  parer  soave 
Soma  il  mio  Turno?  Oh  qunl  mi  s'apro  tona 
Clic  seco  mi  ricova  o  mi  rinchiugga 
Tra  l'ombre  inferi».-:  e  non  più  ninfa  c  Dea 
Ma  sia  mortalo  e  morta?  E  cosi  dotto, 
Grama  e  dolonto,  di  ceruleo  ammanto 
Il  cupo  si  covorso.  Indi  correndo 
Nel  suo  fiume  gittossi,  ovo  s'immorso 
lufino  al  fondo,  o  no  mandò  gemendo 
In  voce  di  sospir  gorgogli  a  l'aura, 
lutante  il  suo  gran  tèlo  Euea  vibrando 
[874-887] 


»  I  . 

622  l' ENFIMI.  [HI5-HC9] 

Col  nemico  s'azzuffa,  o  fieramente 
Lo  rampogna  o  gli  dice:  Or  qual  piii. Turno, 
Farai  tu  mora,  o  sotterfugio,  o  schermo? 
Con  l'armi,  con  lo  man,  Turno,  e  da  presso, 
Non  co' piò  si  combatto  e  di  lontano. 
Ma  fuggi  pur,  dileguati,  trasmutati,  a 
Unisci  le  tue  forze  e  '1  tuo  valore, 
Vola  per  l'aria,  appiattati  sotterra. 
Quanto  puoi  t'argomenta,  o  quanto  sai. 
Che  pur  giunto  vi  sei.  Turno  .squassando 
11  cfcpo,  Ah,  gli  rispose,  che  por  fiero 
Clio  mi  ti  mostri,  io  de  la  tua  florozza. 
Orgoglioso  campion,  punto  Don  temo, 
Nò  di  te:  degli  Dei  temo  o  di  Giovo, 
Clic  nimici  mi  sono  e  meco  irati. 

Nulla  più  disso;  ma  rivolto,  appresta 
Si  vide  un  sasso,  un  sasso  antico  e  grand» 
Ch'ivi  a  sorto  por  limite  era  posto 
A  spartir  campi  e  tùr  lite  a' vicini.  " 
Era  si  smisurato  o  di  tal  peso, 
Che  dodici  di  quei  ch'oggi  produco 
11  secol  nostro,  e  de' più  forti  ancora, 
Non  l'avrebber  di  terra  alzato  a  pena. 
Turno  diègli  di  piglio,  0  con  osso  alto 
Correndo  so  ne  già  verso  il  nimico, 
[S88-902J 


[1470-1493]     libro  ih.  623 
Senza  vodor  ni  come  indi  il  tosliosso, 
Né  come  In  levasse,  né  «e  (fisso. 
Nò  se  corresse.  Disnervato  e  fiacche 
Oli  vaeillàr  lo  gambo,  e  freddo  o  stretto 
Gli  si  fo'l  sangue.  11  sasso  andò  per  l'aura, 
SI  che  'I  colpo  non  giunse,  e  non  percosse. 

Como  di  notte,  allor  che  'I  sonno  chiudo 
I  languid'  occhi  a  l' affannata  gente, 
No  sembra  alcuna  volta  essere  al  corso 
Ardenti  in  pi-ima,  e  poi  froddi  in  sul  mezzo, 
Manchiam  di  Iena  si  ch'i  più,  la  lingua, 
La  voce,  ogni  potenza  ne  si  toglio 
Quasi  in  un  tc/npo:  cosi  Turno  invano 
Tutte  del  suo  valor  lo  forze  oprava 
Da  la  Dira  impedito.  Allora  in  dubbio 
Fu  di  sò  stesso,  o  molti  por  la  monto 
Oli  nndaro  e  vari  o  torbidi  ponsiori. 
Torse  gli  occhi  a'suoi  Rutuli.  o  lo  mura 
Mirò  do  la  città  :  poscia  sospeso 
Fermossi,  o  pauroso;  e  sopra  il  tèlo 
Vistosi  del  gran  Teucro,  orror  no  preso. 
Non  più  sapendo  o  dovo  por  suo  scampo 
Si  ricovrasse,  o  quel  che  por  suo  schermo, 
0  per  offesa  dol  nimico  oprasse. 

[903-918J 


» 

021  l'emei'de.      [1191-151  "i 

Mentre  così  confuso  0  forsennato 
Si  sta.  la  fatai  asta  Enea  vibrando. 
Apposta  ore  colpisca,  e  con  la  forza 
Dui  corpo  tutto  irli  l'avventa  e  fero. 
Machina  con  tant' impeto  non  pinso  «, 
Mai  sasso  e  mai  non  fu  squarciata  nnbo 
Che  si  tonasse.  Andò  di  turbo  in  guisa 
Stridendo,  t  con  la  morte  in  su  la  punta 
Furiosa  passò  di  sette  doppi  . 
Lo  rinforzato  scudo:  e  la  corazza 
Aprondo.  ne  la  coscia  gli  s'infisse. 
Die  del  ginocchi)  a  questo  colpo  in  terra 
Turno  forito.  1  Botali  gridaro; 
E  tal  surso  fra  lor  tumulto  e  pianto. 
Che  'I  monto  tutto  o  le  foreste  intoni^ 
Ne  rintonaro.  Allor  gli  occhi  e  la  destra 
Alzando  in  atto  umilmente  rimosso, 
E  supplicante:  Io,  disso,  ho  meritato 
Questa  fortuna;  e  tu  segui  la  tua: 
Chè  nò  vita,  nò  venia  ti  dimando. 
Ma  se  pietà  do' padri  il  cor  ti  tango 
(Chò  ancor  tu  padre  avesti,  e  padre  sci), 
l)ol  mio  vecchio  parento  or  ti  sovvengo. 
E  se  morto  mi  vuoi,  morto  ch'io  sia 
1919-93Ó] 


[1B1«-1S41]     unno  Kit.  «« 
R<  ni  il  min  corpo  a' mici.  Tu  vincitnro,  ■ 
Kd  io  son  Tinto.  E  già  gli  Ausoni  tutti 
Mi  ti  vcggiono  a'  pià,  elio  supplicando 
Mercè  ti  dileggio:  e  già  Lavinia  ù  tnn: 
A  elio  pid  contro  un  morto  odio  o  tenzono? 

Enea  ferocemente  altero  e  torro 
Stottc  ne  l'armo,  e  Tòlti  gli  occhi  a  torno, 
Franò  Iti  destra;  c  con  l'indugio  oguora 
l'in  mite,  al  suo  pregar  ai  raddolciva: 
Quando  di  cima  all'omero  il  fermaglio 
Del  cinto  infortunato-di  Pallanto 
Negli  occhi  gli  rifulse.  E  bon  conobbe 
A  le  note  sue  bollo  osscr  quel  desso, 
Pi  che  Turno  quel  di  l'avi»  spogliato. 
Che  gli  diò  morte;  e  che  per  vanto  poscia 
Como  nomica  e  gloriosa  spoglia 
Lo  portò  sempre  al  petto  attraversato. 
Tosto  elio  M  vide,  amara  rimombrnn/n 
Oli  fu  di  quel  eh' ci  n'ebbe  affanno  e  doglia; 
E  d' ira  e  di  furore  il  petto  acceso, 
E  terribile  il  volto,  Ab,  disso,  adunque 
Tn  de  le  spoglie  d'un  mio  tanto  amico 
Adorno,  oggi  di  man  presumi  uscirmi. 
Si  che  non  muoia?  Muori:  o  questo  colpo 
[M6-M8J 


.J5L.  " 

620  l  EXKinR.  [1012-1518} 

Ti  dà  rullante,  e  da  I'nllanto  il  prendi, 
A  luì,  por  mia  vendetta  e  por  sua  vittimi, 
To,  la  tua  pena,  o  'I  tuo  sangue^onsnero. 
E,  ciò  dicondo,  il  petto  gli  trafisse. 
Allor  da  mortai  gielo  il  corpo  appreso 
Abbandonossi:  o  l'anima  di  vita 
Sdegnosamente  sospirando  uscio. 
[948- 952] 


Fimi. 


INDICE. 


Al  Isttorl  jitg  T 

Argomenti  itti 

Libro  Primo  *   I 

—  Secondo   51 

—  Ter«o....v  104 

—  Q'!  irto  150 

—  Quinto  jo,4 

—  Sento  145 

—  Settimo  soo 

—  ottavo  8&0 

—  Nono  SM 

—  Decimo  448 

—  Undeclmo  508 

—  Duodecimo  6M